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Autore: LizzieCarter    24/01/2014    1 recensioni
"Sono troppo orgogliosa per permettere ad una guerra di impedirmi di mantenere una promessa. Amo troppo Joseph per permettere ad una guerra di tenerlo lontano da me.(...)
Le pallottole ci piovono attorno, come la grandine scesa sulle viti ormai vuote qualche giorno dopo il nostro primo incontro. (...)
Gemono sui sassi come il compagno ferito di Joseph, ci urlano minacciose di abbassare la testa. E, d'altra parte, dove potremmo nasconderci? Attorno a noi un deserto di terra, e un uomo appena spirato."
Genere: Drammatico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perdono




Era ormai passato un anno da quando mi ero presentata al comando dell'esercito al posto di mio fratello.

Lui era a casa, malato di tisi; il suo posto in guerra l'avrei preso io. Non era stato difficile passare per un ragazzino gracile e spaurito, una volta tagliati i capelli corti corti a spazzola e indossato un grosso giaccone mimetico; il difficile era stato trovare lui.
Joseph, l'amore della mia vita, strappatomi dalle braccia appena qualche settimana dopo il nostro matrimonio per assecondare le volontà di qualche grasso capo di stato insoddisfatto dei confini segnati sulle attuali cartine geografiche.
Joseph, il dolce ragazzo dagli occhi azzurro cielo e i capelli color paglia che aveva rubato il mio cuore assieme all'uva del mio vitigno durante la vendemmia dell'autunno 1912.
 Giovane garzone, al tempo fu assunto dalla mia famiglia come paio di braccia aggiuntivo, perché ci aiutasse a raccogliere tutto il raccolto prima della tempesta prevista per domenica. Lo vidi per la prima volta, oro su verde, dietro un filare: la bocca colma di chicchi d'uva e il senso di colpa dipinto in volto; la maglia macchiata di rosso scuro. Gli andai vicina, con espressione minacciosa gli tolsi il grappolo dalle mani, poi ne presi una manciata di chicchi, me ne riempii le guance e gli sorrisi.

Il resto della giornata lo passammo gomito a gomito, a lavorare, sudare,e a scambiarci timidi sorrisi e occhiate profonde.
Joseph, l'uomo con cui ho promesso che avrei passato il resto della mia vita.
Sono troppo orgogliosa per permettere ad una guerra di impedirmi di mantenere una promessa. Amo troppo Joseph per permettere ad una guerra di tenerlo lontano da me.

Calpesto la terra smossa del campo, sento un tiepido fischiettio provenire dalla zona delle latrine e sorrido, tenendomene lontana.
L'elmetto mi pesa sulla testa e mi limita la vista; la cinghietta mi batte ritmicamente sulla tempia.
Le mie mani sono sprofondate nelle tasche, strette al tessuto ruvido, e urtano ad ogni passo la fondina della pistola che sta incastrata tra la cintura dei pantaloni e la giacca mimetica.
Forse è il posto giusto, forse è qui che lo troverò, finalmente. Ormai non ricordo nemmeno più il numero di batterie che ho attraversato, chiedendo del suo nome. Non che abbia importanza: tutto quello che conta è rivederlo.




Mi dicono che è in missione.
Sono disperata.
Il tono con cui lo dicono è chiaro: è una missione suicida. Uno dei tanti passatempi ideati dai generali che si annoiano quando non succede niente.
Joseph e altri tre sono stati mandati alle trincee nemiche con delle nuove tenaglie, per cercare di forzare il filo spinato.
Conosco quelle dannate, inutili tenaglie. Persone e persone muoiono cercando di usarle, e ancora nessuno ha capito che sono inutili, uno scherzo del destino.

Vedo una sagoma arrancare sul terreno desolato che si stende tra le due aride muraglie, zoppicare in mezzo alla terra di nessuno; al suo fianco una figura con la stessa uniforme, e il mio cuore non sa se battere più forte o se fermarsi del tutto.
Non può essere lui: non vedo i suoi capelli color paglia, coperti dall'elmetto.
Non può essere lui: non vedo il suo sorriso, cancellato dalla guerra.
Non può essere lui: i suoi occhi blu ora sono grigi, colore della terra e della rassegnazione.
Eppure, quello è il suo passo strascicato.
E quella che gli brilla al collo è la medaglietta che gli ho regalato.
E quella che scintilla al dito è la sua fede.
E quella che scocca nel suo sguardo è speranza, quando vede vicina la nostra trincea, la sua patria.
E forse ce la farà.

Poi vedo uno scintillio in lontananza. Per un momento penso sia il sole che finalmente si svela, che porta buone nuove: la guerra è finita.
Per un momento sorrido, pensando che anche i tedeschi si fanno la barba; magari quello è lo scintillio di uno specchio... Magari è il bagliore di un sorriso.
Però sento un colpo. Due, cinque, mille.
Il compagno di Joseph cade al suo fianco, lui lo segue, buttandosi a terra e urlando.
E io seguo lui, scavalcando la recinzione con un urlo quando il filo spinato mi taglia le mani, e gli corro incontro, sprofondando nella terra molle, nella sabbia, come se già mi stessero seppellendo.
Non urlo quando un proiettile mi scava nel braccio, nè quando uno mi sibila a qualche centimetro dalla testa. Ho una sola meta, solo una: i suoi occhi, i miei fari nella nebbia, nella tempesta di sabbia.
Pianto con forza i denti nel labbro, spingo le gambe al massimo, finchè gli atterro addosso in scivolata.
"Che diavolo fai?" domanda lui, brusco, senza riconoscermi.
Le pallottole ci piovono attorno, come la grandine scesa sulle viti ormai vuote qualche giorno dopo il nostro primo incontro.
Macchiano terra come il mio sangue mensile, che non è riuscito a diventare un bambino.
Gemono sui sassi come il compagno ferito di Joseph, ci urlano minacciose di abbassare la testa. E, d'altra parte, dove potremmo nasconderci? Attorno a noi un deserto di terra, e un uomo appena spirato.
"Joseph, guardami" urlo, prendendogli il volto bagnato di lacrime, ancora rivolto verso il compagno e insanguinato di lacrime. Con l'irruenza donatami da mesi di guerra, gli afferro il volto quando mi ignora, e lo bacio con forza. I suoi occhi si spalancano, sconvolti; poi mi riconosce.
Preme le palpebre forte, una volta, due, e sgorgano altre lacrime. Trema, un singhiozzo lo percuote, ma io non lo lascio: non adesso. Non mi stacco, no. Amore, non ti lascio.
Le sue spalle sobbalzano sotto le mie braccia: siamo scossi entrambi dai suoi brividi.
Non riesce a chiudere gli occhi, mi guarda tenendoli spalancati, una domanda negli occhi: "Sei venuta a cercarmi?", dicono.
Le mie labbra mordono le sue: "Sì", dicono. "Sì, sì, e non ti lascio, adesso".
"Sono venuta a morire con te."
"Per te".
E in quel momento lo sento. So che è necessario.
Voglio farlo.
Devo farlo.
Ho promesso di essergli vicina nella gioia e nel dolore
e in questo periodo, in cui il dolore è l'unica cosa che c'è, voglio sottrargliene almeno un po'.
Mi giro, di scatto, coprendolo col mio corpo mentre una pallottola ruota, nella sua traiettoria a spirale, contro di noi.
Mi penetra la schiena, fuoco purificatore, e vedo il paradiso.
Per un momento è estasi: l'ho fatto per lui.
Poi è il dolore.
Respirare è dolore.
La luce negli occhi è dolore.
Qualcosa di freddo mi cola dalla bocca.
Joseph spalanca gli occhi.
"Ti amo", vorrei dirgli, ma mi esce solo un rantolo.
"L'ho fatto perchè ti amo: ti ho salvato" penso, parlo in un soffio. Sto delirando.
Lui mi allontana da sè, con delicatezza, mi tocca la voragine che si apre dove avrebbe dovuto stare il nostro bambino.
Mi viene da piangere.
La sua camicia è sporca del mio sangue.
Glielo tocco, sorrido.
Lui piange. Singhiozza. Rantola. Sembra soffocare.
Un filo di sangue gli riga il mento, e spalanco gli occhi anche io.
Un proiettile insanguinato giace alle sue spalle, rovente.
Una voragine graffia anche la sua schiena.
Sorride.
Lui sorride, sollevato. Io vorrei piangere, ma l'unica cosa che adesso riesce a uscire dalla mia anima è sangue.
Cadiamo a terra.
Esaliamo insieme l'ultimo respiro.
L'odore ferroso del suo respiro riverbera sul mio viso, quello rosso del mio accarezza le sue ciglia bionde.
Io piango, lui sorride tra le lacrime.
E allora so, che il nostro bimbo non è voluto scendere nel mio grembo perchè ci aspetta lassù, perchè non voleva rimanere solo in questo mondo di dolore, terra, fuoco, sangue, pianto.
Aspettaci, bimbo. Stringimi la mano, Joseph.
Vi amo.
Ti amo.
Perdono.



________

Ecco cosa succede quando una ragazza con un'immaginazione fin troppo vivida legge "Un anno sull'altipiano". Mi ha davvero colpita la storia di quelle stupide tenaglie che usavano al fronte; il fatto che mandassero continuamente soldati a tentare di infiltrarsi tra le linee nemiche tranciando il filo spinato che proteggeva le trincee, nonostante fosse saputo che era una missione suicida.

Liz
   
 
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