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Autore: Albezack    19/01/2014    3 recensioni
Un' improvvisa sparizione del celebre scacchista Volkov. Un albergo e due amici curiosi ai confini di Chernobyl. Quanta differenza esiste tra incubo e realtà?
Genere: Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La notizia della morte di Adam Volkov non fece molto scalpore, se non nei circoli degli scacchi. Una persona sconosciuta ai più, ma una leggenda per quei pochi che ricordavano le sue imprese, probabilmente uno dei migliori scacchisti contemporanei, al livello di Garry Kasparov.
Ero ancora tra le braccia di Morfeo, quando il telefono sopra il comodino mi svegliò di soprassalto. Con gli occhi ancora impastati guardai la sveglia digitale, i suoi brillanti numeri rossi nella totale oscurità della mia camera da letto.
Le tre e mezzo del mattino.
Chi cavolo può mai essere a quest’ora, pensai. Che vada al diavolo, non ci sono per nessuno.
Infilai la testa sotto il cuscino e mi rigirai dall’altra parte, il telefono che continuava impertinente a squillare. Dopo nemmeno dieci minuti, stessa scena. Avevo appena richiuso gli occhi e stavo nuovamente scivolando nel sonno.
Questa volta sollevai di peso la cornetta dell’apparecchio, visibilmente irritato, con tutte le intenzioni di dire a chiunque fosse dall’altra parte del filo quello che si meritava. Stavo già per scagliare al malcapitato una serie di insulti poco ortodossi, quando una voce familiare mi bloccò.
“Hai sentito, Edgar?” chiese Jody.
“Sentito…cosa?”
“Di Volkov…è sparito,” mormorò, aspettando la mia reazione. Per diversi secondi solo il tacito ronzio metallico risuonò in entrambi gli apparecchi telefonici. Per me era stata una giornataccia quella precedente, gli ingranaggi che si trovavano nel mio cervello avevano bisogno di più tempo per entrare a regime.
“Volkov…Adam Volkov? Lo scacchista?” domandai con la voce ancora disturbata dal sonno.
“Proprio lui,” confermò la donna, “sparito, nessuna traccia, credo sia morto.”
Jody viveva a Wichita, nel Kansas, Stati Uniti. Era la mia compagna d’infanzia ed adolescenza. I miei genitori mi avevano fatto frequentare le scuole negli USA, nella sua città, e lei era stata il mio unico punto di riferimento per molto tempo. Raramente tornavo a Kiev per salutare i famigliari, giusto una o due volte all’anno, e mai per più di due o tre giorni.
Ma poi le scuole erano finite e non trovando subito lavoro là, come consulente agricolo, ero dovuto tornare a casa, sotto le pressioni dei parenti, che lavoravano già nel settore in un’azienda avviata dal bisnonno quasi un secolo prima. Separarmi da Jody era stato un trauma, era molto più che una amica, era una parte della mia vita. Credo di essere stato da sempre innamorato di lei, ma non gliel’avevo mai rivelato, forse per timidezza, forse perché non mi sentivo alla sua altezza.
Condividevamo una grande passione, quella degli scacchi. Potevamo essere considerati a tutti gli effetti dei fanatici, per quanto questa parola non mi piaccia per niente, troppi significati negativi, soprattutto oggigiorno. Ma era sicuramente la più adatta.
Non solo giocavamo a regimi forzati entrambi, nei rispettivi circoli, ma collezionavamo cimeli di vecchi giocatori, cercavamo autografi, foto assieme a loro. Leggevamo manuali e biografie. Adam Volkov era diventato uno dei nostri eroi, venuto fuori dal niente aveva sfidato i più grandi. E aveva vinto, spesso.
Dopo mesi di carambole e rimbalzi tra conoscenti, agenti ed organizzatori di tornei, eravamo riusciti ad ottenere mezz’ora da soli con lui, poco prima del grande torneo di Amburgo.
“Sei sicura che sia morto, Jody?” chiesi esitante, iniziando a tastare l’amarezza della delusione che si stava insinuando in me. Un’amarezza vera, di quelle che senti anche sulla lingua.
“Accendi il pc, scrivi Volkov e dai un’occhiata alle prime notizie.”
Guardandomi in giro per abituare i miei occhi all’oscurità, cercai con la mano l’interruttore poco sopra la testata del letto. Un flash che mi accecò per qualche istante, che mi costrinse a coprire gli occhi con la mano libera.
“Dammi un minuto, rimani in linea.”
Scesi dal letto, infilai le pantofole e mi sedetti allo scrittoio della camera, dove si trovava il mio MacBook nuovo di zecca. Un gioiellino, fatto arrivare direttamente dall’America. Qua i rivenditori ci giocano troppo, ed avere un’amica dallo Zio Sam dovrà pur essere un vantaggio.
Premetti il pulsante di accensione e sbadigliai mentre lo schermo iniziava a colorarsi. In pochi gesti aprii la schermata di Internet e digitai velocemente il nome di Adam Volkov. Una serie di articoli recenti apparirono come risultato della ricerca. Aprii il primo.
Adam Volkov, neocelebrità del mondo scacchistico, è scomparso all’improvviso durante una delle sue vacanze nei pressi di Kiev. La denuncia è stata sporta dalla moglie, dopo due giorni che il marito risultava irreperibile in ogni modo. Si stanno effettuando ricerche a tappeto nei dintorni, molti ritengono che sia morto. Ricostruendo gli ultimi avvenimenti antecedenti alla scomparsa, pare che sia sparito dopo la prima notte di alloggio in un albergo poco fuori da Pryp’Jat. Forse a molti di voi questo nome non suggerirà assolutamente niente, ma stiamo parlando della città fantasma immediatamente adiacente alla centrale nucleare di Chernobyl. La curiosità di Volkov lo aveva spinto già precedentemente verso posti classificati come ‘pericolosi’, ma questa volta pare proprio che gli sia costato molto di più di qualche spavento…
Jody aveva ragione. Ma comunque non si parlava di morte, solo di scomparsa.
Chiusi il computer e tornai al telefono, dove la mia amica stava aspettando in silenzio. Quando le parlai, notai una viva eccitazione nella sua voce, oltre alla tristezza precedente.
“Hai ragione, sembra proprio che la fortuna non sia dalla nostra parte,” dissi sdraiandomi nuovamente, mentre con una mano cercavo l’interruttore della luce.
“Comunque non è morto, mi pare di capire, ma solo scomparso,” aggiunsi, “magari ricompare tra qualche giorno, alla Houdini…”.
“…E comunque la mia risposta è no,” proseguii, sapendo dove sarebbe andata a parare.
“Lo sapevo che ci saresti arrivato subito,” scherzò lei.
Queste cose l’attraevano, non poteva farci niente. Il mistero era la sua seconda casa, ed il fatto che questa vicenda coinvolgesse uno dei suoi beniamini la rendeva unica. Non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione di visitare il luogo in cui era appena sparito Adam Volkov.
“Conoscendoti, non è affatto difficile,” risposi mentre un sorrisetto si distendeva sulle mie labbra.
“E’ vicino a casa tua, non dovresti nemmeno muoverti, praticamente,” insistette lei.
“Ho detto di no, è pericoloso quel posto, ci sono ancora radiazioni, e non mi fido dei confini di sicurezza tracciati da altri.”
“Ti do la mia scacchiera autografata di Kasparov…quella del 2009,” mi tentò.
Merda. Mi sta prendendo per la gola, lo sa benissimo che darei entrambe le gambe per quella scacchiera.
C’è qualcosa che posso dire per farti cambiare idea?” provai, sapendo ormai di aver perso la piccola battaglia.
“No.”
Sospirai, affranto.
Come ogni ucraino che si rispetti avevo imparato a dovere la triste storia del nostro paese. Il disastro nucleare più tragico della storia del pianeta. Oltre quattromila persone decedute, chi nell’esplosione, chi successivamente di malattie o tumori causati dalle radiazioni. Ormai sono passati molti anni, ma le aree più vicine sono tuttora zone tabù, non ci si può avvicinare più di tanto. Per non parlare dell’alone di mistero e morte che regna nei territori circostanti. Già nei colori si vede che c’è qualcosa che non va.
Pryp’Jat. Siamo proprio al limite, la città fantasma.
Di quanti chilometri da Pryp’Jat stiamo parlando?” domandai dopo qualche secondo di silenzio.
“Abbastanza credo, venti o trenta almeno. D’altronde è un albergo, non può essere nella zona a rischio, sarebbe stato chiuso immediatamente,” fu la sua risposta. Aveva capito che avevo ceduto. Non per la sua scacchiera, no, ma per il legame di amicizia che ci stringeva.
“Quando vieni?”
“Sto prenotando ora i biglietti aerei, dopodomani alle diciannove arrivo, ora locale vostra.”
“Porta la scacchiera.”
“Contaci.”

  
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