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Autore: bulmasanzo    15/01/2014    1 recensioni
Mentre tutti dormivano comodamente nel loro caldo letto, un certo bambino era costretto a restare in giardino, al freddo, per fare la guardia alla casa. Ma nonostante tutto, questo bambino credeva di star semplicemente facendo il proprio dovere e non capiva di essere abusato dalle persone che avrebbero dovuto proteggerlo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Heinz Doofenshmirtz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il freddo era talmente intenso da dare l'impressione che tagliasse la pelle.

Mezza faccia gli si era praticamente congelata e aveva perso quasi del tutto la sensibilità alle dita, sia delle mani che dei piedi.

Cercava di sollevare la finta barba che indossava sul naso, per ripararlo almeno un po', ma serviva a ben poco, era troppo corta. La punta già non se la sentiva più.

Gli abiti che aveva addosso non erano pesanti, non erano adatti all'inverno, erano di cotone.

La lana era stata utilizzata tutta per realizzare le copertine del fratellino, che ne aveva molto più bisogno perché era piccolo e fragile e si sarebbe potuto ammalare più facilmente.

Invece per lui, che era grande, sarebbe stato bene farsi un po' di anticorpi.

Da ore, ormai, stava sotto quella specie di tormenta di vento gelido, che gli sferzava il viso come una frusta e lo faceva tremare violentemente.

Avrebbe tanto voluto che gli fosse concesso di rientrare in casa, anche solo per cinque minuti, per potersi sedere di fronte al camino accesso a riscaldarsi le membra intirizzite.

Ma non doveva muoversi o sarebbe stato picchiato e mandato via.

Quella era la regola imposta da suo padre. Se non avesse fatto buona guardia al giardino, avrebbero fatto in modo di riavere indietro lo gnomo che doveva sostituire, dando lui in cambio.

Che razza di figlio degenere avrebbe costretto i suoi genitori a privarsi di lui, anche solo per garantire la loro sicurezza?

Era importante che anche il piccolo, il fratellino, fosse al caldo, al sicuro.

Doveva sacrificarsi per lui, resistere e comportarsi da ragazzo esemplare, come gli avevano sempre raccomandato di essere.

Se Kenny, quel gracile bambino della casa di fronte, ci riusciva, avrebbe necessariamente dovuto esserne in grado anche lui. Cos'aveva in meno di lui, in fondo?

Ma quella sera Kenny non c'era. I suoi dovevano aver deciso che il freddo fosse troppo pungente anche per lui.

Sapeva di doversi sentire superiore, perché, come diceva papà, lui era capace di una resistenza maggiore.

Invece lo invidiava. Lo immaginava tra le pesanti coperte di un letto, al calduccio tra le braccia di sua madre.

Come suo fratello, che con la scusa di essere un bebè aveva sempre tutte le attenzioni per sé.

Sapeva però che invidiarli era sbagliato.

Lui voleva a tutti i costi che i suoi genitori gli volessero bene, che fossero fieri di lui, che lo lodassero e riconoscessero quanto era stato bravo.

Ma la notte sarebbe stata ancora lunga e lui si domandava se dopotutto ne valesse la pena.

In ogni caso, non aveva molta scelta, sapeva benissimo che se avesse cercato di sfuggire al proprio dovere le conseguenze sarebbero state tragiche.

Papà aveva la singolare capacità di individuare ogni suo più piccolo movimento, anche mentre stava dentro casa e -incredibilmente- anche mentre dormiva, e ogni volta non mancava di ricordargli di tornare al suo posto.

Aveva paura del vocione di suo padre, prometteva lacrime.

Eppure doveva essere grato che ci fosse. Sì, perché papà contava su di lui per tenere lontani gli spiriti maligni. Aveva pianto quando era stato costretto a vendere lo gnomo, era stata l'unica volta in cui glielo aveva visto fare. Aveva sentito il suo dolore, lenirlo era ciò che qualsiasi bravo figlio avrebbe fatto per suo padre.

Non doveva deluderlo, anche se era duro con lui, perché sapeva che lo faceva solamente per il bene della famiglia.
Sospirò e fu attraversato dalla testa ai piedi da un brivido.

Si abbracciò da solo, era l'unica cosa che potesse fare per provare un minimo di sollievo senza spostarsi.

Guardò la luna, era così bella, così grande, così misteriosa e guardarla era l'unico conforto, l'unico rifugio da quella orribile realtà in cui era costretto a vivere.

Eppure non era altro che una palla lucente, la sua luce arrivava, il suo calore no.

Se fosse stata il sole, avrebbe potuto stendersi a godersi un bel tepore su tutto il corpo.

E invece non poteva fare altro che usare l'immaginazione, che si era sempre dimostrata migliore della vita. Non che ci volesse molto, per quello.

Aprì gli occhi non appena sentì la luce battergli fastidiosamente sulle palpebre, ma ne fu immediatamente accecato e dovette strizzarli.

Era mattina, quella terribile notte all'addiaccio era finalmente passata e lui era sopravvissuto.

Si era addormentato in piedi e in qualche modo ci era rimasto.

Era la prova di quanto la sua determinazione e la sua forza di volontà fossero grandi.

Starnutì. Seppur fosse ancora molto lieve, il tepore del sole che aveva sognato quella notte iniziava a farsi sentire, e il cambio di temperatura fu ancora più evidente.

Faceva però lo stesso ancora molto freddo, ma adesso lui poteva muoversi senza dover trasalire al cavernoso suono della voce di papà.

Sentì profumo di colazione e, per reazione, il pancino si mise a brontolare per la fame.

La mamma si alzava sempre presto per cucinare e lui non vedeva l'ora di buttarsi su qualsiasi cosa potesse tappare il buco che gli si era formato allo stomaco.

Quello che si dice un meritato ristoro.
Abbandonò, con un enorme sollievo, la propria postazione e soltanto così si rese conto di quanto le membra gli facessero male per essere rimasto forzatamente fermo tutta la notte.

Ma ugualmente corse a bussare all'uscio di casa per farsi aprire. Si sentiva in diritto di farlo, dopotutto, e si tolse pure la finta barba e l'odioso berretto da gnomo che adesso gli davano prurito.

La porta si aprì, ma non poté entrare subito perché la voce autoritaria della mamma lo bloccò sulla soglia.
–Pulisci scarpe.– gli intimò –Non vuoi sporcare pavimento, giusto?–
Certo che no, ma su cosa pulirle? Non avevano uno zerbino. Si erano presi pure quello.

Anziché perdere tempo per trovare la soluzione a tale quesito, se le sfilò e camminò a piedi scalzi, così non ci sarebbero stati problemi.

Roger era comodo e tranquillissimo su una seggiola, faceva un gran fracasso urlando e battendo le manine sul tavolo reclamando il suo pasto.

Lo guardò per qualche secondo senza provare nessuna emozione, sembrava più felice e riposato che mai, con quel testone enorme e quel sorriso sdentato che faceva impazzire tutti -tranne lui.

Era così giovane e pieno di vita. Lui invece si sentiva già vecchio, era pieno di acciacchi e reumatismi.

Andò al camino. Il fuoco si era già spento, ma c'era ancora qualche microscopica brace che ardeva in mezzo alla cenere.

Cercò di scaldarsi come poteva mentre aspettava che fosse pronto da mangiare.

Mamma in cucina era girata di spalle, affaccendata come sempre, la sua amorevole mole copriva quello che stava preparando. Poi si voltò, mostrando un piatto pieno di qualcosa di indefinibile, un pastone grigiastro e grumoso, ma dall'aspetto incredibilmente invitante e un profumo che faceva quasi sbavare.

Lo mise di fronte al piccolo Roger che subito vi allungò sopra le mani, impiastricciandosele completamente.

Non gli dava fastidio, questa cosa, era abituato a dividere il suo cibo con il bambino, lo aveva sempre fatto sin da quando era nato, cioè più o meno da un anno.

Per amor suo aveva anche messo i suoi vestiti, seppur fossero femminili e niente affatto adatti a lui. E comunque, conduceva quella vita da molto prima.

Si alzò dal pavimento su cui si era accucciato, adesso che aveva visto con che entusiasmo lo aveva accolto, si sentiva ancora più affamato.

Si sedette a tavola.

–Oh, mamma, non so cosa sia, ma sembra buonissimo! – esclamò, aveva quasi le lacrime agli occhi, era la ricompensa che gli spettava per aver adempiuto ai propri compiti.

Amava sua madre e anche suo padre e suo fratello, amava tutto quello che la sua famiglia faceva per lui...

Qualcosa gli batté dolorosamente sul dorso della mano tesa verso tutto quel ben di Dio.
Non se lo aspettava e non poté impedirsi di lanciare uno strillo acuto.
–Ma che c'è?– piagnucolò ritirandola, era costernato.
Mamma aveva messo su una faccia che era severa, ma allo stesso tempo non arrabbiata, bensì preoccupata. Per Roger.
Un uomo con una folta barba scura e dall'aria molto familiare si era come materializzato in cucina, aveva ancora il cucchiaio di legno in mano, l'aveva raccolto ed era stato lui a usarlo per colpire.

–Ti sei preso raffreddore.– sentenziò –Non toccare cibo di bambino, gli attacchi germi.–

Heinz sgranò gli occhi.

Aveva tirato su con il naso.

Niente poteva sfuggire al formidabile udito di papà.







 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:
“Bewege dich nicht” significa non ti muovere, ed era ciò che il padre di Heinz gli urlava quando lo costringeva a fare il nano da giardino.

Forse non tutti se ne ricordano, ma Kenny è un personaggio realmente esistente nel cartone, era un vicino di casa e amico di Heinz che, come lui, era costretto dai suoi a fare il 'fantino da giardino', anche se a lui era permesso di muoversi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, i personaggi trattati sono di proprietà della Disney.

  
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