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Autore: chilometri    21/01/2014    1 recensioni
[...] E ti prego baciami di fronte a tutti salvami Ian
salvami

Pensa.
“Ti porto in un posto.”
Dice.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome: Half a boyfriend.
Rating: Giallo.
Disclaimer: Ian Gallagher e Mickey Milkovich non mi appartengono in nessun modo - purtroppo - , come tutti gli altri personaggi/cantanti qui citati/linkati. La storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Conteggio parole: 6.153
Avvertimenti: Slash, Angst, Drammatico.
 
 

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Half a boyfriend.

 
 
 
 
 
 
“I will destroy you in the most beautiful way possible and
when I leave
you will finally understand, why storms are named after
people.”
 
 
*
 
 
Mickey respira con affanno, su un letto matrimoniale che gli sta troppo stretto e Svetlana al suo fianco che gli sta dicendo qualcosa.
Stronzate, come tutte quelle che sente dire da ormai mesi.
Chiude gli occhi e acchiappa tutta l'aria che ha attorno a sé, senza sapere se la ragione dei suoi polmoni che ne incanalano poca sia effettivamente il sesso, o la sua vita che è tanto che non lo soddisfa più; Mickey si trova costretto ad optare per la seconda opzione, mentre si alza dal letto e afferra dal comodino impolverato un pacchetto di sigarette.
Ne caccia una fuori, “Vuoi?” chiede alla donna ancora nuda, che annuisce e gli sorride.
Mickey non capisce cosa ci sia di così divertente in tutta quella situazione: è sposata con un uomo che non la ama, è incinta e fa la puttana.
Nel vero senso della parola.
Mickey non la tratta male, a parte il suo linguaggio e il non ascoltarla mai e il bere troppe volte, lui ci tiene al bambino che c'è nella sua pancia. Non troppo, è ovvio, ma non è uno stronzo come suo padre e non lo sarà mai, quindi cerca di limitare i danni, ovviamente stando a quello che il carattere gli permette.
Infondo, Mickey è fatto così: ha la barba scura che gli incornicia il volto, nera come le sue occhiaie, un contrasto netto con i cerchi rossi intorno agli occhi, la pelle macchiata d'inchiostro e le mani macchiate di sangue.
Il letto scricchiola non appena si alza, afferra i pantaloni dal pavimento e se li infila con una fretta che ormai gli si è attaccata addosso, a furia di correre dagli sbirri, dagli spacciatori che non hanno mai avuto un soldo da lui, da Ian.
Mickey si ferma per un secondo, la testa che gli gira un po' perché ancora reduce di una sbronzata avvenuta qualche ora prima, e guarda fuori dalla finestra.
C'è solo buio, il vento smuove piano gli alberi e il lampione di fronte alla sua casa si spegne ed accende.
Scuote la testa, impreca e fa scendere sul suo busto anche la maglia, il respiro di Svetlana si è, oramai, regolarizzato e a lui non può che far piacere perché adesso potrà uscire di lì e fumarsi tutte le cazzo di sigarette che vuole, senza sentire Mandy che gli da della fichetta, suo padre che gli chiede del bambino - come se gli importasse sul serio, come se Mickey non sapesse che ogni è volta che va via da casa, non approfitta del corpo di sua moglie -, si sente sollevato solo quando non c'è nessuno a respirargli sul collo, che sia nel senso letterale o metaforico.
Mickey apre la porta principale e una folata di vento freddo gli investe la faccia, trova difficoltà ad azionare l'accendino ma dopo svariati tentativi, e decisamente troppi “porca troia”, la sigaretta inizia a bruciare e quando inspira, si sente già meglio.
Strascica i piedi sul legno e si siede sulle scale, spalle alla ringhiera e le gambe stese sui gradini, la cenere a sporcargli i pantaloni, le foglie a sollevarsi intorno a lui e i pensieri a vorticargli tra la testa.
Mickey sta pensando ad Ian, e non ci può credere.
Non vuole crederci, per essere precisi.
Sono esattamente quattro i mesi che sono passati da quando lui se n'è andato, lasciandolo da solo proprio nel momento meno opportuno.
Quattro mesi che non vede i suoi occhi, quattro mesi che non sente quelle sensazioni del cazzo che solo le sue mani sul suo corpo gli provocavano, quattro mesi che Mickey finge che tutto va bene, quando in realtà, non c'è una sola cosa che non gli si stia sgretolando davanti agli occhi.
Lui, pensa mentre uno sbuffo di fumo lascia la sua bocca, però, è troppo orgoglioso per ammetterlo.
Ian, comunque, è troppo preso dall'idea del diventare un Ufficiale, che non gli ha mai lasciato un messaggio.
Loro, in ogni caso, non avrebbero fatto una buona fine a prescindere dalle loro scelte di vita.
Perché Mickey lo sa, e lo sa bene e ci rimugina tutte le notti, che se fosse rimasto solo un po' di più, anche solo un giorno, per lui le cose si sarebbero messe male, e avrebbe fatto la cazzata più grande della sua vita, innamorandosi di Ian Gallagher.
Lascia cadere la cenere sul secondo scalino, nello stesso momento in cui la sua mente “credo che tu ci sia già dentro fino al collo” gli sta dicendo;
E Mickey, crede proprio che non potrebbe essere più d'accordo.
 
 
Mickey conta i respiri.
Uno, due, tre.
La maschera nella mano destra e la pistola nella sinistra, Iggy e Joey, i suoi fratelli, a coprirgli le spalle. Non sa cosa sta facendo, non sa perché lo sta facendo, ma sente che è quello di cui il suo corpo ha bisogno: adrenalina, distrazione, energia.
Quattro, cinque, sei.
E' una cazzata, non fa una pazzia del genere da secoli ma se dovesse finire nuovamente in prigione e dovessero chiedergli perché ha deciso di farlo, lui saprà cosa rispondere: “Ian Gallagher”.
Che è la ragione dei suoi problemi, la causa delle notte insonni e dei pacchi di sigarette consumati come se fossero lattine di Coca-Cola, il motivo che lo ha fatto piangere di nascosto come una cazzo di ragazzina.
Sette, otto, nove.
Stanno per uccidere una persona, magari uno di quei barboni che escono dall'Alibi alla chiusura, la cui casa è una tenda montata nella peggiore delle maniere, la cui vita è andata anche peggio di come sia andata a lui: bloccato in un quartiere di merda, con una moglie che non ha mai voluto ed un bambino che Dio solo sa come crescerà.
Dieci.
“Mickey, è quello lì quello che fa al caso nostro.”
Joey, un ghigno sghembo dipinto sul volto indica un uomo sulla cinquantina che si regge a malapena in piedi, i capelli unti e lo sguardo spento e gli occhi lucidi.
Mickey non risponde, la maschera copre il suo volto e gli impedisce quasi di respirare, ma non è la prima volta che si sente così: in apnea. Sul punto di morire. Ora che ci pensa, è tutta una vita che avverte questa sensazione.
“Gli arriviamo alle spalle?”
“Non ci sentirà nemmeno, ubriaco com'è.”
I suoi fratelli si guardano e annuiscono, ridacchiano appena e si muovono verso di lui, Mickey sta per seguirli, ma succede tutto troppo in fretta e lui non capisce se sia la pazzia che sta prendendo possesso della sua mente, se è solo quello che vuole vedere o se è la realtà.
Ma lui ci può scommettere: sono le dieci di sera, c'è poca gente per le vie del South Side, Joey e Iggy sono avanti di almeno quindici passi ma ai suoi occhi non c'è nient'altro, se non Lip Gallagher che spinge una sedia a rotelle.
E non gli importerebbe, se non fosse che una troppo familiare figura è seduta su di essa.
Mickey alza la maschera e socchiude gli occhi, la mascella contratta e tutto quello che riesce a pensare è: che cazzo ci fa Ian qui, e perché è seduto su una sedia a rotelle.
Il mondo si appanna quando, piano, il suo sguardo scorre sulle spalle - che son tutto quello che riesce a vedere - ormai diventate più muscolose, le mani grandi strette attorno ai manici dell'aggeggio e, quando “sei un coglione!”, dice a Lip, Mickey si rende conto di aver sentito la mancanza della sua voce più di qualsiasi altra cosa.
Voce che fa male come piccole lame nel petto, constata, mentre la pistola cade a terra con un rimbombo.
All'undicesimo respiro, Mickey Milkovich  riesce a capire che il dolore che sta provando,  è tutto il fiato che ha tenuto trattenuto in questi quattro mesi lontani dal calore del corpo di Ian, i polmoni attanagliati in una morsa di paura, nel caso non lo avrebbe mai più rivisto.
Al dodicesimo respiro, Mickey Milkovich si rende conto di non sapere cosa fare, dove andare, se tornare o se restare. Restare nella sua casa, restare con sua moglie, restare intrappolato in una vita che non ha mai voluto e dalla quale Ian ha provato a tirarlo fuori in tutti i modi, ma mai con abbastanza forza.

 

 

Casa Milkovich è più silenziosa del solito nella settimana che segue lo strano incontro di Mickey.
Mandy non è quasi mai a casa (probabilmente dai Gallagher), i suoi fratelli sono stati sbattuti in carcere dopo che la polizia è riuscita a coglierli proprio prima che concludessero l'opera con quel barbone (hanno promesso che, una volta fuori di lì, gli faranno il culo), Terry è andato chissà dove e sono giorni che non torna. Svetlana è l'unica che è presente più degli altri e, nonostante la gravidanza continui ad avanzare, lei continua a lavorare tutta la sera, tutte le notti (Mickey è quasi convinto che abbia un altro uomo).
In ogni caso, per lui, è meglio così. Si rende conto, con riluttanza, che tutto quello che vede è Ian e tutto quello che sente è il suono della sua risata.
 
Il tempo scorre, le cose rimangono stabili per un'altra settimana, i pacchi di sigarette sono sempre di più sul pavimento della camera di Mickey,  sono giorni che non esce di casa da giorni, la barba è ancora più lunga, più disordinata e puzza un bel po'.
E' mercoledì, quando la porta di casa sbatte e una voce si diffonde per il corridoio: Mickey, comunque, non si muove, perché riconosce Mandy che ride, forse al telefono.
“Aspettami qui, razza di idiota.”
C'è un rumore di scarpe che battono sulle assi di legno, qualche bottiglia spostata e un'imprecazione da parte di sua sorella che, pochi secondi dopo, compare sulla soglia della porta e si ferma a guardarlo.
Mickey la ignora per qualche secondo, continua a fumare e non si volta verso di lei, poi, però “che cazzo hai da guardare?”.
Mandy storce il naso e lo insulta a bassa voce, “dimmi dove hai nascosto la roba”, gli chiede poi.
Il ragazzo la guarda e sorride appena, poi scuote la testa e “nel solito posto?”
“Che sarebbe...?”
Mickey sbuffa e si alza dal letto, l'ennesima molla che salta insieme alla sua pazienza, “sei proprio un'idiota.”
“Per essere tua sorella sono anche troppo intelligente.”
I due escono dalla stanza e in pochi passi sono nel salone, “non hai pensato di...”
“Ciao”.
La sigaretta che Mickey sta reggendo tra le labbra, manca di poco il tappeto della stanza ma, comunque, cade e sporca il pavimento, lasciando un'impronta nera e quasi invisibile, ma pur sempre presente.
Quando gira la testa, Ian Gallagher, una maglia nera a coprirgli il busto e dei pantaloni stretti, se ne sta seduto sulla stessa sedia ha rotelle che ha visto due settimane prime.
Lo fissa per qualche secondo, e, dopo quattro mesi di pioggia, gli sembra che il sole stia nuovamente facendo capolino dalle nuvole per bagnarli il viso che ha preso ormai il colore delle nuvole.
Ha un sorriso dipinto sul volto che Mickey gli cancellerebbe volentieri, perché, sul serio, l'unica cosa che lui vorrebbe fare è distruggere casa e Ian gli sta... sorridendo?
“Che cazzo”.
E' tutto quello che dice, guarda Mandy e fa due passi indietro; poi, il respiro affannato e il cuore che gli sta battendo troppo forte senza motivo, torna in camera e sbatte la porta alle sue spalle.
Si avvicina alla sua scrivania e ne afferra le estremità con forza, così tanta che le nocche diventano bianche, respira irregolarmente e poi chiude gli occhi.
E' un secondo, uno solo, e tutto quello che c'è, a partire dalla lampada e ai CD, per finire alle maglie sporche e alle munizioni di qualche pistola che finiscono per terra e Mickey ha lo sguardo e la mente offuscata ed ha paura perché Ian Gallagher non può tornare così, all'improvviso, e stravolgere tutto.
Ancora una volta.
Non può e basta, ma lo fa.
Come sempre, arriva come un uragano e come tale distrugge senza nemmeno rendersene conto e Mickey lo odia e lo vuole fuori da casa sua, ma prima che possa dire qualcosa e fare un altro passo, la maniglia si abbassa e gli occhi chiari e vispi di Mandy fanno capolino.
“Sul serio, Mickey? Sul serio?”
“Levati dalle palle, Mandy”.
“Sono quattro mesi che vegeti e quando torna su una sedia a rotelle, tu non lo saluti nemmeno? Ma quanto in basso continuerai a cadere?”
Mickey respira a fondo.
“Perché è su una sedia a rotelle?”
Mandy sorride, “allora ti importa”.
“Perché cazzo è su una fottuta sedia a rotelle, Mandy?”
“Infortunio all'esercito, è per questo che è tornato, non credo resterà qui per molto, quindi, testa di cazzo, si da il caso che tu non debba sprecare quest'occasione. Sii uomo”.
“Va al diavolo ed esci dalla mia stanza”.
Sua sorella lo osserva per qualche secondo, poi va via e Mickey è solo e non ci crede, perché tutto quello che vorrebbe fare sarebbe uscire di casa e trovare quel piccolo figlio di puttana per picchiarlo, lo farebbe sentire meglio.
E lo vorrebbe baciare fino a fargli sanguinare le labbra, ma non può, perché non è quello che fa, in queste situazioni.
Fichetta, è tutto quello che la mente sa dirgli.
 
 

*

 
C'è, in radio, uno stupido motivetto che è la moda del momento e Mickey sbuffa mentre raccoglie quello che, qualche giorno prima - precisamente il giorno in cui Ian Dannato Gallagher si è presentato a casa sua - ha scaraventato  sul pavimento.
Mickey Milkovich non fa mai le pulizie, ma ha già abbastanza casino dentro e non ha bisogno di altro anche fuori, grazie mille.
Mandy è fuori - ovviamente con lui -, e non gli importa.
Okay, okay.
Potrebbe importargli, ma è perché ha veramente paura che Ian possa, per l'ennesima volta, ferire sua sorella, abbandonarla ancora.
Non è perché la sua unica preoccupazione è che, ora che lo ha rivisto, non potrà dimenticarlo, ancora. Assolutamente no.
Sbuffa, impreca ed è quando sente delle voci che il respiro gli si mozza: è Svetlana che sta blaterando qualcosa e ha appena detto quella che dovrebbe essere una battuta che non è affatto divertente, ma che, inaspettatamente, provoca la risata di qualcuno.
Mickey lo sa, lo sente, lo riconosce e sente sin dalla sua stanza il profumo delle stronzate che Ian gli ha detto.
Il primo impulso, è quello di accendere una sigaretta e inspirare forte, il fumo che gli scende dritto nei polmoni quasi a pulirli; preferisce il tabacco dentro, a quello che sente quando è vicino a quella testa di cazzo.
Il secondo impulso, che si trova a comandare, fa muovere i suoi piedi verso la porta della sua stanza perché se, da una parte, Mickey vuole cacciarlo da casa ed urlargli che è un idiota, dall'altra, vuole semplicemente vederlo
per un'altra
dannata
volta.
E sperare che non sia l'ultima.
Non ancora.
In ogni caso, la terza cosa che fa, è quella di sedersi sul bordo del letto, le orecchie teste ed ascoltare ogni scambio di battuta che avviene tra sua moglie, ed il suo ex? fidanzato.
Ian sembra, per qualche motivo, essersi lasciato alle spalle l'odio che provava per Svetlana. O, forse, molto semplicemente, non era lei che odiava.
“Quindi come mai sei qui?” E' la donna a parlare per prima.
“Cercavo Mandy, o meglio, ci eravamo dati appuntamento qui.”
“Ora esci con lei, uh?” Mickey si chiede cosa può fregare a Svetlana di ciò che fa Ian, ed un moto di qualcosa che nega essere gelosia lo scuote dall'interno, stringe i bordi delle coperte e ringhia; poi continua ad ascoltare.
“No. No, io...sono impegnato.”
“Un ragazzo?”
Ian ride, “certo, penso che avrai capito che le donne non sono proprio ciò che rientra nei miei gusti. Nessun'offesa.”
Il rumore di piatti e di una macchinetta del caffè che si accende, e poi di nuovo la voce di Svetlana, “Nessun'offesa.”
C'è silenzio per qualche secondo, Mickey non respira, di nuovo. Quello spiraglio di sole che sembrava essere comparso, scompare nuovamente e non ha nemmeno il tempo di metabolizzare ciò che ha sentito che sente l'aria pesante della stanza spingere contro il suo corpo, la pioggia che ha iniziato a scendere da qualche minuto, sembra rimbombare e pensa di non farcela.
E non ce la fa.
Le ultime frasi che ha modo di sentire sono riguardo lui, “Quindi, com'è vivere con Mickey?”
“Non male come mi aspettavo, l'unica pecca è il sesso. Ogni volta che lo facciamo è come se i suoi pensieri siano rivolti a qualcos'altro. A qualcun altro.”
Il ragazzo apre la porta della sua stanza e con pochi passi raggiunge il salotto, Ian è seduto sul divano, nessuna sedia a rotelle a stargli intorno, solamente le stampelle vicino a lui.
Non appena entra, senza fare rumore, quasi senza respirare, Ian alza il viso e lo fissa dritto negli occhi, non sorride, non vuole farlo o forse non ci riesce, non fiata, non si muove, semplicemente lo scava a fondo con quelle pupille verdi che troppe poche volte Mickey ha avuto modo di fermarsi a guardare.
“Fuori.”
Sono quattro mesi, diciassette giorni e troppe ore che Mickey ha passato senza parlargli, e tutto quello che riesce a dire, ora, è una parola.
Lo manda via, perché l'unica cosa che vorrebbe, sarebbe tenerlo con sé, ma non può e vuole ridurre il dolore.
“Buongiorno anche a te, Mickey.”
“Non fare il fottuto spiritoso con me, Gallagher - ringhia, si avvicina di poco al divano sotto lo sguardo di Svetlana -, ed esci da casa mia. Ora.”
Ian continua a fissarlo per qualche minuto, poi sorride e scuote la testa, mentre con uno sforzo che sembra costargli molto prende le stampelle e, facendo forza su esse, si tira su.
“Mi accompagni anche alla porta?”
“Vaffanculo, Gallagher.”
Ian fa un cenno a Svetlana, la quale, ormai indifferente alle scenate del marito, ricambia con un sorriso e Mickey si chiede che cazzo abbiano tutti da ridere, c'è un dannato Gallagher nella loro proprietà e ancora si perdono in queste finte cerimonie? Dov'è finito lo spirito dei Milkovich?
Probabilmente è morto quando Mandy è diventata la migliore amica di uno di loro, e proprio quando lui stesso è finito con l'innamorarsi, di uno di loro.
Mickey lo osserva, gli occhi ridotte a fessure e aspetta fino a quando la mano di Ian non si ferma sul pomello della porta.
“Non mi sei mancato nemmeno un po'.”
Gli dice, aprendo la porta, ed è la freddezza che ha negli occhi, quella che fa credere a Mickey che forse è davvero così.
Che forse non ha sentito la sua mancanza.
Che forse ha trovato qualcuno che sa amarlo meglio - non che ci voglia chissà quanto -, qualcuno che lo rende più felice - lui lo ha mai fatto? -, qualcuno che possa regalargli maree di cose e dirgli che è fiero di lui e stronzate come quelle.
Ma, alla fine, perché mai Ian dovrebbe amarlo?
Perché mai, quindi, avrebbe dovuto sentire la sua mancanza?
E' una reazione esagerata  - e se ne rende conto - quella che ha subito dopo, quella che spinge la sua mano a buttare - per l'ennesima volta - il filtro della sigaretta a terra, è una reazione esagerata quella che lo spinge ad avviarsi contro Ian e che fa si che le sue mani lo afferrino dal colletto e lo portino fuori, con lui; Mickey si chiude la porta alle spalle e ci sbatte con violenza il rosso contro.
Ha il respiro affannato, la paura di una verità sputatagli in faccia con troppa violenza che lo bracca e gli impedisce di respirare, ha le mani sudate e il cuore che gli pompa in petto più veloce di quanto abbia mai fatto in vita sua.
Perché non gli è mancato, e non c'è niente che lo spaventi più di questo.
Che lo spaventi a tal punto da sentire le gambe tremare sotto il peso di un corpo che, ora, è totalmente distrutto.
Perché non gli è mancato, e non può pensare che, quando Ian se ne andrà di nuovo - perché lo farà, e lo farà così fottutamente presto che Mickey non se ne renderà nemmeno conto -, non sarà lui l'ultimo dei suoi pensieri.
“Adesso te la prendi anche con chi si è appena alzato da una sedia a rotelle - si avvicina piano al suo viso, poi - quanto in basso ancora cadrai?”
Vorrebbe rispondere, vorrebbe trovare la dannatissima voglia di urlargli tutta la merda che ha passato in quattro mesi, ma tutto quello che gli dice, che gli sussurra è un “te ne sei andato.”
“Me ne sono andato, Mickey... ” inizia, e lo ringhia, lo ringhia il suo nome, muove una spalla e se lo scrolla di dosso, allontanandosi piano dalla porta e, sempre facendo leva sulle stampelle -scende gli scalini, rimanendo sull'ultimo e parandoglisi di fronte, seppur ad una certa distanza.
Vicini ma così lontani, giusto, Gallagher?
“...perché non c'era nient'altro che potessi fare qui. Perché hai sposato una fottuta troia di fronte ai miei occhi, perché nemmeno lei, Mickey, nemmeno lei merita di vivere con una persona come te. Me ne sono andato, razza di idiota!, - ed ora urla e Mickey stringe i pugni -, perché ti ho implorato di tenermi qui. Sarei rimasto, sarei rimasto per te. Se solo me lo avessi chiesto! Se solo mi... se solo...”
Ian respira, abbassa lo sguardo e lo rialza in una frazione di secondo.
“In ogni caso, ho trovato un'altra persona che mi da molto più di quanto io gli chieda. Ti avevo chiesto di trattenermi, Mickey. E non hai fatto nemmeno quello. E guardati ora, stai per diventare padre. Sarai il cazzutissimo padre di un bambino, e chi ti dice che non diventerai come il tuo, di padre, che ti ha tirato su così e...”
Mickey non ci vede più, ringhia e scende frettolosamente due scalini e, prima che possa pensarci c'è il suo pugno che si abbatte sullo zigomo di quel cazzo di viso che gli è mancato così tanto. Ian ha appena il tempo di rendersi conto di ciò che è successo che prova a mantenersi - con scarsi risultati - in bilico sulle stampelle.
Nella frazione di secondo che precede il rovinoso scontro del suo cranio contro quello del suolo, Mickey si piega e lo tiene su dalla maglia.
“Sei un dannato idiota, Gallagher”, gli ringhia, prima di spingerlo, culo sul terreno, lontano da lui.
Quando rientra in casa, c'è solo la voce di Svetlana che sussurra un fichetta; Mickey non ribatte e, per la prima volta, semplicemente, le da ragione.
 
 
Sono passati cinque giorni ma a Mickey sembra passata un'eternità, un lasso di tempo veramente infinito, durante il quale si è detto che forse “Ian è già andato”, ma che “non può partire senza chiamare. Non potrebbe farlo. Non a me.”
Ogni volta che fa un pensiero del genere, si da dell'idiota e si dice che non ha quattordici anni, che non è una ragazzina mestruata e, pian piano, inizia ad abituarsi all'idea della sua assenza e si rende conto che, nonostante tutto, può sopravvivere.
O, per lo meno, può fingere di farlo.
 
 
Mandy, in questo periodo, sembra così incazzata che è ormai una settimana che non si parlano, l'unico contatto che hanno avviene quando la sorella lo spintona se si trova al centro di una stanza e le impedisce il passaggio, o quando Mickey le urla dietro qualche parola, oltre quello, però, non c'è nient'altro.
E lui sa perché.
Svetlana è più taciturna del solito, parla solamente per lamentarsi di quanto fastidio quel coso - così lo ha chiamato - che è nella sua pancia le provochi.
Incontra Lip per strada, che prima era solito salutarlo anche con un cenno, ed ora non lo guarda nemmeno. Dannati Gallagher.
 

*

 
 
Il settimo giorno che Mickey passa nel silenzio più totale, con la sola compagnia di - più di - qualche sigaretta e di - molte, anche troppe - bottiglie di birra, è anche lo stesso giorno in cui Mandy apre la porta della sua stanza, si poggia allo stipite e sospira.
“Sai già cosa ho da dirti.”
Mickey sbuffa, “fammi indovinare, che sono una cazzo di fichetta?”
“Esattamente.”
“Che altro. C'è.” Scandisce le parole, annoiato.
“Ian.”
“Non me ne frega un cazzo di Ian.”
“Ed è per questo che gli hai quasi provocato un trauma celebrale?”
Mickey non risponde.
“Parte.”
Mickey sente l'acqua che lo porta sempre più a fondo, scuotersi come mare in tempesta.
“Okay.”
“Parte tra due giorni, Mickey.”
“Ho detto okay, Mandy.”
“Non fare il solito coglione orgoglioso e ripara lì dove hai rotto tutto”, dice, sbattendosi la porta alle spalle.
La verità è che lì, l'unica persona rotta è Mickey.
E non c'è niente di peggio
dell'esser rotti
dentro.
 
 
 
11:35
 
 
Mickey non riesce a dormire perché è seduto su quel cazzo di divano e le molle gli si spingono contro la spalla; Svetlana, per fortuna, non ha protestato quando non lo ha visto nel letto con lei.
 
 
11:52
 
 
Ogni volta che chiude gli occhi, vede dentro i suoi quelli di Ian. Ogni volta che pensa al tempo che passa e alla lancetta dell'orologio che ha dovuto disattivare, sente l'acqua spingerlo sempre più giù e lo stomaco attanagliarsi e i polmoni stanno implorando. Respira, per favore.
 
 
12:15
 
 
Si trova seduto con la testa fra le mani e sta pregando un cazzo di Dio in cui nemmeno crede: ti prego, è tutto quello che chiede e che vale più di mille parole.
 
 
12:32
 
 
“Cazzo”, impreca, mentre si poggia ancora contro il bracciolo del divano.
Poi la luce si accende, Mandy, con una maglia troppo larga e una culotte lo guarda, sospira, “va da lui, fichetta.
 
 
12:45
 
 
Mentre cammina verso casa Gallagher ed attraversa il quartiere di merda in cui si trova, Mickey si rende conto che non ha la più pallida idea di come attirerà la sua attenzione. Non se ne parla, di certo, di lanciare dei cazzo di sassolini alla sua finestra, né di suonare il campanello, né di chiamarlo perché ehi, lui un telefono non ce l'ha.
 
 
01:01
 
 
Non sa se sia stato davvero Dio a mandargliela buona, per la prima volta nella sua vita.
Non sa se sia stata fortuna, non sa se sia stato perché Ian non riusciva a dormire, agitato dall'imminente partenza, Mickey non lo sa e non gli interessa perché adesso, di fronte al cancelletto di casa Gallagher, vede una figura seduta sullo scalino della porta di ingresso, che giocherella con una sigaretta, lo sguardo rivolto verso il terreno.
Mickey, probabilmente, non lo riconoscerebbe se non fosse che ha memorizzato ogni forma del suo corpo, ogni linea, dalla più piccola ed invisibile alla più grande, riconosce la sua maglia e il modo in cui stende entrambe le gambe, affianco a lui non ci sono più nemmeno le stampelle e questo significa che ora, lui, sta bene.
Che ora, lui, potrà partire.
Che adesso, Ian, lo lascerà nuovamente.
La consapevolezza lo investe per l'ennesima volta e, ancora, i polmoni Per favore,
respira.
E Mickey ci prova, ma è così abituato ad emettere solo piccoli sbuffi che proprio non ce la fa.
“Gallagher”, gracchia.
Il rosso alza la testa quasi di scatto, e i loro sguardi si incrociano, Mickey vede il volto gonfio sulla parte dove è stato colpito, e ha gli occhi più chiari ma più profondi e maturi, una nuova consapevolezza - che il più grande vorrebbe tanto conoscere - ad aggiungersi alla sua collezione.
Ian non risponde, non lo chiama, lo fissa e basta, la mascella contratta ma le mani che tremano.
“Che ci fai qui.”
Sono venuto per dirti che sono un idiota, che devi picchiarmi e che lo sai che sono una testa di cazzo e che non penso prima di agire che non mi importa di ferire gli altri ma a me importa di te e non avrei voluto farti del male ma l'ho fatto e lo faccio sempre e mi merito che tu vada via e ti meriti di essere felici ma mai con me perché io non ce la faccio a rendere felice me come potrei farlo con te?
Non potrei e basta
 
E mi dispiace così tanto perché mi piacerebbe essere quello che hai cercato ma io non sono tipo che dice e pensa e fa queste stronzate però devi sapere, Ian, che sono venuto qui per dirti che vorrei non farti partire ma che se hai bisogno di scappare allora lascia che ti accompagni alla stazione e ti prego baciami di fronte a tutti salvami Ian
salvami
Pensa.
“Ti porto in un posto.”
Dice.
 

*

 
01:23
 
 
“Perché proprio qui?”
Sono al campetto di calcio, dove han bevuto birra e scopato un anno prima, dove Ian ha parlato, per la prima volta, del suo sogno di diventare un Ufficiale e Mickey ha riso - credeva in lui, ma era troppo spaventato per ammettere che avrebbe potuto farcela -, dove Mickey gli ha detto per la prima volta che gli era mancato e, seppur celata da un sorriso, quella era la verità.
Sono al campetto di calcio e fa freddo perché quel pomeriggio ha piovuto ma sembra non importare a nessuno dei due quando, in piedi sotto gli spalti, guardano oltre la ringhiera.
“Perché no?”
Ian lo guarda e scuote la testa, non dice niente, non lo cerca più come lo cercava una volta.
E fa un male.
Fa un cazzo di male.
“Come si chiama?”, chiede Mickey, non vuole saperlo, non vuole sapere niente del suo ragazzo, ma le parole lasciano la sua bocca prima che possa mordersi la lingua e trattenerle all'interno.
“Chi?”
“Il tuo.” Mickey si ferma, prova a respirare.
Non ci riesce.
Sospira. Va meglio. “...Ragazzo.”
“Oh, Alain, si chiama Alain.”
“Alain?” Ride.
“E' francese.” Ian lo fulmina con lo sguardo.
Oh, certo, è francese, come ha potuto non pensarci prima.
“E lo hai conosciuto nell'esercito?”
“Sì.”
“E com'è, questo francese, Gallagher?”
E'.”
“Come?”
“Mickey, smettila”, Ian si scosta e il vento che passa attraverso il vuoto che lascia, sembra quasi più freddo: forse ha continuato ad annegare per tutto questo tempo ed ora sta iniziando a morire.
“Di fare cosa?”
“Di fingere che ti interessi di lui, di... Cristo, tu non vuoi sul serio saperlo, non ti...”
“Non mi frega un cazzo, di lui, Gallagher. A me importa di...” te e di tutto quello che fai e del modo in cui fingi di non amarmi ma mi ami e io so che mi ami e per favore non allontanarmi ancora
Ian lo guarda, Mickey coglie la speranza nei suoi occhi e ci prova a dirlo, a dirgli quei fiumi di parole che lo trascinano giù, ma non ce la fa.
Non ci riesce.
“Sei patetico.”
Le parole che pronuncia il Gallagher vengono seguite da una risata di scherno e Mickey sente l'interno -gabbia toracica, cuore, ventre - congelarsi; è patetico e ha vissuto con questa consapevolezza per tutta la vita, cercando di nasconderla, ma se è Ian che glielo dice, allora, le cose cambiano.
“Giusto, hai ragione, sono la persona più fottutamente patetica sulla faccia della Terra, ma almeno non ti ho lasciato con il culo per terra quando..."
“Quando cosa? Quando cosa, Mickey?!
Il respiro di Ian, che si avvicina fulmineo a lui, gli investe il viso e l'odore della colonia il cervello e qualsiasi cosa smette di funzionare e il mondo di ruotare e il vento di soffiare, quando lo sente così vicino, quando il calore del suo corpo si compatta e si amalgama al suo, quando le sue mani stringono i suoi fianchi con violenza, e si modellano ad essi come se non ci fosse altro posto al mondo dove dovrebber stare.
“Mi hai” si avvicina a lui, lo guarda negli occhi “ferito e umiliato, maltratto e ucciso, Mickey, ucciso” respira sulle sue labbra “come nessuno ha mai fatto. Sono andato via perché tu l'hai voluto. Tu, Mickey, tu”, ringhia, Ian, come la più feroce delle bestie e stringe ancora la presa sui fianchi.
“Non avresti mai dovuto aspettarti qualcosa da me”, issa gli occhi nei suoi e sorride, troppo vicino alle sue labbra.
“Non mi sono mai aspettato niente, sono sempre stato il tuo fidanzato per metà. Quando mi hai scopato, quando mi hai cucinato dei biscotti, Mickey, dei cazzo di biscotti. E ti ostini a negare che... - sospira, interrompe il discorso - Non ho mai voluto nulla da te.”
“Allora non biasimarmi, d'altronde non ti sono mancato.”
Ian, ora, geme.
Ed è frustrato e lascia la presa sui fianchi perché è sfinito, di lottare, di cercare di farlo ragione, e non avrebbe dovuto seguirlo perché ora ha il calore della sua pelle impresso su ogni singola parte di lui e l'odore di tabacco e sudore che gli era mancato - pur non avendolo ammesso.
“Non ho tempo da perdere con te, domani sera non sarò qui e ho bisogno di andare a casa.”
Mickey lo sa che non lo ha portato qui per litigare, che avrebbe dovuto sistemare le cose ed invece le ha incasinate ancora più di quanto non fossero.
“Sei andato via e sei tornato fidanzato, cosa cazzo vuoi che faccia, Gallagher?”
Ian, che gli ha già dato le spalle, si volta di scatto e, ancora una volta, le sue mani tremano.
“Sono rimasto a guardare il tuo cazzo di matrimonio - urla, i pugni stretti - sono partito e quando torno, vengo a sapere che stai per diventare padre. Cosa cazzo vuoi che ti dica? Che mi sei mancato? Oh, bene, Ecco a te!, - gli torna vicino - mi sei mancato più di ogni altra cazzo di cosa qui, quando c'era Alain con me, era solamente perché avevo bisogno. Di. Respirare. Non hai idea di che cosa cazzo significhi, Mickey, sentire ogni giorno i tuoi polmoni implorare aria, mentre ti alleni e passi sotto delle cazzo di barriere e ci sono dei cazzo di comandanti che sparano intorno a te e tu devi essere bravo perché altrimenti torni a casa ma non riesci a respirare perché tutta la mia aria l'ho lasciata qui con te, e...”
Mickey, una mano tra i capelli a stringerli, sa che significa non riuscirci, sa che significa graffiare tutto intorno per sentire  anche un solo filo fresco di aria penetrare nei polmoni, sa quanto frustrante sia non riuscirci, ed è per questo che lo attira a sé e gli artiglia le spalle affinché Ian si abbassi il necessario per baciarlo.
Il più grande si issa sul muretto che vi è sugli spalti e affonda le mani tra i suoi capelli rossi, glieli stringe e geme nella sua bocca.
Ha le mani sul suo viso e Ian mugola perché ha qualcosa di molto simile ad una tumefazione, Mickey gli sussurra uno “scusa” affannato, che sa di scusa per tutto quello che ti ho fatto rimani qui per favore, e stringe tra le mani la sua maglia tanto quanto Ian si aggrappa ai suoi fianchi.
“Respiri meglio, ora?”
Ian ride piano e morde il suo labbro inferiore per farlo stare zitto; in realtà, il suono della sua voce è tutto quello che ha cercato nelle voci degli altri per quattro mesi, diciassette giorni e troppe ore lontane da lui.
 
 
02:04
 
 
Mickey si infila la maglia, dovrebbe sentir freddo, ma c'è Ian che sta dicendo qualcosa e lui non lo sta ascoltando perché guarda il suo viso illuminato dalla luce della notte, e, per quanto possa essere patetico da dire, è bellissimo e riesce a scaldarlo.
E bellissimi sono i suoi occhi e le mani grandi che abbottonano la camicia, bellissimo è quando Ian si avvicina a lui e lo bacia in un modo diverso.
A Mickey, queste cose improvvisate non piacciono, ma quando il suo viso viene circondato dai palmi del minore e lui inizia a respirargli dentro, non riesce a scostarsi, non riesce a fare altro, a dire la verità, che non sia avvicinarsi a lui e sentirlo, ancora una volta, su di lui, con lui.
Ian si allontana, “dovrei sparire un po' più spesso”, Mickey lo fulmina con un solo sguardo “e tornare un po' prima.”
Si volta per allacciarsi la cinta e il più grande non può far altro che continuare a guardarlo, senza dire una parola, quando Ian alza lo sguardo verso di lui, “che c'è, Mickey?” chiede, ed è dolce, adesso, è dolce come prima, come sempre.
“Niente, Gallagher”, gli dice mentre gli fa un occhiolino.
Sente una folata di vento sul viso e tutto quello che può fare è aprire la bocca e allargare le narici, ed ora, stupito, riesce a sentire una sensazione che da quattro mesi, ventiquattro giorni e troppe ore non era più sua: sta respirando.
 
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Note:
 
Hiya! Eccomi tornata - sai che felicità.... - con una nuova Gallavich, questa volta il doppio più lunga della prima ahahah
Prima di tutto vorrei ringraziarvi per le visite e le recensioni che mi avete lasciato, siete state dolcissime ;____;
Non ho molto da dirvi se non che è, nuovamente, una one shot senza pretese e che l'ho scritta perché i Gallavich sono pur sempre i Gallavich e non si dice mai no, quando ti viene fornito un prompt!
A questo proposito, ringrazio larry and the diamonds, perché l'idea è venuta a lei ahaha
Quindi niente, spero vi piaccia?? E magari fatemelo sapere con una recensione (se siete riuscire a reggere, nuovamente, una one shot così lunga, ecco a voi un altro biscottino! *porge biscotto al cioccolato* <33)
Alla prossima,
chilometri
<33
 
 
Ps. in ordine, le canzoni inserite sono:
It could be better - Lewis Watson
She will always hate me - James Blunt
The one and only - James Blunt
Half a boyfriend - Jay Brannan
 

Pps. Mentre scrivevo una parte di questa one shot, ho iniziato a pensare che tipo di musica, Mickey Milkovich potesse ascoltare, ma non mi è venuto nulla in mente perché non mi sembra tipo che sia proprio un amante di essa - ecco perché ci ho inserito una radio nel mezzo... ahahah -, quindi, domanda molto stupida: secondo voi, che musica potrebbe ascoltare, considerato il suo personaggio? 

 
Ppps. La frase iniziale, quella che precede la one shot, non c'entra pienamente con la storia ma l'ho inserita perché, andiamo, non vi fa dannatamente pensare a quei due? ;____;
 
<33
  
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