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Autore: ailinon    07/06/2008    4 recensioni
Nel lontano rinascimento, un ragazzo con una grande e sola passione: la poesia e la lettura.
La sua vita a Firenze, lo condurrà a conoscere molti personaggi importanti.
Dalla sagace intelligenza di Pico, alla filosofia di Marsilio.
Dalla gioia di vivere di Giuliano de Medici, alla grandezza di Lorenzo il magnifico, suo fratello.
Fino alla superbia della famiglia de Pazzi.
Ma uno su tutti saprà cogliere l'essenza del suo animo...
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Capitolo 1 – UN RAGAZZO NEL CESPUGLIO

Capitolo 1 – UN RAGAZZO NEL CESPUGLIO

 

S’intrufolò veloce tra un cespuglio e l’altro di basse piante odorose e aromatiche. Fece molta attenzione a non uscire dalle zone d’ombra delimitate dalla fiaccole accese nella notte fiorentina.

Poco lontano, al tavolo imbandito per il desco serale, gli invitati si erano quietati dopo la cena abbondante, pronti per sentire declamare dei bellissimi versi.

Ogni sera il signore faceva recitare agli ospiti del suo circolo, qualche poesia nuova, o opera famosa.

O così sentiva dire nelle presentazioni di quei poeti.

Spesso non riusciva a udirle, costretto a lavare i piatti e i grandi vassoi dove gli uomini avevano cenato ma, a volte, stando bene attento, capitava che le fantesche si distraessero abbastanza da concedergli il tempo di sgattaiolare fra gli alberi e nascondersi per ascoltare.

Come quella sera.

Rannicchiato, ginocchia al petto, dentro un grosso cespuglio, attese che quell’ospite dall’aspetto giovanile ed elegante cominciasse a declamare.

Nell’attesa il cuore gli batteva per la trepidazione. Lo sentiva battere forte nel petto, come un tamburo. TUM TUM TUM

 

  «…Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita…»

 

Sussultò, tenendosi le mani al petto. “La commedia in volgare!” pensò entusiasta e azzittì anche i pensieri, tutto teso nell’ascoltare, rapito da quei versi immortali.

***

Il giovane che citava a memoria i versi della Commedia, si fermò e gli ospiti che lo ascoltavano, applaudirono soddisfatti.

 Anche il giovinetto ebbe la tentazione di applaudire ma, aveva paura di farsi scoprire, così rimase in silenzio. Un secondo uomo, alto e moro, con uno sguardo sereno e un profilo deciso, si alzò dal tavolo.

Poteva vederne la sua ampia schiena chiusa in un farsetto verde acqua.

L’uomo s’inchinò in modo cortese e trasse da una tasca una pergamena accuratamente piegata.

«Questa piccola poesia è per lei, mio signore. Spero che l’aggraderà ascoltarla» disse l’uomo cominciando a parlare. Recitò un breve poemetto dedicato al dio Amore, in volgare.

Il ragazzino, chino nel boschetto odoroso, rimase in un silenzio ammirato, fino alla fine della poesia.

Lentamente gli ospiti della cena se ne andarono, parlando l’uno con l’altro.

Il giovinetto rimase chiuso nel suo silenzio, meditabondo. Della sua vita, solo la poesia e quei magnifici oggetti chiamati libri, erano stati capaci di allontanarlo dalla sua miseria. Dalla sua povera esistenza di orfano fiorentino.

Nostalgico, rimase accoccolato per un tempo che non seppe datare, fin quando due uomini ritornarono lentamente verso il giardino.

Sentendo quei passi, rimase ancora più immobile per non farsi scoprire.

I due giovani non li riconobbe, nella penombra della notte, fin quando non parlarono tra loro.

 «La tua memoria è sempre prodigiosa, amico mio»

L’altro giovinetto sorrise: «E tu sai sempre toccare al cuore, con le tue poesie. Marsilio era in estasi! E non ha smesso di parlarmi di Eros fin quando qualcuno non me l’ha staccato di dosso!»

«A chi l’hai rifilato?» rise l’altro poeta dai capelli castani.

 «A quel pittorino che si è da poco aggiunto a noi»

 «Quello pare farsi incantare dalle idee di Marsilio!»

«Dai! Non prenderlo in giro! E’ bravo, ed ama la poesia»

Il bruno poeta sospirò, sedendosi su una panchina che era posta poco lontano dal cespuglio dove era racchiuso il ragazzo.

Guardò la serena notte stellata ed esclamò: «Sotto questo cielo, Pico, dimmi, chi può non amare la poesia?»

 

 Quella frase detta così con serena compostezza da quel giovane sconosciuto, si piantò nell’animo del ragazzo come un divin dardo nel cuore.

Prima di pensare, sbucò dal cespuglio, facendo sussultare i poeti.

Era lì. Quella breve frase era stata in grado di rappresentare tutto il senso della sua vita. Eccola. Non vi era altro di prezioso che lui possedesse, se non quelle perle di magnifica poesia. Quelle  perle che riusciva a raccogliere, di nascosto, mentre cadevano dalla bocca dei poeti.

Nel buio, i due uomini distinguevano a malapena quel giovinetto ossuto sbucato dal cespuglio. Increduli lo fissarono.

Il fanciullo fece per parlare. Aprì la bocca in un impeto di parola ma, poi la richiuse, muto.

Cosa mai poteva dire, lui, ad uomini che sapevano giocare con le parole come cavalieri in una giostra?

Lui che a malapena sapeva leggere?

Con il cuore gonfio di triste rammarico, rimase in silenzio anche quando il primo poeta chiese: «Chi è là?»

Non ebbe il coraggio di rispondere ma, un'altra voce lo fece per lui.

Quella di una fantesca: «Ecco dov’eri finito! Diavolo di un ragazzino! Sempre ad oziare! Tutte le volte che c’è da lavorar di più, tu sparisci!» e per rendere chiara l’idea lo afferrò per un braccio. «Ma adesso basta! Questa è l’ultima volta che fai il fannullone! Vieni con me!» e detto questo, lo strattonò fuori dal cespuglio senza badare ai graffi e alle escoriazioni.

«No io non…» esclamò il ragazzino, lanciando un’ultima occhiata a due uomini poco lontano.

Lì guardò solo per un attimo, poi chinò il capo, seguendo la fantesca.

Non c’era proprio nulla che avrebbero potuto dir lui.

***

Pico sorrise: «Era solo un servitore!»

L’altro inarcò un sopracciglio, perplesso: «Chissà che ci faceva in quel cespuglio…».

«Non hai sentito? Scappava ai lavori in cucina» rise Giovanni detto Pico: «Non si trovano più i giovinetti volenterosi di una volta, non trovi Angelo?»

«Già!» sorrise.

«Rientriamo nella villa?»

L’alto giovane lanciò un’ultima occhiata perplessa al vialetto nel parco dov’erano spariti i due servitori, poi annuì.

«Andiamo! Messer Lorenzo si chiederà dove siamo finiti!»

***

 

   
 
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