Serie TV > Doctor Who
Ricorda la storia  |      
Autore: Madame Seabush    24/01/2014    1 recensioni
Ogni cosa brucia. E mentre il Dottore smarrisce sé stesso tra le ceneri, tutto ciò che il Maestro può fare è guardare.
In the end you just get tired, tired of the struggle, tired of losing everyone that matters you, tired of watching everything turn to dust. If you live long enough, the only certainly left is that you’ll end up alone.
Genere: Angst, Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Doctor - 10, Master - Simm
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The human race. Make sense out of chaos. Marking it out with weddings and Christmas and calendars. This whole process is beautiful, but only if it’s being observed.



TARDIS.

Quando la persero nel fuoco, l’universo bruciò con lei e il tempo si fermò. Improvvisamente le stelle e i pianeti parvero molto più lontani, come se fossero stati tolti da sotto i loro piedi. Isolati nell’oscurità. Nessuno dei due riusciva a respirare.

Il Maestro poté solo guardare mentre la sua nemesi veniva ridotta a pezzi, poté solo ascoltare mentre le sue urla straziate penetravano l’aria nel tormento.

Le ginocchia del Dottore cedettero sotto il suo peso  e il Maestro lo afferrò rapidamente  per evitargli di urtare il terreno, abbracciandolo in una forte presa, mormorando parole rassicuranti in una lingua da tempo dimenticata. Un antico dialetto con la melodia rasserenante del più fine degli strumenti che cadeva su orecchie sorde.

Il Dottore riusciva a stento respirare. Ogni rantolo agonizzante gli inviava schegge di dolore lancinante e inarcò la schiena per la sua intensità. Un singhiozzo involontario sfuggi alla sua gola, gemette mentre rabbrividiva violentemente. Un’intera coscienza stava venendo strappata dalle sue sinapsi. Le loro menti, quella del TARDIS e la sua, erano vecchie centinaia di anni e venivano ora dilaniate mentre una bruciava e si dissolveva nel buio.

 Il Maestro l’aveva visto in passato, aveva visto Signori del Tempo venire separati dai loro TARDIS, e aveva visto troppi privi di volontà perire durante il processo. Vedeva la paura negli occhi del Dottore, la stessa che aveva vista nei loro, era terrore puro. Spaventava anche lui, essere così inutile, essere senza controllo.

Aveva provato a condividere il dolore, distrarre la sua mente, condividere la perdita, soffrire come un’unica entità, a respirare come uno solo ma il Dottore lo respinse, lo espulse dalla propria mente e incassò da solo la propria punizione, parte di sé sapendo che la meritava, per non averla protetta, per non aver protetto il Maestro.

Tutto ciò che provava era morte, decadimento, mentre le parti della propria mente che l’avevano ospitata venivano perse nel fuoco e nella distruzione. Tutto ciò che sentiva erano le sue urla e tutto ciò che poteva fare era urlare con lei. Le sue disperate richieste d’aiuto rieccheggiarono in una mente instabile mentre lei lo cercava. Per favore, non lasciarmi, per favore.

Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.

Lacrime corsero lungo il suo volto, strazianti singhiozzi lo scossero. Non riusciva a muoversi, poteva a malapena sentire le mani che lo ancoravano. Gli sembrava che i suoi organi interni si stessero lacerando, era travolgente. Fuoco ribollì nella sua gola e un acido liquido metallico si riversò sulla sua lingua. Particelle dorate turbinarono alle sue estremità, l’energia strisciava sotto la superficie della sua pelle, ogni cellula nel suo corpo gli stava gridando di rigenerarsi.

…e poi lei fu perduta,

e non ci fu altro che silenzio.



FIELDS.

Il Dottore aveva iniziato a girovagare la notte. Il Maestro non era sicuro di dove andasse o come facesse ad andarsene senza svegliarlo, ma nell’oscurità della notte si sarebbe alzato per trovare il letto vuoto e nessuna indicazione su dove si trovasse. Lo terrorizzava. Dopo tutto quello che avevano passato, tutte quelle stelle, tutti quei pianeti su cui avevano combattuto, non avrebbe mai pensato possibile perdere qualcuno su un pianeta tanto piccolo.

Gli attacchi di panico, le ore passate fissando un nuvoloso cielo notturno aspettando stelle che non apparivano, i giorni in cui non voleva alzarsi dal letto… tutto quello poteva sopportarlo, perché poteva essere lì per lui, perché erano insieme ma quando il Dottore scomparve nell’oscurità della notte,  fu davvero solo.

Fu solo dopo ore di ricerche che lo trovò, immobile nell’aperta campagna, fissando le stelle con desiderio. I suoi occhi lucidi di lacrime, colmi di incontrollabile nostalgia e dolore.

La coscienza del Dottore sfiorò gentilmente la sua, il peso della disperazione stringendosi pigramente attorno alle sue sinapsi, trascinandolo dentro. Inebriato dalla pesante presenza della disperazione, il Maestro si avvicinò lentamente. La sua espressione non diceva nulla, ma il profondo nocciola rifletteva così tanto sconforto. Ci fu solo silenzio tra loro prima che il Dottore parlasse. “Sono bellissime, vero? Voglio dire, non mi sono mai fermato… a guardarle davvero da quaggiù… ma sono bellissime.”

“Lo sono.” Concordò il Maestro in tono vago.

Le lacrime bruciarono gli occhi del Dottore e lui incrociò le braccia, cercando di mantenere il controllo, e tutto quello che il Maestro poté fare fu guardare mentre il Dottore si struggeva.

L’agonia stava nel sapere che c’era più di quello che poteva vedere. Sapere che c’erano infinite galassie là fuori – riempite da miliardi di stelle in quel cielo.

“E’… questo?” l’emoziono proruppe nel suo petto, spezzò le sue parole, soffocandolo in un mondo che non offriva vie di fuga, nient’altro che ripetizione, routine e menzogna. “E’ questo tutto quello che vedremo?”

Non poteva rispondere. Affermarlo sarebbe stato crudele, ma il suo silenzio diceva abbastanza.



EVERY NIGHT AFTERWARD.

Ogni notte che seguì il Dottore dimenticò qualcosa. Piccoli pezzi, all’inizio, ma poi cominciò a dimenticare intere parole. Era solito saper nominare molte di esse, ma in quei giorni lottò per ricordare i nomi delle costellazioni appese sopra la Terra. Era come se stesse perdendo parti di sé stesso, e ogni notte il Maestro avrebbe pianto un altro ricordo. Perdere qualcuno era una cosa, perderlo così lentamente era tutt’altro.

Il Dottore giacque sull’erba, circondato dall’oscurità. Le fresche lame verde scuro erano soffici contro la sua pelle e poteva sentire il tepore del Maestro attraverso il materiale del suo completo mentre riposava la testa nel suo grembo. Era impossibile sapere cosa mancava dalla sua mente una volta che l’aveva perduto, ma sentiva il senso di vuoto, i salti nella sua memoria. Ma se si concentrava abbastanza, era da qualche altra parte. Su un altro pianeta, con il Maestro. Completo di nuovo.

Nel silenzio, il Maestro si domandò come avesse trovato quel luogo, così isolato e distante dall’umanità. L’aveva ritenuto quasi impossibile, con la razza umana al loro apice tecnologico.

Sedendo accanto all’altro, accarezzava i suoi capelli in calmi, rilassanti gesti. I suoi stessi pensieri vagarono mentre il Dottore semplicemente osservava le stelle, ogni scintillio argenteo riflesso nei suoi occhi color miele. Il Maestro era colpito dalla profonda tristezza dentro di essi, una così intensa disperazione e brama.

“Raccontami di Gallifrey.” Mormorò una voce morbida mentre i loro sguardi s’incontravano.

Il suo petto bruciò al ricordo. Ma c’era molto più dolore nel dimenticare.



DIALECT.

Il Dottore lo guardò con terrore e incomprensione, dita delicate inseguirono labbra perfette nel tentativo di capire cosa gli stesse succedendo. “…Cosa stai dicendo?” chiese il Dottore, la sua articolazione dell’antico linguaggio sfiorò la perfezione sebbene lui non l’avesse riconosciuto. “Che lingua era quella?”

Infine era arrivato il momento in cui il centro del linguaggio del suo cervello aveva cominciato a deteriorarsi. Chi aveva un tempo conosciuto infinite lingue, spaziando dal Judoon al Marziano Antico, ora lottava per districarsi tra una base di inglese standard e la sua lingua madre, il Gallifreyano.

“Gallifreyano” rispose il Maestro. “Questo è quello che hai sentito.”

Era stato graduale, cominciando col bisogno di una spinta occasionale, evolvendosi in ore intere prima che ritrovasse sé stesso. Sarebbero passate ore prima che avesse ricordato il loro dialetto, l’argentina, melodica lingua del loro pianeta natio.

E poi c’erano momenti in cui non capiva affatto quello che il Maestro stava dicendo, quei momenti che aspettava, terrorizzato dall’idea di perdere la capacità di comprendere.

“Gallifrey?” domandò il Dottore, arrotolò la parola straniera attorno alla lingua, l’articolazione gli era familiare, ma non la connotazione. Il Maestro sentì un coltello contorcersi dentro di sé, e contrasse la mascella. Non riusciva a rispondere, a trovare la voce, poteva solo guardare mentre il Signore del Tempo a cui si era così tanto affezionato veniva consumato dalla razza che più di tutte aveva disprezzato.



SEE NOTHING, HEAR NOTHING.

Il Dottore aveva sempre odorato di miele e nocciola, un’innegabile dolcezza tanto sconcertante quanto invitante. Lo affascinava. Non c’era modo di spiegarlo, la spezia del suo profumo, la nostalgia che lo accompagnava. Impossibile.

Protesosi verso l’altro e respirando profondamente, i suoi occhi si chiusero, pervaso dalla stanchezza fisica ed emotiva. Non riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva dormito, ricordava solo le ore passate a guardare il Dottore dormire, sperando che i suoi sogni riportassero indietro il suo passato, lo ripristinassero al suo passato sé.

Che lo guarissero.

Il Dottore lanciò un’occhiata al Maestro che riposava contro di lui, gli occhi chiusi e il respiro regolare. Rimase colpito da una lontana familiarità, il più lieve dei ricordi che brillava attraverso una mente danneggiata. Vedeva l’Accademia, le notti in cui aveva lasciato Koschei riposare contro di lui se era sveglio, preoccupandosi degli esami, delle disarmonie sociali, del futuro. Sembrava tutto così sciocco adesso. Era stato tutto così temporaneo.

Koschei era diventato il Maestro, aveva sofferto così tanto che era arrivato a non provare quasi più nulla ma il Dottore sapeva che gli importava di lui, vedeva il dolore nei suoi occhi quando anche il più cattivo dei commenti sarebbe uscito dalla sua bocca.  

Sospirando profondamente, si sistemò con lui. Aveva bisogno di ricordare questo. Se non poteva mantenere i  vecchi ricordi, allora doveva crearne di nuovi. Non voleva dimenticare il Maestro e lo terrorizzava l’idea che sarebbe arrivato un giorno in cui l’avrebbe guardato e non avrebbe visto nessuno. Ascoltato le storie del loro passato ma non sentito niente.

Come chiuse gli occhi, le lacrime scivolarono pigramente lungo le sue guance. Poteva sentire il dolore sulle sue labbra, il peso nel petto,  ma se chiudeva gli occhi era più vicino a Gallifrey di quanto non fosse mai stato, di nuovo all’Accademia.  Al sicuro.

E proprio come quei giorni passati a Prydon, scivolarono nel sonno insieme.



SAW RIGHT THROUGH HIM.

Arrivò infine il giorno in cui il Dottore non lo vide più, non fu più il Dottore e non fu più un Signore del Tempo. Faceva male guardarlo adesso. Sembrava così giovane. La vecchiaia nei suoi occhi era scomparsa; tutti quegli anni che aveva vissuto erano stati finalmente cancellati, tutti quei pensieri ed emozioni, perduti. E preziosi ricordi erano persi per sempre.

I suoi occhi mostravano un uomo senza storia, nuovo per un mondo che era nuovo per lui. Era solito avere tutte le risposte ma adesso aveva solo domande,  e quante. Il Maestro era colpito da come un così vivace giovane potesse essere nato dal dolore e dalla disperazione.

Niente lo turbava più, un uomo che non aveva sofferto alcuna perdita, che non aveva mai amato né era stato amato.

Il Dottore sorrise, ma vide dritto attraverso di lui, non vide altro se non uno sconosciuto che lo fissava di rimando.

“John Smith” si presentò, allungando la sua mano per scuotere l’altra. La stessa innocenza che conosceva da Prydon in quegli occhi color miele.

“Koschei.” Le loro mani s’incontrarono e si strinsero in un modo cordiale ma estraneo e senza valore. Il Maestro non aveva mai toccato quest’uomo, e John Smith non l’aveva mai incontrato.

“E’ uno strano nome.” John Smith speculated.

Il Maestro inghiottì, avvertendo il familiare peso nel petto. “E’ Gallifreyano.” Odiò la fiammella di speranza che rifiutava di spegnersi, parte di sé sperando che lui avrebbe ricordato, sperando che non avesse dimenticato. Che l’avrebbe guardato e l’avrebbe visto.

“…E’ in Irlanda?” Eccheggiò una voce candida, con la stessa curiosità ma senza profondità nei suoi occhi. Un’ombra dell’uomo che era stato. Se non neanche quella.

Era quasi ridicolo, e avrebbe voluto poter ridere ma il dolore era troppo da sostenere. “…Già.” Esalò tranquillamente, stanco di lottare, stanco di perdere ogni cosa, stanco di tutto. “E’ in Irlanda.” Un debole sorriso era tutto ciò che poteva offrire, accompagnato da quell’enorme sofferenza.

La certezza arrivò con ogni giorno che passava. La solita routine. Il giorno avrebbe ceduto il passo alla notte, ogni mattino il sole sarebbe sorto, e tramontato di nuovo la sera. Il pianeta era bellissimo, ma non c’era niente per loro lì. Non c’era mai stato.

Senza il Dottore, era davvero solo, l’ultimo dei Signori del Tempo.


In the end you just get tired, tired of the struggle, tired of losing everyone that matters you, tired of watching everything turn to dust. If you live long enough, the only certainly left is that you’ll end up alone.



Link alla fanfiction originale qui

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: Madame Seabush