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Autore: Mr Nobody    17/01/2014    0 recensioni
"Mentre avanzavo, lasciavo dietro di me delle orme, puntualmente sbiadite dai flussi regolari del mare. Procedevo imperterrito e mi beavo ancora un po’ di quel paesaggio. La mia mente, solitamente attraversata da pensieri confusi e incoerenti, aveva così modo di evolvere delle riflessioni che si allontanavano dalla quotidianità e dal caos. La pace vigeva infatti in quel luogo ed era tale da appagare e ristorare i sensi."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Waiting Watcher [Raccolta di one-shot]'
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LA VOCE DEL MARE



JPEGNon è mai tardi per capire la voce del mare.
In solitudine, camminando sulla riva, affondando i piedi nudi nella rena morbida, dove spume bianche fanno contorno, ascoltavo il mormorio continuo delle onde con tutti i suoi segreti. Lasciavo vagare i miei occhi lungo quella distesa dalle false sfumature cerulee, dovute solamente al riflesso del cielo, e ne ammiravo l’immota bellezza.
Le grosse nubi scure che popolavano la volta celeste conferivano all’acqua un’aria lugubre e minacciosa, sebbene essa in realtà risultasse piatta e pacata, fatta eccezione per le lievi increspature che si riversavano sulla sponda sabbiosa e mi carezzavano le caviglie. L’acqua non era molto fredda, bensì tiepida, ed era confortevole al tocco della pelle.
Mentre avanzavo, lasciavo dietro di me delle orme, puntualmente sbiadite dai flussi regolari del mare. Procedevo imperterrito e mi beavo ancora un po’ di quel paesaggio. La mia mente, solitamente attraversata da pensieri confusi e incoerenti, aveva così modo di evolvere delle riflessioni che si allontanavano dalla quotidianità e dal caos. La pace vigeva infatti in quel luogo ed era tale da appagare e ristorare i sensi.
Sempre rimirando lo scenario che mi si presentava davanti, davo ascolto ai sussurri delle onde. Quei fievoli suoni, al contempo scroscianti e fragorosi, erano oramai divenuti familiari al mio udito affinato. Si ripetevano ciclicamente nella quiete e avevano assunto un’immutata intensità. Tutto ciò che mi circondava, in effetti, sembrava essere immutato: la spiaggia, l’orizzonte, i sassolini colorati, i gabbiani che garrivano mentre sorvolavano il mare, il solito cielo cupo, l’odore pungente di salsedine… Tutto era perfettamente come lo ricordavo.
Non so con esattezza da quanto tempo continuassi ad andare lì, ma so che ogni volta che lo facevo riuscivo a trovare una certa armonia con me stesso e con la natura circostante. Probabilmente ero l’unico a far visita a quel posto in pieno inverno, ma non me ne importava. Era il mare ad invocarmi e io mi limitavo ad obbedire. D’altronde, quella battigia custodiva molte cose mie e gran parte di esse sarebbe rimasta lì.
Ricordo ancora quando da bambino solevo nascondermi sotto la superficie di quell’acqua, poiché così mi sentivo lontano dal mondo esterno: mi piaceva immaginare di essere fuggito via e di trovarmi in un luogo sperduto; l’apparente silenzio, rotto solo dai suoni ovattati che giungevano lì sotto, sostenevano questa mia fantasia. Peccato che non fosse mai durato in eterno: alla fine, riemergevo sempre e ogni volta ero costretto ad abbandonare quella mia vana speranza.
Ora, pur socchiudendo gli occhi, riuscivo a vedere ugualmente la spiaggia. Ed era proprio a questo punto che i ricordi affioravano. Lo facevano sempre, era quasi inevitabile. Le onde che si infrangevano sui ciottoli tondeggianti del bagnasciuga parevano sussurrarmi parole, come a volermi rassicurare, e io mi lasciavo cullare dalle loro voci ammalianti, non osando sottrarmi al loro soave richiamo. Quelle eco sembravano provenire dai profondi abissi marini e per me avevano acquisito persino un volto: quello di mia madre. Dietro le palpebre potevo osservarne ogni particolare, i tratti fini, le gote accentuate; gli occhi erano due pozze smeraldine, ornate da sopracciglia fulve e arcuate, e le labbra sottili disegnavano una linea rosea fra le pallide guance, mentre il naso lungo e ossuto dava un non so che di rigido all’espressione del viso. La vedevo sorridermi man mano che procedeva nell’acqua per fare un bagno, agitando una mano in segno di saluto. Io però non le prestavo attenzione, tutto intento a costruire stupidi castelli di sabbia che sarebbero semplicemente diventati vittime delle intemperie e che prima o poi sarebbero crollati sotto i refoli sferzanti del vento.
Improvvisamente, la visione si spezzava, interrotta da un amaro flusso che mi premeva in gola, come un grosso nodo, e contro le palpebre, minacciando di erompere. E ben presto calde lacrime mi rigavano il viso, mentre io mi avvicinavo all’acqua e lasciavo che quelle gocce perlate ricadessero nei vortici marini e si unissero alla schiuma dilagante. Le onde, arricciandosi impetuose, mi investivano con estenuante dolcezza, quasi come per dimostrarmi un effimero gesto d’affetto. E io mi lasciavo ingannare da quel tocco, rimanendo con le gambe immerse fino a metà.
Così sostavo, in piedi, a contatto col mare; quel mare che celava così tanti ricordi e che mi aveva strappato via il volto severo ma premuroso di mia madre. Infine riaprivo gli occhi e rivedevo la distesa pseudo-bluastra dinanzi a me e la pseudo-linea orizzontale che divideva cielo e acqua.
Nella mia testa risuonava ancora la voce del mare e in quei mormorii mi illudevo di poter sentire nuovamente la risata di mia madre, limpida e serena, come sempre. 








Questo - non saprei come definirlo... - componimento/brano l'ho scritto l'anno scorso per un concorso scolastico. Ma dettagli.
Ero molto ispirato all'epoca e l'ho scritto quasi di getto, con qualche modifica poi qua e là, senza essermi realmente prefissato nulla. È stato un po' una sorpresa anche per me, una volta concluso e accortomi in cosa lo avessi fatto diventare.
Spero che la lettura dello stesso possa in qualche modo essere di gradimento a qualcheduno. Mi farebbe inoltre piacere ricevere opinioni, commenti e/o impressioni in qualche recensione. 
  
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