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Autore: Fragolina84    14/01/2014    1 recensioni
Megatron ha un nuovo piano: impadronitosi di un'immensa fonte di Energon, sta cercando di distruggere tutto quello rimasto. E ha tra le mani un'arma potente, un virus in grado di piegare anche gli Autobots.
Per combatterlo serviranno coraggio, sacrificio e un'antica Reliquia aliena.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bumblebee, Nuovo personaggio, Optimus Prime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una Camaro rossa fiammante si bloccò con uno stridore di pneumatici davanti alla sbarra che bloccava l’accesso al Dipartimento della Sanità di Washington. Davanti al solido cancello, che in quel momento era chiuso, c’erano quattro guardie armate e altre due stavano nella garitta a sinistra.
I sei soldati non erano allarmati, ma strinsero i fucili e rimasero in attesa.
La portiera di sinistra si aprì e ne uscì una ragazza. Indossava un paio di stivali color mogano con poco tacco e un paio di pantaloni neri molto attillati. Sopra portava un giubbetto di pelle sempre nero, perfettamente modellato sul seno abbondante e aderente ai fianchi stretti.
Il viso era un ovale perfetto incorniciato da una soffice nuvola di capelli corvini ribelli e spettinati, il tipo di viso adatto a stare sulle copertine dei giornali di moda. Era una splendida donna e tutti i soldati lo notarono. Ma nel loro lavoro avevano imparato a diffidare di tutto e si mantennero imperturbabili.
La ragazza si fece avanti e parlò con la guardia che le si fece incontro.
«Ho delle notizie importanti per il Nest» disse con voce chiara e la guardia trasalì, salvo poi riprendersi subito.
«Il Nest? Non so di cosa stia parlando, signora. Ora tolga di mezzo la sua auto».
La ragazza socchiuse gli occhi. «Se questo non è il Nest, di sicuro è il Dipartimento di Sanità più difeso che abbia mai visto». Parlava americano con un certo accento che l’orecchio della guardia, tuttavia, non riusciva a cogliere.
«Glielo ripeto: tolga di mezzo quell’auto» ripeté di nuovo il soldato «o sarò costretto a far chiamare la vigilanza».
La mora si avvicinò ancor di più. «Mi ascolti: i Decepticons stanno preparando un nuovo attacco. Io ho informazioni che saranno fondamentali per gli Autobots».
Quando la donna nominò Autobots e Decepticons, il soldato cambiò subito atteggiamento. Non poteva essere certo che non si trattasse di un trucco, ma non spettava a lui decidere. Vedendo che tergiversava, la donna incalzò.
«Senta, non abbiamo molto tempo» cominciò, ma l’uomo la fermò sollevando una mano.
«D’accordo» disse. «Aspetti qui».
Poi le voltò le spalle ed entrò nella garitta. Usò la radio e la donna lo vide parlare con qualcuno. Finalmente uscì e le disse che doveva attendere che il suo superiore venisse a parlarle. La ragazza si strinse nelle spalle.
«Non siete granché in fatto di ospitalità, ma va bene» borbottò e si appoggiò al cofano della Camaro, a braccia conserte, incrociando le caviglie inguainate negli stivali.
Trascorsero un paio di minuti prima che si notasse del movimento. Il cancello fu aperto e ne uscì un uomo alto, seguito da altri due soldati che imbracciavano un mitra ciascuno. Dietro il trio si fermò un gigantesco pick-up GMC Topkick nero.
L’uomo alto si fermò ad un metro dalla Camaro rossa.
«Sono il colonnello William Lennox» si presentò e la ragazza lo studiò con interesse. Era molto alto, di certo superava il metro e novanta. Aveva gli occhi castani e lo stesso valeva per i capelli, tagliati corti. Un’ombra di barba gli copriva la mascella e la ragazza notò un piccolo auricolare nero all’orecchio destro. Era un bell’uomo e i jeans e la maglietta che indossava mettevano in risalto la sua figura muscolosa ma proporzionata.
«Lei chi è?» domandò con tono marziale, forse per intimidirla.
«Mi chiamo Destiny. Ho informazioni per gli Autobots».
Quando Destiny nominò gli Autobots, Lennox non si scompose. «Che ne sa lei degli Autobots?» chiese.
La ragazza sorrise e si spostò dal cofano su cui stava ancora appoggiata. «Direi che ne so abbastanza» mormorò. Poi si girò verso l’auto. «Heaven» chiamò. E la Camaro iniziò la trasformazione.
Mentre l’auto si trasformava in un gigantesco robot, Destiny notò che anche il pick-up stava compiendo la propria metamorfosi. Girò lo sguardo su Lennox, e continuò a guardarlo mentre i due robot si mettevano in piedi e si fronteggiavano. Il pick-up puntò uno dei suoi cannoni su Heaven che, pur essendo più piccola del gigante nero che le stava davanti, rispose immediatamente sfoderando le proprie armi.
«Vedo che si è portato la scorta» commentò Destiny. Poi sfiorò la gamba d’acciaio di Heaven. «Giù le armi, Heaven» ordinò. Dopo un momento di esitazione, il robot rinfoderò le armi e rimase immobile.
Destiny si frappose fra lei e Lennox. «Ora dica ai suoi di fare lo stesso, per favore» disse, accennando alle guardie che avevano sollevato i fucili e al gigantesco cyborg che continuava a puntare un cannone al petto di Heaven.
Senza staccare lo sguardo dalla ragazza, Lennox diede pochi ordini secchi e tutti abbassarono le armi. «Anche tu, Ironhide» specificò.
L’Autobot sbuffò irritato ma abbassò le armi.
«Ok, direi che ha dimostrato le sue credenziali. Ora vuole dirmi perché è qui?»
Destiny si guardò intorno. «Qui? In mezzo alla strada?» chiese e proseguì senza attendere risposta. «Signore, le informazioni che abbiamo sono piuttosto confidenziali».
Lennox rifletté qualche istante. Non poteva esserne certo, ma con tutta evidenza quello che aveva davanti era un Autobot. La ragazza sembrava comunque controllarla senza difficoltà: appena le aveva detto di abbassare le armi, Heaven l’aveva fatto e ora era immobile, in attesa.
Inoltre, Destiny sembrava a posto. Lennox tornò a guardarla e sentì di nuovo quella strana compressione al petto. Era la prima volta che guardava una donna con quegli occhi, la prima volta dopo quella tragica sera di quattro settimane prima, quando sua moglie e sua figlia erano rimaste uccise. Si sentì subito in colpa: possibile che stesse già dimenticando?
«D’accordo» decise infine. «Mi segua».
Destiny alzò lo sguardo verso Heaven e annuì leggermente. L’Autobot riprese in pochi secondi l’aspetto di una Camaro e prese a seguire Destiny oltre il cancello di acciaio che si richiuse dietro di loro.
Ironhide continuò a sorvegliarle mentre camminavano ma quando gli passò accanto, Destiny alzò gli occhi ad incontrare i suoi. «Piacere di conoscerti, Ironhide» mormorò.
Ironhide non capiva la natura umana bene come i suoi compagni Autobots. Tuttavia era rimasto colpito da Destiny che non era parsa intimidita, nemmeno di fronte alle sue armi. Riconosceva nella ragazza lo stesso coraggio che aveva trovato nel colonnello Lennox che non aveva mai esitato ad affidargli la propria vita e quella degli umani che erano al suo comando.
Ironhide non disse nulla ma annuì di rimando e le seguì all’interno dell’edificio. La Camaro rossa continuava a seguire Destiny, vicinissima alla ragazza, tanto da sfiorarle la gamba mentre questa camminava dietro Lennox.
Destiny notò che una sezione dell’immenso capannone era occupata da diverse auto. Era un’esperta in materia e riconobbe subito una Ferrari 458 Italia e una Corvette Stingray. Entrambe erano parcheggiate e diversi uomini in camice bianco giravano intorno alle due fuoriserie.
C’erano molti soldati in tenuta di combattimento e un Hummer H2 equipaggiato come mezzo di soccorso girava per l’edificio, senza nessuno al volante. Quando arrivò vicino alla Corvette, l’Hummer si trasformò e si inginocchiò accanto all’auto argentea.
«Dirò a Que di potenziare il tuo armamento» disse.
Un vecchio Autobot canuto uscì da dietro una parete. «Ho giusto un paio di idee che potrebbero fare al caso di Sideswipe, Ratchet».
«Bene Que» rispose Ratchet. «Procedi».
Lennox proseguiva ancora e Destiny si rese conto che quel posto era veramente enorme. Passarono vicino a tre Chevrolet Impala superarmate, ognuna ferma in un box separato. C’erano gigantesche console di computer con i monitor che mostravano immagini satellitari e attrezzature fantascientifiche di cui la ragazza ignorava la funzione.
Finalmente giunsero in fondo al fabbricato dove era parcheggiato un grosso Peterbilt rosso e blu. Non aveva rimorchio e accanto a lui stava un cyborg nero e giallo: sulla fronte portava il marchio degli Autobots, stesso marchio che era ripetuto sulla calandra cromata della motrice Peterbilt.
Quando l’Autobot notò la Camaro rossa mostrò un certo interesse e sollevò due alette ai lati della testa, cosa che conferì stupore alla sua espressione. Destiny doveva essere ormai abituata a quelle manifestazioni di umanità, ma non poté trattenere un sorriso.
Due uomini in camice si fecero avanti e bloccarono Lennox.
«Colonnello, sa bene che non è permesso far entrare auto nell’edificio senza il consenso del Direttore dell’Intelligence».
A seguito degli ultimi attacchi da parte dei Decepticons le misure di sicurezza erano al massimo, ma Lennox alzò una mano a bloccare ulteriori proteste.
«Lo so, Timothy. Ma è tutto a posto».
«Questo lo decideremo noi» disse il secondo uomo ed entrambi fecero per avvicinarsi alla Camaro, ma Destiny si mise in mezzo e l’auto indietreggiò di qualche metro.
«Calma, ragazzi» disse Destiny. «Nessuno tocca la mia auto».
«Dobbiamo accertarci che non si tratti di un Decepticon» disse quello che si chiamava Timothy.
Destiny non si mosse ma girò appena la testa. «Apri il cofano, Heaven» sussurrò e la Camaro obbedì prontamente. L’Autobot giallo e nero si fece più vicino e sbirciò con interesse il motore della Camaro, mentre Destiny faceva notare il severo volto robotico di colore rosso che era il marchio degli Autobot e che era inciso sulla testata del motore.
«È sufficiente?» chiese poi, ma i due tecnici non erano soddisfatti.
«Potrebbe essere una messinscena» obiettarono e cercarono di nuovo di avvicinarsi.
Heaven indietreggiò ancora e, sentendosi minacciata, si trasformò.
«Heaven, no!» gridò Destiny, ma stavolta l’Autobot non obbedì, anche se non fece gesti bellicosi, né sfoderò le armi.
Non appena Heaven fu in posizione eretta, il cyborg giallo e nero indietreggiò di colpo, colpendo di striscio una scaffalatura su cui stavano armi e attrezzature e facendola cadere. Il trambusto fu notevole e Lennox si voltò per vedere cosa fosse successo.
«Che ti prende, Bumblebee?» domandò ma l’Autobot scosse la testa, emettendo solo qualche verso, senza staccare gli occhi da Heaven. Cercò freneticamente fra le frequenze radio finché trovò ciò che cercava.
«Tranquilla» disse ad Heaven, con la voce di un giornalista radiofonico, improvvisamente adirato con Ratchet che non era ancora riuscito ad aggiustare i suoi processori vocali danneggiati in battaglia.
«Nessuno vuole… fare il male» disse ancora, mescolando l’audio di un programma di approfondimento di politica con la voce di un predicatore religioso. Poi si rivolse agli uomini. «Autobot… non ci sono dubbi».
Ma dato che quelli ancora esitavano, anche il grosso camion che era rimasto immobile fino a quel momento, si trasformò. Sotto gli occhi ammirati di Destiny, il Peterbilt divenne il cyborg più grande che avesse mai visto.
Heaven lo riconobbe immediatamente e piegò un ginocchio a terra stringendo la mano destra a pugno e portandola sul cuore. «Comandante» mormorò.
«È un Autobot, garantisco io per lei» disse con la sua voce profonda e la tensione si allentò subito. Poi girò lo sguardo su Heaven. «Alzati, Heaven».
Mentre Heaven si rialzava, Destiny mosse un passo in avanti. «È un onore conoscerti, Optimus».
Optimus Prime si accosciò fino a trovarsi con il viso a livello di Destiny. «Sei coraggiosa, ragazza» disse e Lennox provò un incomprensibile senso di orgoglio. E non ne capiva il motivo.
«William mi ha detto che hai informazioni per noi».
La ragazza annuì e cominciò a parlare.
«Io e Heaven abitiamo a Mexico City. Siamo insieme da quasi sedici anni e non ci siamo mai mosse dal Messico. Heaven è uno dei primi Autobots giunti sulla terra ed è molto vecchia». A quelle parole Heaven borbottò e sbirciò Bumblebee di sottecchi.
«Quanto?» chiese Optimus e il nuovo Autobot prese la parola.
«Ero qui quando i tuoi fratelli Prime sacrificarono le proprie vite per mettere al sicuro la Matrice del Comando» rispose Heaven.
Optimus Prime si aprì il petto formato dalle carrozzeria del Peterbilt e le mostrò la Matrice, annidata vicino alla sua Scintilla. «Questa Matrice?» domandò e Heaven annuì. Poi Destiny riprese a parlare.
«Ci siamo stabilite a Mexico City in quanto lì era presente una fonte di Energon, energia necessaria a Heaven per sopravvivere».
Autobots e Decepticons sopravvivevano grazie all’Energon che era il loro carburante e la materia che permetteva loro di rigenerarsi e non arrugginire. Sulla Terra esistevano punti precisi in cui questo Energon era presente e gli Autobots erano in grado di trovarlo e usarlo.
«Tre giorni fa però» continuò Destiny «un Decepticon ha attaccato la fonte, distruggendola. Heaven non è riuscita a salvare l’Energon, ma ha catturato il Decepticon ed è riuscita a farlo parlare».
«Come?» chiese Optimus.
Destiny sorrise. «I Decepticons sono fondamentalmente codardi e traditori. È bastata la promessa di aver salva la vita perché si sbottonasse».
«Quindi l’avete lasciato libero?» chiese Lennox.
«Certo che no» replicò Destiny voltandosi verso di lui. «Dopo che ci ha rivelato i piani di Megatron, Heaven l’ha terminato».
Bumblebee annuì convinto. «Ben fatto!» esclamò ricevendo in risposta un sorriso di Heaven che gli fece ribollire l’acqua nel radiatore.
«E quali sarebbero questi piani?» chiese Optimus.
«Megatron ha messo le mani su una fonte immensa di Energon. Ora sta mandando i suoi scagnozzi in giro per il mondo a distruggere tutto l’Energon esistente».
«Ma perché?» chiese Lennox, girandosi verso Optimus.
«Perché quando l’avrà fatto, noi saremo tutti finiti» sentenziò il leader degli Autobots. Heaven e Destiny annuirono.
«Megatron vuole mettervi in ginocchio, in modo da poter agire indisturbato quando si sentirà pronto per conquistare il nostro pianeta» concluse Destiny. «Ma c’è dell’altro».
«Wow, questa giornata non fa che migliorare» borbottò Ironhide.
«Megatron ha messo a punto un virus» spiegò la ragazza.
«Un virus?» intervenne Ratchet. «Che genere di virus?»
Destiny stava per rispondere quando vacillò. Sarebbe caduta a terra se Lennox non fosse stato così pronto ad afferrarla. La strinse tra le braccia e la fece stendere a terra, continuando a tenerle sollevata la testa. Heaven si inginocchiò preoccupata e gli altri Autobots si fecero più vicini, finché Optimus ordinò loro di indietreggiare.
«Lasciatele un po’ di spazio, fratelli».
«Destiny» mormorò Lennox. Era la prima volta che pronunciava quel nome così particolare e lo assaporò sulla lingua. «Destiny, che succede?»
La ragazza scosse la testa e strizzò gli occhi. «Scusatemi. Ho guidato per più di trenta ore per arrivare qui e non dormo da quasi cinquanta. È solo un po’ di stanchezza». Poi alzò gli occhi verso Heaven. «Tranquilla, sto bene. Non è niente».
Lennox le passò un braccio dietro le ginocchia e la sollevò. Era leggera come una bambina eppure il corpo che teneva fra le braccia era quello di un’atleta, forte e muscoloso. Riusciva a sentirne la compattezza anche attraverso i vestiti che li separavano e dovette imporsi di non stringerla più del necessario.
Fece sloggiare uno dei tecnici dalla sua poltrona e la fece sedere. Le fece portare un caffé molto zuccherato e la ragazza lo sorseggiò riconoscente. «Va meglio ora?» chiese dopo un po’ e Destiny annuì. Poi alzò gli occhi verso Optimus che si era avvicinato.
«Come vi stavo dicendo, Megatron ha creato un virus. È in grado di attaccarvi accelerando il processo di decadimento dei vostri organismi. Quindi, mentre è impegnato a distruggere le fonti di Energon, Megatron ha per le mani un virus che vi obbliga a ricorrervi prima di quanto accade solitamente».
«C’è un antidoto per questo virus?» chiese Ratchet. In qualità di ufficiale medico, quello era il suo campo.
«No. O almeno il Decepticon non lo sapeva. Pare comunque che l’Energon rallenti il virus» disse Heaven.
«Energon che, se non ci muoveremo in fretta, sarà tutto nelle mani di Megatron» puntualizzò Optimus.
«Ma noi possiamo stare tranquilli» disse Timothy, uno dei tecnici che aveva cercato di analizzare Heaven. «Non possono arrivare alla fonte di Energon che abbiamo qui».
Heaven e Destiny si voltarono di scatto verso il tecnico. «Qui avete una fonte?»
«Certo che sì. Direi che è il minimo, con tutti questi Autobots».
«Colonnello Lennox, siete tutti in grande pericolo. Se i Decepticons lo scoprissero – e dubito che non lo sappiano già – vi attaccherebbero».
«Che vengano!» sbottò Ironhide, e Bumblebee si mise a menare fendenti all’aria saltellando sulle punte, mimando un combattimento con un immaginario Decepticon.
«Puoi stare tranquilla, Destiny» disse Lennox. «Il nostro Energon è superprotetto e non credo che Megatron disponga di forze sufficienti per attaccarci qui. Ma rafforzerò nuovamente le misure di sicurezza».
Optimus Prime piegò un ginocchio a terra. «Le informazioni che ci hai dato sono davvero importantissime, Destiny. E ti ringraziamo per esserti precipitata qui a riferirci ciò che era accaduto».
La ragazza si strinse nelle spalle. «Anche se vivevamo in Messico, non eravamo così fuori dal mondo. Le voci su di voi sono arrivate fin là e il fatto che qui ci fosse un Prime ha convinto Heaven che dovevamo assolutamente venire. Quando siamo arrivate a Washington, Heaven ha intercettato una delle vostre trasmissioni e vi ha rintracciati».
Lennox e Optimus si scambiarono un’occhiata preoccupata: se era così facile intercettare le loro comunicazioni, significava che non erano per nulla al sicuro. Ma Destiny si affrettò a spiegare: «Le intercettazioni sono una delle specialità di Heaven».
«E vi assicuro che non è stato facile forzare il vostro codice» intervenne la femmina di Autobot. «Ma sapevo cosa cercare e ci sono riuscita».
Lennox quasi sospirò di sollievo. «Va bene. Voi due resterete sotto la nostra protezione almeno per questa notte» disse rivolto a Destiny e al suo Autobot.
Destiny si alzò in piedi. «Noi due non abbiamo bisogno della protezione di nessuno, ce la caviamo benissimo da sole» disse decisa, ma vacillò di nuovo e dovette aggrapparsi al braccio di Lennox.
«Dicevi?» chiese lui in tono ironico e sorrise. Quando sorrideva il suo viso faceva ancora più attraente. Destiny ebbe l’impressione che ultimamente non gli fosse capitato spesso di sorridere perché l’uomo sembrò sorpreso di se stesso.
«D’accordo» capitolò Destiny. «Ma solo per questa notte. Domani ce ne andiamo».
Nessuno tranne Optimus notò l’occhiata che si scambiarono Heaven e Bumblebee. E quando i loro occhi si incontrarono, entrambi finsero di guardare da un’altra parte.
«E io dormo con Heaven» concluse Destiny, ma Lennox scosse la testa.
«È escluso. Heaven starà benissimo qui con gli altri Autobots, ma tu hai bisogno di riposare come si deve. Ti troveremo un alloggio». Poi, vedendo che Destiny stava per protestare di nuovo, si affrettò a proseguire. «E non è una richiesta. È un ordine».
Ormai troppo stanca per sostenere quella battaglia, Destiny chinò il capo. Il colonnello Lennox si rivolse a Optimus.
«Forse è il caso che facciate turni di guardia insieme ai miei uomini. Due Autobot e quattro uomini di ronda, oltre alle guardie fisse al cancello e sulle torrette. Che ne pensi?»
Optimus annuì e chiamò Ironhide. «Organizza i turni, per favore».
Ironhide assegnò il primo turno di guardia a Bumblebee e Dino perché sapeva che lavoravano bene insieme. Ma Bumblebee chiese di essere assegnato all’ultimo turno, senza spiegare bene il perché. Ironhide acconsentì.
Il perché divenne chiaro più tardi quando Lennox accompagnò Destiny e Heaven ad un box vuoto. L’Autobot si ritrasformò nella Camaro e si parcheggiò a marcia indietro. Destiny recuperò la propria borsa dal bagagliaio, le accarezzò il cofano e seguì Lennox che l’avrebbe portata al suo alloggio.
A quel punto anche Bumblebee si trasformò. Anche lui era una Chevrolet Camaro gialla, con le strisce da corsa nere su cofano e tetto. Passò davanti a Heaven e si sistemò nel box adiacente, sebbene non fosse il suo. Tutti gli Autobot lo notarono, ma nessuno disse nulla, anche se Ratchet e Optimus si scambiarono un’occhiata.
  
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