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Autore: Lechatvert    17/01/2014    5 recensioni
A lei, invece, spettavano le cesoie. Le lame Fatae e nient’altro. Nient’altro eccetto una canzone.
«Illudi le tue speranze a rimanere vive, il demone si nasconde nel tuo buio più bello».
| Le Moire, Atropo e le Lame Fatae |
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Victoria 1053







« Ma perché lei che dì e notte fila,
non gli avea tratta ancora la conocchia,
che Cloto impone a ciascuno e compila… »
Divina commedia, Purgatorio, Canto XXI




«Ringhiando al cielo, anime randagie, angeli senza ali, divenuti uomini».
Il rumore metallico delle cesoie seguiva ritmicamente il dolce andare della melodia, mentre lo stame della vita che sua sorella aveva filato con tanta cura veniva freddamente reciso con il lento aprirsi e chiudersi delle due lame argentate.
«Promesse svanite, trascinate dai venti, che portano tempesta, ormai sono ricordi».
Atropo sorrise malignamente, soffiando sulla frangia bionda per liberare la vista dai capelli troppo lunghi. Avrebbe dovuto tagliarli, magari con quelle inutili forbici appese a una catena, messe lì a penzolare tutto il giorno sopra la sua testa. Inutili, stupide lame Fatae. Con un sospiro, la Moira inforcò la sua arma e la fece scivolare lungo il sottile filo dorato che le si era posato dinanzi.
«Lastrica di veleno la tua strada migliore, inciampa volentieri in bocca alla serpe».
L’urlo dell’anima sopraggiunse senza lasciare al filo il tempo di scomparire e la sala tremò, immersa nella tetra oscurità dell’Ade. Eaco, il giudice, avrebbe avuto da fare ancora per molto.
Il telefono sul tavolo a cui Atropo sedeva squillava di continuo, con quel suo trillo metallico, pronto ad annunciare l’ora di un’altra anima dopo che l’ultima vittima aveva lasciato l’antro delle tre Moire.
«Prepara il vestito della tua fine, devi essere pronto a rimanere senza sorrisi».
La ragazza si liberò delle cesoie. Quella canzone, quella delle Anime Randagie, la cantava da tutta l’eternità. Non ricordava di averne mai imparate altre, durante i secoli che aveva passato al servizio della Morte. Le sue sorelle filavano, annuivano, davano la vita e la coltivavano con assiduità, con mani sapienti lasciate correre sull’arcolaio di legno delle loro stanze.
A lei, invece, spettavano le cesoie. Le lame Fatae e nient’altro. Nient’altro eccetto una canzone.
«Illudi le tue speranze a rimanere vive, il demone si nasconde nel tuo buio più bello».
Il vecchio telefono sul tavolo riprese a suonare. Senza indugiare, Atropo afferrò la cornetta, portandola all’orecchio con aspro cinismo. «Lachesi», mormorò alla sorella all’altro capo del filo. «D’accordo, ho capito».
Abbandonò il ricevitore sul tavolo e si appese alla catena a cui erano legate le forbici. La mano scivolò lungo il metallo, arrivando a sfiorare l’impugnatura dell’arma.
«Tra le dita non ti resta che il tempo, polveroso carnefice delle tue bramosie».
Senza battere ciglio, si avvicinò allo strame della vita. Trattenne il respiro e chiuse le lame, facendole stridere sulla poca consistenza del filo dorato teso davanti ai suoi occhi.




* Ho trovato la poesia (i discorsi in corsivo) molto tempo fa, girovagando su internet. Per quanto mi sia sforzata, però, non sono riuscita a trovare la fonte. Se qualcuno sa chi è l'autore di questo bellissimo scritto, me lo faccia sapere, perché si merita una statua!







   
 
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