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Autore: FlyingBird_3    16/01/2014    21 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
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Emilia Romagna, Settembre 1963
Ritornammo davvero in Emilia, a casa nostra. Tre quarti dei paesani erano morti, e i pochi sopravvissuti quasi non ci riconobbero.
Riuscimmo ad avere un piccolo appartamento appena fuori dal centro, di proprietà della chiesa; Francesco trovò lavoro ancora come operaio, mentre io lavoravo nel mercato del paese, assieme a Federico.
Lavorando duramente gli abbiamo permesso di studiare, ma, finite le superiori, ha voluto trovare occupazione a giorno pieno.
Tre anni fa mi è stato diagnosticato il cancro; non avevamo abbastanza soldi per curarmi adeguatamente, così è peggiorato più in fretta di quanto si pensasse.
Sono sul letto d’ospedale oggi; tutto è tranquillo e silenzioso, mentre passo da uno stato di sogno alla realtà.
Sento che sto per lasciare i miei cari, ed è già venuto il prete per la confessione.
Federico è seduto affianco a me che mi tiene la mano sinistra, mentre Francesco cammina avanti e indietro nel corridoio.
Che strano: quasi vent’anni fa avevo una paura terribile di morire, mentre ora sono più tranquilla che mai.
Ma l’ho capito, il perché. Ho amato e sono stata amata: ho dato tutto quello che potevo dare, vivendo una vita anche abbastanza avventurosa… ed ora, forse, avrò la possibilità di rivedere mamma e papà, Elena e tutti gli altri, ancora. Ma la prima persona che spero di rivedere è lui.
Proprio come in un film mi ricordo di quando ero sulle gambe di papà, nel suo studio, che mi mostrava le foto dei suoi viaggi in Europa; “La prossima volta verrò anch’io papà” gli dicevo.
La radio nello studio gracchiava forte, e una voce risuonava per la stanza. Io indossavo il vestito elegante di mia sorella e i trucchi di mia madre e, come una diva, ballavo e cantavo davanti alla famiglia che si rilassava dopo pranzo. A mia sorella invece non andava molto: rivoleva il suo vestito, perché di li a poco sarebbe arrivato il suo spasimante, Andrea, e voleva essere perfetta.
E poi papà partì per la guerra. Quando arrivò il telegramma di morte, nessuno ci voleva credere: mamma andò spesso a chiedere delucidazioni, ma nessuno volle mai darle particolarmente ascolto.
Così iniziò il declino: io mi sarei dovuta sposare, ma non avrei mai accettato di dormire insieme a chi non amavo. Un profondo disgusto mi saliva in gola, quando quel paio di contendenti che mamma trovò, provarono a baciarmi; scappai in fretta, non volendo rivederli mai più.
Intanto la guerra impazzava per tutta Europa, e iniziarono a razionarci il cibo: non potevo più vivere sulle spalle della mia famiglia.
Il convento è stato duro ed estremamente doloroso per il mio modo di pensare: non avrei mai avuto figli con l’uomo che sognavo. Ma si stava tutto così incupendo in quel periodo, che persi i sogni di bambina e accettai il mio destino, per il bene della famiglia.
Finché qualcosa non cambiò.
Un pomeriggio d’estate, nel ’44, due sconosciuti occhi azzurri incontrarono i miei, lasciandomi per un attimo senza fiato. I tedeschi erano arrivati anche da noi, mostrando tutta la loro forza e fierezza per le povere e malandate vie del mio paese.
E poi, all’improvviso come erano arrivati, si portarono via anche la mia famiglia; ma il loro comandante risparmiò me, trovandomi utile nelle traduzioni dall’italiano al tedesco.
Sembra quasi che ci dovessimo incontrare proprio in quel momento; se le cose fossero andate in maniera diversa, non credo mi sarei mai potuta innamorare di lui, come del resto lui non si sarebbe mai potuto innamorare di me.
Quando alla fine se ne andò, arrivò invece Federico: è un bel ragazzo ora, pieno di graziose fanciulle che gli ronzano attorno. È diventato responsabile, più serio e sempre molto tranquillo.
Ecco cos’ha ereditato dal padre: la tranquillità.
È stato molto influenzato da Francesco nel modo di comportarsi, ma nei momenti di bisogno si chiude a riccio, riflettendo, proprio come faceva Friedrich.
E a proposito di suo padre, se dovessi descrivere cosa pensa di lui non saprei dire: qualche anno fa, dopo un paio di mesi che scoprii della malattia, Federico irruppe improvvisamente con l’argomento padre. Io non ne volli più parlare dopo la sua morte, chiudendolo come qualcosa di prezioso nella mia testa e nel cuore; ma non potevo certo bloccare lo sfogo di mio figlio.
Mi disse che lo rispettava e ne era in un certo senso orgoglioso, per il fatto di avermi sempre trattato bene ed essere stato così coraggioso, ma non lo avrebbe mai amato, né considerato un vero e proprio papà. Ed io non lo costrinsi mai a fare il contrario.
E poi… ho dimenticato qualcosa? Beh si. Non ho ricordato l’uomo che ho ucciso. Spero la sua anima resti in pace e riesca a perdonarmi, avendo tormentato la mia per molto ma molto tempo.
E Riccardo… non abbiamo avuto più sue notizie dopo che se n’è andato, quella sera. Qualche volta invece sento ancora Anna, per corrispondenza.
Chiudo gli occhi, sentendo una fortissima stanchezza prendere il sopravvento su di me; una grande e calda mano stringe la mia destra, e io la stringo a mia volta, facendo capire che sono ancora viva.
Quando riapro gli occhi però, non c’è nessuno che me la tiene; e allora capisco, sorridendo tra me e me. È lui, qui accanto a me, pronto per guidarmi ed essermi ancora vicino.
Mi giro verso Federico e Francesco, che intanto è rientrato. Gli sorrido: certe volte le parole non servono.
Chiudo di nuovo gli occhi, stavolta con la consapevolezza di non riaprirli per molto tempo.
 
 
 
Prima di lasciarvi definitivamente vorrei ringraziare tutte le persone che sono state con me, ma soprattutto con Maria e Friedrich fino all’ultimo. Grazie a tutti quelli che hanno recensito o che mi hanno seguito dall’inizio in silenzio: il racconto è rimasto vivo anche grazie a voi.
Questa storia è ispirata alla vita di Jochen Peiper, e non vuole essere un tributo alla sua ideologia, ma piuttosto al suo onore e alla sua fedeltà, cose che oggi giorno sembrano non esistere più.
Grazie di nuovo, a tutti voi che avete sognato con me fino alla fine.
  
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