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Autore: F e d e    15/01/2014    0 recensioni
John e Mary decidono di partire per un weekend romantico lontani da Londra. Decidono così, di affidare loro figlio William, alla signora Hudson. O almeno, questo era il piano iniziale ...
Lievissimi spoiler.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera popolo di efp!
Sono tornata con una storiella che mi frullava da un po’ in testa quindi ho deciso di metterla per iscritto. L’ho pensata prima che uscisse “His Last Vow” quindi si basa in parte gli eventi accaduti durante la terza stagione. Quindi, per chi non l’avesse ancora vista non ci saranno grandissimi spoiler, ma giusto qualche accenno ad alcuni eventi o situazioni che chi avrà visto le puntate di sicuro riconoscerà. Bene, direi che non ho nient’altro da dire! Spero che la storia sia di vostro gradimento!
Alla prossima,
Fede
A weekend with (uncle) Sherlock Holmes
 
 
Day #0
 
Era un bel venerdì in quel di Londra, il sole splendeva, non c’erano state imminenti crisi e tutto procedeva come da programma. John e Mary, infatti, erano emozionati di potersi concedere, finalmente, un bel weekend da soli, immersi nella natura dell’Irlanda per festeggiare il loro secondo anniversario di matrimonio, lontani da tutto e da tutti, dalla frenesia della città. E soprattutto dalla loro vita matrimoniale. Per carità, essere sposati era bellissimo, era come vivere una costante avventura ma quando iniziavano a mettersi in mezzo i figli, tutto si trasformava. Mary, infatti, aveva lasciato il posto d’infermiera accanto a quello del marito, per potersi occupare in tutto e per tutto del loro primogenito, e ciò aveva richiesto uno stravolgimento della loro tranquilla vita, ora costituita solo da notti insonni e giorni passati ad accudire il bambino. John, quindi, aveva deciso di partire solo con la moglie per ritrovare un po’ di pace e serenità.
In quel momento, John era intento a preparare la valigia per poter partire quel pomeriggio, anche se era frustrato perché non riusciva proprio a trovare quel maglione rosso che tanto piaceva a Mary.
E come se gli avesse letto nel pensiero, la donna entrò nella camera da letto e con un sorriso tirò fuori dall’armadio ciò che cercava.
John la guardò sbalordito «Avevo cercato dappertutto e posso giurare che fino a due minuti fa non c’era.»
Mary rise e si rivolse a suo figlio che teneva in braccio «Papà è un po’ agitato per questo viaggetto, eh William?»
John si avvicinò a entrambi, il loro piccolo William, era un John in miniatura. Aveva due anni, un viso paffuto, capelli biondi e occhi azzurrissimi. John non pensava che al mondo ci fosse qualcosa di più bello.  «Macché» disse «Sono solo molto contento che finalmente riusciamo a concederci un po’ di tempo solo per noi due.» Mary annuì e gli diede un veloce bacio sulle labbra «Anch’io.»
John prese il maglione e lo mise dentro la valigia insieme ad altri indumenti. «A che ora deve passare Betty a prendere William?» chiese.
Mary mise per terra il bambino che intanto aveva preso a gironzolare per la camera e diede un’occhiata all’orologio. «Dovrebbe arrivare fra un’oretta. E’ stata proprio felice quando le abbiamo affidato questo compito.»
A un tratto il cellulare di Mary prese a squillare, sul display comparve il nome dell’amica, Betty, designata dai due sposi affinchè si prendesse cura di William per quei pochi giorni che sarebbero stati via. «Parli del diavolo» disse Mary, prendendo in mano il cellulare per rispondere.
John pensò che non ci voleva certo Sherlock Holmes a dedurre che quella chiamata non avrebbe portato niente di buono, Mary, infatti, continuava a ripetere «Capisco» e «Non ti preoccupare», era sicuro che all’amica fosse capitato un imprevisto e il suo viaggio solo con la moglie sarebbe andato in frantumi. Dopo un po’, Mary chiuse la chiamata e si rivolse a John «Abbiamo un problema.»
«Avevo immaginato, infatti.» rispose questi.
«Betty ha avuto un problema improvviso in famiglia. Ha detto che le dispiace molto, ma non riesce proprio a tenere William.» disse Mary sedendosi sul bordo del letto.
John la imitò, mentre il suo sguardo si posò sul figlio che aveva iniziato a giocare con le scarpe del padre, prendendole e sbattendole per terra.
«Forse Harry, potrebbe… Dopotutto è tua sorella e …»
«Mary» John la interruppe bruscamente. «Per favore, lo sai che non è la persona adatta.»
«Ma sta cambiando, John! L’hai visto anche tu, ha iniziato la riabilitazione. Potersi occupare di William potrebbe, non so, farle del bene.»
«Mary, mi fa piacere che tu riponga così tanta fiducia in Harry, ma davvero, la conosco e non penso cambierà mai.» disse lui alzandosi dal letto per andare dal figlio.
«Queste scarpe a papà servono» disse, prendendogliele di mano e in cambio, dandogli un orsacchiotto di peluche con cui giocare. William accettò di buon grado quello scambio e più felice di prima, iniziò a giocare con l’orsacchiotto gironzolando per la stanza.
John rimase un attimo in piedi in mezzo alla camera guardando prima il figlio e poi la moglie. «Magari potremmo –» iniziò John ma venne interrotto da un  «No» secco di Mary.
John la guardò sconcertato «Ma se non sai neanche che cosa volevo dirti!»
«So cosa stavi pensando» disse la donna «Sherlock.»
John non sapeva se ridere o guardare la moglie con tanto d’occhi. Come l’era venuta in mente un’idea simile? Sherlock era di sicuro l’ultima persona a cui John avrebbe chiesto quel favore. Anzi, a pensarci bene, non era proprio una persona considerabile, perché già Sherlock non era uno che ci sapeva fare con le persone, figuriamoci con i bambini! Era impossibile anche solo pensare Sherlock insieme a un bambino: come si sarebbe comportato? Nella mente di John iniziò a formarsi l’immagine di Sherlock che prendeva suo figlio William per il piede, lo contorceva a destra e sinistra e lo utilizzava come cavia per i suoi strambi esperimenti. L’uomo scosse la testa scacciando quell’orribile visione dalla sua testa. Per carità, John si fidava di Sherlock, ma non abbastanza da affidare la vita di William nelle sue mani.
«No, Mary» disse «Di sicuro, non stavo pensando a Sherlock.»
La donna lo guardò alzando un sopracciglio, sorpresa «Ah, no?»
«A dire la verità, stavo pensando alla signora Hudson.» disse John «E’ anziana, certo, ma è sola, quindi potrebbe occuparsi ventiquattro ore su ventiquattro di William.»
«Sì, in effetti non è una cattiva idea.» disse Mary «Dopotutto, ci ha sempre detto che le sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo assieme al piccolo.»
«Speriamo solo che accetti, magari occuparsi di un bambino per due giorni potrebbe essere stressante … »
«Ma no, vedrai che sarà più che felice. William porterà un po’ di allegria in quella casa!» disse Mary e John non poté far altro che essere d’accordo con lei. In effetti, la signora Hudson si era sempre lamentata che le visite dei due stavano calando notevolmente e di conseguenza, che non riusciva a vedere William tanto quanto avrebbe voluto.
John sorrise soddisfatto alla moglie con uno sguardo di sollievo nel volto: il viaggio si sarebbe salvato!
«Allora è deciso» disse «Finiamo di preparare le valige e poi andiamo a Baker Street.»
 
*
 
Dopo una mezz’oretta, la famiglia Watson scese dal taxi e si accinse a raggiungere il portone del 221b di Baker Street. John superò moglie e figlio e bussò alla porta. Ad accoglierli si presentò una sorridente signora Hudson. «John, caro!» disse allargando le braccia e invitandolo a entrare «Mary, tesoro! E c’è anche il piccolo William, prego entrate!»
«Grazie signora Hudson» disse Mary entrando nell’appartamento mano nella mano con il figlio.
«A cosa devo questa piacevole visita?» disse la signora Hudson abbassandosi un poco per poter dare un bacio sulla guancia al “nipotino”: ormai erano diventati una grande famiglia.
«Signora Hudson, so che non le abbiamo dato neanche un po’ di preavviso» incominciò John «Ma vede, io e Mary fra poche ore dovremmo partire e purtroppo la persona che doveva tenere William per questi pochi giorni ha avuto un imprevisto quindi, abbiamo pensato che magari le avrebbe fatto piacere passare un po’ di tempo con il bambino.»
La signora Hudson non se lo fece ripetere due volte «Ma certo, John, certo! Molto volentieri!»
«Non vogliamo certo arrecarle disturbo, ma lei ci è sembrata la persona più adatta per quest’incarico.» disse Mary.
«Nessun disturbo, cara. Mi fa davvero molto piacere che siate venuti da me!» rispose la signora Hudson con un sorriso. Non riusciva a staccare gli occhi da William, ne era davvero innamorata.
John tirò un sospiro di sollievo.
«Naturalmente abbiamo portato un po’ di vestitini, il seggiolone e i suoi giocattoli.» disse Mary «Per quanto riguarda il cibo, ormai William ha due anni, può mangiare un po’ di pasta.»
«Certo Mary, non preoccuparti. Penserò io a questo bel bambino!» disse la signora Hudson, prendendo William e tirandolo su a fatica per tenerlo in braccio. «Oh, ma quanto pesi!»
Di tutta risposta William le fece una pernacchia e rise.
«Eh già, questo bambino non la smette mai di mangiare, vero?» disse John allungando la mano per spettinare i capelli color paglia di suo figlio.
«Cari, quasi dimenticavo, volete salutare Sherlock prima di partire?» chiese la signora Hudson mentre faceva scendere William dalle sue braccia. Quest’ultimo cercò la mano della madre e la strinse.
«Se non sbaglio dovrebbe essere in casa.»
«Perché no» disse Mary e John annuì.
Per John tornare nel suo vecchio appartamento ormai, non faceva così male come una volta. Anzi, almeno tre volte la settimana faceva visita al suo migliore amico, infatti, Sherlock non faceva altro che informarlo su nuovi casi mentre era al lavoro nell’ambulatorio, procurando a John sempre cariche di adrenalina ripensando alle avventure passate vissute insieme.
I quattro, quindi, raggiunsero la porta dell’appartamento che ora apparteneva solo a Sherlock.
La signora Hudson aprì la porta e con il suo solito «Cucù» fece capolino all’interno della stanza. «Sherlock, guarda chi è venuto a trovarti.» disse.
Questi, d’altro canto, stava seduto ritto e composto – come suo solito – sulla sedia della sala, mani congiunte sotto il mento, gomiti appoggiati sul tavolo e lo sguardo fisso sul computer, gli occhi non si staccarono da quest’ultimo neanche quando gli ospiti entrarono.
Tutto ciò che disse, fu «Mhm.» provocando nella signora Hudson uno sguardo contrariato.
«Sono nel bel mezzo di un caso, Mrs. Hudson.» disse lui, ancora seduto.
«No, non è vero.» ribatté la signora.
A quel punto Sherlock si voltò di scatto, guardando, finalmente, i suoi amici.
«Ciao, eh.» disse John alzando una mano un po’ offeso dalla mancanza di attenzioni da parte di Sherlock, ma non se la prese, oramai c’era abituato.
«Ciao» rispose d’altro canto Sherlock. «Mary, John e … » il suo sguardo cadde in basso fino ad incontrare il figlio del suo migliore amico «Ciao anche a te, little-John»
«William» disse spazientito John.
«William, sì certo.» ripeté il consulente investigativo voltandosi di nuovo verso il computer.
«Adesso non far finta di non saperlo, so che sei contento che gli abbiamo dato il tuo nome.» disse John mentre Mary e la signora Hudson ridevano.
Sherlock arrossì lievemente «Allora» disse questi alzandosi velocemente dalla sedia e prendendo il controllo della situazione «C’è un motivo per la vostra improvvisa visita?»
«Sì, veramente –» stava iniziando John, ma Sherlock lo interruppe «State per partire, viaggio di breve durata considerando le dimensioni della valigia e la sua capienza. Abbigliamento pesante ma comodo, scarpe da trekking, per fare escursioni, forse, quindi a conti fatti, nord Inghilterra o Irlanda.»
John scosse la testa «Ce n’era davvero bisogno?»
«Mi tengo in allenamento» gli rispose Sherlock. «Come sempre.»
«E indovina un po’?» disse la signora Hudson sorridente rivolta al detective.
«Tirare a caso non è nel mio stile, signora Hudson, ormai dovrebbe saperlo» le disse lui dirigendosi verso il tavolo e abbassando lo schermo del suo laptop.
La donna, d’altro canto, fece finta di non averlo sentito e disse «William resta qui con noi!»
Sherlock si voltò lentamente verso la donna. I coniugi fulminarono la donna con lo sguardo.
«Con noi?» chiese Sherlock alquanto esterefatto.
«Con Mrs. Hudson» risposero in coro Mary e John. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era che Sherlock si aggirasse intorno a William con finalità non proprio ragionevoli. Per carità, Sherlock era stato un bravo “zio” nei momenti in cui si era trovato insieme al piccolo, forse un po’ spaventato perché non sapeva gestire la cosa, ma tutto sommato si era comportato bene, solo sotto lo sguardo vigile dei genitori. Quest’ultimi non osavano immaginare cosa sarebbe successo se loro non ci fossero stati. O forse stavano ingigantendo la cosa?
Sherlock guardò di sottecchi i due coniugi e disse solo «Capisco. Bene, quindi è stato davvero un piacere avervi rivisto, ma ora dovete andare o farete tardi!» disse cercando di spingere tutti fuori.
«Ma Sherlock, che modi –» disse la signora Hudson iniziando a scendere le scale e dirigendosi verso il suo appartamento, stufa degli sbalzi d’umore di Sherlock che lo rendevano insopportabile.
«Scusate davvero, ma sono davvero molto impegnato» disse Sherlock ai coniugi, mentre si accingeva a indossare il suo lungo cappotto.
«Ma se Mrs. Hudson ha appena detto che non hai nessun caso in ballo! E di sicuro non stai uscendo per andare a fare la spesa, conoscendoti.» disse John.
In quel momento il cellulare di Sherlock prese a squillare, l’interessato lo prese, guardò chi fosse il mittente della chiamata e poi rivolse lo schermo del cellulare verso John.
Chiamata in arrivo … Lestrade.
«Vedi John? Un caso.» disse Sherlock. Abbracciò frettolosamente Mary, strinse con vigore la mano di John «Vado. Fate buon viaggio.»
«Grazie Sherlock» disse Mary sorridendo.
Prima di scendere, il detective rivolse uno sguardo a William «Noi ci vediamo in giro, little-John» disse prima di dargli una pacca un po’ goffa sul capo. Questi sorrise e fece un versetto.
John scosse la testa e sbuffò spazientito. «Ci vediamo.» disse prima di scendere le scale insieme al resto della famiglia.
Intanto, il cellulare non aveva smesso di squillare e Sherlock rispose.
«Abbiamo bisogno del tuo aiuto. Omicidio.» disse Lestrade dall’altra parte del telefono.
«Mandami un messaggio con la via. Vi raggiungo.» rispose Sherlock.
«Grazie» rispose l’ispettore prima di chiudere la telefonata.
 
*
 
Sherlock scese dal taxi che lo portò sulla scena del crimine. Chiuse gli occhi e respirò l’aria cercando di liberare la mente da tutto ciò che in quel momento non poteva essergli di nessuna utilità. Tutti i suoi sensi si fecero vigilissimi pronti a studiare il caso.
Quartiere nella periferia di Londra. Abbastanza isolato, ma facilmente raggiungibile in macchina.
Luogo del delitto: un piccolo bed and breakfast.
Sherlock memorizzò queste informazioni e prese a gironzolare intorno all’edificio per trovare altri elementi utili. Intanto, alcune persone avevano iniziato ad avvicinarsi, incuriositi dalle sirene della polizia e volenterosi di scoprire cosa fosse successo.
Dalla porta principale del locale uscì Lestrade e appena vide Sherlock fece segno di entrare.
«Bello vederti di nuovo in azione» disse l’ispettore una volta entrato dentro e facendo strada al detective che intanto registrava con lo sguardo qualunque cosa potesse servigli per il caso.
«Non è il momento di fare conversazione Lestrade» disse Sherlock «Devo risolvere un omicidio»
«Devo?» ripetè l’ispettore un po’ sorpreso. Si guardò un attimo intorno e notò una certa assenza «Tu e John avete litigato?»
Il nome di John fece voltare subito Sherlock verso l’interlocutore «Cosa c’entra questo con il caso?»
«Non c’entra, infatti.» disse «Me lo chiedevo solo perché non vi ho visti insieme, tutto qui»
«E’ partito per non so dove – o forse l’ho dedotto ma ora non mi ricordo – comunque non è importante. E’ questa?» chiese all’ispettore aprendo la porta di una stanza.
Lestrade ignorò il comportamento dell’amico e fece cenno di sì con la testa «I miei uomini hanno fatto già un sopralluogo, abbiamo lasciato la stanza così com’era affinchè anche tu potessi dargli un’occhiata.»
Sherlock girò intorno alla stanza. Era semplice, un letto, un armadio, una piccola scrivania e una finestra. Primo piano.
La vittima, invece, era proprio nel mezzo della stanza, a pancia in su, con tre ferite da arma contundente – un coltello, forse – nel petto.
Quattro ferite si corresse mentalmente Sherlock chinandosi sul corpo per esaminarlo meglio.
«La vittima si chiama Jack Wilson, trentacinque anni, scapolo, il corpo è stato trovato dal proprietario del locale che ha chiamato subito la polizia.» disse Lestrade descrivendo i fatti.
Sherlock annuì e tirò fuori la sua lente d’ingrandimento tascabile. Esaminò per bene il viso, gli indumenti, le mani serrate. Senza sforzi Sherlock riuscì a dispiegare le dita della mano sinistra. Scoprì che l’uomo teneva stretto un braccialetto d’oro con una medaglietta con un’incisione.
Sherlock prese il bracciale e lo infilò all’interno di una bustina che infilò subito in tasca, cercando di non farsi vedere da Lestrade. Lo avrebbe di sicuro rimproverato per occultamento delle prove.
«Il proprietario del locale è quell’uomo che abbiamo incontrato all’entrata?» chiese Sherlock avvicinandosi alla finestra. Era aperta.
«Sì, il signor Drebber, dopo la morte della moglie, ha iniziato a gestire da solo l’attività.» rispose Lestrade «Adesso i miei uomini lo stanno portando in centrale.»
Sherlock si voltò «Perché mai?»
Lestrade sembrò sorpreso «Per interrogarlo, ovviamente! Era l’unico all’interno del locale al momento dell’omicidio.»
Sherlock guardò l’ispettore cercando di offenderlo nella maniera più gentile che conoscesse. «E’ ovvio che non è stato il signor Drebber, anche un cieco ci sarebbe arrivato. Mi sorprendi ogni volta Lestrade, davvero, per la tua totale assenza di osservazione»
«Come prego?» chiese Lestrade.
Sherlock a quel punto si avvicinò al corpo in mezzo alla stanza «La vittima è stata ferita violentemente con quattro coltellate – un coltello abbastanza grande e pesante visti i tagli sulla camicia – nel petto. Ora, l’uomo sarà alto all’incirca un metro e sessantacinque forse settanta, quindi le coltellate sono partite da una persona con estrema forza e agilità fisica, alta quanto lui o leggermente più bassa. Cosa che certamente il signor Drebber non è.» fece una pausa. «Primo aspetto: ha quasi settant’anni, porta un bastone quindi ha un problema alla gamba – non chiedermi quale perché non ho avuto modo di osservarlo con più attenzione perché era irrilevante – quindi, sarebbe stato alquanto difficile affrontare la vittima. Tralasciando la sua altezza, la vittima aveva una certa prestanza fisica e non sarebbe stato troppo difficile mettere al tappeto quel vecchietto. Altro punto da tenere in considerazione, perché il proprietario, ammesso che abbia compiuto lui l’omicidio, avrebbe chiamato la polizia?»
Lestrade ascoltò con attenzione sempre più stupito di non essere riuscito a captare quegli indizi di vitale importanza, quindi rispose alla domanda posta da Sherlock. «Non lo so, forse per far convergere le indagini da tutt’altra parte.»
«Mhm» disse Sherlock alquanto deluso, dando di nuovo le spalle a Lestrade per continuare a osservare la finestra. Macchie di sangue sul cornicione.
L’ispettore si avvicinò a Sherlock «Abbiamo già preso un campione di quelle, la scientifica ci starà già lavorando.»
Il consulente investigativo rimase in silenzio, osservando prima il corpo per terra, poi le macchie di sangue sulla finestra e poi guardando fuori dalla stessa.
«Qualche idea?» chiese Lestrade dopo un po’, cercando di non interferire con il lavoro del detective.
«Tre o quattro ipotesi, per ora.» disse Sherlock prima di scavalcare a fatica la finestra un po’ troppo stretta e con un balzo atterrare sul prato retrostante.
«Ehi, che stai facendo?» chiese Lestrade affacciandosi dalla finestra.
Di tutta risposta Sherlock, tirò fuori la sua lente e osservò meglio la terra sotto i suoi piedi e dopo poco sorrise. Finalmente aveva qualcosa di concreto su cui volgere le sue indagini. Sherlock aveva trovato delle impronte che dalla finestra della vittima si dirigevano verso la recinzione del locale. Le impronte finivano lì. Dall’altra parte della recinzione c’era una stradina laterale, anche quella poco abitata. Sherlock fece il giro del locale e si ritrovò di nuovo davanti all’entrata, esaminò la porta d’ingresso. Non era stata forzata o manomessa, quindi, l’assassino aveva utilizzato delle chiavi per entrare, si era diretto verso la stanza della vittima, l’aveva uccisa e poi era scappato dalla finestra.
«Allora?» lo incalzò Lestrade quando Sherlock entrò sul luogo del delitto «Trovato qualcosa?»
Sherlock ripose la sua lente d’ingrandimento e si mise le mani in tasca.
«Ciò che dovete cercare è una donna, giovane e di grande agilità fisica. Ho elementi sufficienti per ritenere che l’assassina conoscesse il locale e, ovviamente, la vittima.» fece una pausa «Ma tanto so che alla fine sarò io che riuscirò a catturarla e concederò, come solito, a Scotland Yard il merito per l’impresa.»
Lestrade evitò la frecciatina  «Una donna?» chiese «E da cosa l’avresti dedotto?»
Sherlock indicò la vittima «Le ferite al petto. Abbiamo detto che possono essere state fatte da una persona della sua stessa altezza o più bassa. Poi, la finestra. Hai visto che ho fatto fatica ad uscirne scavalcandola, è troppo piccola per un uomo, ma della dimensione perfetta per una donna.»
«Secondo ciò che hai detto, allora potrebbe essere stato anche un uomo della sua stessa altezza.» disse Lestrade.
«No, per due motivi» disse Sherlock «Primo: l’assassino ha scavalcato la finestra e ha lasciato le sue impronte, queste sono di un piede piccolo e dalla forma, di sicuro di una donna e – »
«Aspetta un attimo.» lo interruppe Lestrade «Perché entrare dalla porta d’ingresso per poi uscire dalla finestra? Non poteva entrare e uscire dalla stessa porta?»
Sherlock lo fulminò con lo sguardo. «No. Ovviamente.» Lestrade alzò un sopracciglio e Sherlock si spiegò «L’uomo, ricevendo i colpi, avrà urlato di dolore e ovviamente, il proprietario si sarà allarmato e sarà corso a controllare cosa stesse succedendo. Se l’assassina fosse uscita dalla porta, sarebbe passata di fronte la stanza del proprietario, rischiando di essere scoperta.»
Lestrade si strofinò il mento «Giusto. Ehm … vai pure avanti.»
«Già. Come dicevo, è stata una donna anche per un altro fattore. Questo » disse tirando fuori dalla tasca la bustina contenente il braccialetto d’oro. «Trovato stretto all’interno del pungo della vittima.»
«Sherlock! Non puoi appropriarti delle prove!» urlò Lestrade prendendogli la busta dalla mano.
I due si fissarono.  «E quindi, cos’è?» chiese l’ispettore osservando il braccialetto all’interno della busta.
«La vittima e l’assassino hanno avuto una discussione e l’uomo, magari cercando di bloccare con le mani la furia della donna, gli ha strappato il braccialetto, che è troppo piccolo, quindi adatto ad un polso fine come quello di una donna.» concluse Sherlock sottolineando quell’ultimo punto osservando il viso ancora scettico di Lestrade.
«Una donna.» ripetè Lestrade «D’accordo. Dirò ai miei uomini di convergere le ricerche verso quella parte.»
Sherlock allungò la mano «Posso riavere il braccialetto, ora?»
«Assolutamente no! E’ una prova che va dritta in centrale.» disse Lestrade.
«D’accordo» disse Sherlock uscendo dalla porta della stanza «Il mio lavoro qui è finito. Avrai mie notizie.»
«O forse saremo noi i primi ad informarti.» disse Lestrade alle spalle dell’uomo.
«Certo, come no.» disse Sherlock sorridendo tra sé e sé, uscendo dal bed and breakfast per dirigersi verso Baker Street.
 
*
 
Baker Street era più caotica di quanto Sherlock avesse voluto. La signora Hudson nell’appartamento dabbasso, continuava a ridere e scherzare con il piccolo William. Sherlock si chiese come potesse la signora Hudson divertirsi con un bambino che non parlava e che quindi, non poteva trattenere una conversazione. Forse era la vecchiaia, ma il detective non voleva approfondire, aveva qualcosa di più importante a cui pensare.
Sherlock, seduto sulla sua poltrona, rifletteva sul caso a cui era stato sottoposto quella sera. Doveva cercare una donna, su quel punto gli indizi erano stati chiari, ma non abbastanza da dare a Sherlock anche la minima idea su chi potesse essere la donna e come rintracciarla. Tutto ciò che aveva, era un braccialetto e date le capacità del detective, questi era sicuro che sarebbe riuscito a ricavarne qualcosa di utile.
Il braccialetto aveva una medaglietta con una piccolissima incisione dentro. Sherlock la riprodusse all’interno della sua mente “George Turner 01/01/2011”.
Era il nome e data di nascita di un bambino. Il figlio di Wilson, forse? Ma il cognome non era lo stesso, a meno che …
«Bravo William! Hai finito tutta la pappa, che bravo bambino!»
La voce della signora Hudson, di quel passo, sarebbe arrivata alle orecchie di mezza Londra. Sherlock contorse la bocca in un moto di disgusto. Odiava che i suoi pensieri venissero interrotti.
«Mrs. Hudson!» urlò Sherlock sperando di ammonirla e di ottenere di conseguenza un po’ di silenzio, ma non funzionò. La signora e il bambino non avevano la minima intenzione di smetterla.
Sherlock si chiese cosa ci fosse di così divertente. Questi, quindi, si alzò dalla sua poltrona - cosa che non faceva mai durante la risoluzione di un caso – e scese di fretta le scale per poi spalancare la porta della casa della signora Hudson.
«Mrs. Hudson!» ripetè Sherlock facendo capolino nella piccola cucina della donna. Quest’ultima e il piccolo William si girarono a guardarlo e poi, come se niente fosse, tornarono a guardare la televisione. William seduto sul seggiolone guardava la televisione battendo le sue piccole manine a ritmo di musica del cartone animato che stava andando in onda.
«Hai intenzione di rimanere sulla porta ancora per molto?» chiese la signora Hudson rivolgendosi a Sherlock.
«Affatto» rispose questi «Ero venuto a dirle di stare un po’ in silenzio. Non vorrà mica svegliare l’intero vicinato» disse sapendo che la donna era sempre preoccupata di ciò che i vicini potessero pensare.
«Dovresti fare una pausa dal lavoro, Sherlock» disse la donna «Stai un po’ qui. Per una volta che possiamo avere William tutto per noi –»
Sherlock guardò la donna roteando gli occhi «No, grazie. Adesso cercate di fare un po’ di silenzio.»
Disse prima di chiudersi la porta alle spalle. Salì i gradini a due a due e torno con la mente al suo caso.
Sherlock, pensa. Allora …
Ma questi non ci riuscì. I due nell’appartamento sottostante non avevano intenzione di finirla. Sherlock esasperato si alzò dalla poltrona e suonò un po’ il violino. Quando capì che ormai i suoi pensieri dovevano essere di nuovo riordinati, decise di fare una pausa e andare a dormire.
Per sua fortuna, i giorni successivi sarebbe rimasto tutti i giorni fuori dall’appartamento per cercare una risoluzione al caso, così da non dover avere più attorno quel piccolo bambino.
Ma Sherlock, su quest’ultimo punto, si sbagliava di grosso.
  
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