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Autore: Mao_chan91    06/06/2008    4 recensioni
"Noi saremo sempre eterni, nii-san, Winry…sempre eterni! Sempre insieme! Sempre in tre. Contemporaneamente."
“Potevi evitarlo. Potevi evitarlo. Fa’ qualcosa per evitarlo, maledizione, Ed!”
Nascondere la verità per salvare l'equilibrio di una vita intera.
[Incentrata sul film, ne rielabora il finale a partire da particolari premesse.]
[AlxEd, WinxEd vagamente e platonicamente]
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Può sembrare strano, ma sono qui, perfettamente viva. Questa storia era originariamente iscritta al concorso sula Concupiscenza indetto sul forum, poi annullato. Mi sono anche accorta che, non so perché, ma alla fic che ho mandato mancava il pezzo finale °_°’
Mi son tirata su col piazzamento al secondo posto della mia fic Rincorrersi su Naruto, NaruSaku.
Anzi, se a qualcuno piacesse adorerei ricevere commenti.
Oh, e se a qualcuno interessasse, l’epilogo di Don’t look è in betaggio ma arriverà. Lo ri-giuro.
Anche qui ringrazio Onda per il betaggio, è sempre la migliore <3, e spero apprezzerete e vorrete commentare questo strano esperimento.
Oh, dovrebbe sempre far parte del mio set sull’album Violator.
E un pezzo della parte finale ha uno stile deliberatamente ispirato al The Waste Land di T.Eliot, che io adoro.
Ok, chiudo qui XD

-

Policy of Truth

[U n t o l d w o r d s w i l l k e e p y o u t h e r e]

-

You will always wonder how
It could have been if you’d only lied

It’s too late to change events
It’s time to face the consequence

[Policy of truth, Depeche mode]

Incolore, spazioso e dotato di fauci pronte ad inghiottirti.

Lo inghiotte; a nulla serve dimenarsi disperatamente: più scalpita e più la morsa lo separa dal mondo, lo trascina all’indietro.

Ansima su un ciuffo di capelli tra gli occhi: è strano, non li ha mai avuti così lunghi.

Non è mai stato così alto; è solo un bambino, dopotutto.

Non è l’attuale sé stesso, e questo, Ed, pur senza darci troppa importanza, lo riconosce senza problemi.

"Non portarmi via, non voglio più andare via!"

Sai anche tu che è giusto così, è una tua scelta.

"Non voglio, non voglio, ho cambiato idea, voglio restare qui!"

"Non andare via, ehi!"

Winry ed Al fanno ormai parte del paesaggio.

Al non è visibile, ma Winry è ancora un discreto puntino giallo, con la testa volta a lui –lo sa, non può vederla in faccia, ma lo sa.

"Scusami! Scusami, oh, ma non vedi che non è colpa mia?"

“Potevi evitarlo. Potevi evitarlo. Fa’ qualcosa per evitarlo, maledizione, Ed!”

Un colore, un bianco abbagliante.

Poi il nero.

Poi, il caos, a macchie variopinte.

Gli occhi gli fanno un male cane, quando riesce a sbarrarli scoprendosi ben saldo tra le sue lenzuola, ma si sente precipitare comunque, ricadere sul letto con un tonfo.

Trattiene il fiato per non svegliare Alphonse nel lettino affianco, e lascia lentamente ricrollare il capo sul cuscino, tentando, con scarsissimo successo, di calmarsi.

Tutto quello che ho visto non era reale. Lo giuro.

-


Il cielo è sporco, le nuvole cancellate da pennellate di grigio tenue.

Lei lo sta guardando, con i capelli infangati appiccicati a ciocche sulle guance, con gli occhi sgranati nel tirargli la mano sino a torcergliela (Non ha mai amato perdere, dopotutto).

Così vicino al suo petto, può sentirle il cuore palpitare a tratti, discontinuo, come in procinto di esplodere.

Ed è così assordante. Così assordante che, a costo di perdere la battaglia, Edward matura pian piano l’intenzione di scappare via, allentare la presa dall’alto, che lo rende ora prossimo alla vittoria, e scappare lontano- come un vile.

Ma è soltanto un bambino, dopotutto (oh, nessuna colpa, chi ha mai parlato di colpe?).

Il bisogno di sopravvivere all’esplosione gli dilata gli occhi, le orbite secche ed arrossate: accidenti ad Al, deve avergli attaccato il raffreddore.

E la fronte, oh, la fronte va a fuoco, si sente le guance calde e l’unica cosa fredda in lui sono le unghie disperate che affonda nella pelle di lei quando capisce che è lui, quello in trappola.
Che lei non vuole essere lasciata andare, ma continua furiosamente a starsene avvinghiata di peso al suo gomito, schiacciandolo sotto la sua spalla.
Che non basta farle sanguinare quel lembo di pelle raggiungibile dallo scollo della salopette, per farla desistere.


"Lasciami andare!"

Ho solo otto anni, non voglio morire! Esplodi da sola, esplodi da sola, sbrigati, sbrigati ma lasciami andare!

Ma lei non si arrende, e sono costretti a restarsene per altri cinque minuti buoni nella grande pozza di fango, ad alitarsi addosso.

"Non ora. Mi hai parlato di un sogno, prima che giocassimo. Ora voglio sapere di quel sogno."

"Era per questo, che stavi per esplodere?" ansima tutto compunto lui, e sa che non è stata un’azzeccata scelta di parole, e che lei riderà ferocemente, prendendolo per i capelli e vincendo ancora una volta (Winry ama essere padrona del gioco, ama che le si chieda di essere risparmiati).


Lei si acciglia, ma non replica a questo. Solo, rilassa la spalla e si rovescia, con tutta la grazia permessa ad una bambina che gioca nel fango, su di lui.

Anche Winry ha gli occhi arrossati: accidenti ad Al, non solo ha attaccato il raffreddore a Ed, ma a causa sua lui lo ha, a sua volta, attaccato a Win.

Era meglio se me ne stavo a casa, a fargli compagnia.

"E quindi lo ricordi, quel sogno?" gli domanda tremolante questa, in una maniera tutta estatica, come se stesse sudando sangue dagli occhi e fosse sul punto di accoltellarsi con una risata isterica.

(Beh, Edward ha sempre avuto una fervida immaginazione.)


Al è a casa con un brutto raffreddore sfociato in febbre in breve tempo: sono soli, non può scappare.

E’ raro che si verifichi un caso simile: una sorta di sacro dovere morale ha sempre imposto ad Ed di portarsi dietro il fratellino in ogni minima escursione, o di andarsene, piuttosto, a zonzo da solo.

Per non sentirsi come se lo stesse tradendo.

Perché Al è il sacro fratellino su cui vegliare, sempre e comunque.

Perché loro sono un trio che non deve mai sciogliersi, mai separarsi.

E Ed sa per sentito dire (in libri vari) che due uomini possono ammazzarsi a vicenda, per una donna.

Perché tutto resti com’è, quindi, sa che è…sconveniente che un bambino e una bambina restino assieme troppo a lungo.

Dio solo sa -Ed di certo non ne ha idea- cosa potrebbe succedere, tra di loro.

Dio solo sa quanto potrebbe restarci male, Alphonse, che li adora tutti e due.

Perché loro sono immutabili ("Noi saremo sempre eterni, nii-san, Winry…sempre eterni! Sempre insieme! Sempre in tre. Contemporaneamente.").

Perché i cambiamenti sono una cosa odiosissima.

E perché Ed sa essere molto, molto pigro.

"Cosa?"
"Ricordi bene quando sei sparito nel grande vuoto? Lo ricordi bene?"

Il sudore è solo acqua, acqua assolutamente impotente ed affatto in grado di condizionarlo, per Ed.
Tiepida e schifosa, normalmente; un nuovo e gelido strato di pelle, al momento.

Quali curiose sorprese, nel bazzicare troppo a lungo nel mondo dei sogni!

Nel raccontare troppo, riguardo tale bazzicare, ad un’amichetta ansiosa.

"Era solo un sogno, Win. Solo un sogno."

"Ma ricordi qualcos’altro? Qualche altro dettaglio?"

Lui fa cenno di no con la testa, ma con un piccolo grande nodo alla gola che lo lascia temporaneamente senza fiato.

Lei era come oggi. Come oggi.

Winry gli tira ancora e ancora il braccio secondo la sua concezione del termine ‘delicatezza’, invitandolo a parlare in tutta gentilezza.

Winry ha vinto, ma infierisce ancora, perché è una bambina curiosa e tanto, tanto attaccata alle persone.

Winry è assurdamente, insopportabilmente apprensiva (sempre e comunque).
Il braccio gli fa ormai troppo male per azzardare nuovi tentativi di ribellione, perciò Ed è costretto ad arrendersi.

"Brutta scema, perché…?"
"Tranquillo, se il tuo braccio venisse via potrei studiare meccanica per fartene uno nuovo. Più robusto, sai." replica incurante e pensosa la bambina, a cavalcioni di lui, pesante sul suo stomaco.
"Questo va benissimo. Andava benissimo." brontola il bambino massaggiandoselo, ma qualcosa dentro di lui rantola ancora atrocemente.

Un grosso, grosso fastidio.

"Ho vinto, giusto?"

"Aww…"

"Sì, ho vinto.", risatina giocosa, "Ora, il tuo pegno.", risatina perversa zittita dal vento.
"Va bene, il mio pegno. Cos’è?"

L’importante è che non faccia nuove domande.

Non sa bene per quanto altro tempo potrà continuare a mentirle, sulla mancata nitidezza dei dettagli.

Era tutto così…così accecante, ma proprio per questo così chiaro.

Winry, era accecante ma visibile.

Alphonse era accecante, ma dalla luce stessa oscurato.

Alphonse non era qualcosa che volesse vedere; Winry era qualcosa che voleva farsi vedere.

"Non dovrai mai andare via. Starai sempre qui con me. Vero?"

E cade dalle nuvole, lui, non più dal grande vuoto.

"Cosa c’entra, questo?"

"E’ questo, il tuo pegno."

"Beh, va bene."

Oh, sì.
La sua punizione: occhi poco confortevoli –così chiassosamente nervosi- che tenteranno di fissarsi nei suoi.

Asserisce col capo, perché la sensazione di disagio è crescente.
Viene su dritta dal costato, pronta a ridiscendere nello stomaco solo quando lei cambierà espressione, lasciandolo libero.

Perché è un fastidioso dejà-vù, quel sorriso confortato e mansueto.

Lei sta sorridendo, con una mano sul petto.

E lui sta rotolando, rotolando sotto una sua spinta giocosa ma affatto simpatica.

Non gli piace non potersi fermare ma poter solo ruzzolare giù dalla collina fangosa sospinto dalle mani di Winry, non gli piace che lei sia come in quel sogno –e ride, ride scioccamente ma lui sa che dentro di sé sta piangendo, tutta infangata, tutta priva di speranze, sconvolta da parole che neanche comprende appieno, sconvolta da parole che neanche hanno un vero senso.

Non avrebbe mai, mai dovuto parlarle del grande vuoto del cielo.

Pensare alle sue lacrime tristi.

Perché anche Lei stava sorridendo, con una mano sul petto.

Solo, in maniera decisamente più amara.

-

"Bentornato a casa."

Una mano dietro alla nuca, e si volge a guardarla.

Odia frasi di quel genere, ma lei pare andarne matta.

Perché lui non sa mentire. Non sa assecondare degnamente le false speranze.

Lui è un disastro, in parole povere, ma non è una cosa importante, non ora.

"Sì. Questa è casa nostra. E’ così bello dirlo." ride gioviale Alphonse, alle sue spalle.

Dannato, dannato Alphonse.

Sempre così...provvidenziale.

A cosa serve che parli lui, se c’è il suo fratellino lì per farlo, tanto credibile quanto inespressivo dietro il metallo?

Lì a sbirciare un mondo che non gli appartiene più e, forse, mai più gli riapparterrà.

Lui che non rischia di compromettersi –lui non esiste, dopotutto, per colpa di un certo qualcuno-, quando Ed ha già compromesso tutto per lui, scegliendo per lui.

Al che potrebbe permettersi degli errori, ma non sbaglia mai.

Ed che non può più sbagliare, ma lo fa.

Sogghigna, e lo fa.

"Sì, casa nostra. Potremo tornarci per sempre, dopotutto. O prevedi di farci pagare l’affitto e la permanenza su suolo privato, strega?"

"Ah, Ed, idiota che non sei altro. Comunque, quale dei due hai rotto, questa volta?"
E’ assurdo, ma sulle sue labbra c’è del sollievo disciolto, come se fossero a lungo state in tensione, temendo le sue parole, temendo forse unCasa? Noi non abbiamo un casa.’.

Temendo forse per la salute di un bambino autistico cui si è sforzata per anni ed anni di spiegare un concetto chiarissimo.

Temendo un rifiuto.

Ma lui non le ha guardate, le sue labbra, prima.
Lui ha fissato il pavimento e poi Al, mentre varcavano la porta.
Il pavimento e basta, una volta entrati.

Lei non è un’alternativa plausibile, da guardare. Troppo facile da consumare col solo sguardo, troppo facile da infangare, da tradire.

Di parvenza –oh, solo quella- troppo bianca e sacra per non desiderare di riversarle addosso almeno un po’ delle proprie facciate peggiori (Che tentazione, che bersaglio perfetto, sarebbe! E oh, che rabbia!).

Ma nel contempo lei è L’amica, La casa, Il mondo, un qualcosa d’inviolabile per la semplice gratitudine nel sapere che esiste ancora qualcosa di così semplice e caro al mondo.

Quella con cui parlare di cose normali, senza problemi, senza difetti.

Quella con cui illudersi di non avere alcun problema –riuscirebbe a fartelo credere anche se fossi moribondo, con quelli occhioni tondi e gentili, apprensivi, che ti urlano che in te c’è un universo che nemmeno credevi potesse esistere.

Che ti fanno credere di avere un significato.

Di essere sulla strada giusta.

Come quelli verdi ed assolutamente enormi di Al –sa che sono gli stessi di quando erano piccoli, e certo non può fare a meno di vederglieli sulle fessure scure dell’elmo, iridi lucenti ove non c’è più spazio per le espressioni.

Dove non c’è più spazio per la vita.

Allo stesso modo di Winry, sa farlo sentire nel giusto anche quando ha torto.
Praticamente sempre.

Quei due sono una delle più sincere e paranoiche illusioni che rendano sopportabile una vita travagliata.

Che la rendano umanamente concepibile.

E Ed si sente francamente in vena di ridere, al pensiero tremendamente, ossessivamente depresso.

"Oh, ma questa è una semplice visita di cortesi-"

"Forse non ci senti bene, Ed. Te lo ripeterò: quale dei due hai rotto?"

"...aw. Il braccio."

"Oh, lo sapevo!"

"Ma questa volta l’hai rotto proprio in modo stupido, nii-san!" lo punzecchia serenamente il fratellino, mentre Winry solleva la mano, pronta a scagliare la sua fidata chiave inglese.

"In modo stupido?" ripete francamente perplessa lei, e Ed ha tutto il tempo di mettersi in salvo dietro al divano, con le mani incrociate sulla testa e del rossore seccato a farsi spazio sulle guance.

"Non c’è bisogno che tu lo sappia. E poi non l’ho proprio rotto, è solo che…"

"Non c’è nulla di cui vergognarsi, nii-san, dài. Beh, è caduto dal letto per quanto si agitava nel sonno. Ed è caduto parando il corpo col gomito, così si è staccata una vite. Non c’è nemmeno stato verso di trovarla, sai." sospira l’armatura scrollando le spalle ed attirandosi scorbutiche occhiatacce dal ragazzino acquattato dal lato opposto della stanza.

"Se era solo per una vite, non c’era bisogno che veniste apposta fino a qui, chiunque avrebbe potuto sistemarla al posto mio."

Un sorriso tutto tremolante.

Ha delle espressioni ben strane, Winry, oggi.

Come se non volesse sul serio delle risposte.

Come se bastasse un minimo dissenso a farla scomparire dalla faccia della terra, sepolta sotto una polverosa nuvola di delusione.

Così…così pretenziosa, ecco.

"Era una buona scusa per fare una pausa." spiega Ed scrollando le spalle e fingendo, invano, disinteresse "E poi tu ci fai gli sconti, ovvio!"

"E lo ricordi?"
Come colta da una scarica elettrica, prende coraggio e parla all’improvviso, lei.

Buffo. Non si aspettavano nuove repliche.


"Di che parli?"

"Ricordi di cosa parlava, quel sogno?"

Di nuovo, di nuova quella morbosa smania di conoscere fatti così lontani ed inconcreti.

Di nuovo quella brama passata sottoforma di bisogno fisiologico di sapere cose assolutamente superflue.

Assolutamente superflue.

Lo fissa -lo irrita- da lontano e lui si sente impazzire, perché non ha alcuna intenzione di essere ragionevole e di dirle la verità.

Non è necessario. E non avrebbe, comunque, alcun senso.

"Non…"

"Non...torcermi...il braccio..." gli fa’ eco la voce rimbombante di Al stretta in sillabe infantili ed un po’ canzonatorie -del miglior repertorio concesso ad un’armatura parlante-, ed il danno è fatto.

"Eh?"

"Diceva così, sai. E parlava di un grande vuoto. E faceva ‘Eccola, piange di nuovo. Ma dovrei essere felice, ora. L’ho voluto io.’ Una cosa del genere, ecco. Proprio un sogno strano."

"Non significava niente, neanche me lo ricordo, ormai."

"Il grande vuoto?"

"Mh."

"Ha un che di familiare."

"Massì, Winry, è la classica definizione da favoletta, no? Grande mostro, grande torta, grande pozzanghera. E’ tutto così grande, per i bambini..."

"Quindi secondo te, Al, era un sogno da bambini, il suo?"

"Credo di sì. Sì, sembrava proprio il modo in cui si sarebbe espresso un bambino."

"E’ molto piacevole ascoltare le vostre strane teorie, ma la mia è più brillante: era un fottutissimo sogno senza alcuna cazzo di importanza. Contenti?"

"Quanto sei volgare, idiota."

"Mi scusi, principessina." e storce il labbro inferiore, con un breve inchino.

"Ed...non ricordi nient’altro?"

"Eh?"

"Non so, ad esempio...chi stava piangendo?"

"Nessuno piangeva. Assolutamente nessuno."

Ed era vero. Se ne era stata semplicemente lì a fissarlo, con gli occhi così aperti che sembrava strano non vederli lacrimare, diventando sempre più minuscola ed insignificante, dall’alto, fino a scomparire completamente dal suo campo visivo.

-

"Nii-san è il re dei sogni tragici."

Alphonse ha sempre avuto questa miracolosa capacità di stemperare la tensione più alta con una singola battuta, con un tono di voce casuale, come se venisse da un altro mondo, un’altra situazione.

Dono particolarmente utile, certo.

Specie durante un così imbarazzante silenzio nel guardare il tuo migliore amico che dorme, quando voi altri, chi per cause di forza maggiore, chi per semplice insonnia, non può appisolarsi questa sera.

E si sta gioiosamente così, immobili e con le ginocchia strette al petto, in un angolino della stanza, a fissare qualcosa –qualcuno- di cui si possono mettere a fuoco tutti i dettagli solo quando è perfettamente immobile, per quanto convulsamente si agita da sveglio.

E poi, quando dorme non può lamentarsi del tuo sguardo, imbarazzarsi, urlare, scappare: è in trappola, a dirla in breve.

Ed corre in continuazione, si spezza –usualmente-, si incrina –banalmente-, ma non cade mai. Soprattutto.

Ed sa bene, oh, benissimo come cadere.

Ma cadere è qualcosa di troppo pericoloso, in una vita così instabile.

Edward Elric ha solo quattordici anni, ma sa già perfettamente cosa si trascinerebbe dietro con la sua caduta.

("Non aggrapparti a me mentre corro, Al, non essere sciocco, mi cadrai addosso e cadremo in due, e sei anche pesante!")

Edward Elric odia i vincoli, le responsabilità, nel profondo del suo cuore.

Non esita a caricarseli in spalla, a crearsene di nuovi e fantasiosi, ma li detesta profondamente.

(Non sa parlare, è questa la verità)

"Sì. Dorme agitandosi così tanto...dovrebbe risparmiarsi questo strazio, almeno quando nel sonno."

Parole banali per uno strazio futile.

"Ma nii-san non può fare a meno di preoccuparsi, sai. E’ un po’ come te. Sempre ansiosa, no?"

Un insulto per un’ovvietà.

Che sciocchezze, che sciocchezze.

"Dopotutto, tutti e tre ci assomigliamo per diverse cose. Siamo un tale trio di idioti... "

Un sorrisino divertito, di quelli che non tirava fuori da un po’.

Tu guarda un po’ che male, quando ci perdi l’abitudine.

(Le cose vecchie fanno sempre un po’ più male, tutte accartocciate, con i loro spigoli smangiucchiati dai tarli)

"Beh, magari un po’ sì, in effetti. Ma è per questo, che siamo uniti."

Che sciocchezze. Che sciocchezze!

(Puoi ridere anche se stai piangendo, giusto?)

"No. Noi non siamo uniti. Né dureremo per sempre."

Una risatina isterica, un mezzo sussulto stroncato da una vivace scrollata di spalle.

"Winry..."

"E’ così, no? Io sono superflua, dopotutto. Sempre e comunque un’intrusa..."

"Non dire così..."

Ed Al è carino, provvidenziale, utile, certo, ma per niente d’impatto.

Forse è per questo, che è così facile dimenticarsi di lui.

Lasciarlo solo, il sempre uguale, sempre bambino, piccolo Al.
Così distruttibile.

("Vetro, Al, vetro! Non era diamante, se si è rotto!")

"Non sto dicendo nulla di trascendentale, Al. Non mi sto inventando nulla, e non sto accusando nessuno. Beh, ora scusami. Cercherò di dormire."

Che cosa crudele da dire.
UnCercherò di dormire, io che posso’ sarebbe stato similmente crudele; Winry si pente all’istante dello scatto feroce con cui è scattata in piedi ciabattando via e persino della sua aria impensabilmente goffa, con la maglia del pigiama troppo lunga per lei a strusciarlesi ampia sulle ginocchia.

E vorrebbe scusarsi, ma è già fuori dalla stanza, mentre Al è rimasto lì, perfettamente immobile e rannicchiato sulla sua grossa persona (‘persona?’).
A pensare, a rassegnarsi, a rinunciare a tutto, perché senza di Ed non è sicuro agire, senza di Ed non vi sarà nessuno a riparare i guai per lui, nessuno ad incolparsi per lui.
Senza di Ed o Winry, non c’è nessuno. Loro tre sono un piccolo e morboso mondo, che crea totale dipendenza a ciascuno di essi.
Che crea totale ed incredibile felicità, a ciascuno di essi.

("Poveri cari, a subirsi così, senza scelta. Winry picchia forte, Ed ferisce tanto ed Al soffre un sacco, senza vie di mezzo. Ma penso che siano contenti di abitare vicini. Di essere amici. Vero?" "Certo, mamma." "Winry è la nostra amichetta speciale!" "Al è il mio fratellino speciale!" "Ed e Al sono i miei servetti speciali!" "Eh?")

Semplicemente, si raggomitola contro la parete opposta, con la testa reclinata sulle ginocchia, vacillante.

Potrebbe addormentarsi facilmente, ma non lo fa.

Anche perché è questione di minuti prima che Ed le spunti davanti con le braccia abbandonate sui fianchi, i capelli scarmigliati e gli occhi bassi.

"Vi stavo ascoltando. Non dovresti metterlo così a disagio, sai. Non dovresti incolparlo. Non lui. Va bene se te la prendi con me, ma non con lui."

Hai tirato troppo i fili. Non osare spezzarli! Non osare liberarlo!

"Non era mia intenzione. Vorrei scusarmi, e so di non essere nel giusto."

"Difatti non lo sei. Non è vero, che non sei importante, che sei superflua, per noi."

Infatti sei indispensabile, ma non è necessario che tu lo sappia.

"E’ una bugia carina, Ed, mi fa piacere sentirla. Su, raccontamene altre."

"Non sono così bravo a dirne."

"Questo è vero. Allora, ripetimelo guardandomi negli occhi e forse potrò crederti."

Una pausa, giallo nell’azzurro.

Un contrasto abbastanza fastidioso da venir troncato in fretta, nonostante i pugni di entrambi restino consonamente serrati.

"Non è vero che non sei importante. Contenta?"

"...quindi sono ‘importante’?"

"...non è vero che non lo sei."

"...adesso ho capito. Tu e le tue risposte non compromettenti! Potresti anche odiarmi, per quanto ne so, dicendomi ‘non è vero che mi sei indifferente’!"

"Ma io non posso pensare all’affetto e cose del genere, perché deluderei solo chi vi convolgo.
Non dovresti provare nulla di più che sentimenti superficiali e cortesi, per me, o potresti soffrire tantissimo, in un futuro non lontano. Non voglio che vada così. Né voglio averti sulla coscienza."

"Sai bene che è inutile chiedermi una cosa del genere ed aspettarti che ti ascolti, Ed."

"Eppure devi farlo, anche perché non ci saranno tante altre occasioni perché te lo dica. Al è la mia priorità. Ho dei doveri nei suoi riguardi."

"Perché siete fratelli."

"No. Perché è la mia colpa."

E non voglio conviverci ma liberarmene e bla bla bla ed è giusto così e non odiarmi, puoi solo compatirmi, e bla bla bla.

"Il tuo egoismo mi fa vomitare."

"Non essere così egocentrica da pretendere di potermi giudicare in base all’importanza che ti do, allora. Ci perderesti e basta."

Da quand’è, che il suo sguardo ha imparato a raffreddarsi tanto nello schivare il suo?

Da quand’è che teme i suoi occhi?

"La tua angoscia non è superiore alla mia, nei suoi confronti."

"Non possiamo misurarlo, ma non so quanto stai soffrendo, in effetti."

"Sì, soffro più di te. Perché io non posso fare niente, solo pregare. Io non posso cambiare le cose. Solo augurartelo. Tu sei importante, decisivo, per lui."

Piccolo Al, se muori non posso farci niente.

Piccolo Al, smettila di contare qualcosa, muori e fallo in silenzio, perché tanto non posso farci niente.

"..."

"...ed io non sono importante, per te. "

"Umph. Questo è un concetto molto relativo."

"Se fosse il caso di scegliere tra me e lui, cosa troveresti più importante mantenere? L’amicizia o la famiglia? "

"Non puoi starmi chiedendo davvero di paragonare due cose simili... "

(Due facce della stessa medaglia.)

"Allora mentimi pure, ma rispondimi. Il tuo atteggiamento risponderà per te, perché quello non sai comandarlo bene come vorresti."

"Sciocchezze. Tutte sciocchezze. Smettila di parlare di me! Smettila di parlare come se mi conoscessi!"

Stai rovinando tutto!

"..."

"...intendevo..."

"Intendevi proprio quello che hai detto. Scusami se solo un peso noioso e petulante e non ti conosco, allora. Ma non so più come migliorarmi. Non so più come fare."

"Se pretendi che trovi un senso ad un discorso così stupido..."

"No, non lo pretendo. E ti prego di abbassare la voce, perché mi dà fastidio che mi parli così. Lasciami fingere ancora un po’. Lasciami credere di avere un senso, tra voi due fratelli, di non essere una semplice estranea, una terza incomoda. Questo è un mio diritto."

Nessun assenso, nessuna risposta.

Semplicemente ansioso di svagarsi un po’, al di là di questo discorso pesante, lui rompe le regole e va via in mezzo ad un dibattito al quale normalmente, per amor della guerra e della prevaricazione, non si sarebbe mai sottratto.

Semplicemente, le parole di Winry si sono fatte seccanti.

Può trovare molto di meglio da fare che ascoltarle passivamente e sentirla singhiozzare in maniera così...così sciocca.

Può fuggire, può camminare un poco per il corridoio.

"Non ti odio." sussurra gentilmente sfiorando la sua spalla senza attenzione, ed è tutto quello che può dirle per non sentire il suo cuore spezzarsi.

Perché non è quello che vuole.

Ma restare sempre con lei, non è quello che può fare.

Non può darle speranze in cui non crede nemmeno lui.

"Sarebbe meglio se mi odiassi, sai. Sarebbe una risposta certa. Ti sentirei comunque meno che indifferente. Avrei una vita mia, in questo istante. Lo capisci, questo? Lo capisci?"

Ma è già troppo lontano per sentirla e, se anche l’avesse udita, negherebbe di averlo fatto.

Io lo faccio per te. Per te ed Al. Cercate di capirmi, una buona volta.

Ora non ho bisogno di te, ma vi amo entrambi, e lo sai benissimo –per questo non posso lasciarvi andare e spezzare l’equilibrio.

Peccato- oh che tragedia!-, che l’amore manchi di ragionevolezza in ogni sua fibra.

Peccato – oh che tragedia!-, che entrambi, Al e Winry, siano ben convinti di amarlo con la dissolutezza di ogni loro superficiale fibra.

-

Oggi non ti puoi muovere , oggi non scappi.

Oggi devi correre invano e farti deridere.

Oggi è il tuo ultimo giorno.

Oggi non devi farti prendere –corri, corri, corri!

Oh, dannazione, NO.

Preso!

"Ti ho aspettato. E mi sei mancato."

Lo strangola, lo strangola.

Niente più fiato, è un nuovo gioco.

Se ti uccide vinci tu.

Piegati, dài. Ti conviene (assecondare questa maldestra commedia).

E’ tornato a casa, con gli anni, nel suo mondo e i suoi ricordi, con Al lì per essere riabbracciato (un Al fatto di carne) e Winry ad abbracciarlo.

Se ne stanno così, in mezzo alle rovine di un mondo che forse non esisterà più, tra la sua vita e la sua morte.

In mezzo a Sciezka ed Alphonse (che non sorride poi molto, ora che non è più importante, ma non desiste), Winry lo stringe con tutta la sua affezionata e non indifferente forza.

Winry si illude ma non pare intenzionata a lasciarlo presto, a discapito del grande rossore e del principio di asfissia di Ed.

Sa che quando allenterà la presa, sarà le fine dei giochi, come sempre, ma per l’ultima volta.

E perderanno entrambi.

Non rendere le cose più difficili, soffocherò!

"E nii-san, quanta polvere! "

"Da dove salti fuori?"

Dal grande vuoto.

"Ma sei comunque vivo."

"Grazie per essere tornato."

Grazie per non averci sperato troppo, l’avrei odiato.

"Sapevo che saresti tornato."

"Volevo rivederti."

Basta.

"Temevo di dimenticarti."

Cristo. Basta!

Non prenderà decisioni per sé stesso, oggi.

Oggi è il suo ultimo giorno.

Oggi è tornato, oggi si lascerà in balia degli eventi per la prima volta nella sua vita.

Oggi è importante che loro stiano bene e il male muoia.

A rigor di logica, lui non dovrebbe sopravvivere.

Lui è un eroe, una buona persona.

Di quelle che fanno sempre una fine poco dignitosa.

Di quelle che lo sentono, il ticchettio dell’orologio, come una bomba ad orologeria.

Lo sentono, che quegli ultimi respiri sono preziosi perché non dureranno.

Lo sanno, che non dureranno.

Oggi morirò. Ho vinto una volta, non vincerò per sempre.

Non contro la morte.

E contro quei due, perderai?

Ma può essere tutto più facile, so che sono sullo stesso piano, nessuno ha più diritto di pretendermi dell’altro.

Ma potrai amarli entrambi, senza scegliere mai?

Non c’è fretta, non c’è fretta. Oggi morirò.

Nessuna scelta. Perché oggi morirò.

Che sollievo. La morte deciderà per me.

"Sarà il caso di cambiarti questi ridicoli auto-mail con quelli che ti avevo preparato. Sei pronto?"

"Sì."

Grazie.

-

Com’è che hai vinto la morte? Te ne sei accorto?
Ho solo schivato i suoi passi: l’ho guardata negli occhi e l’ho sconfitta.
L’ho guardata negli occhi, e non sono più morto.
Non c’è più terra nei miei polmoni. Solo un aria così pura da farmi star male.

E devo andare via.

E ci è giunto, alla fine dei giochi, in maniera irrisoriamente illesa, incredibilmente vincitore.

Ora lo ricorda perché lo sta vivendo, quello stramaledetto sogno.

Dall’alto, tutto così insignificante, così lontano dalla realtà, così...privo di plausibilità.

Lei, non è plausibile.

Così piccola, non esiste.

Al è presente, ma cadrà giù, dovesse buttarcelo con le sue mani, essere colpevole del suo precipitare.

Non lo vuole più, sulla coscienza.

(Lo aveva voluto nel cuore.)

Aveva preferito il silenzio alle loro frasi così concitate, troppo concitate ed ansiose e pretenziose.

Vuole essere libero.

E non vuole scegliere.

Se non gli è dato averli entrambi, non vuole nessuno dei due.

"Ringrazia Winry per questi auto-mail. "

"Resta qui."

"E addio."

Anche se agli eroi spettano sempre e solo le scelte giuste per gli altri, in qualche strano modo questa è una scelta giusta anche per lui.

Winry è un puntino insignificante, e non può più guardarla senza dover sforzare gli occhi.

Il grande vuoto si dissiperà, e lui sarà presto via.

"Non credere che ti odi." ma sa che non può sentirla, anche se non vuole ammetterlo "Credi solo di non essere stata una mia responsabilità. Ed io non sono la tua, quindi vivi liberamente. Non ho mai fatto niente che ti facesse credere di essere ricambiata. Non ti ho mai detto niente che facesse di noi qualcosa di più che due amici. Non ce n’è mai stato il tempo, in verità.acesse di noi qualcosa di più che due amici. " borbotta mordendosi poi la lingua, senza una precisa cognizione del tempo e del luogo.

E' a Monaco, di nuovo.

Sta stringendo senza parole ("A cosa servono le parole se non cambiano le cose, Ed? Così inutili, così inutili...") il suo secondo fratello lungo disteso, quand'ecco la più amara delle sorprese, ed è subito preso dal suo dolore personale.

Il primo fratello è tornato, nascosto in un'armatura, tutto gioioso.

"Al! Cosa ci fai qui?"

Al sorride d'un sorriso infantile e birbante.

Al sorride d'un sorriso che lo rende un po' odioso ed un po' gradevole.

Ed è così confuso a proposito, alle volte...

Se non potevo avere entrambi e con essi l’immutatabilità dei tempi passati, allora non volevo possedere nulla.
A stare solo, mi ci sono abituato, in questi anni.

Perché se non potevo averli entrambi, potevo continuare così, benissimo, senza nessuno dei due, come mi ero già abituato a vivere. Ma Al, non la morte, ha scelto per me. La salvezza di mio fratello è stata la mia condanna.
Avere solo una metà della mia cara quotidianità mi fa paura, una paura insostenibile

Ma Al, tutto baldanzoso ed incoerente, ha scelto per loro, infischiandosene di ogni raccomandazione.

E pare dirgli “Guarda, non è colpa tua. E lei sarà felice, lo sai. Non le hai mica chiesto di aspettarti ancora. Lei è libera.”

Giusto. Giustissimo, e sorride brevemente, ingollando bile che sa di interiora e sangue, qualcosa gli cola sulla lingua per una morsicata furente.

“Questo è il nostro mondo, ora.”

Il modo in cui Alphonse calca la parola “nostro”, in assenso, ha un che di straordinariamente doloroso ed umiliante, per lui; ma sente di meritarselo e lo accetta, senza nuove opposizioni.

Ed io non sarò mai libero, in questo mondo e con lui, ma suppongo sia giusto così.

Non mi ha permesso di lasciarlo andare.

E vorrebbe tanto avere ancora, anche solo sottoforma di una falsa Winry, quell’illusione di staticità datagli da un sano trio incollato dai ricordi, quell’assenza di mutamento che è stata la sua grande gioia per anni e anni.

Torniamo indietro nel tempo, e seguici anche tu, su.

Ma lei non poteva seguirlo.
Né avrebbe potuto effettivamente, se anche fosse stato possibile, chiederle di farlo, se non con menzogne, promesse irriguardose e sospiri, senza mai smentirsi guardandola negl’occhi.

Perché lei voleva delle sue scelte -essere scelta-, pretendeva delle certezze che lui non avrebbe comunque mai potuto darle, ché non amava pensare al futuro, ma piuttosto viverlo prima ch'esso passasse e il tempo finisse (quanta fretta, quanta fretta!).

Smettila di essere egoista, di fuggire, e vivi, per una buona volta!

Avrebbe dovuto solo ringraziarli, Al e Winry.

Per tutte quelle spinte coscienziose in una direzione o nell’altra.

Per tutte quelle buone cortesi parole, quelle buone azioni.

Per non aver mai smascherato le verità delle sue bugie.

Perché non era vero, che aveva mentito su tutto, anche se gli sarebbe costato molto meno caro averlo fatto ed esserseli trascinati dietro entrambi.

Perché era vero, che li aveva amati entrambi.

Ma molto meno dannosa sarebbe stata la semplice menzogna d'un odio mai provato, d'un sogno mai sognato, per salvarli in tempo e salvare sé stesso.

Ironico che proprio lui (un amico per un fratello), tutto sommato (il tutto per il nulla), il principio dello scambio equivalente (la mia salvezza per la tua salvezza) non l'avesse mai capito fino in fondo (la mia menzogna per la tua verità).

E che non avesse capito che una sana e definitiva menzogna poteva evitare a Winry di sprecare la sua vita e ad Al di rovinare quella di entrambi.

(Il mio sporco bene, per una sporca felicità.)

Nonostante il sale di un'intollerabile constatazione, Edward Elric sorride ancora, furente, alle lacrime che non osa versare.

Addio, cari amici!

Addio, mie macerie!

Addio, addio, sconsolati tamburi pronti ad inneggiare al mio arrivo!
Non farò più ritorno! Non farò più ritorno!


[Potrò essere ingiusto, da ora.]

Che sollievo -è bello quanto faticoso crederci-, che sollievo!

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