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Autore: CheshireClown    06/06/2008    3 recensioni
Pur di piacere ai nostri nemici, siamo disposti ad indossare una soffocante maschera. Pur di sentirci apprezzati, siamo disposti a concederci all'ipocrisia. Vittima di un destino crudele, Hidan è la preda perfetta per questo gioco di menzonge. [Prima classificata al contest "Cheers to OOC" indetto da V@le]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Hidan
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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hipocrisy
Hipocrisy

[Ipocrisia,
la peggiore malattia al mondo,
il morbo più diffuso.
Ne siamo tutti infetti.
Ognuno di noi
è ipocrita,
è fuori dal proprio ruolo]


La piccola stanzetta buia odorava ancora di detergente per pavimenti, penetrando con la sua fragranza di muschio bianco nelle delicate narici nivee. Inspirò rumorosamente, il bambino seduto sul letto rifatto con cura. La bianca coperta era ancora calda, come appena stirata. La finestra, oggetto di osservazione di due profonde ametiste, era aperta su un cielo stellato, velato da lievi tendine ricamate.
Alla luce notturna, semplice e naturale, i ciuffi argentei risplendevano, cadendo scomposti sul volto scarno.
Le ossute ginocchia erano strette al piccolo petto, quasi schiacciate a forza contro di esso da due gracili braccia.
Chiuse le palpebre, inspirando ancora una volta il forte odore della brezza notturna, cercando di scacciare l'odore di detersivo, di pulito.
Un pulito che non aveva casa in quel piccolo edificio in legno.
Si dondolò, intonando una dolce nenia.
Lentamente, la cantilena divenne più insistente, fino quasi a essere urlata con disperazione.
In sottofondo si sentivano dei rumori provenienti dalla stanza accanto, percettibili solo da un orecchio abituato a scovarli nella notte.
Una porta si chiuse, e la cantilena si arrestò.
Quasi non aspettasse altro, una giovane donna entrò di corsa nella stanza buia, i boccoli castani che infuriavano attorno al suo volto.
-Hidan!-
Abbracciò il bambino, cullandolo e accarezzandolo.
-Va tutto bene, Hidan, papà se n'è andato. Non ti preoccupare, dormi tranquillo.-
Lo sguardo ametista era perso, vuoto.
Le coccole parevano non sfiorarlo, anzi, sembravano bruciare sulla sua pelle come ferite aperte. Causate da quelle parole pregne di menzogna.
-Tornerà, vero?-
Il tono ingenuo era inadatto ad un bambino che conosceva già troppe risposte.
La donna lo percepì, e cercò in tutti i modi una via di fuga.
-Domattina farà colazione con noi, ma fino ad allora non ti farà del male, te lo prometto.-
Una lacrima solitaria solcò il piccolo e infantile viso. Ma non era la tristezza di una prospettiva di un futuro con lui, quanto l'essere a conoscenza di come quelle continue promesse altro non erano che parole al vento, pronte a scivolare via da quella casa eludendo la sorveglianza delle eleganti tendine.
Asciugata la lacrima, la giovane donna schioccò un bacio sulla piccola fronte di Hidan, per poi scomparire dalla stanza augurandogli la buona notte.
Chissà se anche per i suoi coetanei la "buona notte" era sempre una notte in bianco.
La mano tremante alzò la manica del pigiamino bianco di due taglie più grandi, lasciandola scivolare lungo la pelle nivea del braccio e mostrando grandi chiazze viola e rossi tagli.
Lividi e ferite.
Un quadro astratto di un artista pazzo che aveva deciso di sfruttare un piccolo ragazzino albino, bianco quanto una tela, per dipingere la sua più macabra opera.
Deglutì a fatica, Hidan, ricacciando le goccioline insidiose che gli pizzicavano gli occhi.
Non doveva arrendersi così, non doveva sentire la tristezza nel cuore. Doveva provare rabbia verso ciò che odiava.
Odiava l'odore di pulito.
Odiava provare dolore.
Odiava suo padre, e la setta di cui faceva parte.
E sopra tutti, odiava Jashin.



Il cinguettio degli uccellini giungeva ovattato nella piccola cucina dai colori caldi.
Il sole lambiva caldo il tavolo in legno chiaro e le candide credenze.
Seduto compostamente sulla sedia, Hidan osservava il latte contenuto nella sua tazza, sicuro di non volerlo bere.
Era certo che, una volta trangugiato, l'avrebbe rigettato su quel pavimento ligneo troppo pulito, assieme al suo disprezzo per quella famiglia a cui era ostile.
Pensandoci sopra, non sarebbe stato male ribellarsi.
Ma si tratteneva, e la ragione era seduta di fianco a lui.
-Hidan, vuoi ficcarti in gola questo fottuto latte e muovere il culo? Sei seduto come un deficiente da mezz'ora a fissarlo!-
La voce tuonò dentro il piccolo corpicino, scuotendolo. Spaurito, guardò l'uomo albino seduto di fianco a lui.
Con timore, percorse con lo sguardo le braccia muscolose, seguendo le linee nere delle cicatrici, fino a risalire sul volto.
Passò sulle strette labbra rosse e infine si fermò in prossimità di due occhi viola.
Troppo simili ai suoi.
Come una maledizione.
-Sì, padre.-
Abbassò il capo, incapace di sostenere quello sguardo così maligno.
Così pazzo.
-E non fare la femminuccia, cazzo! Devi diventare uomo, e fai il fottuto debole? Oggi ti preparerò ancora un po', pensa il vecchiaccio cosa potrebbe arrivare a pensare nel vedere un pezzente come te!-
Un tono talmente sprezzante mai si sarebbe ricondotto ad un padre, e un'espressione di grande sofferenza mai si sarebbe ricondotta al volto di un figlio.
Hidan ingoiò il latte, insieme alle amare parole del genitore. In seguito, si alzò incerto dalla sedia troppo alta e raggiunse il padre al secondo piano della piccola casetta.
Lo trovò, come d'abitudine, in una stanza spoglia dalle candide pareti.
Troppo candide.
A passo incerto, avanzò oltre la soglia, raggiungendo il centro della stanza.
-Vedo che finalmente hai capito come ci si comporta, idiota.-
In risposta, non riuscì a fare altro che abbassare il capo.
-Inizieremo subito, a quanto pare ti serve un allenamento intensivo per questo tuo fottuto aspetto gracile.-
Chiuse la porta, l'uomo, assicurandosi di sigillarla dall'interno.
Si diresse verso un tavolino, l'unico mobilio presente nel vano, e prese la frusta appoggiatavi sopra.
-Inginocchiati.- ordinò, e Hidan ubbidì, rannicchiandosi sul pavimento, la schiena piegata come un ossuto carapace.
-Bene, e ora prega.-
Riluttante, il bambino emise un flebile gemito, serrando le palpebre al veder avanzare verso di lui il padre.
-Su avanti, apri quella fogna e ripeti: Grande Jashin, io, umile servo...-
-Gra-grande Jashin...io...u-umile servo...-
Gli parve di compiere uno sforzo immane per riuscire a pronunciare quelle poche parole.
-...non merito la tua benevolenza... avanti su, muoviti!-
Serrò ancora di più le palpebre, preparandosi a ciò che lo avrebbe aspettato dopo.
-N-non merito...l-la tua...benevolenza...-
-...per ciò punirò questo corpo mio  peccatore.-
Piccole lacrime amare spuntarono attraverso le ciglia annodate fra loro.
-...p-per ciò...pu-punirò questo...co-corpo mio...peccatore...-
Un singhiozzo.
Le parole risalivano la gola come fuoco, bruciandone la soffice pelle.
Fredde mani, come l'animo del loro possessore, alzarono il leggero tessuto della maglietta del bimbo, scoprendone la schiena.
E i molteplici lividi.
Lasciò schioccare la frusta contro il pavimento una, due volte.
Sulle guance di Hidan colarono una, due lacrime.
E l'incubo iniziò.
Il primo colpo arrivò violento, urtando la schiena e spezzando il respiro al piccolo albino. Il rosso ematoma pulsava.
Una seconda frustata, e il dolore aumentò.
Alla terza, la pelle sottile si lacerò, liberando le prime gocce di sangue.
L'uomo aumentò il ritmo, sordo ai flebili gemiti del figlio.
Frustò con vigore, come a voler punire quel corpicino troppo piccolo e gracile.
Continuò a violentarlo, lo sguardo fisso sulla scarlatta schiena. Nelle iridi, lampi di follia.
Il pavimento, pulito, si macchiò di alcune gocce di sangue, per poi essere inondato da rossi rivoli.
Hidan, fra le palpebre socchiuse, fissava quelle scie, incapace di pensare a qualsiasi cosa, se non al dolore. Sentiva la frusta fendere l'aria, per poi atterrare crudelmente sulla sua schiena provata, lacerandola.
Un senso di nausea si impadronì del suo infantile corpo. Le candide pareti lo opprimevano, danzando attorno a lui, vorticando furiose.
Gli occhi, appannati, si chiusero, troppo stanchi.
-Gemi, idiota, gemi! Dovresti urlare di piacere, fottuto bambino!-
Le urla del padre arrivarono ovattate alle sue orecchie. Il suo corpo ormai si era abbandonato del tutto a quella tortura, spingendo via l'anima affinchè non ne rimanesse ferita.
Finchè l'uomo non avrebbe lacerato il suo animo, lui avrebbe potuto continuare a resistere. Le ferite si sarebbero rimarginate.
Il suo corpo non avrebbe accarezzato la morte.
Come lui avrebbe voluto.
Era la sua maledizione, quel dono ricevuto in tenerissima età, ereditato dal padre. Era una tortura continua, psicologica e fisica, che continuamente lo portava ad affacciarsi sul burrone della pazzia.
Avrebbe preferito poter morire, e metter fine al suo dolore.
In tal modo, però, Jashin non sarebbe stato fiero di lui.
Strinse i pugni, Hidan, l'odio ad avvelenargli le vene. Era solo un insulso dio, dopotutto, perchè doveva controllare la sua vita pilotandola verso un cammino di torture e urla?
Non lo capiva, il piccolo albino. Era troppo giovane, troppo provato da quelle continue violenze.
Non riusciva più a ragionare, evitando che la sua mente ritornasse a quella candida stanza, la camera degli orrori.
Prigioniero di un folle padrone, era costretto a soffrire in silenzio.
L'uomo smise finalmente di frustarlo, permettendo così al corpicino di essere invaso dal sollievo, purtroppo momentaneo.
Si portò a lato del bambino, sollevandolo poi di peso fino a rimetterlo in piedi.
La larga maglietta scivolò verso il basso, raschiando sulla schiena. Le ferite si aprirono una ad una al passaggio del candido tessuto, macchiandolo di scarlatti rivoli. Strinse i denti, Hidan, al sentire i tagli bruciare.
-Tieni.-
Il bambino guardò stranito il padre intento a porgergli la frusta.
Come previsto, la tortura non era ancora finita.
-Avanti, dovrai pur imparare no? Prendi questa fottuta frusta, e auto-flagellati.-


****


Le campane risuonarono cupe per le vie deserte del piccolo villaggio. Coraggiose, si inerpicarono sulle alture, raggiungendo un gruppetto di case di legno.
Sul volto del ragazzo albino seduto sugli scalini dinanzi la porta di casa apparì una smorfia di disprezzo.
A quanto pareva, in paese stavano celebrando un funerale.
Il suo funerale.
Non sapeva come sentirsi.
Da una parte, la felicità lo allettava con i suoi tenui toni. Ormai era libero, libero dalle torture, dalla violenza, da lui.
D'altro canto, non era mai riuscito a dimostrargli di poter essere fiero di lui. Aveva sempre desiderato, per una volta, che gli regalasse un sorriso, nonostante lo odiasse.
Era chiedere a un folle di provare affetto per il figlio, ma Hidan non lo sapeva.
L'unica cosa di cui era certo era che, da qualche parte, suo padre era ancora vivo. Un immortale non poteva morire, non ne aveva la possibilità.
Di sicuro, aveva finto la morte pur di fuggire da quella disastrata famiglia che si era ritrovato, e ora aveva sicuramente una bella vita.
Nessuno ne aveva ritrovato il cadavere, la bara era vuota come l'animo di colui che l'avrebbe dovuta riempire.
Hidan non avrebbe pianto per lui, nè avrebbe esultato per la sua scomparsa.
Voleva dimostrargli come anche lui potesse essere un fiero immortale.
Nonostante continuasse ad odiare quell'ingiusto dio.
Nonostante le mani tremassero violentemente ogni qualvolta prendeva in mano la frusta, o mettesse semplicemente piede nella camera degli orrori.
Nonostante la forte riluttanza ad esprimersi volgarmente.
Per quanto si fosse sforzato, in quegli anni non era mai riuscito a diventare simile al padre.
A quel mostro suo torturatore.
Ricordava ancora, vividi, gli sguardi ostili che nel buio del piccolo seminterrato lampeggiavano nella sua direzione, attraverso l'ombra dei cappucci calati, nella direzione di un gracile bambino dagli occhi pieni di lacrime.
La setta devota a Jashin non l'aveva ancora riconosciuto come confratello.
Il suo persecutore non l'aveva ancora riconosciuto come figlio.
Hidan era maturato, o almeno così pensava, ed era deciso a dimostrare di essere all'altezza, reprimendo quelle inopportune debolezze.
Avrebbe stretto i denti, mentre si auto-flagellava.
Avrebbe deglutito più volte, prima di pronunciare una qualsiasi frase condita con i peggiori insulti.
Avrebbe ignorato quel pulito apparente della candida stanza dei "giochi", e si sarebbe illuso della sua innocenza.
Le sue scelte laceravano il cuore, bruciandolo maligne.
La vita gli stava chiedendo di comportarsi come un agnello costretto a divorare il suo gregge.
Lo stavano obbligando a scegliere fra il suo vero io e una soffocante maschera.



La luce fioca delle torce illuminava cupa la stretta scalinata.
Agili, silenziosi passi arrivarono all'ultimo gradino, per mettere piede poi nell'oscuro seminterrato.
Deglutì Hidan, più e più volte. Non riusciva a respirare, in quel piccolo locale pregno di invisibili tracce di orrori. Voleva correre fuori, respirare l'aria fresca, fuggire lontano da quel destino sbagliato.
Ormai l'errore era stato compiuto, non poteva tirarsi indietro all'ultimo: doveva almeno arrivare fino in fondo.
Doveva completare la sua auto-distruzione.
Si fece coraggio, reprimendo quelle paure a detta sua inutili.
-Ehilà.- la sua voce rimbombò nel seminterrato.
-C'è qualche fottuto leccaculo quaggiù?-
Le parole risalirono a fatica la gola, lasciando brucianti piaghe al loro passaggio. Come un tuono, riempirono il locale, scuotendo l'animo dell'albino.
Gli ricordavano la voce del padre, le sue minacce, i suoi insulti.
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi. Si coccolò nell'illusione che tutto sarebbe andato bene, che una volta uscito di lì sarebbe stato libero.
Come si sbagliava.
Si era rovinato con le proprie mani.
-Rivolgiti con più rispetto a noi, fottuto moscerino.-
Quattro figure ammantate di nero, il viso nascosto dall'ombra del nero cappuccio a punta, si posizionarono alla luce delle lampade.
-Finalmente ti sei deciso a venire, marmocchio.-
-Ti stavamo aspettando.-
-Hai impiegato troppo tempo a muovere il culo e raggiungerci.-
Minacce.
Lame taglienti che fendevano la mente ancora troppo fragile dell'albino.
Si sentiva accerchiato, gli mancava l'aria.
Che sciocco.
Non avrebbe mai potuto morire per soffocamento.
Non avrebbe mai potuto morire e basta.
Aveva una vita immortale dinanzi, perchè non continuare il suo errore?
Perchè non rovinarla definitivamente?
-Chiudete quelle fogne.-
Tentò di sembrare ostile, di sembrare forte.
Ma in realtà la debolezza lo stava minando dall'interno.
-Voglio far parte di questa fottuta setta. Battezzatemi, e sarò degno seguace di Jashin.-


Rovinata.
Per sempre.
Un peccato, una vita così piena di speranze.
Un singolo, fatale errore l'aveva trasformata in una fredda esistenza. Un crudele quadro di dolore e torture.
Aveva cercato di distruggere il piccolo e debole bambino, Hidan.
Aveva cercato di distruggersi.
E vi era riuscito.
Con le proprie mani, si era condannato a indossare continuamente una maschera.
Odiava le parole volgari, ma doveva utilizzarle per sembrare forte.
Odiava l'odore di pulito, ma doveva amarlo per sentirsi innocente.
Odiava le torture, gli recavano solo dolore. Era costretto a gemere di piacere, solo per fare felice un indifferente dio.
E odiava suo padre.
Eppure, pur di sanare la sete di follia del genitore, pur di sentirsi apprezzato, si era concesso all'ipocrisia.





******


Prima *-*
*Me balla a braccetto con l'OOC*
Me non ci crede ancora *-*
E' terribilmente cruenta, e mi scuso per il linguaggio poco fine del padre di Hidan, ma dovevo sottolineare tale caratteristica per indicare da chi aveva ereditato simili caratteristiche Hidan.
L'odio verso il pulito è un riferimento alla seconda apparizione di Hidan, dove mentre Kakuzu è intento a vendere il  corpo di Chiriku, l'albino si lamenta per l'olezzo della stanza.
Non so se basti come rating "arancione", ma penso vada bene visto che la scena più cruenta è piuttosto breve.
Che altro dire... Mi è venuta in mente sotto la doccia xD. E poi l'OOC mi ama xD
Ancora grazie a V@le per la valutazione, la velocità e il magnifico tesserino.
Io ho hiddychan e voi no, mwah *-*
Riporto qua sotto il giudizio della super-woman (=V@le, perchè fa tantissime cose in breve tempo *-*)

Giudizio: Mi è piaciuta molto questa fic. Grammaticalmente corretta e con uno stile molto incisivo, adatto al contesto. Ha trattato un argomento molto forte e hai saputo farlo molto bene: i particolari che descrivi rendono pienamente l’idea del soggetto, ricavandone una one-shot di qualità. Trovo Hidan decisamente OOC, anche se forse non pienamente. Nel complesso, una bella storia, complimenti!

Punteggio totale: 22,5

Mi sento molto potente *-*
Complimenti anche alle altre partecipanti u.u
Per questa volta è tutto, gente. Alla prossima.
E ricordate di venerare il dio OOC *-*

kiara-chan
  
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