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Autore: AlfiaH    20/01/2014    1 recensioni
Raccolta di crack pairing, anche su richiesta.
Le fanfiction possono variare da one shot a flash fic.
READING VARIABILE.
1) NEDNOR NetherlandsXNorway
2)PRULIET PrussiaXLithuania
3) FRAUS FranceXAustria
4) GERMERICA GermanyXAmerica
5) GERFRA GermanyXFrance
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Lituania/Toris Lorinaitis, Norvegia, Paesi Bassi, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TitoloOur Pride
PairPruLiet/PrussiaXLituania
Reading: Giallo
Fic: Oneshot




Le fiamme scoppiettavano, rosse e gialle, si abbassavano, ardevano il legno e crepitavano sotto il tocco del ferro scuro e caldo, tornavano verso l’alto, allora, minacciate dalla piccola figura, smunta e pallida, rannicchiata su se stessa, le ginocchia al petto e il braccio proteso verso il camino.
Più di una volta aveva pensato di chiudere gli occhi e di abbandonarsi al dolce tepore di quel fuocherello, più di una volta era stato costretto a scartare l’idea; era rimasto vigile, con le palpebre pesanti che si adagiavano, trascinate dal calore, e si spalancavano subito dopo, come in preda a degli spasmi, allarmate da brividi del terrore più puro.
Quel bambino, che ora lasciava cadere il pesante ferro tra le fiamme e ora, frenetico, lo raccoglieva, aveva rappresentato, e da tempo non rappresentava più, l’ultimo baluardo di speranza e di innocenza di quella famiglia, grande e maledetta.
Solo il lampeggiare del camino e il battere incessante del coltello sul tagliere sembravano cosa umana in quella stanza.
Persino Yekaterina aveva rinunciato alla pietà e alla compassione, e ora se ne stava in silenzio e con la schiena curva, dei ferri e della lana tra le mani callose, gli occhi lucidi e rassegnati.
Non piangeva.
Anch’ella, col tempo, aveva imparato a non vedere, a non sentire, a mettere da parte l’umanità materna che, anni addietro, aveva salvato molte vite e confortate molte anime.
Non osava alzare lo sguardo, seduta sulla sua seggiola, verso l’estone che preparava la cena con mano tremante, né lo abbassava, tutt’altro, timorosa di incontrare quello della sorella minore, seduta ai suoi piedi.
Li sentiva, quegli occhi, li sentiva su di sé, le penetravano le ossa, la mettevano alla prova, parlavano.
“Se parli, lo dirò al fratellone”, dicevano. Yekaterina li ascoltava e le sembrava di impazzire.
 
« Was zum Teufel…* »
 
Dei passi si fecero pesanti sulle scale, feroci, arrabbiati.  A Natalia venne da sorridere.
Ad Ivan non piaceva che si parlasse tedesco in casa sua, a Natalia non piaceva Gilbert.
Il suo egocentrismo fuori luogo, la sua risata soffocata, il suo ghigno provocante.
La predilezione di Ivan nei suoi confronti.
Sperava e contava di liberarsene presto, in un modo o nell’altro, che, anzi, fosse il fratello stesso a liberarsene, a reputarlo insopportabile. Dopotutto il prussiano sembrava davvero deciso a collaborare al’intento, con la sua arroganza e la sua presunzione.
 
 
« Si può sapere chi è l’idiota che osa interrompere il mio sonnellino di bellezza? Di chi sono queste urla? Scommetto che è tutta colpa di quel ciccione di un nasone bastardo » .
 
Le sue domande si infransero, inevitabilmente, contro un muro fatto di omertà; non ebbero alcuna risposta.
Né uno sguardo né una parola per la sua persona.
Bisognava compatire il nuovo arrivato, lui ancora non conosceva le regole.
 
La prima cosa che aveva pensato Prussia, subito dopo “che puzza di russo”, entrando il quella casa, fu “questo è il regno dei matti”. E, benché fosse passato qualche giorno e Lituania gli avesse, a malincuore, dato qualche dritta, ne era ancora fermamente convinto, non tanto per i tre poveri sguatteri quanto per quell’accoppiata vincente di fratello e sorella, il russo e la bielorussa, uno più pazzo dell’altra.
Pazzi, pazzi per davvero.
Pazzi ed irrispettosi, in verità, soprattutto nei suoi confronti.
 
Il piccolo Lettonia era rimasto accucciato accanto al fuoco, Estonia ormai aveva tagliato tutte le carote della cantina, Ucraina non ricordava più a cosa stesse lavorando, se ad una sciarpa o ad un pigiama.
Bielorussia finse di non notare la sua presenza per principio.
 
Altre grida attraversarono i corridoi, Gilbert trasalì nel riconoscere la voce dell’amico, o ciò che erano diventati in quei pochi giorni di convivenza, che mancava al felice, o pressappoco, quadretto familiare insieme al russo.
 
L’albino non era un moralista, certo che no, né un maniaco della giustizia, tutt’altro. Era stato il primo, in realtà, a cominciare con i massacri e con le urla e non aveva più grande ambizione di terminare la sua vita con quest’ultimi, grande e potente come mai.
Egli stesso aveva ucciso e trucidato e mai, mai aveva trovato alcunché di disonorevole nel farlo.
Farlo avrebbe significato ammettere di aver sbagliato e il magnifico Prussia non sbagliava mai.
 
Eppure qualcosa si mosse dentro di sé, qualcosa lo fece scattare, che scambiò o preferì camuffare con il semplice egoismo, la paura di perdere l’unico appiglio, l’unica possibilità di comprensione.
Perché Toris poteva capirlo, poteva aiutarlo, malgrado non avesse mai ammesso di averne bisogno.
Toris sapeva cosa comportava vivere in quella casa, più di chiunque altro; cosa significava essere considerato un giocattolo, un mero passatempo di un pazzo.
 
Fu per questo ed unicamente per questo, si convinse Gilbert, che si precipitò di nuovo lungo il corridoio, che scavalcò le scale con un balzo, che seguì il dolore fino a trovarne l’artefice.
Quando spalancò la porta, il puzzo di sangue gli divenne insopportabile.
 
Il lituano era girato di schiena, completamente nudo, coperto di rosso; tremava. Senza orgoglio, senza dignità, piangeva. Implorava.
 
Non fu orrore né pietà che fece arretrare l’albino.
Fu la più mera paura ciò che vibrò nelle sue vene. Di essere ridotto in quello stesso stato, di non avere la forza per sopportarlo.
 
« Che c’è, coniglietto? Sei geloso? » chiese il russo, avvicinandoglisi, la frusta insanguinata ancora sgocciolante,  ma la sua mano venne scacciata con un ringhio, con rabbia.
Sollevò lo sguardo, il prussiano, fiero come sempre, scacciando quell’idea malata dalla mente, e lo superò con irriverenza. Si sfilò la giacca, la poggiò sulle spalle del lituano in ginocchio, il capo chino e umido.
 
« Grazie, Prussia… »
 
E mentre lo aiutava ad alzarsi, sotto lo sguardo perplesso del padrone di casa, Gilbert capì.
 
Capì l’immane differenza che c’era tra lui e Toris, tra lui e quella famiglia di matti.
Capì che per ogni volta che lui avrebbe lottato, loro si sarebbero sottomessi, irrimediabilmente.
Capì che alla fine, nonostante tutto, lui sarebbe morto, Toris se ne sarebbe andato.
Allora avrebbe fatto da appiglio, da speranza a tutti loro, stolti e privi di orgoglio.
*Gli avrebbe insegnato a lottare.
 

 *"ma che diavolo" in tedesco
*"Gli" è riferito a Toris, non è un errore involontario.


#Angolo della disperazione
che dire? Mi dispiace di averci impiegato così tanto per questo capitolo,
purtroppo la scuola è davvero una gran rottura e gli amici anche /vi voglio bene u.u/.
Spero che questa storia ti sia piaciuta, Princess, e mi scuso in caso contrario.
Mi sembrava carino mettere in luce questo aspetto di Toris e Gilbert che rispettivamente combacia ed entra in contrasto con gli altri personaggi.
Mi scuso ancora per il ritardo e per la poca originalità ;A;
Se qualcuno ha da richiedere qualche crack, lo faccia pure!
Un biscotto a chi recensirà,
AlfiaH <3
  
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