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Autore: _juliet    17/01/2014    4 recensioni
{Lo Hobbit}
La notte prima di partire per la Montagna Solitaria, Kíli, combattuto fra un amore da cui si sente respinto e i suoi doveri di erede di Durin, riesce a introdursi in camera di Tauriel.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Tauriel
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tienimi con te



Quando riconosci i miei tratti nell'oscurità i tuoi occhi si spalancano, scatenando in me un moto di gioia primitiva. Sì, sono io, sono il veleno che ti si è insinuato lentamente nel sangue e nel cuore, il responsabile e l'oggetto dell'amore che ti consuma e che soffochi, come qualcosa di cui vergognarsi.
Te ne vergogni, ma a me non importa più: ho smesso di preoccuparmi. Capisci, devo farlo, per sopravvivere, per non soffocare, continuare a respirare. 
Non mi allontani, no. Mi guardi, proprio come guardavi gli Orchi sul fiume. Pensi di ferirmi? Potresti farlo. Potresti ribaltare le nostre posizioni in un battito di ciglia, con un gesto. Potresti tagliarmi la gola e versare il mio sangue di Nano, che giudichi così poco importante. Potresti uccidermi e, in tutta onestà, dovresti farlo, perché io sono già morto. 
Invece non fai nulla, se non continuare a guardarmi con odio. Ma, sai, io posso sopportarlo, perché non mi sfugge né il lampo che illumina i tuoi occhi, né il brivido che attraversa il tuo corpo quando ti tocco.
Non avrei mai pensato che uno della mia razza potesse avere un effetto simile su di te, ma ora eccoti qui, Capitano della Guardia Reale, a tremare sotto di me. 
Hai chiuso gli occhi e girato la testa di lato. Il mio peso su di te, il mio respiro sul tuo viso, così vicino... l'idea di me ti infastidisce? Voglio sapere cosa reputi insopportabile: che qualcuno ti faccia questo o che sia io a farlo? 
Non mi concedi neanche un suono, ignori la mia presenza, la mia esistenza. Ma non importa. Non importa, perché nulla che tu possa dire o fare ti eviterà quello che sta accadendo. Il tuo principe dalle orecchie a punta non è qui a salvarti e, sfortunatamente per te, questo fa di me il tuo dio. 
Io, che non desideravo altro che stare con te, che ero disposto ad annullarmi in te, a trascorrere il resto della mia vita da reietto, nella vergogna di essere innamorato di un Elfo, allontanato dalla mia razza, dalla mia stirpe, dai miei fratelli. Io ero disposto a questo. 
Con le dita, riporto il tuo viso in posizione frontale e ti bacio. Finalmente ottengo una reazione: un lievissimo sussulto, un sospiro.
Non può essere dolore: queste mani grandi e tozze sono delicate, devono esserlo. Specialmente quando maneggiano qualcosa di prezioso.
Continuo a baciarti, togliendo l'aria a te e a me stesso, poi scendo; bacio il tuo sterno, il tuo ventre, vorrei mordere, divorarti. Resti inerme, sotto il mio sguardo che ti pesa addosso come un macigno.
Ora so che le antiche canzoni, che legano indissolubilmente l'amore e il dolore, sono reali. Prima mi ero chiesto spesso perché fossero più ricordate, rispetto quelle che profetizzano una conclusione felice. Ora lo so: l'amore è un bacio amaro, amarissimo. Le sento, tutte, mi ronzano nella testa, mi infastidiscono. 
Tu sei esanime, rinchiusa nel tuo silenzio, potresti chiamare aiuto, se lo volessi... ma non lo farai.
Decido di alzarmi. Misuro la stanza a grandi passi, senza considerare lo spazio. Ho bisogno di raccogliere le idee, di calmarmi. 
Un movimento cattura la mia attenzione ed afferro un coltello. C'è un uomo nella stanza, un'ombra nera che si sposta nell'oscurità. Non ho nulla contro di lui, ma non permetterò a nessuno di portarmi via questo momento.
Mi avvicino, piano, ogni muscolo teso. Riesco a intuire i suoi capelli, lunghi, e il brillio dei suoi occhi. Alzo il braccio, pronto a colpire, e lui mima il mio gesto. Mi ci vuole ancora qualche secondo, per capire che ho estratto un'arma per difendermi solo dal mio riflesso nello specchio; il riflesso di quel pazzo che sono io, ma che non riconosco. 
Mi tocco la fronte: sono sudato. Passo le mani tra i capelli, il corpo scosso da una risata che echeggia, stonata, nel silenzio. Che cosa sto facendo?
Torno da te, la mia preda, il mio amore, il mio incubo. Mi aspetti, immobile come ti ho lasciata, con gli occhi ostinatamente chiusi. No, aprili. Lascia che la mia figura copra tutta la tua visuale, lascia che il mio amore così velenoso ti avvolga come una nebbia che pulsa e soffoca e urtica. Apri i tuoi begli occhi verdi e dimmi che mi ami. Cerca di essere convincente, perché io capisco quando menti.
Tuffo il viso fra i tuoi capelli e annuso il tuo odore, mentre tocco con le dita la tua parte più intima. Non mi respingi perché sai che non ti farò del male, come potrei? Ma ti sbagli. Non sono più vivo, da quando sei entrata nella mia vita. Non sono più io.
Io non ho mai voluto questo. Ho trascorso tutta la vita consapevole di avere un compito e un destino, e ho vissuto unicamente per quello: il mio fardello, il mio onore, la mia storia. In esilio da prima di essere nato, respinto da tutti tranne che dai miei simili, sacrificando ogni momento di spensieratezza, ogni legame, accettando di partire per una missione suicida. Solo per scoprire che, all'altro capo del mondo, avrei trovato quella che è l'unica ragione per cui continuare a vivere e, al contempo, la prima per cui sto morendo. 
La morte non mi spaventa. Gli immortali la temono? Io sono mortale, da sempre so che dovrò morire. E morirò prima di te. Solo così la tua morsa sul mio cuore avrà fine.
Hai aperto gli occhi. Guardami, mentre ti faccio questo: voglio scoprire se riesco a farti schifo tanto quanto faccio schifo a me stesso.
Sotto di me, sento che gonfi i polmoni, raccogli aria per parlare. Pronunci una sola parola, prima che le mie dita salgano a sfiorarti il viso. È il mio nome.
Credevo che neanche lo conoscessi: quando ti rivolgi a me, di solito, mi chiami "Nano". Invece è proprio il mio nome che continua a caderti dalle labbra come fosse una canzone e io ti bacio ancora, profondamente, per succhiarti via il fiato.
Per la prima volta, le tue braccia si muovono. Per un istante, credo che stiano per respingermi, invece mi circondano in un abbraccio; mi stringono, attirandomi ancora più vicino, le dita contratte, le unghie che graffiano la mia schiena.
Sento il tuo cuore sfarfallare contro il mio petto, avverto il tuo corpo arcuarsi contro il mio; sui miei capelli, la tua bocca mormora parole in quella tua lingua musicale.
Le tue mani sono così diverse dalle mie mani da Nano: sono sottili, affusolate, belle da vedere. E sembrano fragili, anche se so bene che non lo sono: non c'è traccia di fragilità o di paura in te. Affascinato, guardo le tue mani eleganti, splendide anche nel dare la morte, mentre mi guidi dentro di te. Tutto il tuo corpo freme. Ho sconfitto la tua mente brillante, ho preso tutto. Sono solo io il tuo mondo, ora. 
La consapevolezza di domani mi colpisce come uno schiaffo, lasciandomi senza respiro. La disperazione feroce che mi ha guidato come una mano invisibile fin dentro la tua camera mi avvolge. Incateno i miei occhi ai tuoi. Sono un lago verde, sono così belli e profondi che vorrei caderci dentro e sparire per sempre in un altro universo, lontano da qui, dove da me non ci si aspetta nulla e dove potrei amarti e desiderarti senza fretta o paura, fino ad esserne nauseato. Dove sarei più felice di quanto sia mai stato. 
I singhiozzi iniziano a scuotere il mio corpo all'improvviso, con violenza. Le mie lacrime ti bagnano il viso ma, ti prego, non fare nulla. Tienimi con te questa notte. Ti prometto che tutto finirà prima che sorga il sole.


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NdA: Salve. È la prima storia vagamente erotica che scrivo e mi vergogno come una ladra.
Detto questo, mi spiace per i puristi ma io voglio bene a questi due.

  
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