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Autore: Shira    25/01/2014    1 recensioni
Stupratori, assassini, uomini violenti che sfogano la loro frustrazione su mogli innocenti, pedofili che rubano l'infanzia a quei poveri bambini... il mondo è pieno di topi, si muovono silenziosi, aspettando il momento migliore per rosicchiare il loro pezzo di formaggio. A questo serve la Cleaner Foundation: a ripulire la nazione dalla feccia che la ricopre.
Nessuno sa dove sia la sua sede, nessuno conosce i suoi agenti, nessuno sa chi sia il misterioso “Capo” che la guida, solo una cosa è certa: loro ci sono, si nascondono tra noi, pronti a proteggerci e vendicarci. Tramite un informatore anonimo, il nostro blog ha scoperto che la Cleaner Foundation è divisa in due grandi sezioni: la Sezione Investigativa e la Squadra d'Azione. L'esistenza di ulteriori ramificazioni non è stata al momento accertata. Dormite sonni tranquilli, cittadini, loro sono qui per voi.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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01/10/2013 19:00

 

CRASH

Un rumore di vetri infranti, seguito dal suono di qualcosa di pesante che cade a terra, forse un tavolo. Sì, pensò Charlotte Dubois, doveva essere il grande tavolo di mogano che si trovava in salotto. Con leggeri passi misurati, la governante si diresse verso la stanza incriminata, per rendersi conto che il suo sesto senso non aveva perso vigore, con il passare degli anni.

Al centro del salotto si trovava Katherine McWilliams, i corti capelli neri perennemente spettinati sembravano più pazzi del solito, ed i suoi profondi occhi scuri erano fissi sul tavolo di mogano, rovesciato al centro della stanza. Il servizio da the in porcellana che vi si trovava sopra doveva essere andato distrutto. Charlotte inarcò un sopracciglio, era sicura di aver udito il rumore di qualcosa di fragile che si infrangeva prima del frastuono del tavolo, e non dopo. Con calma si guardò intorno, trovando la risposta a tutti i suoi interrogativi: una delle statuine di vetro appartenute alla defunta madre di Katherine giaceva sul pavimento, priva della testa, che si era infranta. Con un lieve sospiro, Charlotte si voltò, tornando in cucina.

 

Katherine era così presa dall'ira che non si era nemmeno accorta dell'arrivo della sua governante, e la stessa cosa valeva per i due ospiti che si trovavano con lei, due uomini all'incirca della sua stessa età, uno, Leonardo Torquani, aveva corti capelli biondi, mentre i capelli dell'altro, Jess Foster, erano rossi e gli accarezzavano le spalle larghe. Senza degnarli di un solo sguardo, Katherine si allontanò, dirigendosi verso un piccolo tavolinetto, su cui era posata una bottiglia di Jack Daniels, un bicchiere e un secchiello per il ghiaccio.

“Me l'aspettavo” disse la donna, prendendo il bicchiere e versando un'abbondante dose di alcool “Mi aspettavo che quella puttana si sarebbe comportata così” continuò, facendo scivolare due cubetti di ghiaccio nel bicchiere. Gli uomini non dissero nulla, ma continuarono a scrutarla, lei allora diede loro le spalle, cominciando a bere il liquido amaro.

Solo a quel punto Jess decise di dire qualcosa, rivolto verso l'amico.

“Da quant'è che Kat non beveva?”

Leonardo sospirò, alzando tutte le dita della mano destra tranne il pollice.

“Quattro anni” continuò, il suo tono aveva una sfumatura triste e al tempo stesso preoccupata. Un “Wow” sospirato fu l'unica risposta che uscì dalle labbra di Jess.

Nel frattempo Katherine continuava a bere, ignorandoli deliberatamente, anche se il loro breve scambio di battute non le era sfuggito.

“Kat... smettila...” disse Leonardo, avvicinandosi alla donna e allungando la mano nel tentativo di prenderle il bicchiere. Per tutta risposta Katherine lo fulminò con lo sguardo, scagliando il bicchiere per terra e mandandolo in frantumi, come la povera statuina.

“Smettila?” ripeté, allontanandosi di un passo dall'uomo “Smettila?!” gridò ancora più forte, battendo il pugno chiuso contro il piccolo tavolino “Io sono il Maggiore McWilliams, cazzo! Merito un po' di rispetto, piantatela di dirmi cosa devo fare e come mi devo comportare!!”

Leonardo fece spallucce e non aggiunse niente. Evidentemente non era giornata, inutile tentare di far ragionare Katherine quando le prendevano i brutti momenti. Sarebbe stato più facile convincere un gatto a fare un corso di nuoto.

 

In quel momento il cellulare della donna, posato sulla credenza, poco distante, cominciò a suonare. La giovane lo guardò con disgusto, come se da un momento all'altro potesse trasformarsi in un serpente pronto a morderla. Jess decise allora di intervenire, con calma prese il cellulare ed illuminò lo schermo, controllando il mittente.

“E' Sebastian” disse, con un lieve sorriso. Un sospiro di sollievo uscì dalle labbra di Katherine, che allungò la mano per riprendere il suo telefono.

“Dimmi, Seb” disse laconicamente, cercando di non far trapelare dalla voce l'ira che ancora la dominava.

“Ricordi il caso Langerak?” domandò lui dall'altro capo del telefono, sembrava stranamente allegro.

Katherine chiuse gli occhi, sforzandosi di ricordare, e alla fine sorrise appena.

“Sì, certo, se non sbaglio Mark Langerack aveva aggredito e stuprato una ragazzina di quindici anni, al parco”

“Precisamente” rispose Sebastian Sandrelli, sempre più allegro “E, se ben ricordi, l'accusa aveva chiesto dieci anni”

Un'espressione di disgusto si dipinse sulle labbra di Katherine “Sì... ma tra appelli, buona condotta e qualche altra cazzata sarà fuori in metà tempo, se va bene...”

“Invece no. E' già uscito!”

Lo sguardo di Katherine si illuminò “Spiegati”

“L'hanno assolto. Insufficienza di prove, ha detto il giudice. E' fuori”

Katherine sorrise, ed in un attimo l'ira sparì per lasciar spazio alla gioia. Ora, chiunque altro si sarebbe arrabbiato o intristito a questa notizia, ma loro no. I membri della Cleaner Foundation erano sempre contenti quando qualcuno veniva rilasciato: in prigione sarebbe stato più difficile far sparire la feccia.

“Il capo ha detto che devi occupartene tu”continuò Sebastian, per poi chiudere la telefonata, senza alcun saluto. Tanto si sarebbero visti presto.

Katherine infilò il cellulare in tasca e sorrise appena.

“Un nuovo caso. Mark Langerack, l'hanno liberato”

Anche gli occhi degli altri due si illuminarono appena, ed un sorriso apparve spontaneo sulle loro labbra.

Senza dire una sola parola, varcarono la grande porta dell'abitazione e si diressero alla macchina, parcheggiata giusto davanti al cancello.

Katherine, invece, raggiunse il grande armadio a muro che si trovava nella sua camera, lo aprì, e ne estrasse la sua giacca militare, per poi infilarsela.

Una volta pronta, raggiunse i due uomini sulla macchina.

 

La Cleaner Foundation. Chi avrebbe mai detto che la sede della più temuta -dai criminali- e ammirata -dal popolo- organizzazione di tutti i tempi si nascondesse dietro la facciata di un semplice e comune ufficio? Eppure era così. Un grande edificio squadrato, tanti piani tutti uguali, uffici separati da una semplice parete divisoria. Tutto nella norma, non fosse che lì si progettava di ripulire la città dai topi.

Katherine entrò nella grande sala dove si trovava la Sezione Investigativa. Sebastian la stava aspettando, appoggiato alla sua scrivania, tra le mani reggeva un bicchiere ricolmo di caffè bollente.

“Ecco qui” disse appena la vide, allungandole un foglietto giallo con delle scritte vergate in perfetta calligrafia “E' il bar dove passa la maggior parte del suo tempo”

“Come fai a saperlo?” chiese Leonardo, inarcando un sopracciglio.

Con un cenno del capo Sebastian indicò il computer “Lì c'è tutto, basta saper cercare”

Katherine sistemò il biglietto in tasca mentre Leonardo la osservava attentamente.

“Veniamo io e Jess con te?” chiese, sotto lo sguardo curioso dell'amico interpellato.

Katherine scosse la testa “Non mi servite entrambi. Viene solo Jess, deve farmi da palo. Però...” la giovane donna si voltò nuovamente verso Sebastian “Chiama Rudy, voglio che lui venga. Deve iniziare a farsi le ossa”

“Ma ha quindici anni!” fu la risposta di Leonardo, allarmato alla prospettiva

“Non importa. Deve imparare. Prima impara, prima lavora. E poi suo fratello è un ottimo elemento, qualcosa Rudy avrà pur appreso”

Sebastian rimase immobile, sorridendole appena.

“No. Leonardo ha ragione. E' troppo piccolo. Può assistere a operazioni più semplici, ma a questo no. Persino suo fratello te lo impedirebbe”

Lo sguardo determinato di Katherine si fissò sull'informatico per qualche secondo, prima di spostarsi dall'altra parte.

“Uff, e va bene. Devo arrendermi all'idea che lavoro con dei molluschi!”

Sebastian scosse appena le spalle, mostrando che il commento non l'aveva minimamente offeso, quindi Katherine si allontanò a grandi passi, mentre Jess la seguiva.

 

Non ci misero molto a trovare il bar indicato sul foglietto.

“Pensi che sia qui?” domandò Jess

“E' il suo bar abituale... immagino sia venuto a festeggiare la libertà”

I due scesero dall'auto e varcarono la soglia del bar, guardandosi attorno. Non ci misero molto a individuarlo, entrambi avevano visto la sua foto sui giornali. Langerack non era un uomo particolare, anzi, per la verità era piuttosto banale. Aveva corti capelli brizzolati, che gli conferivano un'aria dignitosa, e spalle larghe che avrebbero forse messo soggezione, se il resto della sua persona non fosse stata così priva della più infima attrattiva.

Il locale era pieno, quella sera e questo preoccupò un po' l'uomo, che cominciava a sentirsi braccato.

“Troppa gente, non sarebbe meglio rimandare?”

Senza scomporsi, Katherine si fece strada attraverso il fiume di persone, riuscendo a raggiungere Mark.

“Salve” disse quindi, appoggiandosi al bancone.

“Salve” rispose lui con un sorriso piuttosto stupito. Evidentemente per lui era una novità che una donna gli rivolgesse spontaneamente la parola.

“Mark Langerack, giusto?” continuò lei. Negli occhi dell'uomo apparve un guizzo di timore e lui si guardò intorno, quasi avesse paura che qualcuno potesse sentire il suo nome.

“Sono stato assolto” mormorò subito, sulla difensiva.

“Lo so, ho seguito il processo” mentì lei. In verità non li seguiva mai, avrebbero solo aumentato la sua rabbia, si limitava a sentire i resoconti fatti da quelli della SI, ogni volta che il Capo decideva di affidare un qualche incarico a lei.

“Oh, bene” disse lui, leggermente sollevato. “Ehm... posso offrirle da bere?”

“Ma certo!” sorrise la donna, avvicinandosi ancora di più allo stupratore “Ma qui c'è troppa gente, non ti andrebbe di seguirmi in un luogo più appartato?”

L'uomo, che aveva riacquistato un po' di vigore, si alzò con un sorriso dall'alto sgabello su cui sedeva e lasciò sul bancone dei soldi, probabilmente per pagare le consumazioni precedenti.

“Certamente” fu la sua risposta.

Katherine gli sorrise ancora, quindi si voltò, uscendo dal locale, mentre Mark la seguiva. Jess, nel frattempo, li teneva d'occhio, mantenendosi a debita distanza per non far insospettire Langerack.

 

Camminarono per qualche minuto, fino a ritrovarsi in un vicolo che Mark non conosceva. Lì Katherine si fermò accanto a dei cassonetti, suscitando la sorpresa dell'uomo.

“Hey, tesoro, ma dove mi hai portato?” chiese lui, ridendo allegro.

“Non chiamarmi tesoro, feccia!” fu la risposta acida e dura della donna. Questa volta Mark Langerack iniziò a capire che c'era qualcosa di strano nell'aria.

“Non capisco... io...”

“Non capisci?” Katherine sorrise, avvicinandosi a lui “Anche Isabelle non capiva? Anche lei non capiva cosa stesse succedendo quando l'hai aggredita e stuprata?”

“Io non ho fatto niente di tutto questo...” disse l'uomo allontanandosi di un passo, ma l'atteggiamento di Katherine non gli piaceva, e questo era evidente dal colore che aveva tinto le sue guance.

“Ohh, certo... ma se è l'unico modo in cui un uomo come te può avere una donna!”

Anche questa seconda frase sembrò andare a segno, il volto scialbo e noioso di Langerack si trasformò in una maschera di rabbia.

“Bada a come parli” disse lui, con tono duro.

“Altrimenti?” il sorriso di Katherine era beffardo “Guardati, sei patetico. Ed eri patetico anche quel giorno, nel parco, quando hai ammesso a te stesso che nessuna donna ti avrebbe mai voluto, se non la prendevi con la forza”

“Stronzate!!” urlò lui “A quella puttana è piaciuto, è piaciuto tutto!!”

Questo per Katherine era più che sufficiente, una confessione in piena regola. Con un sorriso fece scroccare le dita della mano destra, sotto lo sguardo attento di Mark.

“Temo che sia arrivato il momento di pagare per la tua colpa”

Senza attendere oltre, Mark si lanciò in avanti, cercando di colpire la donna con un pugno all'altezza del viso. Katherine fece un passo indietro, riuscendo così ad evitare il colpo.

“Mancata” disse, in tono canzonatorio.

Un secondo colpo partì, diretto al suo viso, ma ancora una volta Kate lo evitò senza troppa difficoltà.

“Mancata ancora”

La rabbia aumentava dentro Mark, secondo dopo secondo.

“Adesso basta!”

gridò, scagliando un terzo pugno.

“Giusto...” Katherine fletté le gambe, abbassandosi e lasciando passare il pugno sopra di lei “... basta!” con uno scatto colpì Mark con un montante destro, centrandolo in pieno mento e mandandolo a terra.

Senza dargli il tempo di reagire, si sistemò sopra di lui e lo colpì una seconda volta, questa volta dritto sul volto. Sentì distintamente il rumore di ossa infrante e percepì il naso di Mark cedere sotto il suo pugno.

“Lurida puttana, mi hai rotto il naso!”

Senza far caso alle sue ingiurie Katherine si alzò, colpendolo con un calcio in pieno stomaco e costringendolo così a chiudersi in posizione fetale. Il secondo calcio lo raggiunse alla schiena. Mark cercò di rialzarsi, ma i calci ripetuti della giovane contro le sue costole, il suo petto, la sua schiena, gli impedivano di mettersi in piedi. Finalmente quella pioggia di colpi sembrò cessare. Mark riuscì ad udire la voce di Katherine, ma non capì cose lei stesse dicendo, né a chi lo stesse dicendo. Ma non era importante, doveva approfittare di quella libertà insperata per rialzarsi. Riuscì a mettersi in ginocchio, sebbene con fatica, ma non gli fu concessa la possibilità di fare un ulteriore tentativo.

Il laccio si serrò intorno al suo collo, impedendogli di respirare. Istintivamente l'uomo si portò le mani alla gola, dove la ruvida corda stava ormai creando dei solchi nel collo. Annaspava, cercava di muoversi, di liberarsi, ma non vi riusciva, era troppo debole per reagire, le ossa e i muscoli gli dolevano, i lividi pulsavano là dove i colpi eran stati più duri.

Continuò a cercare aria, finchè la vista cominciò ad annebbiarsi, a questo punto la speranza se ne andò insieme alle forze. Smise di lottare, semplicemente. Si arrese.

 

Ma proprio in quel momento la pressione sulla corda diminuì gradualmente, fino a scomparire. Il laccio venne ritirato dal collo di Mark e l'uomo fu nuovamente libero di respirare. Con un rantolo si lasciò cadere schiena a terra e osservò Katherine, che lo guardava, sempre con quel ghigno beffardo stampato sul volto.

“Non è così semplice” disse la donna, lanciando la corda a Jess, poco lontano. Mark spostò gli occhi su quel ragazzo, capendo quanto era stato imprudente a seguire quella sconosciuta. La Cleaner Foundation. Sì, sicuramente si trattava di quella.

Si portò una mano alla gola, poteva sentire distintamente la pelle tagliata da quella corda che stava per ucciderlo.

Katherine lo osservò, quasi con interesse. A volte si chiedeva cosa pensavano, mentre venivano picchiati per i loro crimini. Si sentivano in colpa? Chiedevano scusa? No. Forse si limitavano a maledire lei e basta. Doveva essere così, i mostri non chiedono perdono. Con un gesto secco si tolse la giacca militare, lanciandola a Jess. Non voleva che si sporcasse.

 

Lentamente si abbassò su di lui, guardandolo negli occhi.

“Come hai detto tu prima...” gli sorrise, godendo del suo sguardo terrorizzato. Con lentezza misurata estrasse dalla tasca un coltello a serramanico, le era stato regalato dal suo Generale quando era stata promossa. Un regalo utile.

“... adesso basta”

colpì l'uomo all'altezza dello stomaco, perforando la sua carne con quel coltello, lasciando scorrere il suo sangue a terra. Estrasse la lama e lo colpì una seconda volta, una terza, una quarta, una quinta, lo colpì finchè non fu semplicemente troppo stanca per continuare.

E quando si rialzò lui giaceva, ormai morto, in una pozza di sangue.

Le sembrava che avesse detto qualcosa, tra la terza e la quarta coltellata, un piccolo gemito. Un semplice “Perdono”.

Katherine scosse lievemente la testa. Sistemò nuovamente il coltello nella tasca dei pantaloni e prese la giacca che Jess le porgeva, indossandola frettolosamente per coprire il sangue che le bagnava la canottiera bianca.

Doveva essersi sbagliata.

I mostri non chiedono perdono.

 

 

 

 

  
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