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Autore: shimichan    23/01/2014    4 recensioni
L'organizzazione nera è ormai un ricordo, ma cominciare una nuova vita sarà, per Shiho, tutt'altro che semplice. Cosa aspettarsi quando non si ha un passato alle spalle? Come affrontare un mondo che i suoi occhi non hanno mai conosciuto?
"Così, seppur con leggera esitazione, aveva ingoiato la pillola, dicendo addio ad Ai Haibara, cercando di dimenticare per sempre Sherry e aspettando di scoprire quale futuro il destino avesse in serbo per Shiho"
[Post Black Organization] [ShihoxHigo] [Accenni ShinRan]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Altro Personaggio, Hiroshi Agasa, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Prime volte
 
Erano trascorsi tre giorni dalla trasformazione e l’unico contatto che Shiho aveva avuto con il mondo esterno erano state le quattro parole scambiate con il corriere che aveva bisogno della sua firma per definire una consegna.
Le sue labbra disegnarono un amaro sorriso ripensando a quanto sbilenco le fosse sembrato il suo nome, impresso sulla carta, e alla strana sensazione che aveva avvertito nel restituire la cartellina al ragazzo. Non era vergogna per quei caratteri traballanti, ma un’angoscia che aveva reso tremante la sua mano. Soltanto un mese prima non si sarebbe azzardata ad esporsi così e, pur sapendo che ormai non esisteva più alcun pericolo nel mostrarsi, provava ancora una certa riluttanza nel farlo; perciò, in attesa di abituarsi alla sua nuova esistenza, aveva deciso, semplicemente, di non uscire.
Sospirò, osservando il respiro condensarsi sul vetro della finestra e offuscare il suo riflesso che scomparve del tutto quando posò la tempia sulla cornice.
Era una giornata soleggiata e, benché la sua camera fosse riparata dall’ombra del grande castagno di villa Kudo, qualche raggio, bucando le fronde, riusciva lo stesso a filtrare dalle tapparelle e disperdersi nella stanza in un’esplosione di pulviscoli luminescenti, regalandole una piacevole sensazione di calore sul viso.
Socchiuse le palpebre con aria annoiata e rilassò le spalle. La monotonia di quei giorni l’aveva resa particolarmente inquieta, tesa a tal punto che, udito il trillo del campanello, trasalì.
Non aspettava alcuna visita ed il professore era fuori città per una conferenza, tuttavia, date le sue scarse amicizie e l’insistenza con cui il misterioso ospite pigiava sul citofono, non le fu difficile intuire di chi si trattasse.
Kudo” gli aprì, atona.
Gli occhi di Shinichi si ritrassero con risentimento sotto le ciglia nell’udire un entusiasmo tanto gelido. “Credevo che quella tua espressione immusonita fosse solo una copertura…”.
Shiho colse subito l’ironia e, con altrettanto sarcasmo, sollevò un istante gli angoli della bocca in una smorfia di saluto che rendeva bene il suo desiderio di sbattergli la porta in faccia. Tuttavia non ebbe modo di realizzare la sua fantasia in quanto il giovane, anticipando le sue intenzioni, sgusciò veloce oltre lo stipide e
si diresse verso la porta dello stanzino dove lei ed Agasa tenevano i cappotti per riapparire, dopo un serie di sconnessi borbottii, con in mano il berretto dei Big Osaka. “Andiamo!”.
Lo sguardo di Shiho mostrava uno scetticismo che il detective non mancò di notare.
“Intendi rimanere chiusa qui dentro per il resto dei tuoi giorni?”.
“Anche se fosse, non sono affari che ti riguardano, Kudo” ribatté con una decisa alzata di spalle.
Uno sbuffo rassegnato e Shinichi mise tacere l’irritazione crescente che provava davanti al suo dispotismo, prima di esprimere il suo disaccordo, modulando la voce affinché non suonasse troppo perentoria. “Allora tutto quello che abbiamo fatto…non è servito a niente.
Sei di nuovo in una prigione, ma questa volta ti ci sei messa da sola!”.
Rimarcò l’ultima parola, incurante dell’occhiata rancorosa di Shiho, che fino ad allora aveva tenuto lo sguardo fisso sul pavimento, ascoltandolo a braccia conserte, con le dita affondate nella propria carne.
Non rispose subito. Si concentrò sul significato di quel discorso, lasciò che si le depositasse addosso come polvere e cercò di soffiarlo via. Inutilmente.
Mentre s’immergeva nell’intensità degl’occhi di Shinichi, infatti, sentì il suo puntiglio sgretolarsi lentamente e, pezzo dopo pezzo, aiutarla a realizzare quanto il suo comportamento fosse infantile, quanto le emozioni suscitatele dalla vista del mondo somigliassero più alla vigliaccheria che alla paura. Raggiunto il fondo delle pupille, le sue labbra si mossero in un sibilo sommesso.
Così, semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse, e assolutamente in silenzio, prese il cappello e se lo calcò in testa: non amava perdere una disputa con Shinichi, ma sarebbe sempre stato lui l’unico in grado di farle cambiare idea.
 
 
 
C’era qualcosa, nella frenesia della città, che la metteva in costante disagio.
Dalla sua sterile prospettiva di bambina non se n’era mai accorta, ma, tra la folla, spuntavo sguardi che la fissavano un secondo per poi cambiare in fretta direzione e sussurri più visibili delle grida.
Più cercava di mimetizzarsi tra la gente, più lo spazio attorno a lei si allargava, rendendola assolutamente riconoscibile. Questa almeno era l’impressione che si portava dentro, mentre la metropolitana sfrecciava tra i cunicoli sotterranei.
“La nostra è la prossima”.
Fu felice di scendere e liberarsi dell’atmosfera opprimente che si respirava nel vagone, finché non vide il sorrisetto beffardo che Shinichi aveva stampato in faccia.
“Che c’è?” chiese indispettita.
“Non te ne sei resa conto, vero? Hai fatto colpo!”.
Con un leggero scatto del capo indicò, alle sue spalle, un paio di ragazzi che Shiho riconobbe subito come i proprietari delle occhiate che tanto l’avevano infastidita. Si sentì arrossire.
“Non dire sciocchezze!”.
“Sarà” fu il suo vago commento, che rimase anche il solo finché non giunsero allo stadio.
L’entrata si stava già riempiendo di tifosi, alcuni anonimi, altri con enormi bandiere e lo stemma della propria squadra dipinto sul viso.
Shinichi estrasse dalle tasche un paio di biglietti e glieli porse.
“Tieni! Io intanto cerco qualcosa da sgranocchiare durante la partita, però…”.
Il suo volto assunse un’espressione dubbiosa accompagnata da un’impercettibile contrazione delle labbra, che articolarono un “Ecco” non appena le aprì la felpa, sistemandole la fesa del berretto affinché non le coprisse la fronte.
“Così sembri quasi una diciottenne qualsiasi!” esclamò infine, soddisfatto di quei piccoli aggiustamenti che, a suo modo di vedere, conferivano all’amica un’aria più trasandata e adolescenziale, poi sparì dietro una massa di energumeni chiassosi, scampando al rimprovero che si meritava per quel ‘quasi’, di cui Shiho avrebbe certo chiesto spiegazioni.
Varcò lo stadio col piglio di chi desidera trovarsi in un altro posto e s’incanalò nella coda dove gli steward controllavano i ticket d’accesso e guidavano le persone verso il posto loro riservato.
Intanto, dalla parte opposta, un piccolo manipolo di supporters si era raccolto attorno alle piattaforme destinate ai giornalisti, punti strategici per osservare l’arrivo dei propri beniamini e, con un po’ di fortuna, strappar loro un autografo.
Fu da quel lato che, mentre rimuginava sulle parole di Shinichi, Shiho udì una serie di urla, perlopiù stridule. La comparsa del loro idolo aveva, infatti, aizzato l’entusiasmo di alcune scatenate ragazze, il cui atteggiamento, oltremodo esagerato, suscitò in lei fastidio, desolazione e una punta d’imbarazzo per quel genere femminile che si ritrovava ora, di nuovo, a rappresentare. Perciò, tutt’altro che incuriosita, rimase pazientemente in fila, scalando i posti lasciati liberi da chi, al contrario, era stato attirato dai cori.
Nei suoi occhi alleggiava un’apprensione che di normale aveva solo l’apparenza.
 
I giocatori entrarono in campo accompagnati dal boato dello stadio e si disposero secondo gli schemi.
Al fischio d’inizio, gli Osaka portavano la palla, che, dopo un paio di verticalizzazioni mal riuscite, giunse tra i piedi di Higo.
Shinichi si aggrappò al bordo della transenna, trattenne il respiro e sbarrò gli occhi quando il campione, scartati tre avversarsi, fece partire un tiro potente e preciso, che si stampò sull’incrocio dei pali. Al lieve verso di delusione della sua vicina, il suo cuore riprese a battere.
“Rischierai di strozzarti” commentò Shiho, vedendolo scartocciare un sandwich e azzannarlo con rabbia e sollievo, mentre continuava muoversi, gesticolare, saltellare sul seggiolino quasi scottasse.
Non la badò neppure e, al gol dei Noir Tokyo, scattò in piedi, accettando di buon grado il braccio al collo dello sconosciuto al suo fianco. Intorno regnava il caos.
I tifosi più agguerriti incitarono i propri giocatori intonando l’inno della squadra, quelli più quieti si limitarono ad esultare sollevando i pugni sopra la testa; lei rimase, invece, compostamente seduta  a domandarsi come facessero a sentirsi a loro agio, ad agitarsi in quel modo sotto gli occhi di tutti. Poi pensò che, forse, era la cosa più naturale del mondo e che proprio per questo non ne era capace.
Alla fine del primo tempo, le squadre si ritirarono negli spogliatoi sul risultato di 1-1 grazie ad un rigore trasformato da Higo. Si era reso protagonista di un’ottima gara e Shiho, vista la simpatia che nutriva per lui, non poté che esserne contenta.
“Cos’è quel sorrisetto?”.
Nella voce di Shinichi c’era la meraviglia di chi subisce un’amara sorpresa, qualcosa d’inatteso e spiacevole, ma di troppo lieve per scomodare la collera.
Shiho aggrottò la fronte, pensierosa. Si sentiva strana, pervasa da una leggerezza ignota che la possedeva senza alcuna ragione apparente.
“Niente” sospirò, incurvando ancora le labbra. “È una bella partita”.
Vederla di buon umore gli fece scuotere la testa, arrendevole. Non avrebbe mai capito a quale legge rispondevano le reazioni emotive dell’amica, ma stava ridendo. E questa era la cosa che più contava.
“Già. Non illuderti, però. Abbiamo ancora un tempo per portarci a casa la vittoria!”.
“Lo stesso vale per noi, Kudo!” e addentò il panino, spingendosi con gli occhi oltre il parapetto, sul rettangolo verde, dove Higo era appena ricomparso, tra le urla entusiastiche dei suoi fans.Cominciò un solitario palleggio a bordo campo, dispensando sorrisi a quanti lo incitavano a vincere, tra le file degli Osaka, e a qualche nostalgico dei Noir Tokyo che invocava un suo ritorno. Lui ringraziò tutti con un lieve inchino che sollevò il caldo applauso del pubblico, compreso quello di Shinichi: se non avessero avuto magliette diverse, le due tifoserie sarebbero parse indistinguibili.
“Dietro alla sua classe, c’è sempre una grande umiltà e la voglia di non arrendersi mai, per questo è tanto amato!” disse, sbracciandosi quando il campione agitò le mani proprio sotto il loro spalto.
Aveva il viso di un ovale perfetto, stretto alle tempie e un po' largo in basso, gli occhi lunghi, chiari e dolci, il naso dritto in una sola linea con la fronte, le labbra distese in un affaticato sorriso sopra il pizzetto. Shiho lo trovava bello, di quella bellezza che incanta perché ha una storia alle spalle. E per un momento, come un’ammiratrice sfegatata, desiderò che quel saluto fosse rivolto solo a lei.
 
Trotterellò in campo a testa china, insultandosi mentalmente per aver anche solo creduto di riuscire a scorgerla tra migliaia di spettatori urlanti.
Di lei sapeva solo che aveva il fascino della solitudine, la limpidezza delle cose fragili.
E le labbra segnate da ciò che si è perduto.
L’aveva vista per la prima volta quel giorno, all’entrata dello stadio, mentre, accogliendo le richieste dei tifosi, firmava qualche autografo e scattava foto in loro compagnia. Alcune ragazze erano riuscite a metterlo in difficoltà con commenti che trascendevano le sue doti atletiche e, Higo, per celare l’imbarazzo, si era voltato.
Quella ragazza spiccava nella fila d’accesso, con il berretto degli Osaka calcato sul viso, una felpa troppo ampia che le ricadeva ben oltre le spalle, lo sguardo vigile puntato sull’orologio.
 “Forza, Ryu!”.
Lo sprone di un suo compagno gli ricordò che c’era ancora una partita da giocare e vincere.
Così chiamò palla, dribblò un avversario, azzannò la metà campo avversaria e, giunto al limite dell’area, calciò. Il pallone disegnò una diagonale perfetta, veloce e angolata, depositandosi in rete tra l’immediato giubilo dei tifosi.
Higo fu travolto dall’abbraccio della propria squadra, ma i suoi occhi, anziché nella gioia dei compagni, si persero nella curva.
Era lì, da qualche parte, e la sola idea di averle regalato un sorriso, lo rese inspiegabilmente felice.
















Angolo Autrice
Ebbene si! Higo e Shiho....Shiho e Higo...un crack-paring che più crack non si può! Ma siccome anche l'autrice è un pò crack non dovete stupirvi! XD
L'idea nasce una settimana fa da un'errata traduzione del file e, nonostante poi si sia capito l'errore, era troppo tardi...la mia mente viaggiava già nella direzione di questa fic! Ed eccovela qui!
Non so quanti apprezzeranno la coppia, io stessa ho delle difficoltà nel delineare il carattere di Higo viste le sue poche apparizioni...spero tuttavia che funzioni l'equazione: ad Ai piace Higo, a me piace Ai, quindi...mi faccio piacere pure Higo! ;) (Che in fondo non è affatto male!)
Ok, smetto di scrivere tutto ciò che penso e vi saluto!
Appuntamento alla prossima settimana con il secondo capitolo, 'L'incidente'.

bye bye

ps: GRAZIE a tutti coloro che seguono/commentano la fic! Sapete che sono una sciappa a rispondere alle recensioni...quindi cercherò di rispondere a vostri eventuali dubbi in questo spazio!
  
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