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Autore: alex99x    23/01/2014    2 recensioni
Ciao, questa è una storia alla quale sto dedicando buona parte del mio tempo, e spero che vi possa piacere: in questo racconto mi immagino una sorte diversa della razza saiyan, e uso gli stessi personaggi del manga/anime che ha contagiato la mia vita (che sono proprietà di Akira Toriyama). Aspetto molte recensioni; buona lettura!
N.B. In ogni capitolo la voce narrante si soffermerà su un personaggio in particolare, citato all'inizio del capitolo
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bardack, Goku, Turles, Un po' tutti, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – I ricordi del passato – Bardak

E’ notte. Tra le macerie di una città, una donna sta correndo per poter salvare il suo piccolo. Il suo sguardo di terrore avrebbe lasciato impressa nella mente del figlio quella maledetta serata come inchiostro nero su una tela candida. Quel bambino e sua madre dovevano pagare per crimini che non avevano commesso. I sentimenti di quest’ultima erano di terrore, come dimostravano le sue grida di aiuto e il frenetico movimento della sua coda. Poi, di colpo, un rumore strano, e la quiete. Non c’era stato niente da fare; la madre, a terra, era agonizzante, trafitta a morte da un raggio di energia. Il figlio piangeva. Un individuo la cercò di soccorrere, ma lei, consumando le sue ultime energie, pronunciò una sola parola: «Salvalo…».
I suoi occhi, oramai privi dell’affetto che il bambino avrebbe ricordato per sempre, si staccarono dal mondo dei vivi, precipitando in un abisso senza fine.
L’individuo portò con sé il pargoletto, che cadendo si era procurato un taglio sulla guancia. Una volta a casa, una testa arruffata fece capolino da dietro una porta: «Papà, chi è questo bambino? Come si chiama?». «Non so tesoro mio, credo sia meglio che tu glielo chieda, perché da oggi sarà il tuo fratellino». Quella figura, così fragile e scossa, ebbe la forza di dire solo una parola: «B-Bardak…».
 
Era giorno, e due individui stavano lottando tra loro, senza staccare gli occhi uno dall’altro, carichi di rispetto reciproco. Uno dei due iniziò a sferrare una rapida scarica di pugni verso il viso dell’avversario, che l’altro però riuscì ad eludere con facilità; sfruttò quest’occasione per passare al contrattacco, colpendo l’avversario nel ventre con una gomitata, e poi buttandolo a terra. «Niente da fare, non c’è storia… Ci sarà mai un giorno in cui riuscirò a batterti, fratellino?» esclamò il primo, rialzandosi a fatica. «Non si può vincere in eterno, fratellone, contrariamente a quanto credi - rispose il secondo col fiatone – e poi stai migliorando a vista d’occhio! Non c’è da stupirsi se io e te siamo riusciti ad arruolarci nell’esercito del nostro pianeta, Vegeta!». Il primo fece l’occhiolino al secondo, come due veri fratelli. «Sembra solo ieri quando ti abbiamo accolto in casa nostra…». «… e non smetterò mai di ringraziarti, Paragas!». «Sei mio fratello, non è vero Bardak? I fratelli si soccorrono sempre, non dimenticarlo!».
 
“Si soccorrono sempre…” pensò Bardak. Si sentiva in imbarazzo. Era come se quella sua cicatrice stesse bruciando, come succedeva sempre quando era agitato. Erano passati vent’anni da quando lui e suo fratello, raggiunta la maggiore età, si erano arruolati come soldati nell’esercito dei Saiyan, e 15 da quando Paragas lo avevo lasciato per tentare la fortuna in un’altra città del pianeta. Ora Bardak era in una stanza, anzi, in un salone, del palazzo di Re Vegeta. Aveva trovato una moglie che lo amava, Taanipu, da cui aveva avuto due figli, Radish e Kakarot. Aveva fatto strada nell’esercito e si trovava lì per essere nominato Gran Generale dell’Esercito Saiyan, sotto gli occhi dei suoi familiari citati prima e dei suoi compagni che lo avevano sempre supportato sin dal primo giorno, che sono Toma, tra l’altro suo migliore amico, Seripa, compagna di Toma, Toteppo e Punbukin, che si stava abbuffando senza ritegno al tavolo imbandito dietro. Tuttavia sentiva la mancanza di quella figura che fu un punto di riferimento per lui. Stava trasalendo, quando le dita di Re Vegeta, che portavano una medaglietta, vennero a contatto con la sua armatura di battaglia verde e blu scuro, incastonandoci il simbolo di una vita di sacrifici per la sua famiglia. La sua regina, Rosecheena, lo fece inginocchiare. «Giuri di prestare servizio al tuo re per tutta la vita?». La sua voce risuonava nella stanza che sembrava vuota. «Lo giuro!» esclamò. «Giuri di collaborare nella formazione dei nuovi guerrieri saiyan, di cui sarai responsabile?». «Lo giuro!» esclamò, con voce più decisa. «Giuri di morire in battaglia per la tua razza? Di anteporre l’onore alla tua condizione fisica? Di non tradire mai i nostri ideali?». Bardak pensava. Più di tutto lo faceva ragionare quella domanda che lo avrebbe messo in crisi, senza potere saperlo. «Lo giuro!» urlò con tutto il fiato che aveva. «Allora alzati, Gran Generale! Ora questo è il tuo ruolo, fatti rispettare per questo!» tuonò la regina. «Lo farò, può starne certa…». Bardak sorrise, e si rese conto che la sua vita sarebbe cambiata.

I figli del re, i principi Vegeta e Tarble, erano uno l’opposto dell’altro. Bardak li osservava, siccome non aveva quasi mai occasione di vederli, e cercava di caire come fossero anche in base ai racconti dei suoi due figli. Il primo, pur essendo molto amico dei figli di Bardak, in particolare di Radish, se ne stava su un trono più piccolo rispetto a quello dei suoi genitori, ma più grande rispetto a quello vuoto di suo fratello; era molto potente, anteponeva l’onore a tutto, e la superbia era il suo simbolo di riconoscimento. Tarble, invece, non si faceva problemi e stava seduto vicino a Kakarot, il suo migliore amico. Non era molto bravo nel combattimento, ma aveva un’anima gentile e premurosa; a differenza di suo fratello, Radish e Kakarot, non si era mai trasformato in Oozaru, la caratteristica con cui si identifica un saiyan. Non aveva mai capito a cosa servisse la coda, e diceva continuamente ai suoi genitori che non è con la forza che si vince sempre un nemico. Per questo motivo si allenava molto di rado, in particolare quando aveva la giornata storta ed entrava in casa, per così dire, sbuffando: «Cazzo, oggi mi è andata proprio di merda!», cosa invece abituale per Vegeta.
Mentre osservava i suoi figli stare con quelli del re, facendo queste considerazioni, lo afferrarono per le caviglie, e i suoi compagni esclamarono: «Per Bardak, hip hip urrà!». Alla sua terza imprecazione lo fecero scendere, mentre sua moglie rideva sotto i baffi. Toma si complimentò con lui insieme alla sua compagna, mentre Punbukin gli diede quattro pacche sulla spalla, che si coprì di torta spiaccicata. Toteppo alzò gli occhi al cielo. Re Vegeta annunciò: «Bene, ora tornate alle vostre abitazioni, è tardi! Io e mia moglie vorremmo riposarci…». Tutti scattarono subito e, in men che non si dica, avevano tutti abbandonato il palazzo. Era rimasta solo la famiglia di Bardak, che si diresse verso casa dopo aver ringraziato i reali.
La casa di Bardak era come quella di un saiyan normale: appena entrati c’era un salotto con un tavolo e la cucina, con una porta che conduceva al piano superiore, con le altre camere, e un’altra che conduceva nella camera dei genitori. Bardak e Taanipu ci si distesero sopra, mentre i loro due figli andarono di sopra a dormire. «Cosa pensi se ti ricordo che domani ti dovrò dare degli ordini?» disse Bardak, mentre la sua coda accarezzava le gambe della sua compagna. «Penso che sarà meglio sfogarsi prima» esclamò, lasciando di stucco Bardak, che in quel momento era tormentato da mille ricordi e pensieri, rivolti soprattutto agli anni passati. Taanipu lo riportò alla realtà con un’agile mossa, che la lasciò priva di vestiti. Bardak fece altrettanto; la luce si spense, mentre i due saiyan si apprestavano a unirsi anche quella notte, mentre la mente del saiyan provava gioia e dolore insieme per il bruciore sulla sua guancia, trascinandolo in una spirale di emozioni splendide.
 
  
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