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Autore: _swagcanadian_    25/01/2014    2 recensioni
[...] E ancora ammirava quello splendido mare che le era davanti, guardava come le piccole onde giocavano tra loro, come si muovevano leggere fino a riva.
Anche lei era un mare, un mare calmo, perché con lei non c’era nessun’ onda a giocare.
Guardava il vento far volare in alto nel cielo gli uccelli, li vedeva a coppie o a gruppi fare piroette e a cinguettare.
Anche lei era un uccello, ma le mancava il vento a farla volare.
E osservava, quel mare blu, quegl’ incantevoli uccelli e desiderava, trovare la parte mancante di se, perché lei si, si sentiva incompleta da quando tutto le mancava. [...]
***
Una voce, una voce melodiosa interruppe quel silenzio che la circondava, una voce forte e sicura che scoppio la bolla in cui lei in quel momento viveva.
***
Lui era diventato l’onda con cui giocare e il vento con cui volare.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Ashton, Irwin, Calum, Hood, Luke, Hemmings, Michael, Cliffors, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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(crediti banner: @nextolarry)

Osservava il mare blu intenso dalla finestra della sua camera da letto. Amava stare da sola nella sua stanza, quelle quattro mura che raccontavano la sua storia, i suoi pianti, il suo dolore, quelle mura macchiate di sangue, prese a pugni in quei giorni in cui lei cadeva a pezzi.
Era stata adottata da questa famiglia quando aveva 14 anni e non c’erano scuse per giustificare la sua freddezza: lei i suoi genitori li conosceva e se li ricordava bene, si ricordava quando li aveva visti morire sotto i suoi occhi da due ragazzi ubriachi una sera d’estate, erano tutti e tre insieme mamma, papà e lei. Al ricordo poteva assaporare il dolce suono di quelle parole, troppo distanti nel suo passato.
Mamma ripeteva, mamma.. quanto le sarebbe piaciuto poter dire ancora quella parola, quanto le sarebbe piaciuto gridare “mamma aiutami” quando ne aveva di bisogno, quanto le sarebbe piaciuto dire “mamma vieni qui che ti racconto una storia”, ma lei no, non poteva perché una mamma non ce l’aveva.
Papa, sorrideva, papà… il suo eroe e lei la sua piccola principessa, quanto le sarebbe piaciuto ancora giocare a principesse con lui in giardino, quanto le sarebbe piaciuto potergli raccontare del bambino di cui lei si era infatuata, ma lei no, non poteva perché un papà non ce l’aveva.
Ora lei era stata adottata, da due estranei, che più che come una ragazza la trattavano come una bambola. Nessuno di loro entrava mai a chiederle come stava o com’era andata la scuola, nessuno di loro mai passava del tempo con lei.
Lei non era sola, si sentiva sola. Poteva essere circondata da milioni di persone, eppure lei si sarebbe sentita come in quel momento, sola nella sua stanza insieme a quelle quattro mura.
Nessuno esisteva nel suo mondo, perché lei con i suoi occhi non vedeva nessuno.
E ancora ammirava quello splendido mare che le era davanti, guardava come le piccole onde giocavano tra loro, come si muovevano leggere fino a riva.
Anche lei era un mare, un mare calmo, perché con lei non c’era nessun’ onda a giocare.
Guardava il vento far volare in alto nel cielo gli uccelli, li vedeva a coppie o a gruppi fare piroette e a cinguettare.
Anche lei era un uccello, ma le mancava il vento a farla volare.
E osservava, quel mare blu, quegl’ incantevoli uccelli e desiderava, trovare la parte mancante di se, perché lei si, si sentiva incompleta da quando tutto le mancava.
Avrebbe voluto uscire a scoprire quel mondo, avrebbe voluto provare nuove sensazioni, desiderava riuscire a vedere il mondo da un’altra prospettiva.
Ma lei era sola, come poteva così piccola, scoprire un mondo così grande, come poteva lei, così fragile, riuscire a reggere il peso di nuove emozioni, come poteva lei così fissa vedere il mondo in un’altro modo.
Come avrebbe voluto che l’immagine da quella finestra cambiasse, che quelle mura incominciassero a raccontare una nuova storia.
Più passavano i giorni, più lei diventava sola, fredda, quasi ghiacciata ormai.
Più passavano i giorni più lei cercava nuove figure negli elementi, riconosceva il sole come suo padre che durante il giorno cercava di riscaldare il suo freddo cuore e riconosceva la luna come sua madre che la osservava  innocente le notti in cui lei piangeva.
Avrebbe voluto uscire e lo avrebbe fatto, il sole l’ avrebbe accompagnata di giorno e la luna protetta la notte.
Voleva provare ad avvicinarsi dopo molti anni, da cio’ che osservava dalla sua finestra.
Scese.
Era una giornata fredda, fredda come lei in fondo, il suole in cielo era oscurato ma il fatto che lei sapesse che lui c’era, già la rendeva più sicura.
Camminava lentamente verso quel mare blu che ogni giorno e ogni notte osservava dalla finestra.
Affondava i suoi piedi nella sabbia fredda e camminava, alzando dietro di se, granellini di sabbia.
In fondo lei era un granellino di sabbia, era cosi piccola, così insignificante in mezzo a quella distesa di sabbia quale era il mondo.
Più camminava, più il mare le sia avvicinava.
Ne aveva un po’ paura, non lo aveva mai visto così vicino a lei era sua abitudine osservarlo da lontano.
Un brivido le percosse la schiena perché eccola, l’acqua fredda che le aveva abbracciato i piedi, portandosi via i granellini di sabbia e lasciandole una dolce  nuova sensazione. Quell’acqua era fredda, ma un freddo diverso da quello provava lei, questo era un freddo innocente, buono, un freddo che riscaldava la sua anima.
Anche lei sarebbe voluta essere quel freddo innocente, ma non lo era, non lo poteva essere. Da quando i suoi genitori se ne erano andati lei si voleva male ed era tutto... tranne che innocente.
Accarezzò la nuova onda che stava arrivando, ora anche le sue mani erano fredde, ripulite di tutto cio che lei le obbligava a fare, quelle mani che picchiavano i muri, rompevano la sua pelle, quelle mani peccatrici.
Il suo sguardo che avrebbe voluto poter toccare quell’acqua, quello sguardo che avrebbe voluto anche lui diventare innocente, quello sguardo che più di tutti, ogni giorno soffriva, quello sguardo testimone dei suoi peccati, quello sguardo che piangeva fino a finire lei sue lacrime, quello sguardo che più di tutti sarebbe dovuto essere come era tanti anni fa.
Una voce, una voce melodiosa interruppe quel silenzio che la circondava, una voce forte e sicura che scoppio la bolla in cui lei in quel momento viveva.
Si girò, incuriosita, a guardare e vide seduto su quell’immensa spiaggia, un ragazzo con una chitarra in mano che cantava.
Si guardò intorno e vide che non c’era nessun’ altro oltre a loro due, era stata la voce di quel ragazzo a farla incuriosire.
Si alzò e si diresse verso di lui.
Solitamente non lo avrebbe mai fatto, era troppo timida per provare a cercare qualcuno e troppo paurosa per instaurare nuovi rapporti, ma quella voce aveva un che di magico, era una voce fantastica, talmente bella da non sembrarle reale, era una voce soffice e rassicurante che non faceva altro che spingerla verso di se nonostante la sua paura.
<< ti prego, non ti fermare>> disse appena gli si presentò davanti.
Lo vide sorridere e continuare a cantare.
Gli si sedette accanto e lo continuò ad ascoltare cantare e suonare la sua chitarra.
Era un ragazzo davvero bello, aveva gli occhi marroni come i suoi, ma pur essendo dello stesso marrone avevano qualcosa di diverso.
I suoi occhi erano marroni, un marrone scuro, quasi nero, cupo e profondo, occhi che racchiudevano un’anima in pena, un’anima sofferente, mentre gli occhi del ragazzo, erano marroni, si, ma un marrone dolce, chiaro e molto aperto.
Era un bravo ragazzo, glielo aveva letto in quei fantastici occhi innocenti.
Il ragazzo finì di cantare e si girò verso di lei a guardarla, le sorrise e lei ricambiò sperando di essere convincente.
<< hai una voce stupenda>> gli disse continuando a osservargli il viso.
<< ti ringrazio, comunque sono Calum, piacere>> disse per poi porgerle la mano che lei, anche se un po’ confusa,  gli strinse.
Nessuno le aveva mai stretto, ne teso una mano e lei non ne aveva mai stretta una. 
<< io… sono Charlotte>> gli rispose dubitando un po’ se dirgli il suo nome.
Per lei tutto ciò era come nuovo, troppo tempo era stata sola e aveva dimenticato come fosse in un qualche modo, strano, ma allo stesso tempo così naturale, fare amicizia.
I ragazzi parlarono per tutto il pomeriggio, finché il mare non si tinse di giallo, poi d’arancione, stettero a parlare, a fare conoscenza, finché il sole non vegliava più sulle loro teste, ma lentamente li osservava dal davanti.
Il sole che ogni mattina la svegliava, che ogni mattina cercava di riscaldarla, per la prima volta la vide parlare spontaneamente con qualcuno, la vide per la prima volta mettere a lato i problemi della sua vita, le sue colpe, le sue paure;  la vide aprirsi, sbocciare, come un fiore in primavera.
Lei, figlia del sole e della luna, stava lentamente brillando come una vera stella.
Si sentiva così libera e felice.
 E che bella che era la felicità, le era mancata, le era mancato il sorridere spontaneamente e parlare volentieri con qualcuno senza essere fredda e distaccata.
Il giorno scendeva e la sera si faceva largo nel cielo.
<< ti rivedrò mai più?>> le chiese il ragazzo.
Lei gli indicò la sua casa << la vedi quella, io abitò li, in quella casa,puoi venirmi a suonare ogni volta che vuoi, sappi che io sarò sempre li, felice di poter riascoltare la tua splendida voce>>.
Detto questo entrambi si alzarono e lui la accompagnò fino alla porta di casa.
<< vedi questo? è il mio campanello>> disse Calum alzando la chitarra << appena lo sentirai suonare sarà perché io sarò arrivato e avrò voglia di vederti>>
I due si abbracciarono, ed ecco qua riaffiorare in lei nuovi sentimenti.
Si era sempre chiesta perché il cuore stesse a sinistra e non al centro del petto e lo aveva capito finalmente nell’abbracciare Calum.
L’uomo è incompleto, l’uomo è stato creato per essere completato, l’uomo è solo un puzzle a metà, serve qualcuno che ci aiuti a finirlo, perché l’uomo è formato da tanti tasselli impossibili da collegare se si è soli.
Quando si abbraccia una persona il loro cuore batte nella parte vuota del nostro corpo, riempiendo così il nostro vuoto e completando così il nostro puzzle.
Uno è solitudine, due è forza.
E lei voleva che Calum fosse il suo numero due.
Lo conosceva ancora così poco e già gli dava così fiducia.
Lo aveva fatto perché aveva capito che aspettare un treno in un stazione non significava salirci, per salirci avrebbe dovuto alzarsi e aprire le porte, solo così avrebbe potuto incominciare il suo viaggio.
Nella sua vita lei non aveva fatto altro che stare li seduta a osservare treni andare e a venire, mentiva dicendo che lei li aveva presi, ma non era così, lei non aveva fatto altro che stare li e osservali.
Ma ora era stufa, era stufa di aver paura, avrebbe preso questo treno e avrebbe vissuto il suo nuovo viaggio.
Calum non le aveva mentito, era tornato, ancora e ancora, passavano interi pomeriggi insieme a parlare, a conoscersi ogni giorno meglio.
Lei gli raccontò la sua storia e da quel momento, lui le promise che non l’avrebbe più lasciata da sola.
Più stavano insieme più tra loro qualcosa nasceva, insieme stavano creando qualcosa che sembrava essere più di una semplice amicizia.
Ogni giorno che passava con lui, il suo cuore lentamente si sghiacciava, lentamente incominciava a battere e quando lui, una sera, la baciò rese tutto ciò un’avventura ancora più grande.
Lui era diventato l’onda con cui giocare e il vento con cui volare.
**

volevo solo ringraziarvi se siete arrivate fin qui, significa molto per me.
volevo inoltre ringraziare una mia amica (hemmoschannel) che mi ha fatto conoscere questo splendito ragazzo. se stai leggendo... si sono una pazza e si a scuola potrai strozzarmi quanto vuoi..
grazie mille di tutto
se volete su twitter sono @_swagcanadian_



 
   
 
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