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Autore: howtosavealife__    22/01/2014    0 recensioni
Una leggenda greca dice che gli uomini all'origine avessero entrambi i sessi. Erano dotati di quattro braccia, quattro gambe, due facce e così via. Erano sia uomo che donna ed erano invincibili, forti più del normale. Dotati di questa forza avevano provato a sovrastare gli dei, e Zeus, offeso, li aveva separati in due metà diverse, costrette a cercarsi per tutta la vita in modo da sentirsi complete una volta trovate. Il fato ha voluto che io, a 15 anni, avessi rischiato di morire e che,a 19 anni, provassi a salvare la mia metà da ciò che stava anni prima per uccidere me.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era il 21 dicembre del 2009. Ho chiamato questa parte della mia vita distruzione. Pioveva forte, la pioggia sbatteva forte contro il tettuccio come se non fosse solo acqua ma quasi grandine, ma non c'era da stupirsi che ci fosse un tempo del genere in quel periodo a Boston. Di quel giorno ho i ricordi nitidi come di nessun'altro, tanto che, ricordo anche i dettagli sui miei vestiti e la posizione di quasi ogni singolo capello, quasi come se adesso a pensarci rappresentasse per me un abbigliamento da lutto, da non dimenticare. Ai tempi, come capita quasi a tutte le giovani figliolette delle famiglie facoltose che erano state cresciute in una campana di vetro, stavo passando la mia fase di "ribellione" alla condizione sociale in cui mi trovavo. Mio padre infatti era un uomo influente in politica e io ero quasi una pedina elettorale, la figlia perfetta da sfoderare per ottenere voti. Quale popolo pensa che una figlia educata voglia rappresentare buone idee e un buon governo? Non sapevo certamente rispondere, ma la cosa certa era che in poco tempo non ero più utilizzabile per raccomodare voti o come trofeo di merito. L'arrivo alle superiori mi aveva infatti cambiata. Avevo chiesto io, finalmente, di non frequentare scuole private e avevo ottenuto dopo una lunga lotta un'inscrizione ad una normalissima scuola pubblica. Avevo fatto molte amicizie, alcune buone e molte altre cattive e mi ero appigliata a quest'ultime. Avevo cominciato a fumare, prima sigarette, una, due, tre al giorno, poi ero arrivata a fumare interi pacchetti nella mattinata e, stanca del fumo, ero passata a qualcosa di più serio: la marijuana. E avevo cominciato un degrado così graduale e invisibile ai miei occhi che non mi accorsi nè dell'inizio ne del prolungarsi della mia fine. A 15 anni avevo fatto uso di tutte le sostanze "leggere" e di alcune più o meno pesanti, avevo perso la verginità, avevo bevuto fino a vomitare sangue e bile. Quel giorno ero di ritorno da una festa. Come al solito c'eravamo ridotti come stracci fino a non distinguere le dita di qualcuno o le persone tra di loro. Quel giorno, quello stramaledetto giorno, era girato di tutto in quella casa. Ho ricordi nitidi anche di quando ero brilla e addirittura ubriaca, e in seguito, fumata. C'eravamo sballati, e alla grande. Era abitudine ormai, e ci affidavamo al fato per la strada del ritorno, che era sempre andata bene. Pensavamo di essere immortali e furbi, che anche da drogati la morte ci facesse un baffo, eppure quel giorno qualcosa andó storto. Sulla strada del ritorno quel destino che c'era sempre stato positivo si era rivoltato, perché ci aveva visto forse approfittarci troppo di lui, e ci aveva punito. 
Eravamo in 5 sulla macchina. L'impatto contro il muro della galleria piegó la macchina e la ridusse ad una lamiera irriconoscibile. I soccorsi arrivarono venti minuti dopo l'incidente, ma per due di loro era già finita. I restanti, cioè io, Jack e Ashley, rimanemmo in coma per svariati giorni. Dopo 4 giorni di coma definito "irreversibile" Ashley morì. La notte di natale. Io mi risvegliai tre mesi dopo, Jack sei. Dal giorno dell'incidente io e lui non ci parlammo più, neanche una parola. Dalle autopsie fatte sui corpi dei deceduti era risultato che entrambi avevano assunto cocaina e vari alcolici e varie indagini ipotizzarono che se i soccorsi fossero arrivati anche solo cinque minuti prima si sarebbero potuti salvare. Era la mattina del 5 aprile quando mi risvegliai, mi aspettava la parte più dura della mia vita, la chiamai riabilitazione. Le mie gambe avevano subito il danno più duro di tutto il corpo e non era ancora certo che sarei tornata a camminare, ma fortunatamente a livello celebrale non avevo nulla. I miei genitori, spesso assenti e disinteressati, avevano scoperto dei miei problemi con alcool e droghe e, stando a ciò che avevo letto su lettere che avevano lasciato accanto al mio letto durante il periodo di coma, si erano pentiti della loro assenza.  Buffi, erano come me. Si ricedevano delle loro azioni solo quando esse generavano danni. Passarono solo 11 giorni dal mio risveglio e fui trasferita in un'altra clinica. Nel frattempo avevo imparato a camminare usando delle stampelle, ma non mi reggevo in piedi senza appoggiarmi a qualcosa o a qualcuno. La mia nuova casa non era proprio un ospedale, ma era una cosa che era stata decisa da mamma e papà. La mia nuova casa era una clinica psichiatrica specializzata in disintossicazione e problemi nei minorenni. L'idea mi sembró ridicola, ma pensai che lì sarei stata al sicuro. Il mondo mi faceva paura. Onestamente da un pó mi faceva anche paura la luce, l'aria, mi faceva paura un pó tutto. Forse avevo bisogno di un ospedale psichiatrico, a pensarci bene. Quando entrai lì mamma e papà sparirono per un pó. Io cominciai un percorso insieme a delle dottoresse e ad altre ragazze, che per quanto mi sembró inutile, occupó gran parte delle mie giornate. Era un posto davvero carino tralasciando quegli incontri in cui si parlava di quanto fosse sbagliato fumare o bere, quelli erano ridicoli. Era risaputo anche nell'antichità che alcune cose facessero male, ma le si continuava a fare perché peccare è bello. Ma se la vita ti da una mazzata in pancia, magari ci pensi su. Solo poche di noi avevano bisogno di quelle lezioni o di quegli insegnamenti, chiamateli come volete, perché molte di noi avevano storie alle spalle che ci portavano a riflettere. Passai dall'essere la più piccola e l'ultima arrivata ad essere parte del gruppo, e a vedere qualche persona andar via. Le giornate passavano tranquille e sciolte, senza nulla a intopparle o problemi gravi. Ovviamente lì studiavo, e studiavo anche tanto. Avevo imparato un pó di francese perché i crediti che mi dava quel corso li usavo per uscire prima, ma si trattava di anticipare solo di qualche giorno la mia uscita da lì, e con il passare del tempo pensai che non sarei mai voluta andarmene. 
Così finì il 2010 e a metà del 2011 mi fu detto che a breve sarei dovuta andare. Mamma e papà cominciarono a venire più spesso, mi chiedevano le mie condizioni. Io stavo bene, o forse no, specificavo sempre che non stavo nè bene nè male, stavo, ma loro sembravano comunque contenti di sentirmelo dire. In quei mesi che avevo trascorso lì, a quanto pareva, mi racconto papà un giorno, che era andato tutto, per dirlo chiaramente, a puttane. Lui aveva lasciato la politica perché nei mesi di coma temeva per la mia salute e non era riuscito a perdonarsi di aver passato troppo poco tempo con me. Il tempo era passato e lui non aveva ripreso il lavoro. Non avevamo problemi economici e nonostante mio padre non lavorasse da un bel pó godevamo comunque di un gran lusso, questo l'aveva precisato come se fosse stata una medaglia all'onore da esporre, ma non poteva più rientrare nel giro politico. Aveva deciso quindi di trasferirsi in Inghilterra per fare l'imprenditore. Del lavoro non gli importava molto, era chiaro, ma era per far qualcosa e per mandarmi all'università in un nuovo stato, dove non avrei potuto avere cattivi ricordi. La notizia bomba, l'aveva chiamata così papà, era che per me era stata scelta l'università più prestigiosa, Oxford. Aveva già inviato la richiesta e, vista la sua influenza anche in territorio straniero, era riuscito a far notare i miei voti (vantavo un QI piuttosto alto nonostante gli accaduti), ottenendo quindi un posto e un alloggio tutti per me. A me la notizia di cambiare stato non toccó più di tanto, ma nei giorni che anticipavano la mia uscita dalla clinica sentivo un senso d'ansia assalirmi. non sapevo più nulla della vita. 
  
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