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Autore: Wave__    20/01/2014    1 recensioni
Janelle Ravenwood, 17 anni, popolare e con una migliore amica che per lei è tutto. Janelle ha sempre avuto tutto nella vita, non s'è mai lamentata. L'unico suo difetto? Nascondere la reale sè stessa.
La sua vita improvvisamente cambia, quando entra a contatto con Ryan Brexton, un ragazzo al quanto misterioso che lavora nella scuola come sostituto dell'allenatore della squadra di football.
Janelle ne resta incantata, eppure qualcosa di ancora più grave sta per abbattersi su di lei.
Tutto inizia con un incubo, che ogni notte non le lascia scampo.
Un incubo con un orrore ben più profondo, con una realtà ancora più spaventosa.
..E' questo quello che accade quando si diventa l'ossessione di qualcosa con un'anima più oscura della notte stessa.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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LE COSE SONO DESTINATE A CAMBIARE - CAPITOLO 8
 
La fine di ottobre si avvicinava sempre di più; più di un mese e mezzo era passato da quando Alex era tornato in città, quel giorno di metà settembre. Tra noi due le cose sembravano andar meglio, anche se ero consapevole del fatto che ci sarebbe voluto del tempo, prima che tutto tornasse alla normalità. Non m’importava.
Insieme avremmo superato anche questa. Avremmo scalato le montagne, scavalcato valanghe di fuoco bruciante sempre tenendoci per mano. Insieme eravamo imbattibili. Potevamo superare tutto. Era sempre stato così tra me ed Alex, e sempre lo sarebbe stato. Per lo meno ci speravo.
Sentire nuovamente in calore del mio migliore amico al mio fianco era inebriante, come il miglior profumo sul mercato.
Da quella giornata, erano successi svariati avvenimenti.
In città vennero registrati ritrovamenti di corpi senza vita, senza una reale causa scientifica che ne spiegasse le morti. Unico dettaglio? Dissanguamento.
Ma com’era possibile che un corpo si dissanguasse così, dal nulla? Com’era possibile che in un mese e mezzo, ben cinque corpi –indifferentemente se uomini o donne- erano stati trovati tutti con quell’unica caratteristica in comune?
..E com’era possibile che altri, venivano trovati in stato di shock, confusionario, senza saper raccontare o spiegare agli agenti di polizia, che cosa fosse accaduto loro?
Non dovevo pensarci, se ci avessi pensato, sarebbe stato peggio che mai.
Non era comunque l’unica sorta di novità.
La scuola pullulava di nuovi arrivati, stranamente.
Non mi era mai capitato di assistere ad un “invasione” scolastica di quel tipo.
Capivo gli studenti del primo, che facevano il cambio di scuola, passando da quella inferiore a quella superiore, ma una cosa del genere, non era mai successa.
Non con studenti del quarto o del quinto anno.
Avevo saputo che c’era un nuovo capitano nella squadra di football, Adam Parker, mentre una certa Victoria Parker –sicuramente la sorella di Adam- era divenuto il nuovo capitano della squadra di cheerleader. Ed io che ero fermamente convinta che sarebbe stata Charlotte a diventarlo, dopo tutti quegli anni. Sbagliavo.
Non l’avevo mai vista questa ragazza, ma tutti la descrivevano come una bionda con un fisico da paura, amica di tutti.
Come si faceva ad essere “amica di tutti”? Esistevano poche persone vere nella vita, il resto erano solamente conoscenti.. O persone che volevano semplicemente il tuo male. C’era un detto che diceva: “conosci i tuoi nemici e non scordare mai i loro nomi.”
Io rientravo nella categoria delle persone che non dimenticava mai nulla.
Soprattutto i torti subiti. Come quelli che mi aveva fatto Amanda e che continuava a farmi. Tutto tornava poi sempre a lei. Colei che andava in giro a dire che io fossi una poco di buono, solamente per il fatto d’uscire con differenti ragazzi.
Come se andassi a letto con tutti loro. Per sua informazione ero ancora vergine.
Di certo lei pensava tutto il contrario ma, sinceramente, la sua opinione per me contava ben poco. Solo io sapevo come stavano veramente le cose.
Era qualcosa di più forte di me, maledizione. Anche solamente pensarla mi faceva innervosire. Non poteva cambiare scuola, o città, o semplicemente tornarsene da dov’era arrivata?
Ed eccola lì, nel corridoio. Perfetto. Adesso quando la pensavo me la ritrovavo anche davanti. Da male in peggio, insomma.
Volevo ignorarla, non volevo fare nulla. Niente di niente, eppure era come una calamita per il mio sfogo personale.
Ciò che vidi, mi lasciò di stucco. Amanda con affianco una ragazza. La squadrai dalla testa ai piedi.
Si, la stessa ragazza che l’aveva aiutata ad alzarsi quel famoso giorno in corridoio.
Lei vestita, truccata e con i capelli acconciati alla perfezione, mentre Amanda.. Bhè, non c’era molto da dire. Era la solita Amanda.
Aveva un’amica? Seriamente? Quello si che mi fece restare di stucco, non poco.
 
Decisi di fingere. Volevo sapere che cos’avessero in comune quelle due.
«Amaaaanda!» la chiamai appena si fu avvicinata al suo armadietto, trascinando la seconda vocale. Sia lei che l’altra ragazza –di cui non sapevo il nome, non ancora per lo meno-, si voltarono a guardarmi. Non mi rispose. Stava usando l’arma dell’indifferenza totale, come ormai faceva da anni, anche se c’era d’ammettere che non sempre funzionava. In modo neutrale afferrò il libro di astronomia dall’armadietto, richiudendolo poco dopo.
«Anche tu astronomia?», domandai, rigirandomi una ciocca di capelli su un dito.
«Ciao anche a te, Ever. E comunque si, frequento astronomia.»
Non mi diede il tempo di rispondere, che si voltò, riprendendo a camminare verso la sua aula.
Non sarebbe finita così presto, proprio no. Le feci un sorriso sghembo, afferrandola per un braccio, senza farle male, obbligandola a fermarsi e guardarmi.
«Io cerco di fare conversazione con te e tu mi dici solo.. ciao?» alzai le spalle, così insistetti.
Non l’avevo neanche programmata. Era uscita totalmente naturale, ma con lei era così semplice, che quasi mi stupivo. Mi appoggiai all’armadietto, piegando la gamba e appoggiandoci il tacco.
«Per la prima volta in vita mia vengo a parlare con te in pace e tu mi tratti così.», le feci un’espressione triste, arricciando all’ingiù le labbra.
«Tu vuoi parlare con me in pace?»
Il suo tono retorico, quasi sarcastico e forse anche beffardo. Voleva prendersi gioco di me? Sicuramente.
«Andiamo Ever, ti conosco abbastanza bene per capire che non è affatto così. Se vuoi far conversazione, rivolgiti ai tuoi amichetti. Perché sai com’è, preferisco essere me stessa e non avere amici, piuttosto ch’essere una piccola mocciosa che si crede Miss Universo.»
Come mi aveva chiamata?! Quelle erano le cose che mi mandavano il sangue al cervello. Quelle erano le cose che mi facevano infuriare non poco.
Decisi di essere ragionevole e mantenere la calma, almeno per una volta. Dovevo farlo, per forza. Per me stessa, soprattutto. Mi ero ripromessa che sarei cambiata, dopo l’incontro con Alex. Ce la stavo mettendo davvero tutta, per lasciare quel rancore, il mio modo di fare superficiale e quant’altro da parte.
..Ma Amanda.. Lei tirava fuori il peggio di me. Com’era possibile che una persona potesse farmi diventare così isterica, farmi cambiare comportamento in men che non si dica? Le toccai i capelli, prendendole una ciocca di capelli tra le dita, attorcigliandola.
«Dio santo, che doppie punte! Da quanto tempo è che non vai dal parrucchiere? Lo sai che esiste e che è ora di darci una tagliata?» senza volerlo l’avevo detto a voce troppo alta. Chi passava li vicino era scoppiato a ridere.
Non mi ero resa conto che il corridoio di fosse riempito così tanto e, ormai, la conversazione era diventata di dominio pubblico, ancora una volta.
Umiliazione pubblica numero uno dell’anno. Uno per me, zero per lei. Come sempre.
«Non sono affari tuoi. Lo sai, vero?» mi rispose, mantenendo un tono di voce decisamente normale. Non lo alzò e non lo abbassò. Semplicemente neutrale.
Non diedi importanza alla sua voce, era come una mosca. Pensandoci bene, se fosse sparita, poi con chi mi sarei potuta divertire?
Da questo punto di vista era meglio che lei restasse in quel luogo.
«Smettetela. Tutte e due. State facendo la figura delle stupide, per l’ennesima volta.»
Una voce differente, parole sussurrate tra i denti.
Il mio viso si voltò di scatto sulla bionda che stava al fianco di Amanda, fulminandola. Perché s’intrometteva? Non sapeva farsi i fatti suoi?
«E tu chi sei? Nessuno ti ha chiesto nulla.»
Domandai squadrandola dalla testa ai piedi, alzando un sopracciglio, lasciando andare la ciocca di capelli che ancora tenevo tra le dita.
Il mio essere acida con Mandy, si era rivoltato contro di lei, che non c’entrava assolutamente nulla. La ragazza fece un sorriso, passando sopra al tono della mia voce. Lo ignorò.
«Holly Allen. Sono da poco in città.»
Mi allungò la mano, aspettando che io la stringessi, cosa che feci poco dopo, avendo inizialmente tentennato. Annuii, accennandole un sorriso.
«Janelle Ravenwood. Spero che ti troverai bene, nella nostra cittadina e che..»
La mia frase s’interruppe a metà.
«Ever!»
Charlie. La sua voce era inconfondibile. Mi voltai, facendole un rapido sorriso, vedendola avvicinarsi.
«Dov’è Stephanie?», domandai, non curante delle due ragazze di fronte a me. Mi fece capire con una sola occhiata, che ne avremmo parlato in sede a parte.
«Io e te ci siamo già conosciute. Nell’ora di fisica. Sei.. Holly, esatto?»
Si sorrisero, mentre io spostai l’attenzione, ancora una volta aggiungerei, su Mandy.
Le indicai il libro, posandoci sopra un dito, picchiettandolo. La sentii sospirare pesantemente, afflitta.
La mia mano andò a posarsi sulla sua spalla.
«Dai, non fare quella faccia. Sono solamente due ore in più la settimana. Che vuoi farci? Ricordati che non avremo solo astronomia insieme. Avremo anche matematica, spagnolo, inglese e letteratura. Te lo ricordo, così ti prepari psicologicamente per l’anno che ti aspetta.»
A quelle parole Holly e Charlotte, che si erano messe a chiacchierare, riportarono la loro attenzione su di me che, a voce decisamente bassa, avevo parlato con lei.
«Janelle, lasciala in pace. Smettila con questi giochetti da bambina stupida. Vi mettete a tavolino e risolvete i vostri contrasti, okay? Non fate altro che umiliarvi a vicenda, in questa maniera.»
Alzai un sopracciglio. Che avesse potuto avere ragione? Quella ragazza ci vedeva lungo, davvero tanto.
«Ev, andiamo. Faremo tardi alla lezione, altrimenti.»
«Si, sarà meglio..»
Venni fermata, però, dalla mano di Holly, che andò a stringersi sul mio polso.
«Janelle, quando puoi, possiamo parlare. Ho una cosa da dirti.»
Che diamine voleva? Non la conoscevo neppure. Restai imbambolata a fissarla, aggrottando poi le sopracciglia.
«Si, okay..»
Strattonai il braccio che mi aveva bloccato, facendo in modo che lasciasse la presa. Charlie era rimasta a fissarci, stupita anche lei, senza aggiungere altro.
Voltai le spalle, senza neanche salutare. Stavo ancora cercando di elaborare quello che era appena successo.
 
La lezione di astronomia finalmente finì e, dopo un’ora che avevo riempito di occhiatacce Amanda e dopo aver cercato di contenere i miei bollenti spiriti per sessanta interminabili minuti grazie anche all’aiuto di Charlotte che costantemente mi sussurrava di mantenere la calma, uscii dall’aula come un tornado, senza neanche aspettare la mia migliore amica. Non avevo tempo, dovevo fare una cosa.
Mi diressi verso la palestra, cercando di ricompormi come meglio potevo.
Era tempo che ci pensavo, ne avevo passato davvero tanto a rimuginarci sopra, prima di compiere quel passo e mettere nuovamente piede nella struttura.
Volevo ricominciare a praticare cheerleading, quella passione che mi aveva sempre attraversato il cuore, che mi aveva sempre fatta sentire viva e che per me era vita, ossigeno. Era circa un anno, che non svolgevo neanche un allenamento, non dopo quella brutta caduta che mi aveva messo fuori uso il ginocchio destro, rendendomi impossibile svolgere quello sport. 
Non dovevo pensarci troppo, se lo avessi fatto, sicuramente me ne sarei andata, avrei perso quel coraggio che avevo in quel momento.
Aprii la porta di scatto, facendola sbattere talmente forte che tutti quelli che erano in palestra si voltarono a guardarmi. Tutti ragazzi.
Che figura di merda, avevo sbagliato giorno. Quelle non erano le ragazze di cheerleading, era la squadra di football al completo.
Mi bloccai sulla soglia, senza muovere un muscolo. Un ragazzo, dai capelli scuri, che non dimostrava di certo la nostra età, diede un calcio alla palla, forse con un po’ troppa forza, a parare mio, che andò a colpire in pieno un ragazzo che si era fermato ad osservarmi.
«Svegliati!» gli urlò sorridendo una frazione di secondi, battendo le mani per poi lasciare il campo ed avvicinarsi a me.
Respirai profondamente, avvicinandomi a lui, ad occhi bassi.
Perché mi sentivo in soggezione? Perché mi sentivo così fuori luogo e una parte di me urlava di andarmene subito?
«Hey, son certa di aver sbagliato giorno, ma stavo cercando la signorina Colte. Per caso sai se è da queste parti?» gli domandai, accennando un sorriso, osservandolo un istante, distogliendo ancora una volta gli occhi da lui.
«No, mi dispiace. Non la conosco. Sono semplicemente il sostituto del coach di football.»
Dio santo, la sua voce quanto era fredda, ma al tempo stesso totalmente attraente.
Alt! Da dove arrivavano quei pensieri?
Alzai gli occhi, lentamente, quasi in imbarazzo. Si, lo ero sicuramente.
I miei incrociarono, per la prima volta, i suoi azzurro ghiaccio, un azzurro che non avevo mai visto negli occhi di nessun altro.
M’incantai, imbambolandomi ad osservarli.
Erano bellissimi. E poi.. Poi risaltavano, contrastando lo scuro dei suoi capelli.
Sentii il cuore fare uno sbalzo. Mi guardai le mani senza sapere che dire, riscuotendomi poco dopo.
«Allora tolgo il disturbo. Magari è fuori, posso cercarla da sola.»
Lo vidi scuotere la testa.
«Oggi le cheerleader non ci sono. Non si sono viste. Forse hanno cambiato giorno d’allenamento.»
«Probabile. M’informerò, comunque e.. Grazie. Scusami ancora per l’interruzione, vi lascio al vostro allenamento.»
Feci un breve cenno del capo, tirando un sorriso sulle labbra.
Perché mi sentivo così in soggezione? Perché mi sentivo come se quegli occhi mi stessero trapassando da parte a parte, leggendomi come un libro aperto?
Odiavo quella sensazione, odiavo sentirmi vulnerabile. Io non lo ero mai e quella “cosa” che mi attanagliava le viscere così dal nulla, mi piaceva men che meno.
Dovevo andar via, si, era la cosa migliore da fare.
Dovevo levarmi quegli occhi dalla testa. Che poi, perché continuavo a focalizzarmi su quelli? Perché continuavano a rigirarmi nella mente? Gli avevo osservati solamente per una frazione di secondo eppure.. Eppure non sapevo descrivere la sensazione che essi mi avevano provocato.
Stavo per voltarmi, per allontanarmi da lì, quando la sua voce mi bloccò.
«Sei una cheerleader, vero Janelle?»
Mi gelai. Un attimo, io non gli avevo detto come mi chiamassi.
Non avevo fatto accenno al fatto che fossi una cheerleader, né tanto meno a come mi chiamassi. Come lo sapeva, se era semplicemente il supplente del coach?
«Come lo sai?», domandai, questa volta fissandolo seriamente, incrociando le braccia al petto.
«Sapere che cosa?»
Freddezza. Allucinante. Non ne avevo mai sentita così tanta in una sola voce.
«Il mio nome. Come lo sai?»
Lo vidi indicare un punto dietro di me, senza parlare. Mi voltai, osservando una mia foto, vestita com’era di consuetudine nella squadra, con tanto di nome sotto.
Sospirai, ricordando i vecchi tempi. Il modo in cui quello sport mi faceva sentire.
«Se uscissimo da qua? Questo posto mi fa sentire.. Non lo so, strana. Non mi piace la sensazione. O forse si..»
..E se fossi tu, a farmi sentire in questo fottuto modo? E se fossero i tuoi occhi, con il tuo fottuto modo di fissarmi? Dovevo smetterla con tutti quei pensieri, totalmente. Annuì, seguendomi all’esterno, seppur titubante.
Il parco esterno alla palestra era corto, appena tagliato. Il sole picchiava leggermente, anche se il primo freddo stava iniziando a calare. Era quasi finito ottobre, ormai.
Mancava poco all’inizio di novembre. Mi lasciai ricadere all’ombra di un albero, posando il mio palmo sull’erba umidiccia. Mi piaceva quella sensazione sotto le dita.
Alzai lo sguardo su di lui che, ancora una volta, tentennò, optando alla fine per restare in piedi, appoggiandosi con la schiena al tronco.
Allungai una mano verso di lui, alzando lo sguardo. Nuovamente questi occhi.. Che andarono a puntarsi sulle mie dita, che si erano distese in sua direzione.
La strinse, rapidamente, lasciandola andare una frazione di secondo dopo, come se quel contatto gli costasse fatica.
«Janelle. Chiamami Ever, comunque.»
«Ryan Brexton.»
Una risposta semplice. Nome e cognome. Un tono secco, gelido.
Diamine, ma che aveva quel ragazzo?
Se non voleva seguirmi all’esterno, avrebbe potuto dirmi semplicemente di no, che aveva altro da fare.
Nonostante tutto quello che mi si smuoveva dentro, a causa di un semplicissimo sguardo e tralasciando la sensazione d’essere osservata che provavo..
Che cosa dovevo dire? Perfetto. Avevo perfino dimenticato la frase.
Non mi ero resa conto d’essermi incantata a fissarlo. I miei occhi nei suoi. Lui non diceva niente, semplicemente mi guardava.
Mi riscossi, voltandomi successivamente di scatto, abbassando lo sguardo a terra.
Mi sentivo in imbarazzo, come non lo ero mai stata prima d’allora.
Ma che cazzo mi prendeva? Avevo preso per caso una botta in testa, e non me lo ricordavo? Dovevo respirare e soprattutto schivare il suo sguardo costante addossato alla mia figura.
«Scusami.» bofonchiai, poco dopo, riferendomi al mio atteggiamento precedente. Non ero una persona che si imbambolava ad osservarne altre. Men che meno un ragazzo e, se lo facevo, usavo un minimo di discrezione.
«Perché dovresti scusarti?»
Ecco la sua voce tagliente rompere il silenzio che era andato a crearsi. Ed ora? Che cosa avrei risposto? Dovevo mantenere il controllo, così come avevo sempre fatto, come facevo sempre.
«Io.. Niente. Lascia perdere.»
Mi alzai da terra, decisa a schiodare da quel posto. In fretta.
Mi voltai troppo rapidamente e, inavvertitamente, gli sfiorai la mano, senza volerlo, sentendo un brivido percorrermi la schiena.  Ryan s’irrigidì al mio fianco, fissandomi un istante. Potei giurare di averlo visto smettere di respirare un istante, scostando subito la mano a quel contatto, ritraendosi.
Ero nervosa, nervosa come non mai. Continuavo a rigirarmi sul dito una ciocca di capelli, tormentandomela.
«E’ meglio che io vada.»
Cinque parole gelide. Non una di più, non una in meno.
«Si, io.. Si, vado anch’io e.. Ryan..»
Non feci in tempo a concludere la frase, che nuovamente la sua voce proruppe.
«E’ meglio che tu mi stia lontana.»
Non ebbi il tempo di elaborare, di rispondere.
Restai lì, immobile, totalmente sbigottita.
Non sapevo cosa pensare, niente di niente.
Non avevo detto nulla, non avevo accennato minimamente al fatto se ci fossimo rivisti, ma.. L’avevo pensato.
Erano quelle le parole successive che stavano per uscire dalle mie labbra, successive al suo nome.
Che quella fosse la risposta alla mia domanda inespressa?
Scossi la testa. Dovevo smetterla, stavo diventando paranoica.
Ryan sparì, voltando l’angolo, senza guardarsi indietro, le mani in tasca.
Rimasi ferma sotto l’ombra dell’albero, senza capacitarmi di quello che era appena successo. Che cos’era realmente successo, alla fine? 
  
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