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Autore: suni    08/06/2008    6 recensioni
Dapprima un urlo corale immondo, di un’acutezza agghiacciante che sfondava i timpani, provenne violento dallo strano vagone di coda. Poi quello tremò, ondeggiò, sobbalzò sui binari ed infine vomitò sulla pensilina di Hogsmeade un fiume di fanciulle urlanti che, dopo un momento di isteria e balzelli scomposti sul posto, caricò con furia di centauri imbizzarriti. La pensilina tremò quasi ci fosse stato un terremoto e Sirius si ghiacciò sul posto sgranando gli occhi con incredulità assoluta, inerme davanti a quell’aggressione bella e buona a danno della sua persona.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Due paroline



Mi sento di dover fare un paio di precisazioni, prima di lasciarvi alla lettura. Questa fic è altamente demenziale e non ha assolutamente il minimo senso, è completamente OOC e non tiene minimamente conto di coerenza, struttura e continuità narrativa. E’ soltanto una cavolata per far ridere.

Inoltre, a proposito dell’avvertimento slash, l’ho inserito perché c’è un accenno, peraltro decisamente comico, ma non è necessario essere amanti di questo genere per leggere perché è un elemento secondario che fa da sottocornice.

L’ultima cosa: spero vivamente che nessuno si venga a sentire offeso da quanto da me scritto. Potrebbero esserci riferimenti a personaggi che qualcuna di voi ha usato, magari inventato, ma sono del tutto casuali e non voluti. Ironizzo su un determinato tipo di cliché, di linguaggio e di situazione che spesso si vedono in opere che io considero scadenti e di pessima qualità, su certe stupidaggini trite e ritrite – e il discorso vale anche per me medesima; forse voi non la vedrete, ma c’è una certa autoironia tra queste righe – ma questa è soltanto la mia personale opinione e non si basa su autori o opere in particolare. Questa fic, è vero, non è gentile e anzi probabilmente l’intento offensivo è anche più forte di quanto risulterà, perché ho preferito buttarla sul ridere quando invece normalmente leggendo certe cose mi innervosisco molto. Detto ciò, non voglio giudicare nessuno o scagliarmi contro chissà chi. Ho voglia di far ridere, per cambiare, visto che di solito tendo a sfociare nella tragedia assoluta. Non so se mi riuscirà ma è questo, e non l’offendere, l’obiettivo primario che mi sono posta con questa storiella.

Infine, le mie scuse più sentite: a James, Remus e soprattutto Sirius per averli usati in quest’obbrobrio, al Mestro Tolkien per averlo citato en passant e a qualunque altro artista e/o personaggio e/o romanzo che verrà coinvolto nella porcheria che, con trepidazione, vi lascio finalmente leggere.

Cordialmente,

suni



Dell’epica, strabiliante, agghiacciante

tenzone tra messer Padfoot e le sue

Mary Sue


(e di come a causa loro s’infatuò di Moony)


Prologo



L’Espresso di Hogwarts lasciava in quel momento la King’s Cross Station di Londra, come ogni anno puntualmente accadeva la mattina del 1° settembre, diretto al villaggio magico di Hogsmeade dal quale la folla di studenti sarebbe stata poi scortata al castello in cui aveva sede la rinomata Scuola di Magia e Stregoneria. Di Hogwarts, appunto.

In quel momento gioioso gli studenti stavano, com’era giusto e doveroso, festeggiando la partenza verso quell’incantevole luogo, in cui fino a giugno avrebbero trascorso le loro liete giornate lontani dai genitori, dalle zie grasse, dal barboncino insopportabile della nonna e tutto il resto, immersi nello studio e nella bisboccia con gli amici, tra avventure e apprendimento. Gli allievi della scuola, dunque, si accingevano ed iniziare felici un nuovo, promettente anno scolastico, ignari, gli incauti, della tremenda minaccia che incombeva annunciando il dramma inevitabile che avrebbe avuto luogo al castello. Peraltro tanta ingenua avventatezza da parte loro poteva risultare anche eccessiva.

Effettivamente alcuni tra loro, come ad esempio il giovane e acuto Severus Snape, avevano avuto modo di notare almeno un paio di indizi sconcertanti. Ad esempio il fatto che in fondo al treno fosse stato aggiunto, quell’anno, un vagone extra perlomeno bizzarro. Di taglia maggiore rispetto alle altre, con cromature lilla e rosate che ben poco avevano di sobrio, la vettura recava sull’ingresso l’insegna “Mary Sue, qui” con tanto di freccia luminescente ad indicarne la soglia. Il giovane Slytherin aveva aggrottato la fronte con un istintivo moto di inquietudine, non tanto per il termine Mary Sue che gli era oscuro, ma perché quei colori nauseanti e quella freccia, che dimostrava evidentemente che gli occupanti della carrozza necessitavano di tutto l’aiuto possibile per compensare la mancanza di perspicacia, non promettevano nulla di buono.

La sua perplessità era aumentata quando, accingendosi a cercare un vagone normale su cui salire, aveva visto le prime persone che prendevano posto in quello succitato: si trattava esclusivamente di ragazze, tutte estremamente avvenenti per quanto dotate di particolari caratteristiche bizzarre – chi con occhi viola o di due colori differenti, chi con i capelli d’argento, chi con enormi seni prosperosi di taglie disumane, chi ancora avvicinandosi al treno in groppa ad unicorni e così via – che l’avevano spiazzato. Poiché, comunque, Severus era una persona normalmente riservata e poco incline ad immischiarsi negli affari altrui, finì per scrollare brevemente la testa e arrampicarsi sul treno.

Anche Lily Evans, sbattuta a terra accidentalmente dal colpo d’anca di una fanciulla sconosciuta dal sedere strabiliante e la pelle di luna, sbatté gli occhi tramortita, individuò il vagone e, perplessa, aggrottò la fronte in direzione della nuova venuta, osservandola penetrante.

Quella non s’era nemmeno avveduta di averla urtata, e si guardava intorno sgranando i grandi occhi lilla – nulla per cui lei, dotata di splendide iridi smeraldine, potesse impressionarsi – sorridendo con timida sfrontatezza. Lily si stupì nel notare che la fanciulla, pur essendo una sconosciuta, non aveva affatto l’aria di essere al primo anno.

“Qualche problema?” domandò solerte, mettendo in mostra la spilla di Caposcuola.

Gli occhi dell’estranea scintillarono – tanto da stordirla nuovamente – di sollievo mentre, scrollati i bei capelli biondi, le sorrideva con risoluta gentilezza.

“Sono nuova e non mi so orientare,” spiegò, simpatica per natura.

“Ma se avrai almeno sedici anni,” commentò Lily pratica.

“Quattordici,” la corresse l’altra con condiscendente fascino. “Sono molto precoce, ovviamente. Sono arrivata quest’anno a Hogwarts perché mi sono trasferita dall’estero durante l’estate,” spiegò rapida.

Lily si strinse nelle spalle.

“E allora? Avresti comunque dovuto continuare a frequentare la tua scuola,” osservò, con logica ferrea.

L’altra parve sorpresa dalla sua sensata affermazione, tanto che gli occhi sgranati assunsero una sfumatura vacua e vagamente ebete. Poi scosse la testa, ritrovando la decisione.

“No. Mia madre e mio padre erano grandissimi avversari russi di Voldemort in incognito e sono stati uccisi in una attacco a sorpresa ad opera di quaranta Death Eaters, di cui solo tre sono sopravvissuti allo scontro. Mia zia vive in Inghilterra, mi hanno affidata a lei e sono venuta qui per essere al sicuro.”

Lily boccheggiò, stordita da quella valanga di parole assurde. Intanto, la ragazza parlava di Voldemort come se lo conoscesse perfettamente, inoltre non si spiegava perché mai una coppia di russi avrebbe dovuto prendere tanto a cuore il problema della difficile situazione inglese quando gli stessi abitanti del Regno Unito parevano tentennare, e per finire quaranta Death Eaters le parevano un po’ tanti. Socchiuse le labbra per elencare quelle perplessità, ma una domanda più semplice le sfuggì dalle labbra.

“E perché parli perfettamente l’inglese?”

“Sono un genio,” rispose l’interlocutrice con modesta sicurezza.

Lily distese la fronte, condiscendente.

“Oh.”

Seguì qualche istante di silenzio, durante il quale la straniera si guardò intorno ancora un altro po’ e poi tornò ad apostrofarla con la sua cristallina, melodiosa voce musicale.

“Sapresti dirmi dov’è il vagone delle Mary Sue?”

Lily trattenne uno sbuffo scettico, limitandosi ad indicare con estrema lentezza la carrozza mezza rosa a dieci metri da loro. La strana nuova studentessa seguì con lo sguardo la sua indicazione, tacque compresa per qualche secondo e poi la fissò nuovamente.

?” chiese annoiata.

Lilì serrò i denti con tanta forza da farli scricchiolare.

“E’ quello. C’è scritto,” ringhiò esasperata.

L’altra sorrise, rischiando nuovamente di accecarla, stavolta a causa dello sfolgorio dei denti splendenti.

“Perfetto! Anche tu sei piuttosto sveglia!” esclamò ammirata. “Sento che saremo ottime amiche. Io sono Tiffany ma puoi chiamarmi Tiffy e sono una ragazza adorabile. Ci vediamo a scuola!” starnazzò, già correndo con sensuale malagrazia verso il vagone.

“Te lo puoi scordare,” borbottò Lily tra sé, “Tiffy,” terminò, con una smorfia disgustata per quell’orrendo nomignolo. Scrollò la testa e riacquisto l’espressione marziale, accingendosi a prendere posto sul treno.

Quando un’altra perfetta estranea le passò accanto – capelli d’oro (letteralmente) minigonna vertiginosa e labbra di rubino (ancora letteralmente) – domandandole dove fosse il vagone delle Mary Sue perché trovarlo era impossibile, Lily si rese conto tragicamente che, qualunque cosa fosse una Mary Sue, essere Caposcuola quell’anno sarebbe stato uno stress innaturalmente poderoso.

Non era l’unica a dar mostra di una certa inquietudine. Mentre i suoi due migliori amici – uno dei quali costituiva anche il suo sogno erotico da almeno sei mesi - ritardavano tanto da fargli temere che avrebbero perso l’Espresso, Remus J. Lupin si guardava intorno con forte ansietà. Forse era l’istinto di lupo a metterlo in allarme, ma sentiva come un presagio di sventura incombere pesantemente, facendogli mettere tutti i sensi all’erta. Quando Peter Pettygrew, accucciato nel sedile accanto al finestrino, lo vide cacciar fuori la testa e fiutare l’aria come se fosse stato sulla pista di una preda da sbranare, si schiarì la voce sedendosi più dritto.

“Moony, ehm, tutto a posto?” chiese timidamente.

Sobbalzando per quel suono inatteso che lo aveva raggiunto d’improvviso in un momento di allerta, il giovane mago si voltò con espressione grave, corrugando la fronte.

“Sento che sta per succedere qualcosa,” annunciò mite, ma con voce seria.

Peter annuì brevemente, facendosi attento.

“Temporale?” ipotizzò, perché capitava che talvolta l’amico licantropo avvertisse in anticipo l’avvento del maltempo, quando s’era vicini al periodo della luna piena.

Remus scrollò la testa, concentrato.

“No. Qualcosa di peggio,” replicò lugubre, sedendosi con riluttanza.

Peter, pauroso geneticamente, ebbe a malapena il tempo di aprire la bocca che il fischio del treno annunciò l’imminente partenza. E in quel momento, proprio mentre l’Espresso iniziava a muoversi, la porta del loro scompartimento si spalancò con violenza e i due compagni mancanti si scaraventarono all’interno ansimando come asmatici e accasciandosi immediatamente sui sedili, senza fiato e scarruffati dalla corsa.

“Appena in tempo,” esclamò Peter sollevato.

Remus, dimentico per un momento della propria infatuazione, si accigliò severamente squadrandoli con disapprovazione.

“Stavate per perdere il treno,” osservò secco.

James sbuffò come una caffettiera, mentre Sirius boccheggiava una risposta incomprensibile.

“Eh?” squittì Peter sporgendosi verso di lui.

“…Svegliati…tardi,” farfugliò il ragazzo, congestionato.

“E mio padre…stava potando i ciliegi e siamo dovuti andare a cercarlo,” aggiunse James, già sghignazzando.

“Ciliegi?” ripeté Remus perplesso. “Quali ci…?”

E s’interruppe lì, perché Sirius scelse quel preciso momento per ricomporsi, recuperò improvvisamente la compostezza, i suoi capelli corvini tornarono ad essere spettinati non per la corsa ma con naturale, attraente incuria, le chiazze violacee sul viso infiammato svanirono come per incanto e l’erede dei Black omaggiò i presenti col suo perfetto sorriso – non accecante, perché lui non era una Mary Sue – sovrastato dai begli occhi argentei e ridenti made in Black, marchio registrato.

“Idee per l’anno nuovo?” domandò sogghignando.

James attaccò subito dopo con l’elenco dei diabolici piani che insieme avevano architettato durante le settimane che l’amico aveva trascorso a casa sua, per rendere partecipi gli altri due membri del clan, e i quattro ragazzi si lanciarono dunque in quello che si prospettava essere uno splendido, inimitabile ultimo anno.

Fu così che, per via del ritardo che aveva reso quasi invisibile il suo arrivo per tutti gli altri, già installati sul treno, Sirius Black partì per Hogwarts completamente all’oscuro di quanto lo aspettava. Se fosse arrivato qualche minuto prima l’orda di fanciulle indemoniate che l’avrebbero assalito gli avrebbe fatto presagire la reale gravità della situazione, ma per com’erano andate le cose si mise in viaggio senza poter minimamente immaginare che quelli sarebbero stati gli ultimi attimi di serenità per molto, moltissimo tempo.

-












“[…]mio padre stava potando i ciliegi”
Questa frase, apparentemente insensata, è dovuta alla mia vecchia amica ciaraz. Siccome ho spesso la tendenza a inventare scuse del tutto campate in aria e spesso un poco inconsulte relativamente alle occupazioni dei personaggi quando ho bisogno che siano impegnati, la mia cara amica talvolta ironizza sulla cosa: “Non sai che fargli fare? Di’ che stava potando i ciliegi, tanto di solito non è che ti sforzi molto di più”.

Grazie, cia’. Continua a insegnarmi l’umiltà.

   
 
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