Era tarda sera e un fitto buio era calato al di fuori della
Locanda. Non una stella illuminava il cielo, e le pallide fiamme poste agli
angoli delle strade non illuminavano che pochi centimetri.
Nessuno aveva osato rimanere fuori di casa- tutti si erano
rintanati all’interno, affrettandosi a cercare un angolo appartato e sicuro. Non
che vi fossero stati mai attacchi da parte dei mostri, ma l’oscurità del luogo
terrorizzava anche il più impavido dei guerrieri.
Tutti, dal padrone del luogo al più povero ladruncolo che
aveva deciso di sfruttare quella serata per riempirsi un po’ le tasche, erano
però voltati verso uno dei tavoli in centro alla stanza dove tre uomini e una
giovane ragazza stavano giocando a carte.
Da un’ora circa i tre uomini avevano deciso di passare il
tempo giocando e scommettendo qualcosa. La ragazza si era inserita quasi di
prepotenza in quel gruppetto, senza chiedere niente a nessuno, con una risatina
allegra che aveva un ché di irritante.
La ragazza era una vista inusuale in un posto del genere.
Troppo allegra per essere davvero cosciente di dove fosse e cosa stesse
succedendo, troppo gracile per essere una guerriera, vestita in un modo troppo
buffo per passare inosservata.
Non sembrava particolarmente sveglia. Non dalle risatine che
continuava ad emettere, o dagli scatti che faceva di tanto in tanto.
I tre l’avevano accettata senza problemi, dicendosi che era
un pollo da spennare in fretta e nulla di più.
Non che lei avesse usato qualche trucco particolare, in tutta
quell’ora. La sua strategia si era rivelata essere qualle di prendere delle carte e gettarle pochi secondi dopo-
rivelando sempre una mano abbastanza alta per vincere qualsiasi cosa fosse sul
tavolo. Il tutto continuando a ridacchiare.
Lo spettacolo era ripetitivo. Erano pochi quelli nella
Locanda che pensavano davvero che la fortuna sarebbe improvvisamente finita e
che i tre avrebbero ripreso i soldi: ciò che tutti stavano aspettando era una
reazione.
Ormai i tre uomini stavano dando diversi segni di
nervosismo. Tutti erano certi che ci mancasse davvero poco perché qualcuno
scoppiasse e tutti si stavano preparando, in un modo o nell’altro, per quel
momento.
La ragazza gettò per l’ennesima volta le carte sul tavolo
senza nemmeno degnarsi di guardarle e anche quella volta i tre uomini
sbiancarono, senza aver la forza di piangere.
“Tu stai barando!”
gridò uno dei tre uomini in uno scatto d’ira prima di rovesciare il tavolo e di
interrompere la canzoncina che la ragazza stava canticchiando allegramente.
Tutti nella Locanda si erano preparati per quel momento- fu
quindi semplice per loro evitare la maggior parte dei danni, uscendone con
semplici graffi dovuti ai cocci dei bicchieri.
La ragazza si bloccò, osservando per la prima volta in tutta
la sera l’uomo che aveva di fronte ed il volto le si dipinse di uno sguardo
estasiato.
“Marmotta!”
Più di una fronte si aggrottò quando lei trillò quella
parola.
L’uomo, per la sorpresa, dimenticò in un istante tutta la
sua furia limitandosi a fissare a bocca aperta la ragazza, nel tentativo di
convincersi che avesse sentito veramente bene.
Lei, da parte sua, annuì veementemente alla propria
affermazione, dondolandosi avanti e indietro sulla sedia.
“Hai i capelli
marroni come una marmotta! Anche il cioccolato è marrone- le marmotte sono di
cioccolato!” Disse lei battendo una mano contro l’altra, apparentemente
felice di quella scoperta che tanto acutamente aveva portato alla luce.
Un mormorio sommesso si levò dalla Locanda creando un unico
brusio indistinto: tutti si appiattirono quanto più era possibile contro le
pareti, cercando di allontanarsi dalla strana ragazza e dall’uomo che era ormai
totalmente spaesato.
Lei si sporse verso l’uomo, scrutandolo all’attenta ricerca
di un qualsiasi particolare, prima di continuare. “Allora… tu sei fatto di cioccolato?”
L’uomo indietreggiò giusto in tempo perché la ragazza
scattasse in piedi, rovesciando la borsa sul pavimento, e cominciasse a correre
contro di lui a braccia aperte: a bloccarla prima che saltasse al collo
dell’ormai terrorizzato figuro fu il tempestivo arrivo di un ragazzo del
pubblico che la strinse a se con un abbraccio, bloccandola.
“Porto a letto mia sorella!"
“Tavi!!” urlò
lei prima di voltarsi per abbracciare il fratello, prendendolo di sorpresa.
La prima reazione del ragazzo fu di disgusto – qualcuno era
convinto che volesse persino colpirla -, ma si ricompose in fretta, limitandosi
a fulminare con lo sguardo chiunque osasse guardarlo negli suoi occhi.
Raccolse la borsa della ragazza mentre questa, stringendosi
al suo braccio, cominciò a salutare allegramente tutte le persone che
aveva attorno: un atteggiamento che parve dare molto fastidio al ragazzo, che senza perdere altro tempo la tirò su per le scale.
-*-*-
La stanza dei due fratelli era piccola ma accogliente, anche
se in una scura penombra.
Il pavimento in legno cigolava ad ogni passo del ragazzo,
così come fece anche la sedia quando questo ci si sedette di peso: tuttavia
i mobili, per quanto vecchi, erano ancora massicci e ben tenuti.
C’era persino un piccolo caminetto dove scoppiettava un
fuoco che non era più vivo ma che bastava per dare un piacevole tepore alla
camera. Vi era una sola finestra – in quel momento nera come la pece - accanto
all’unico letto della stanza.
Unico letto in cui l’allegra ragazza stava saltando
vivacemente.
Più continuava più sembrava insoddisfatto e nervoso: cercava
qualcosa in particolare, quello era certo, ma qualsiasi cosa fosse sembrava non
essere nel mucchio.
“Tavi, è ora di
andare a dormire!” Disse la ragazza, continuando a saltare sul letto. “Dai, vai a dormire o la mamma si
arrabbia!”
Il ragazzo, ‘Tavi’, con un rapido scatto prese la borsa
vuota e la lanciò contro le gambe della ragazza, facendola cadere.
Lei non sembrò prendersela: continuò a sorridere e strisciò
a terra, ridacchiando per qualcosa che doveva essere solo nella sua testa.
Non fu una mossa saggia: il ragazzo era gia nervoso perchè
non aveva trovato ciò che voleva ed il sentire la risatina della ragazza non
fece altro che irritarlo ancor di più- tanto che prese tutti gli oggetti che si
trovavano sulla tavola e li lanciò uno ad uno contro di lei.
“Io non sono Tavi! Io non sono il tuo maledettissimo fratello! Va bene?! Io – non – sono – tuo – fratello!”
Lei scoppiò a ridere, senza nemmeno tentare di ripararsi
dagli oggetti che lui le scagliava addosso, e quando il ragazzo si ritrovò
senza più niente da lanciare gli sorrise, guardandolo senza fare una piega
mentre questo rovesciava il tavolo a terra in preda alla furia più cieca.
Abbassò lo sguardo, attirata da una pergamena dagli strani
colori: aveva una macchia di inchiostro viola, brillante, mentre nella restante
parte della carta era completamente vuota.
La prese in mano, senza calcolare minimamente il ragazzo
semi-impazzito che strillava e tirava calci alle cose, e l’osservò con calma.
Il viola cominciò a brillare in modo strano, ricordando quasi il luccichio
dell’acqua di fiume quando colpita da dei raggi di sole: allo stesso modo del
sangue quando sgorga da una ferita, l’inchiostro cominciò a colare sulla carta,
tracciando incomprensibili segni il cui senso era, alla ragazza completamente
ignoto.
Rise di nuovo, guardando il risultato finale con aria
soddisfatta.
“Guarda!” esclamò
lei, sventolando il foglio con l’allegria di una bambina che mostra un disegno
alla madre.
Il ragazzo si voltò, pronto a lanciarle contro
qualcos’altro, prima di bloccarsi in estatica contemplazione della mappa. La
rabbia, che fino a poco prima sembrava averlo completamente sopraffatto, si
placò istantaneamente lasciando posto all’interesse: si avvicinò a lei,
osservando con attenzione la pergamena, e impallidì sotto l’abbronzatura.
“Come hai fatto?”
chiese lui, guardandola con sguardo serio.
Lei ridacchiò fra se e se, senza rispondere.
“Sei un’alchimista?”
insistette lui, cercando di indovinare cosa potesse essere successo- Sapeva
che, prima, quella mappa non c’era, e l'unica spiegazione plausibile era che la ragazza avesse fatto qualcosa. “Anche io sono un alchimista.” aggiunse lui, tentando di farla confessare.
Prese uno dei tanti pezzi di carta che erano a terra e lo
mostrò alla ragazza, cercando di convincerla che stava dicendo la verità. “Guarda.”
Il pezzo di carta si ingrandì, divenendo più spesso, e si
trasformò in una piccola sedia di legno. La ragazza batté le mani una contro
l’altra, apparentemente divertita da quella magia.
Il ragazzo sospirò, portandosi una mano alla tempia: a quanto pareva quella non era un alchimista.
“Si può sapere che
diavolo sei tu?” esclamò allora, frustrato.
Lei lo guardò, perplessa, prima di tornare al suo normale
sorriso. “Posso essere un castoro?”
Portò le mani chiuse in pugnetti al petto e mostrò i due
incisivi, in una perfetta imitazione dell’animale: il ragazzo, per tutta
risposta, rimase così tanto spiazzato da non avere nemmeno la forza di
arrabbiarsi.
Chiuse gli occhi, immobilizzandosi per qualche secondo,
prima di riaprirli ed esibirsi in uno sguardo imbronciato.
“Mi chiamo Akram
Guillotine. Mi dispiace per averti mentito, prima, ma in compenso seguirò il
tuo consiglio: andrò a dormire.”
Nel sentirlo dire ciò la ragazza si dimenticò del castoro e, con un grido di gioia, si lanciò al collo del ragazzo, strusciandogli contro la testa.
“Io sono Noriko!
Squit squit! SQUIIIIIT!”
Akram alzò per l’ennesima volta gli
occhi al cielo,
trattenendosi a fatica dall’esprimere quanto realmente lo
disgustasse quel
contatto così ravvicinato con una persona.
Serrò le palpebre, sospirando, mentre tentava
di ignorare la vena che aveva cominciato a pulsare pericolosamente sulla sua fronte.
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Nota d’Autore: Spero
vi piaccia! Non so se il prologo sia davvero all’altezza del resto della
storia. Mi dispiace. E mio Dio, lasciatemi dei commenti! Devo vendere l’anima
al diavolo per sapere se le mie storie piacciono o no?