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Autore: Laja    19/01/2014    0 recensioni
Come si fa a riconoscere il principe azzurro? Una cosa è certa, le favole insegnano che il principe ti salverà e renderà la tua vita facile e felice. Ma se così non fosse? Se il ragazzo che ti fa battere il cuore è proprio l'opposto? Se è colui che complicherà a non finire le tue relazioni personali e lavorative?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Il Principe Azzurro dovrebbe avere dei segni di riconoscimento. Per prima cosa, sarete d'accordo con me, il principe Azzurro non deve complicare la vita. La vita di Cenerentola era già abbastanza complicata di suo, Azzurro le ha aperto le porte del palazzo reale e da sguattera è diventata Regina in un soffio. Come Cenerentola sono in tante le “eroine” delle fiabe che grazie al loro principe più o meno azzurro (anche lì era una scelta di moda) si ritrovano ad essere grandi donne, acclamate da tutti con ben poche preoccupazioni. Unica eccezione è forse La bella addormentata... ditemi voi se una che dorme per cento anni può avere una vita complicata!

La mia comunque non era una vita complicata. Con gli alti e i bassi di tutti gli studenti fuori sede al primo anno di una facoltà che sembrava infinita, reputavo di vivere una vita normale; tutto questo fino a quando ho conosciuto il mio “principe azzurro”.

Mettetevi comodi... ora vi racconto tutto.

Mi chiamo Vittoria e fino a diciotto anni ho vissuto a casa con i miei genitori, due fratellini gemelli piccoli e un cane, in un piccolo paese di montagna praticamente al confine fra il lazio e l'abruzzo. Alla fine del quinto anno del liceo ho dovuto fare una scelta e preparati bagagli mi sono trasferita a Roma, per iscrivermi alla facoltà di Chimica Farmaceutica. Ho sempre sognato lavorare in laboratorio, avere a che fare con provette ed esperimenti pazzoidi, e Chimica Farmaceutica mi sembrò la scelta più adeguata. Meno astratta e inconcludente rispetto alla Chimica pura, mi avrebbe permesso di lavorare nell'ambito più “sanitario” con sperimentazione di farmaci e questo, senza dubbio, mi sembrava molto più concreto.

Prima che ve lo domandiate, no... non ho mai rimpianto la scelta che feci allora... forse ne ho rimpiante altre lungo la mia carriera universitaria come le false amicizie di convenienza, o la troppa importanza data, per emotività eccessiva, a professori e a materie che non la meritavano.

L'idea che andassi a vivere a Roma da “sola”, mandava nel panico mia madre. Non ho mai avuto un gran senso dell'orientamento, e lei già mi immaginava a girovagare per la capitale per giorni e giorni prima di riuscire a trovare la strada di casa. Mi avrebbe regalato quintali di sassolini colorati da distribuire per strada come Pollicino, se non avesse saputo che anche a Roma funziona il servizio di pulizia delle strade e che l'utilizzo dei mezzi pubblici avrebbe reso il tutto ancora più difficile.

Su una cosa mia madre aveva ragione però, ho un senso dell'orientamento pessimo e fu proprio quello la causa di tutto.

Era la mia seconda settimana in città, ma tra il trasloco, le code infinite alla segreteria universitaria e le prime lezioni non ero ancora andata a fare il giro di perlustrazione, e salvo il supermercato per la spesa non conoscevo molto altro della città che mi avrebbe ospitato per i prossimi cinque anni.

Una sera fui invitata in un ristorante nel quartiere dei Parioli, dove abitava una collega. Feci almeno cinquanta cambi di mezzi pubblici dal piccolo appartemento a Montemario dove vivevo. In uno di questi cambi, sbagliai direzione, e senza accorgermene mi ritrovai in pieno centro, fra monumenti storici e turisti di tutte le nazionalità.

Non conoscevo ancora bene Roma per riconoscere la differenza fra un quartiere e un altro, e la mia incoscienza “Paesana” mi illudeva che forse bastasse semplicemente camminare un po' per trovare la strada indicata... dopo tutto avevo seguito alla lettera tutte le indicazioni della mia collega, no?

Dopo mezz'ora mi arresi all'evidenza: avevo bisogno di un Tom Tom o di qualcuno a cui chiedere.

Mia madre mi aveva tanto raccomandato di non parlare con gli estranei, e poi si sa: Roma è una città pericolosa, se fai vedere di essere sola e sprovveduta come minimo ti rapiscono e rimandano a casa il tuo corpo a brandelli. No, non volevo correre questo rischio, così scelsi oculatamente a chi chiedere. Non doveva essere troppo vecchio, perchè se no rischiavo di imbattermi nella demenza senile, non troppo giovane altrimenti mi avrebbe preso in giro e fatto sbagliare strada. Nessun uomo di colore o con etnia diversa dall'europea, perchè ovviamente avrebbe potuto essere un turista. La ricerca era più ardua del previsto, quando finalmente adocchiai un bambino che sgambettava tenuto per mano da un uomo. Un padre di famiglia, di certo, non poteva avere cattive intenzioni.

«Mi scusi...» lo fermai «Posso chiederle un'indicazione?»

Quando i miei occhi incrociarono quelli dell'uomo mi sentii sciogliere dentro. Aveva degli occhi scuri dal taglio morbido, con piccole rughe ai lati degli occhi quando sorrideva, e Dio... sorrideva dannatamente spesso.

I capelli erano scuri, scomposti... oserei dire casualmente disordinati, le labbra carnose e ovviamente sorridenti lasciavano intravedere dei denti bianchi, quasi luminosi. Il suo sorriso era davvero contagioso. La prima cosa che pensai fu: quest'uomo è bellissimo. La seconda fu: è un padre di famiglia, non dovrei pensare certe cose.

Quando riuscii a riprendere l'uso della parola gli spiegai il mio problema.

«Mi dispiace dirtelo, ma sei proprio fuori strada, dovresti tornare a Termini e da lì riprendere l'autobus corretto... oppure....» ci pensò a lungo.

«Se ti va puoi venire con noi, sto riaccompagnando Mattia da sua madre che vive vicino alla metro, da lì ti posso spiegare come raggiungere la coincidenza con gli autobus e arrivare ai Parioli.»

Mia madre lo ripeteva sempre: “non accettare passaggi dagli sconosciuti” e anche se a piedi, quello aveva l'aspetto di un “passaggio”. Non avrei dovuto accettare, eppure mi ritrovai ad annuire come un'idiota, affiancandolo e iniziando a camminare con lui.

«Affidamento congiunto?» domandai d'istinto cercando di rompere il silenzio. Aveva detto che riaccompagnava il bambino dalla madre e la prima cosa logica da dire mi sembrò proprio questa.

Lui mi guardò interdetto, poi capendo la mia domanda scoppiò a ridere, ed io mi sciolsi guardandolo. Non esisteva un ragazzo più bello, e nonostante fosse padre non era così tanto “grande”, a occhio e croce non gli avrei dato più di trent'anni. Ah, era proprio vero che tutti i migliori erano già “occupati”.

«No, ti sbagli. Mattia è mio nipote, è il figlio di mia sorella maggiore. Una volta la settimana lo porto al parco e poi a comprare il gelato. Oggi, per fare una cosa diversa siamo andati a vedere la mostra di armi a piazza Venezia.»

Non era sposato. Non era padre. Non era occupato.

«ah... si... e...e... dimmi Matt- Mattia ti sono piaciute le armi?» balbettai cercando di arginare il profondo imbarazzo che mi stava soffocando.

Il bambino mi rispose contento mostrandomi orgoglioso un piccolo carro armato giocattolo, gli sorrisi appena, ma non lo ascoltavo.. la mia mente non faceva che ripetermi: Non è sposato. Non è padre. Non è occupato.

Sarebbe difficile spiegarvi la mia sensazione nel camminare accanto a quell'uomo sconosciuto, dopo i primi minuti più “imbarazzanti”, mi resi conto che al suo fianco mi sentivo a mio agio. Non saprei descrivere a parole ciò che provai, ma fu come se non esistesse alcun posto al mondo migliore di quello e per un centinaio di metri tutto fu perfetto.

Purtroppo la stazione della metro era più vicina del previsto. L'uomo si accertò che avessi capito bene la strada facendomi scrivere ogni singola fermata, cambio e numero di autobus da prendere, e infine ci salutammo.

Non ero stata violentata, sequestrata o fatta a pezzetti, ma quell'uomo mi aveva davvero rapito il cuore. Lungo il tragitto non riuscii a pensare ad altro che ai suoi occhi e al suo sorriso.

Non era sposato. Non era padre. Non era occupato, ma era ormai da tutt'altra parte di Roma, e la capitale è troppo grande perchè si verifichino due volte coincidenze simili. Avrei conservato il suo sguardo nei miei ricordi, e la sensazione di benessere che avevo provato camminando con lui e il suo nipotino non mi avrebbe abbandonato facilmente.

Quella sera raccontai tutta la mia avventura alla mia collega e amica Liliana, e continuammo a parlarne per tutta la settimana successiva.

Non c'era proprio niente da fare, non riuscivo a togliermelo dalla testa.

Quando finalmente il ricordo di quell'incontro iniziava ad affievolirsi nella mia mente, accadde l'inaspettato.

Si dice che il mondo è piccolo... ma non pensavo così tanto!

L'aula era già piena quando entrai, la lezione di Chimica inorganica non se la perdeva proprio nessuno. Era uno degli scogli più duri del primo anno, il professor Selvaggi era tanto bravo a spiegare quanto esigente agli esami, e capitava spesso che facesse girare fogli per le firme di frequenza random. Oggi si, domani no. Così non ci si poteva assentare con il rischio di perdere la frequenza, e persa la frequenza perdevi la possibilità di fare l'esame.

Liliana mi aveva preso il posto in prima fila. Avevamo imparato ad alternarci, un giorno arrivavo in anticipo io, il giorno successivo lei; l'importante era sapere che almeno una delle due avrebbe preso il posto.

Il prof. arrivò in perfetto orario, come al solito. Questa volta però non indossava il camice, come faceva di solito per evitare di sporcarsi la giacca con i gessi e la lavagna, ma un abito elegante con tanto di papillon blu.

«Buongiorno ragazzi. Oggi, purtroppo, sono stato chiamato a sostituire un collega a una conferenza. Mi hanno avvisato all'ultimo momento, e non ho potuto spostare le lezioni. Sarò assente per le prossime quattro lezioni, ma vi lascio in compagnia del dottor Latorre, che segue il mio dipartimento da diversi anni con ottimi risultati.»

Un ragazzo in jeans e maglietta si alzò dalla fila di destra e si avvicinò al professore.

Gli occhi scuri dal taglio morbido, i capelli casualmente scomposti e quel sorriso.

Oh Dio avrei riconosciuto quel sorriso ovunque.

Detti una gomitata a Liliana.

«Che c'è?»

Non riuscivo a staccare gli occhi da lui. Dopo i ringraziamenti al professore, aveva iniziato a parlare brevemente degli argomenti che avremmo trattato con lui.

«Si, ho notato che è carino... ma...» Liliana mi guardava senza capire.

Ricambiai un attimo il suo sguardo, mentre il dottor Latorre volgeva le spalle all'aula scrivendo alla lavagna.

«E' lui.»

«E' lui chi?»

«E' lui il tipo delle informazioni!» sussurrai cercando di trattenermi.

L'avevo reincontrato, non potevo crederci.

La prima cosa che pensai fu: quest'uomo è bellissimo. Non è sposato. Non è padre. Non è occupato La seconda fu: è l'assistente del prof di Chimica... sono nella cacca!

Per tutta la lezione tenni lo sguardo basso sul foglio, ma di appunti veri e propri non ne presi un granchè, la mia mente viaggiava davvero molto lontano rispetto alle curve di dissociazione disegnate alla lavagna.

Anche quel giorno girò il foglio delle firme.

Il secondo giorno di lezione, mi sedetti in terza fila. Il terzo giorno retrocessi alla decima, e l'ultimo giorno della sua lezione ormai avevo conquistato l'ultima.

Non volevo farmi vedere o riconoscere, e stare troppo vicino a lui significava per me imbambolarmi a guardarlo e ascoltarlo pensando solo a quel breve strano incontro il mese prima.

Fortunatamente quando il professor Selvaggi rientrò dopo la conferenza, tutto tornò come prima, e io riconquistai la prima fila e ricominciai a prendere appunti, come una brava studentessa diligente.

Quasi un mese dopo, per una serie di sfortunate coincidenze fui l'ultima a lasciare l'aula.

«Vittoria?»

Mi voltai di scatto, sentendomi chiamare. Il dottor Latorre era fermo, appoggiato al muro accanto all'uscita dell'aula, e sembrava stesse aspettando proprio me.

«Buongiorno...» risposi alquanto imbarazzata.

«Non avevamo tutta questa formalità qualche tempo fa...» riprese un po' dispiaciuto

«E beh ecco...» non sapevo proprio cosa rispondere. Cavolo ero stata molto più a mio agio a parlare e camminare con un uomo che non conoscevo e poteva essere anche il peggior malvivente di tutta la capitale che con l'assistente del prof. di chimica.

«Ricominciamo da capo?» mi sorrise accorciando le distanze fra di noi «mi chiamo Luca, piacere di conoscerti Vittoria.»

«Piac...piacere... ma un attimo, come conosce il mio nome?»

Lui sorrise nuovamente.

«Non mi crederai, ma appena ti ho riconosciuta ho fatto girare a posta il foglio delle firme. Avevo contato il tuo posto, e poi sono andato a confrontare il foglio firmato. Selvaggi mi aveva chiesto di prendere le firme in una delle mie lezioni, e io ho scelto la prima.» mi guardava come un bambino che ha appena ammesso di aver fatto una marachella «e ho fatto bene, visto che poi sei sparita dalla prima fila... cercavi di evitarmi?»

«Ehm... beh...in effetti si...» risposi titubante guardandomi attorno. Se qualcuno mi avesse vista lì in quel momento avrebbe di sicuro pensato “ecco la solita raccomandata”... probabilmente avrei pensato la stessa cosa io, vedendo una ragazza a tu per tu con il bell'assistente dell'esame più tosto del primo anno.

«Ti va se andiamo a parlare in un posto più riservato?» continuò Luca, quasi leggendo nei miei pensieri.

Non è sposato, ma è l'assistente del prof. Non è padre, ma è l'assistente del prof. Non è occupato, ma è...

«Ok. Tanto ormai ci siamo...»

Andammo a sederci in un piccolo bar poco conosciuto lì vicino.

«Certo che il mondo è piccolo...» ricominciò lui rompendo l'imbarazzante silenzio.

«Fin troppo direi...»

«Non avresti voluto reincontrarmi?»

Ma stava scherzando?

«Si, cioè no, cioè si mi sarebbe piaciuto reincontrarti, e non posso negare di averci pensato spesso, ma non così... insomma, sei l'assistente del prof. più temuto del mio anno e io... oddio... che situazione!»

«Posso confessarti che da quella sera anche io ho pensato molto a te. Ho portato per settimane Mattia in giro per il centro, ma ovviamente era una speranza vana... » quella dichiarazione mi fece sciogliere. Perchè un uomo così dolce e perfetto era un uomo così sbagliato, o meglio capitava nel momento sbagliato? Non andavano così le favole!

«Quando ti ho vista in prima fila ho pensato che dovevo davvero toglierti dalla mente. Non sarebbe corretta una relazione fra di noi... eppure...»

«Eppure?»

«Eppure ti ho aspettato fuori dall'aula proprio come un liceale, incurante dei pensieri di tutti gli altri...»

Se fosse stata una favola, era proprio strana la mia.

«Luca, tu mi piaci molto, dico davvero... ma questa storia è assurda... non possiamo, sarebbe totalmente sbagliato...»

«Cosa sarebbe sbagliato, che iniziassimo a conoscerci come amici e un giorno ci innamorassimo?»

«No, quello no... ma io devo ancora fare l'esame e se gli altri studenti lo scoprissero... io non voglio essere la “raccomandata” o quel genere di ragazze...»

«Non sarai mai quel genere di ragazze. E poi perchè dovrebbero saperlo tutti? Potremmo provare a mantenere un po' di privacy, e poi sarà quel che sarà...»

Furono le ultime parole famose.

Uscimmo insieme come semplici amici per qualche settimana. Luca mi portò a conoscere Roma e fra le lunghissime code davanti ai musei e le passeggiate per le ville della capitale imparammo davvero a conoscerci, e a piacerci sempre di più, fino al fatidico primo bacio.

Fra i miei compagni di corso ero riuscita a fingere bene, e lui per evitare problemi non si era fatto più assegnare lezioni al mio corso lasciando a un'assistente riccia il compito di sostituire il prof in caso d'assenza.

L'unica persona al corrente di tutto era Liliana, la mia migliore amica.

«Che fai questo week end? Vuoi venire a stare da me, così studiamo insieme?» mi disse un venerdì fra una lezione e l'altra.

«Mi dispiace Lili, ma torno a casa, è il compleanno dei gemelli e mia madre ci tiene molto a festeggiarlo con tutta la famiglia... questa festa mi farà perdere un sacco di tempo.»

«Non puoi mancare un anno? Gli esami si avvicinano. La tua famiglia capirà.»

«No, la mia famiglia non capisce purtroppo... e io devo arrangiarmi, non ci posso fare niente.»

«Ah già... dimenticavo...» continuò, e non so dire se avessimo fatto tutta la discussione ad alta voce o l'alzò giusto in quel momento di proposito, «Tu hai già il trenta e lode assicurato in Chimica visto che esci con l'assistente!»

Rimasi paralizzata.

Sapete quando siete in pubblico, dovete dire una cosa “segreta” e contate sul fatto che tutti stiano parlando fra di loro, c'è un discreto vociferare e nessuno ascolterà, ma proprio quando iniziate cala il silenzio e mille occhi e orecchie sono puntati su di voi?

Beh questo successe a me. Forse non tutti avevano effettivamente sentito, ma di sicuro i colleghi più vicini avevano capito e pure bene. La voce sarebbe arrivata in un secondo a tutta la facoltà. «Stronza. Non è vero!» sibilai, raccolsi le mie cose e corsi via lasciando l'aula.

Luca mi trovò chiusa in un bagno femminile con gli occhi gonfi, le guance rigate e un mal di testa lancinante.

Mi abbracciò e rimase silenzioso al mio fianco a lungo, anche perchè nel frattempo erano molte le studentesse che entravano e uscivano a cui non volevamo far sapere della nostra presenza.

Quando mi fui calmata, mi aiutò a rassettarmi e rendermi presentabile e tenendomi per mano, incurante delle male lingue, mi condusse nell'ufficio del professor Selvaggi.

Entrò lui per primo, parlò velocemente con il professore spiegandogli la situazione, poi fece entrare me.

Il professor Selvaggi non disse niente. Con un cenno della mano mi fece accomodare, si sfilò gli occhiali e con una lentezza esasperante iniziò a pulire le lenti.

«Luca mi ha spiegato, ma detto in tutta onestà i rapporti interpersonali dei miei assistenti non mi riguardano normalmente. Mi riguardano invece se si pensa che io possa usare un atteggiamento diverso nei confronti di talune studentesse...»

«Ma io...» iniziai cercando di difendermi.

«Mi lasci finire signorina Mancini. Io mi pregio di esser sempre stato equo. Esigente con tutti e tutte, ma equo. Se si aspettano che nei suoi confronti faccia delle eccezioni garantendole un esame “facile” i suoi colleghi si sbagliano di grosso. Se lei si aspetta, o teme, che nei suoi confronti faccia un'eccezioni garantendole un esame difficile il doppio per “salvare la faccia”, anche lei si sbaglia di grosso. Sono sempre stato equo e tale rimarrò.»

«Grazie professore, non so proprio come ringraziarla.»

«Non mi ringrazi.» continuò inforcando nuovamente gli occhiali «Vada a studiare e si meriti il voto che le darò.»

Di certo non si può dire che Selvaggi fosse Mr Simpatia, ma vi confesso che da quel momento divenne il mio mito.

Inutile dirvi che studiai giorno e notte per quel maledetto esame. Se non fossi stata la ragazza dell'assistente probabilmente avrei studiato molto meno. E qui torniamo alla questione: i principi azzurri non dovrebbero semplificarti la vita?

Il giorno dell'esame l'aula era strapiena.

Selvaggi, entrando, non celò un lieve sorriso: si aspettava il pubblico. Subito dopo aver fatto l'appello, guardando la platea riprese:

«Alzi la mano chi intende sostenere l'esame oggi.» Cinque o sei mani si alzarono.

«Ora alzi la mano chi intende sostenere l'esame al prossimo appello o alla prossima sessione.»

In totale non si alzarono più di venti mani.

«Tutti gli altri sono pregati di accomodarsi fuori. Stiamo per fare degli esami non uno spettacolo.»

«Professore ma l'aula è pubblica.» osò ribattere uno studende

«No. Io ho prenotato l'aula, io ne sono responsabile e io dico che voglio in aula solo chi deve sostenere l'esame o chi si sta informando per sostenerlo a breve.» tuonò il professore.

L'aula si svuotò immediatemente, e si potè iniziare.

Luca aveva scelto di non sedersi fra gli esaminatori, ma rimase in fondo all'aula silenzioso ad ascoltarmi.

Il mio esame andò benissimo tanto che Selvaggi mi invitò a frequentare il suo dipartimento per un futuro dottorato di ricerca.

«So che è prematuro al primo anno» disse «ma mi farebbe piacere averla in laboratorio per interessi diversi dal dottor Latorre.» concluse per allentare la tensione.

Lo ringraziai, ma odiavo chimica inorganica e quel laboratorio era l'ultimo posto dove avrei voluto essere, assistente a parte.

Due anni dopo fu la professoressa di Chimica Organica 2, una donna forte tenace e acida, palesemente zitella, a farmi la stessa proposta e lì accettai senza pensarci due volte.

Dopo la laurea ho avuto il dottorato di ricerca in Chimica Organica e sono rimasta con la professoressa Camastra per molti anni. Fra noi c'è sempre stato un rapporto di odio amore, ma non credo mi odiasse perchè ero la fidanzata del dottor Latorre, quanto che fossi la fidanzata di qualcuno.





Eccomi qui con un'altra breve storia. Questa nasce da un sogno. Non di quelli ad occhi aperti che fa più o meno ogni universitaria al suo primo anno di fronte all'assistente carino, no no, proprio un sogno. Della serie che la chimica non mi lascia in pace neanche di notte.
Mi sono limitata a cambiare qualche contesto e qualche nome (del tutto casuali).
Beh, ditemi che ne pensate... lasciatemi un commento, sia positivo, negativo o neutro.
Grazie

*Laja*
 

   
 
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