Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Pontomedusa    19/01/2014    5 recensioni
Airi racconta i suoi giorni da schiava. Tono exploitation, siete avvisati.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aily, Jagger
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Violenza
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La luce argentea della luna

 

Non ero mai stata così felice.

Ancora mi sembrava incredibile che il giorno dopo mi sarei sposata con l'uomo della mia vita. Ero così eccitata che non riuscii a resistere; indossai l'abito da sposa e mi guardai a lungo allo specchio, da tutte le angolazioni, piena di gioia incredula.

Domani sarò sposata, pensavo. Avrei indossato questo vestito stupendo, sarei stata bellissima, James mi avrebbe guardata negli occhi e avrebbe promesso di amarmi per sempre. Poi ci sarebbe stata la festa, e sarebbe stata una festa meravigliosa! E poi la notte...

Arrossii. Negli ultimi tempi, quando ci baciavamo, le mani di James si erano fatte un po' più curiose, ma non eravamo mai andati fino in fondo. Volevo aspettare che fossimo sposati. E domani, finalmente...

Provai un certo brivido lungo il ventre; l'idea mi eccitava e mi faceva un po' paura al tempo stesso. Per smettere di pensarci, andai nell'altra stanza per fare vedere il vestito a mamma e papà.

La mamma quasi si mise a piangere, papà si limitò a sorridere, ma era un sorriso pieno di orgoglio e gioia.

“La mia bambina è proprio bellissima,” disse papà.

“Non è più una bambina, ormai,” rispose la mamma, e mi sorrise.

“Rei riuscirà ad arrivare in tempo per domani, vero?” chiesi. Non potevo sposarmi senza avere il mio fratellone vicino!

“Ne sono sicura, cara. Ha promesso che ci sarà, e Rei mantiene sempre le promesse. Adesso però vai a cambiarti, non vorrai rovinare il vestito prima di domani, no? E poi James ha detto che sarebbe passato a trovarti stasera, e non deve vederti con il vestito fino a domani! Porta sfortuna!”

“D'accordo, mamma.”

E a quel punto, la finestra esplose.

In realtà, me ne resi conto dopo ripensandoci, non esplose affatto; semplicemente la sfondarono buttandoci contro un sasso o qualcosa del genere. Ma io semplicemente sentii un gran botto e vidi vetri che volavano dappertutto.

Non feci in tempo a rendermi conto di quello che era successo, che la casa si riempì di uomini spaventosi.

Alcuni erano entrati dalla finestra rotta, altri dalla porta, che vidi giacere a terra, sfondata. Uno afferrò mia madre, tenendole un braccio contro la gola, altri due presero mio padre, costringendolo a rimanere fermo. Quegli uomini orribili sghignazzavano e guardavano me.

Io ero paralizzata dal terrore. Non è un modo di dire, non riuscivo a muovermi...nemmeno a gridare. Riuscii solo a premermi una mano sul petto, nel tentativo di fermare il cuore, perché stava battendo così forte che credevo sarebbe schizzato fuori.

Uno degli uomini avanzò verso di me. Aveva il volto coperto da una specie di casco e questo, se possibile, lo rendeva ancora più terribile degli altri. Nessuna espressione fa più paura di un'espressione minacciosa.

“Ma guarda cos'abbiamo qui!” disse l'uomo.

Gli altri si limitavano ad assistere alla scena e sghignazzare. Probabilmente, quello doveva essere il capo.

Volevo supplicarlo di lasciarci stare, di andare via, ma non riuscii neanche ad aprire la bocca. Era come se le labbra fossero incollate.

Per fortuna, la mamma ebbe più presenza di spirito di me.

“Vi prego, andatevene,” disse. “Siamo povera gente, ma abbiamo raccolto tanto cibo per la festa di domani...Prendetelo tutto, è vostro. Ma lasciateci stare, per favore.”

L'uomo mascherato non si voltò nemmeno verso di lei. Il casco lasciava intravedere solo gli occhi, e li teneva fissi su di me.

“Ah davvero? E cosa avete da festeggiare, voi bifolchi?”

Nessuno di noi rispose.

“Dico a te, piccola,” e fece un altro passo verso di me. “Cosa succede di bello domani?”

Il suo tono di voce era gentile. Pensai che se gli avessi risposto educatamente, forse avrebbe avuto pietà e ci avrebbe lasciato stare. Comprendetemi, avevo solo quindici anni.

“Do-domani mi sposo, signore.”

“Avete sentito? Domani si sposa!”

Tutti gli uomini scoppiarono a ridere.

“E chi è il fortunato, bella bambina?” mi chiese l'uomo dal volto coperto.

“J-James.”

“Questo James deve essere un vero idiota, se ha una ragazza bella come te e la lascia sola, con due vecchi come protezione. Se tu fossi mia, non ti lascerei andare mai.”

C'era qualcosa di profondamente minaccioso in quelle parole, ma in quel momento ancora non potevo capire bene perché.

E allora, mi venne in mente. James aveva promesso di venirmi a trovare quella sera! La nostra casa era un po' isolata rispetto al resto del villaggio, e le nostre grida difficilmente erano state udite da qualcuno. Ma James sarebbe arrivato, e ci avrebbe salvato! Dovevo solo guadagnare tempo. Ma non sapevo come!

“Io...io non saprei, signore,” riuscii solo a dire.

L'uomo scoppiò a ridere. Per via del casco, la risata uscì cavernosa, lontana e profonda insieme; sembrava la risata di un demone.

“E dimmi, quello che hai addosso è il vestito da sposa?”

“S-Sì.”

“Sei capace di dire una frase senza balbettare...come ti chiami?”

Deglutii, inspirai, raccolsi tutte le energie per dire il mio nome senza esitare.

“Airi.”

“Brava, Airi. Vedo che cominciamo a migliorare.”

Fuori, si sentì un gran trambusto. Poi, altri due uomini della banda entrarono in casa, trascinando il mio povero James.

“Guarda cosa abbiamo trovato qui fuori, capo!”

James si guardava intorno, incredulo e inorridito. Evidentemente, c'erano degli uomini di guardia, e lo avevano preso ancora prima che lui potesse rendersi conto di quello che stava succedendo. Tutte le mie fantasie di essere salvato dal mio eroico cavaliere sfumarono in un istante. James, in mezzo a quegli uomini, sembrava spaventato quasi quanto me, anche se vedevo anche rabbia nella sua espressione.

“Ah, e tu chi sei? Lo sposo novello, scommetto,” disse l'uomo con il casco. “Non lo sai che vedere la fidanzata vestita da sposa prima delle nozze porta sfortuna?”

James non disse niente.

“Dimmi un po', almeno te la sei già scopata, questa bellezza?”

Gli uomini ricominciarono a ridacchiare.

“Andatevene via di qui, maledetti!” disse James in risposta.

“Oh! Ma quanto sei coraggioso!” disse l'uomo. “Scommetto che questo significa no. Be', avevo pensato di ucciderti subito, ma invece ti meriti di goderti lo spettacolo.”

James sbiancò. Non c'era neanche più un briciolo di coraggio, in lui.

“Qua-quale spettacolo?” ebbe la forza di chiedere.

“Io che defloro la tua ragazza,” disse l'uomo.

Ci misi un attimo a capire cosa intendeva. James, invece, comprese subito.

“Non ti azzardare a toccarla, figlio di puttana! Non la toccare!”

Si contorceva come un ossesso, e quasi riuscì a svincolarsi dalla stretta degli uomini che lo tenevano; lo colpirono allo stomaco, poi al viso, finché non si accasciò a terra. Il suo volto, quel volto così bello, era una maschera di sangue. Istintivamente corsi verso di lui, gridando il suo nome, ma l'uomo con la maschera bloccò la mia corsa a metà, stringendomi contro di sé.

“Visto?” disse. “La bambina non vede l'ora di cominciare.”

Gli uomini scoppiarono a ridere. I miei genitori gridavano, anche se non so bene cosa, e anche loro cercavano di liberarsi, ma erano troppo deboli. Non si presero neanche il disturbo di picchiarli.

L'uomo mi prese per i capelli, mi trascinò fino al tavolo e mi ci sbatté sopra. Afferrò il mio bel vestito dalla parte della schiena e tirò, strappandomelo di dosso. Io mi misi a piangere. Sì, ricordo che la prima cosa che provai fu il dolore per il mio abito da sposa rovinato. Poi, la vergogna di essere tutta nuda di fronte ai miei genitori e a James...e a quegli uomini, che si erano messi a fare dei versi orribili, sovrastando le grida dei miei genitori. Non sapevo cosa fosse peggio. Poi, il peggio arrivò davvero.

Sentii un dolore lacerante, e gridai. Gli uomini urlavano, ridevano, fischiavano, sembrava facessero il tifo. Il dolore persisteva, peggiorava. Finalmente, capii che quell'uomo orribile era dentro di me, e si stava muovendo. Non potevo crederci: era così, fare l'amore? Quella cosa orribile? No, certo che no; se fosse stato con James, sarebbe stato diverso. Sarebbe stato bello. Ma con quell'uomo terribile, invece...

Mi faceva male la pancia, come se mi stesse sfondando le viscere. Urlavo e piangevo, imploravo pietà. Cercai di sottrarmi a quel contatto disgustoso e tremendo, ma muoversi aumentava solo il dolore. Alla fine, rimasi immobile, singhiozzando sommessamente, cercando di non pensare a quello che mi stava facendo, di convincermi che non ero io la ragazza sdraiata su quel tavolo.

L'uomo si fermò. Ringraziai il cielo: aveva finito. Adesso se ne sarebbero andati, ci avrebbero lasciati in pace?

Invece disse: “Allora, piccola, non ti diverti più? Già ti annoi? Allora, ci vorrà il trattamento speciale per te. D'altra parte, hai un culo troppo bello per non usarlo.”

Le urla degli uomini si trasformarono in boato. Io non capii cosa volesse dire. Poi, sentii un dolore lancinante, cento volte peggio di quello di prima. Ricominciai a gridare, lo supplicai di smettere.

“Ah, finalmente ti sei ripresa! Così mi piaci!”

Non so quanto durò, mi sembrarono ore. Finalmente, si staccò da me. Rimasi semidistesa sul tavolo, completamente svuotata. Mi vergognavo di rimanere così, ma non avevo neanche la forza di cercare di coprirmi.

“Alzati,” disse l'uomo. Siccome non ubbidivo, mi prese per i capelli e mi tirò su a forza.

Non riuscivo a camminare per il dolore. Sentii qualcosa di viscido fra le cosce, e quando abbassai gli occhi, vidi che era sangue. Stavo sanguinando? Sarei morta?

L'uomo mi strinse contro di sé, per tenermi in piedi. James era ancora a terra e non riusciva neanche a parlare, emetteva solo un gorgoglio e sembrava tendere la mano verso di me. La mamma piangeva disperata, sembrava spezzata in due. Papà gridava che li avrebbe ammazzati.

“Ah sì? Ci ammazzerai, vecchio?” disse uno di quelli che lo tenevano, e rise. Poi, cambiò la presa sul braccio di papà e lo ruotò, finché non si sentì un suono agghiacciante, uno schiocco liquido. Papà gridò. L'uomo mascherato mi girò verso di lui, perché potessi vederlo meglio.

Papà ora era sdraiato sul pavimento. Uno degli uomini aveva una sbarra di ferro, e gliela calò sul ginocchio. Papà urlò di nuovo, fra le risate di quei mostri. Io chiusi gli occhi, ma l'uomo che mi teneva se ne accorse. Mi tirò i capelli.

“Devi guardare,” disse. “O tutti i miei uomini ti daranno una bella ripassata, come ho fatto io. E poi sarà il turno di tua madre.”

E così, guardai. Guardai mentre massacravano mio padre a sprangate, riducendolo a un ammasso di carne e sangue.

A James sbatterono semplicemente la testa contro il pavimento, come gli uomini del villaggio facevano con i conigli. Lo avevo visto una volta sola, e da allora mi ero chiusa in casa ogni volta che bisognava uccidere degli animali. E adesso, invece, lo vidi fare all'uomo che amavo.

La mamma era svenuta. La presero a schiaffi e pugni per farla rinvenire, ma gli occhi rimanevano roteati all'indietro. Evidentemente, questo non li divertiva, perché decisero di farla breve e pugnalarla al cuore.

Aspettavo che uccidessero anche me. Ormai, non mi importava. Invece, successe qualcosa di peggio. L'uomo con la maschera mi caricò in spalla e mi portò via con sé.

 

Da quel giorno, mi sembrò di vivere all'inferno. In realtà, allora non lo sapevo, ma Jagi come padrone non era poi tanto male. Veniva a trovarmi quando mi voleva, faceva tutto quello che gli aggradava, ma per il resto del tempo mi lasciava in pace. Imparai a estraniarmi, a separarmi dal mio corpo quando era con me; rilassando i muscoli, anche il dolore fisico quasi spariva. Tanto, non ero io quella ragazza. Non ero io.

Evidentemente, per Jagi avere una schiava così passiva non doveva essere molto divertente, perché mi vendette quasi subito.

Il mio secondo padrone, il capo di una banda di motociclisti, era peggio. Mi obbligava a dormire con lui, ma non nel suo letto: sul pavimento. A volte si svegliava nel mezzo della notte, svegliava me con un calcio, e mi ordinava di fargli delle cose. Voleva che gli dicessi che mi piaceva, altrimenti mi massacrava di botte. Quasi mai in faccia, perché diceva che se mi avesse rovinato la faccia avrei perso tutto il mio valore. Prediligeva i pugni nello stomaco, e quando mi rannicchiavo in posizione fetale, in un disperato tentativo di proteggermi, attaccava con i calci nella schiena.

Quella non era vita. Dovevo scappare.

Ci provai, una notte. Il padrone dormiva e, semplicemente, sgusciai fuori dalla stanza, dalla casa. Fuori c'era la luna piena; la sua luce argentea mi sembrava il colore della libertà.

I suoi uomini mi ripresero prima che riuscissi a fare un chilometro.

“Devi essere punita,” disse il padrone. “Ti farò passare la voglia di scappare.”

E fu di parola. Mi lasciò ai suoi uomini. Tutti. Per una notte intera.

Sopra e sotto, davanti e dietro, anche due o tre contemporaneamente. Non smettevano mai. Erano tanti, erano giovani: quando l'ultimo aveva finito, il primo era già pronto di nuovo.

All'alba, il padrone venne a riprendermi. Non riuscivo neppure ad alzarmi in piedi, quindi mi trascinò per i capelli fino a una cisterna dell'acqua. Mi lavò con un tubo, uno di quelli che usano i contadini per innaffiare i campi, perché, disse, “Io le mani in tutta quella porcheria che avete lasciato, ragazzi, non ce le metto.” Poi, mi violentò anche lui.

Non provai mai più a scappare, da allora. Ma non potevo sopportare quella vita. Così, decisi di uccidermi. L'idea di ricongiungermi al mio James, alla mamma, al mio caro papà, mi sembrava la cosa migliore che potessi desiderare. Mi dava sollievo. Così, un giorno, rubai un liquido che tenevano nel capanno delle motociclette. Lo portai fuori, perché volevo morire alla luce della luna, il colore argenteo della libertà. Presto, sarei stata libera.

Cercai di bere il liquido tutto di un fiato, ma scoprii che era impossibile. Aveva un gusto amaro, disgustoso. Lo stomaco mi si contrasse immediatamente, con spasmi lancinanti. Vomitai, e mi sembrava che tutto prendesse fuoco, lo stomaco, la gola, la bocca.

Poi, non ricordo più niente. So solo che a un certo punto mi svegliai. Aprii gli occhi e non vidi nulla. Pensai che forse è così essere morti. Non vedi e non senti più niente. Ma in realtà sentivo. Sentivo il freddo e duro pavimento sotto la mia schiena, e sentii anche il calcio del mio padrone nel fianco mentre mi diceva: “Razza di idiota! Sei di mia proprietà! Se fossi morta, avrei perso un sacco di cibo! Cagna imbecille!”

Allora, capii che ero diventata cieca. Il padrone mi vendette poco dopo quell'episodio, ma penso fosse arrabbiato per il tentativo di suicidio, non per la cecità. A quanto pare, una schiava cieca vale quanto una che ci vede, anzi: forse, di più. Non può scappare, non può fare nulla da sola, può giusto stare sdraiata in un letto o bocconi su un pavimento, a farsi seviziare. È perfetta.

 

Da allora, ho cambiato molti padroni. Ormai per me sono tutti uguali, a maggior ragione perché non posso vedere la loro faccia; è meglio così.

È meglio così. Non dovrò mai più vedere un uomo ucciso come un coniglio, una donna anziana massacrata di schiaffi e pugni perché vedere lo stupro di sua figlia le ha spezzato il cuore. Da oggi in poi, vedrò solo la luce della luna, il colore argenteo della libertà. Per sempre.

 

 

Author's corner: thanks to Pointytilly for suggesting a possible way to get blind during a botched suicide attempt. I promise I'll translate this fic in English asap.

 

 

 
   
 
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