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Autore: Berty_Poppins    16/01/2014    4 recensioni
Insieme, scrivo, perchè sta tutto lì in realtà, lì in mezzo, in quella 'e' che divide i loro nomi -- in quella congiunzione che, inspiegabilmente, li unisce.
[ShikaTema]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shikamaru Nara, Temari | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Stava lentamente, ma progressivamente capendo che qualunque cosa risiedesse in mezzo a loro non aveva poi molta importanza -- non quando il tocco più blando riusciva a trasformarsi in un fiume di lava terribilmente bollente, non quando la minima distanza tra lui e il suo corpo, o tra lei e il suo, riusciva a far star male in modo del tutto irrazionale e infantile quasi, come quando dividi un bambino dal suo giocattolo preferito, come quando non riesci a dormire nonostante i muscoli spossati, le ossa indolenzite e le tempie che pulsano di un dolore incontrollabile.
Non aveva, poi, molta importanza guardarsi allo specchio per capire la differenza, per anche solo cercarla tra lo spazio degli occhi, sulle occhiaie, nella curva frustrata delle labbra quando un litigio li vedeva dividersi quasi a forza, quasi a strapparsi per andare il più lontano possibile dall'altro. Perchè faceva male. Tutto quello che c'era -- o non c'era -- in mezzo a loro faceva male.
I suoi capelli, ad esempio, diventavano crespi quando il sudore si asciugava e gli graffiavano la pelle quando l'unica cosa che avrebbe voluto era un letto cosparso di cose morbide; le sue braccia lo tenevano stretto per almeno cinque minuti quando disincastravano le gambe e ricominciavano ad usare i polmoni e anche lì, anche in quel momento, lui voleva soltanto buttarsi sul materasso di faccia e respirare da solo, col suo tempo, con la sua cassa toracica senza aver paura di schiacciarla o farsi schiacciare, senza pensare alla schiena dolorante o alle gambe pesanti.
Tra loro era tutto molto fisico quando mettevano da parte obblighi, ruoli, diamine, soprattutto quando i vestiti scivolavano via, scoprendo la pelle. Non dovevano neanche pensare al sesso. Certe volte lui si limitava a guardarla mentre si spogliava -- il ventaglio appoggiato con cura accanto al letto, l'obi piegato su una sedia, gli elastici sistemati uno accanto all'altro sul comodino --, e pensava. Pensava a tutto mentre lei si scopriva le spalle, la schiena, mentre si chinava in avanti per far scivolare la gambe fuori dalle calze. Pensava a tutto, tranne a quanto gli sarebbe piaciuto arrivarle alle spalle, tirarle i capelli indietro e baciarla così, petto contro schiena, torreggiando su di lei per avere una parvenza di dominio sulla sua persona.
Aveva sedici anni quando cominciò a pensare a lei in quel modo. Ci era anche arrivato in ritardo, perchè a sedici anni, nella loro società, se non hai ancora fatto sesso come minimo ti fai venire la sindrome del tunnel carpale a forza di seghe. Certo si dovevano mettere in conto la guerra, le morti, traumi post-traumatici vari ed eventuali, suo padre. No, il pensiero di suo padre. E Asuma. E sua madre, gli occhi di sua madre, gli occhi che vedeva allo specchio, i pensieri che faceva solo quando era da solo con lo specchio.
Era una relazione anche mentale, la loro. C'era una certa consapevolezza, l'immensa certezza di potersi permettere sguardi indiscreti, di poterla spogliare non solo con gli occhi, ma non era solo quello, non credeva lo fosse mai stato.
Guardarla, semplicemente.
Anche il solo posare gli occhi sulla sua figura, su quella schiena sempre troppo dritta, su quel mento quasi sempre alzato, sulle mani che molte volte lei nascondeva contro i fianchi quando incrociava le braccia o quando muoveva le dita tra i capelli sciolti, ricci, o quando passava i polpastrelli sui bordi chiusi del suo ventaglio, con riverenza, come a ringraziarlo per tutte le volte che aveva salvato la vita a lei e agli altri. E poi incrociare i suoi occhi -- perchè lei sapeva sempre quando la stava guardando, riusciva ad intercettare il suo sguardo anche quando lui non avrebbe voluto --, e comunicare con lei senza l'imbarazzo di dover scegliere le parole.
Non l'aveva capito, all'inizio, di quanto fiero fosse l'atto di guardarla senza dover per forza dirle qualcosa, aveva creduto non avessero niente di cui parlare all'inizio, come se le loro -- diverse, opposte, incompatibili, tragicomiche, impossibili -- identità si prendessero reciprocamente a schiaffi ogni qual volta l'uno o l'altra era a distanza ravvicinata. C'era sempre qualcosa sulla quale contraddirsi a vicenda -- la tua zuppa di miso è troppo salata, i tuoi piedi sono freddi, puoi stare zitto come un morto per almeno tre ore?! --, era sempre una lotta, una specie di terrorismo psicologico che invece di bloccarli faceva fare loro esattamente quello che l'altro non voleva si facesse. Tenere i capelli sempre legati, ad esempio, usare l'ultimo palmo di shaampoo anche se nessuno dei due aveva bisogno di lavarsi i capelli, usare troppe spezie su una pietanza che stava benissimo senza, gridare a squarciagola la propria opinione così da farla sentire a tutte le orecchie in ascolto in un raggio di cinquecento metri, lasciare i vestiti sporchi in giro di proposito, mettersi a letto ancora umidi dalla doccia, farle il solletico anche se non le piaceva, nasconderle gli elastici in posti improbabili (dentro il frigorifero, sotto il divano, dentro gli anfibi).
Dirle che l'amava, sentirsi rispondere 'non è vero', dirglielo ancora e ancora e ancora -- a bassa voce, nell'incavo tra spalla e collo, solleticarle la pelle dietro l'orecchio con le labbra, spostarle ciocche di capelli sudate con il naso, premersi impossibilmente vicino, e sentirla tremare, vederla sciogliersi ed arrossire, socchiudere languidamente gli occhi per guardarlo da sotto le ciglia ed ascoltare gli sbuffi del suo respiro che gli accarezzavano il mento, il collo. Quanto il suo 'ti amo' non era altro che lo stringersi dei suoi muscoli e i battiti irregolari e il sudore che scivolava dalla sua pelle alle lenzuola sotto di loro. Quando glielo diceva stando immobile come una statua, gli occhi persi, le labbra gonfie ed un minuscolo sorriso ad incresparle le labbra.
Starle vicino senza toccarla, acutamente consapevole che non ce n'era bisogno, che non doveva far capire a tutto il mondo che lei era sua, sua, sua, sua. Era così sua che era quasi impossibile, per lui, ricordare il prima. O come si era sentito prima, e come si era sentita lei senza tutto quello che li univa.
Non era esattamente convenzionale pensarla a quel modo, non per due come loro. Lei, Temari, lei -- che non aveva bisogno di essere salvata, che si bastava, che si accettava, che non aspettava la fine del mondo con un sentimento ansioso, preferendo andare avanti con la sua vita, non sempre a braccia aperte, non sempre accogliendo il futuro o quello che lei considerava tale a braccia aperte, ma lo faceva con una testardaggine ammirevole, inconsapevole.
Lui aspettava, ponderava, si fermava spesso, ci dormiva sopra, si rilassava anche se molti lo sconsigliavano.
Era giusto pensare che la parola 'unire' non si prestasse bene a due come loro. Diversi, opposti, incompatibili, tragicomici, impossibili.
Che si amavano comunque.
E scrivo comunque, mica 'nonostante tutto' che cambia l'intero concetto.
Ci sarebbe voluta, per loro, una definizione. Non una di quelle che sottolineano l'ovvio -- lei era di Suna, lui di Konoha; lui era fin troppo intelligente per la sua stessa sicurezza, lei quella sicurerzza la faceva sbarellare; lei era bionda, lui no; lei era un Ambasciatrice, lui una specie di stratega disimpegnato; lui certe volte aveva paura ma la superava sempre con la testa, lei aveva sempre paura e la prendeva sempre a cazzotti -- bensì una che togliesse ogni dubbio, che zittisse ogni recriminazione, ogni critica per la quale loro non avrebbero dovuto stare insieme o che avrebbero dovuto, quantomeno, cambiare per stare insieme.
Come, ad esempio: si amavano fino allo schifo e questo schifo se lo portavano sempre dentro, addosso, punto.
Certo lei era di Suna ed era bionda. Lui era di Konoha ed era moro. Ed era vero che l'intelligenza di Shikamaru era un pericolo per la sua stessa sicurezza personale, ed era indubbio che Temari della sicurezza di Shikamaru faceva minuscole polpette che poi spiaccicava contro il muro per pura soddisfazione personale, ma era anche vero che etichettare tutte le loro incongruenze era come dire 'loro, si, loro, mi fanno paura'.
Shikamaru aveva smesso di avere paura delle cose che li dividevano, dopotutto non poteva farci niente, non poteva cambiarle, non voleva cambiarla.
Temari, d'altro canto, non avrebbe mai smesso di contorcersi, di ribellarsi a lui che lasciava i panni sporchi in giro, che le nascondeva gli elastici dentro il frigorifero e che le diceva costantemente 'ti amo' anche se lei non voleva sentirselo dire.
Stavano lentamente, ma progressivamente, capendo che le cose fra di loro, quelle che stavano proprio in mezzo, non erano poi così grandi o insormontabili o anche solo lontanamente spaventose se si guardavano allo specchio in due. Soprattutto quando si lavavano i denti l'uno accanto all'altra, perchè certe volte sono proprio quelle cose, quelle minuscole, insignificanti movenze a mettere tutto a posto, lì dove dovevano sempre stare, senza pretendere grossi cambiamenti, facendo dei compromessi non con l'altro, ma con se stessi, perchè era quello che avevano imparato a fare lentamente e progressivamente, insieme.
Insieme scrivo, perchè sta tutto lì in realtà, lì in mezzo, in quella e che divide i loro nomi -- in quella congiunzione che inspiegabilmente li unisce.




N/A

Tra tutte le schifezze che negli anni sono uscite dalla mia tastiera, questa è la cosa più vera che io abbia mai scritto.
Non per niente credo di aver finalmente consumato il mio matrimonio con la ship, e credo anche di aver appena scritto il mio manifesto sulla ship. E' una cosa assurda.
Chi mi conosce fuori dalle fanfiction può dire che qualsiasi cosa io scriva mi fa schifo, la cambio, la ricambio, la cancello, la riscrivo. Di questa non ho cambiato una. Virgola.
Spero di non aver delirato troppo anche se non me ne frega niente e spero che vi piaccia.
Angela.


  
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