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Autore: Evanne991    23/01/2014    0 recensioni
Non sempre è tutto bianco o tutto nero. A volte in mezzo ci sono tutti i colori dell'arcobaleno. Una giovane donna e la sua ingenua convinzione che il nero sia solo il colore degli abiti da sera che indossa nelle lussuose feste organizzate da papà. Quel che nero che, appena riconosciuto, decide di strapparsi di dosso. A qualsiasi costo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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http://www.youtube.com/watch?v=LYEjffrFm3c

Mi chiamo Riccardo Sivi, ho cinquantasette anni ed ho ucciso mia figlia e prima di lei il mio migliore amico.

Tutto è iniziato quando ho scoperto, anni fa, che mia figlia, la maggiore, Elettra, aveva una relazione con un’amica di famiglia, Giulia.
Fin da piccolo sono cresciuto con l’idea, inculcatami dalla mia famiglia, che il sangue è sacro e che bisogna essere all’altezza per entrare a far parte della vita delle persone. Nessuno può  arrivare senza preavviso e complicarti la vita, nessuno deve farti del male, e nessuno può poi lasciarti a soffrire come un cane, da solo.

Bisogna essere all’altezza anche solo di fare una carezza.

Siamo la ricchezza più grande per noi stessi, e fino a quando non sappiamo proteggerci da soli deve esserci qualcuno a farlo per noi.

Scoprii di Elettra e Giulia, non sto qui a dirvi come, e minacciai Giulia di allontanarsi da mia figlia, a costo di ammazzare la sua. Non poteva denunciarmi, Giulia, non doveva, perché la paura blocca le persone, le terrorizza al punto di tacere e far finta di niente. Non so bene come fece, Giulia, ma nel giro di qualche tempo mia figlia andò via. Era il prezzo da pagare, averla lontana da me per un po’, ma degna e pulita, fuori ogni pericolo. Donarsi alle persone è il pericolo più grave che si possa correre.

In quegli anni acquistai sempre più potere nell’élite cittadina, e fondai un club segreto fatto di passioni, desideri, ambizioni, dove ognuno manteneva i segreti dell’altro e giurava di aiutarlo in qualsiasi situazione: massima segretezza, pena la morte delle persone più care a loro.

In realtà non ho mai pensato di uccidere qualcuno, ma il fatto di tenere le redini con le parole mi faceva sentire quasi un dio.

Avevo ai miei piedi le personalità più influenti della Regione, e non ci guadagno soldi, assolutamente, sono già ricco: ci guadagnavo il rispetto, l’accondiscendenza, l’ammirazione di chi non sapeva e mi vedeva così affermato.

Ad un aperitivo con alcuni dei miei compagni si pensò a favori sessuali che avrebbero allietato le nostre giornate, favori che dovevano essere svolti da qualcuno estraneo al nostro mondo, ma che sarebbe stato poliedrico, a qualcuno che avrebbe fatto del bene a noi uomini, in modo tale da incrementare il nostro ego e le nostre manie di possesso e controllo, e del bene alle donne, in modo da deliziarle e viziarle, senza vincoli.

Avremmo pagato profumatamente.

Un giorno, mentre pensavo a chi avrebbe potuto indossare le vesti del nostro amatore, o della nostra amatrice, mi affacciai dal terrazzo del mio studio, a Villa Sivi, ed il sole di maggio illuminò dolcemente la stretta treccia bionda della mia Eva, la quale stava dando un leggero bacio a stampo, quasi di fretta, a quel ragazzo, Christian. Lui indossava una camicia bianca leggermente sbottonata, aveva i capelli scompigliati, gli occhi socchiusi, un sorriso allegro, ed esprimeva devozione per mia figlia in ogni gesto, ad ogni respiro.

Era bello, molto. Fu in quel momento che mi resi conto di provare eccitazione nel guardare quel ragazzo. Non ci pensai due volte e convocai i miei compari e le mie comari ed esposi loro l’idea di avere Aresi, per noi.

Immaginai che all’inizio furono interdetti, anche se non lo dissero. Molti di loro erano amici di famiglia, e sapevano che Christian aveva un rapporto speciale proprio con mia figlia. Giulia ne parve quasi stizzita, inizialmente: aveva lasciato a malincuore Elettra, lo sapevo.

Finalmente giungemmo alla conclusione: Aresi sarebbe stato il nostro compagno e l’avremmo pagato profumatamente, gli avremmo reso tutti gli agi, sarebbe stato protetto sotto una campana di cristallo. Mi sarei occupato personalmente di lui, la prima volta.
Gli telefonai, gli esposi la proposta, minacciandolo. Non avrebbe dovuto negarsi.

Era sì il modo di sentirmi superiore, di sottomettere qualcuno, ed altresì il modo di vedere fino a che punto il ragazzo amava la mia bambina.
Nessuno ha il diritto di entrare nelle vite delle persone e far loro del male.

Sono passati anni. Tutto procedeva bene. Fino a quando Giulia ha scoperto che Stefano, il mio migliore amico, aveva una relazione con la mia Elettra. Probabilmente Giulia lo ha accusato per vendetta. Prima l’ha fatto parlare, e gli ha strappato anche quelle parole in cui diceva che Elettra l’aveva visto puntare una pistola a Christian, prima di pagargli l’ultimo sesso della giornata. Poi è venuta da me, con una registrazione. Ed io, tradito proprio da lui che sapeva quanto volessi proteggere le mie ragazze, quanto mi fosse costato far soffrire Elettra per mano di Giulia pur di salvarla, l’ammazzai.

Piansi, soffrii. Seppi che quello sarebbe stato l’inizio della fine. Sapevo solo che Elettra non avrebbe detto nulla, non avrebbe parlato di Stefano, né dell’episodio di Christian.

La paura è il segreto inconfessabile di ognuno di noi.

Poco tempo dopo, Eva, la mia Eva, si è ammazzata. Nel mentre gli inquirenti mi hanno scoperto. Non aveva più senso per me. Volevo salvarla, volevo salvare Elettra, e le ho distrutte.

Una chiavetta usb è stata trovata nella borsa di Eva. È stata analizzata, e c’era al suo interno tutto ciò che bastasse per arrestare me per omicidio  e favoreggiamento alla prostituzione, Christian, Giulia e diverse altre persone per favoreggiamento alla prostituzione e omissione di denuncia nei miei confronti. Siamo tutti coinvolti, e nessuno si salverà.

Nemmeno le mie bambine, le uniche, vere vittime.

L’ho fatto per amore. Per amor proprio, per amore delle mie figlie.

Non ho più me stesso, né loro.

Vorrei solo chiudere gli occhi e non aprirli più.

Ma la beffa della vita sta proprio in questo: non morirai dopo aver seminato dolore, anzi, ogni notte ti addormenterai e le immagini della disperazione di distruggeranno, al punto tale di spalancare gli occhi nel buio. Non gioirai nel svegliarti, nel vedere bianco dopo il nero: non lo farai, perché la tua condanna sarà proprio svegliarti ogni giorno, nonostante desideri morire.

La tua condanna è vivere dopo aver ammazzato ciò che ti manteneva in vita.
  
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