CAPITOLO
UNO
Quando
John quella mattina si svegliò ed entrò in
cucina con i capelli ancora spettinati e gli occhi gonfi per il sonno,
trovò
Sherlock seduto al tavolo del salotto a fissare qualcosa sullo schermo
del
computer, l’attenzione rivolta soltanto a quello. Niente di
nuovo, insomma e
anzi, doveva ringraziare il cielo che non si fosse messo a strimpellare
col
violino che, per quanto bravo fosse a maneggiarlo, non era affatto
piacevole
sentirlo la mattina presto quando lui aveva fatto tardi na notte prima.
Peggio
ancora sarebbe stato se si fosse messo a sparare contro il muro. Almeno
aveva
qualcosa da fare.
“Hai
comprato il latte?” gli chiese John senza
nemmeno voltarsi a guardarlo, ma tutto quello che ricevette in risposta
fu un
mugugno poco chiaro. Tanto la risposta la ottenne da sé,
aprendo il frigo e
notando che non c’era il latte. Anzi, non c’era
quasi niente, a parte un limone
ammuffito, una scatola di carote, una bistecca e un barattolo con delle
cose
strane dentro sui cui evitò di indagare; sicuramente era
qualche parte umana su
cui Sherlock doveva fare degli esperimenti e meno ne sapeva meglio era.
E ora
dopo il lavoro gli toccava pure fare la spesa. Mica si aspettava che la
facesse
Sherlock, no, assolutamente no.
E si sarebbe pure dovuto accontentare di bere il tè senza
latte. A meno che non
fosse sceso giù per chiederlo alla signora Hudson, ma non ne
aveva voglia.
“Fai
il tè anche per me”, sentì dire dalla
voce del
suo coinquilino che ancora non aveva distolto gli occhi da quello che
stava
guardando. Sicuramente si trattava di un caso.
John
sospirò rassegnato, rinunciando a qualsiasi
obiezione avesse voluto porre, tanto era inutile. Finì di
preparare il tè e,
con due tazze in mano si diresse, verso il salotto alla postazione di
lavoro di
Sherlock. Ne posò una sul tavolo accanto al moro e poi si
appoggiò sul bordo
del suddetto sorseggiando dalla sua.
“Stai
lavorando su un caso?” gli chiese, più per
educazione che non per vero interesse. Era ancora troppo addormentato
per
concentrarsi su uno dei complicatissimi casi del detective.
Sherlock osservò il suo profilo con la coda
dell’occhio, soffermandosi sulle
pieghe dei pantaloni della tuta che indossava e su una piccolissima
porzione di
pelle che si intravedeva sul fianco sinistro perché aveva
indosso una canottiera
che gli stava un po’ piccola forse. C’erano solo
due soluzioni piuttosto
plausibili: o non aveva più canottiere pulite e della sua
taglia corretta
oppure aveva indossato la prima cosa che aveva trovato, senza fare caso
a come
gli stesse addosso. Non che gli stesse male, certo… Ma non
era John che doveva
studiare, piuttosto era quel caso, che richiedeva tutta la sua
attenzione e
concentrazione.
“Non
è niente di importante”, rispose, le mani che
digitavano qualcosa sulla tastiera.
“Ah
no?” John si allontanò dalla scrivania per poter
vedere il computer e constatare che sembrava essere il progetto di un
edificio
o qualcosa di simile. Che Sherlock volesse costruire una casa? Non se
ne
sarebbe stupito… ma no, di certo si trattava di un caso.
“D’accordo, allora io vado al lavoro”. Si
diresse di nuovo verso la cucina per
mettere giù la sua tazza di tè, e poi
tornò nella sua stanza. Sherlock lo
guardò andare via nel riflesso dello schermo.
Era
un’altra mattinata noiosa, fin troppo noiosa. Da
quando abitava con Sherlock trovava noiose molte cose e ormai niente lo
divertiva abbastanza quanto una sana fuga da terroristi, assassini,
psicopatici
o chiunque li volesse uccidere. Cominciava a temere di star diventando
come il
suo coinquilino, ovvero una persona con istinti suicidi e amante del
pericolo.
Ma no, ce ne voleva per diventare come Sherlock. In ogni caso, non
voleva
diventare come lui e non perché il suo atteggiamento non gli
piacesse – be’,
qualche lato del suo carattere era decisamente terrificante –
ma perché di
Sherlock ce ne poteva essere uno solo. Era unico nel suo genere,
diverso,
particolare e questa era una cosa… bella. Sì,
bella, per quanto certe volte
fosse insopportabile. Ma di un’insopportabilità
divertente.
Chissà cosa stava facendo adesso. Forse era ancora impegnato
su quel caso di
cui non aveva voluto dirgli niente o forse stava facendo qualche
esperimento in
cucina. Magari avrebbe potuto mandargli un messaggio.
Prese il cellulare dalla scrivania e rimase a fissare lo schermo. Ma
no, perché
avrebbe dovuto? Non erano affari suoi, qualsiasi cosa stesse facendo.
Potevano
stare per qualche ora senza sentirsi, giusto?
Giusto…
“John”.
Sarah bussò alla porta del suo ufficio,
infilando solo la testa dentro. Da quando si erano lasciati il loro
rapporto era
andato incrinandosi e ora si trattavano solo come dei normalissimi
colleghi che
si rispettano ma che non provano alcun interesse l’uno nei
confronti
dell’altro. “E’ arrivata la signora
Turner”.
“Falla
accomodare”.
Il
dottore sospirò e si preparò ad
un’altra solita e
banalissima diagnosi.
Sherlock
sedeva in salotto sulla sua poltrona, lo
sguardo fisso in un punto che non vedeva. Cercava di mettere ordine nel
suo
palazzo mentale e ciò richiedeva non poca concentrazione.
Il quiz televisivo che aveva visto ieri sera in cui un signore aveva
sbagliato
tutte le risposte, persino le più banali…
inutile, da eliminare. La signora
Hudson che gli chiedeva notizie di suo fratello perché non
lo vedeva da un po’…
anche quello inutile. John che gli chiedeva di comprare il
latte… poco
rilevante perciò poteva archiviarlo. John che quella mattina
molto gentilmente
gli portava il tè e sempre molto gentilmente gli chiedeva
informazioni su quel
caso e poi la sua figura che si allontanava e… no, no, stava
divagando. Però
quello non era tutto da buttare. Magari avrebbe potuto conservarlo.
E ora… ora poteva concentrarsi su quel nuovo mistero
affidatogli da Mycroft. Il
suo caro fratello sospettava che un ramo della mafia inglese stesse
spacciando
droga e i suoi occhi da ragno avevano
notato diverse persone muoversi attorno ad un edificio abbandonato che
si
trovava poco fuori Londra. Doveva innanzitutto verificare che i suoi
sospetti
fossero fondati e capire che interesse potesse avere la mafia nel
spacciare
della droga. Per questo aveva bisogno dell’aiuto di Sherlock,
perché non sapeva
mai risolvere niente
da solo.
Il
solito vecchio Mycroft, pensò il consulente
detective alzandosi di scatto dal divano.
Inizialmente
era stato un po’ titubante ad accettare
il caso, ma alla fine aveva deciso che poteva essere divertente. E poi
aveva
iniziato ad annoiarsi e una qualsiasi distrazione gli sarebbe andata
bene.
Più tardi ne avrebbe anche parlato a John, sicuramente lo
avrebbe trovato
divertente anche il dottore e non avrebbe esitato a farsi trascinare
con lui.
Magari poteva telefonargli immediatamente per informarlo e dirgli di
tornare a
casa così potevano mettersi subito al lavoro, ma
cambiò idea subito dopo; non
era una buona soluzione, sicuramente lo avrebbe fatto innervosire visto
che era
al lavoro e che detestava essere interrotto mentre lavorava,
specialmente se
era qualcosa di importante. Per quanto dei pazienti con le emorroidi
potessero
essere importanti. Glielo ripeteva sempre, che il suo lavoro era
noioso.
E poi perché doveva lavorare? Poteva bastare lo stipendio
che prendeva lui come
consulente detective, così poteva rimanere a casa e seguirlo
nelle missioni. Era confortante
averlo
accanto.
Ma tanto John era cocciuto. E va be’, che cosa ci poteva
fare? Era meglio
mettersi a lavorare a qualche esperimento in cucina, piuttosto che
scervellarsi
su queste questioni senza capo né coda.
Quando
John rientrò a casa quel tardo pomeriggio,
scoprì che il suo coinquilino non era in casa. Si tolse la
giacca e poggiò la
borsa sul suo letto, poi gli mandò un messaggio per
chiedergli che fine avesse
fatto.
Si guardò un po’ attorno, costatando che
c’era bisogno di mettere ordine
nell’appartamento. Sherlock aveva combinato qualche
esperimento, a giudicare
dalla confusione che regnava sul tavolo della sala da pranzo.
Stava
proprio per mettersi a sistemare, quando la
Signora Hudson venne a bussargli alla porta.
“Tok,
tok, John. È permesso?”
“Sì,
certo, Signora Hudson!” la accolse lui, sempre
col solito sorriso gentile che non poteva fare a meno di riservarle
ogni volta
che la vedeva. “Come sta?”
“Oh,
caro, mi fanno un po’ male le giunture. Tu stai
bene?”
“A
parte la stanchezza, non mi lamento. Preparo del
tè, le va?”
“Non
rifiuto mai una buona tazza di tè”.
John
corse subito in cucina a mettere il bollitore
pieno d’acqua sulla fiamma del fornello. Non aveva molta
voglia di
chiacchierare con la Signora Hudson, però non poteva nemmeno
cacciarla via. E
in ogni caso un po’ di distrazione non gli avrebbe fatto male.
“Sherlock
non c’è?” chiese lei, quando il dottore
le
ebbe messo in mano la tazza di tè caldo e lei si fu
accomodata sulla poltrona
solitamente occupata dal detective.
“No,
è uscito prima che io tornassi. Non so dove sia
andato”. In quel momento si ricordò di aver
mandato un messaggio a Sherlock,
perciò tirò fuori il cellulare per controllare e,
notando che non aveva
ricevuto risposta, faticò a non lasciar trapelare dal volto
un broncio di
disappunto e di delusione. La signora Hudson comunque non se ne sarebbe
accorta, visto che era tutta intenta a raccontare delle sue avventure
del
passato col defunto marito, un’espressione estasiata e gli
occhi fissi al
soffitto.
Tutto quello che fece John fu annuire e sorridere quando vedeva ridere
lei. In
realtà non stava ascoltando neanche una parola. Era
completamente distratto da
altri pensieri, tra cui i motivi per cui Sherlock non gli aveva
risposto. Di
solito lui leggeva subito i messaggi. Se avesse saputo dove fosse
andato
sarebbe corso da lui. Ma non poteva nemmeno trattarsi di un caso
perché
altrimenti il detective gli avrebbe chiesto di raggiungerlo. Lo faceva
sempre.
Fortuna
che la Signora Hudson non si trattenne molto
e dopo mezz’ora decise di scendere nel suo appartamento.
Ringraziò John per la
tazza di tè e lo lasciò coi suoi pensieri.
Il dottore allora si mise subito a riordinare, cercando di scacciare
via il
pensiero di Sherlock chissà dove.
C’erano
dei vestiti del suo coinquilino sparsi sul
divano. John prese in mano una camicia e, cercando di piegarla, se la
portò al
naso senza nemmeno accorgersene, inspirando il buon odore che emanava.
Ma che
cosa diamine stava facendo? Doveva essere molto stanco per mettersi ad
annusare
le camicie di Sherlock.
Mise in un cesto tutti i vestiti che trovò sparsi in giro
così da poterli
portare in lavanderia in un secondo momento, e andò a
mettere in ordine la
cucina.
A dispetto di quello che aveva pensato, non ci mise molto a sbrigare
queste
noiose faccende domestiche. Però non poteva neanche negare
che la casa avesse
bisogno di una spolverata da cima a fondo, ma decisamente non era
quella l’ora
in cui mettersi a farlo.
Alle
sei uscì di nuovo di casa per andare a fare la
spesa. Il supermercato non era molto lontano, perciò decise
di andarci a piedi.
Comprò tutte le cose di prima necessità, tra cui
il latte, e alla fine si
ritrovò nel reparto dei dolciumi. Vide, poggiate su uno
scaffale in basso,
alcune confezioni di caramelle Kitsy e, sapendo che a Sherlock
piacevano molto,
ne prese una senza neanche pensarci. Infine, con il cesto pieno di
cibo, si
diresse alla cassa a pagare. Per fortuna non era affollata come si era
aspettato.
Quando
rientrò, Sherlock non era ancora tornato. E
il suo cellulare era rimasto silenzioso tutto il tempo.
Il
detective tornò a casa verso le nove, con un’aria
stanca e piuttosto tesa. John lo notò subito ma, seduto
sulla sua poltrona a
leggere un libro, lasciò che fosse l’altro a
incominciare. Sherlock si buttò
sulla poltrona che occupava sempre, col cappotto ancora adesso, e
poggiò la
testa sullo schienale dietro, chiudendo gli occhi.
“Dove
sei stato?” gli chiese a quel punto il
dottore, rendendosi conto che il suo amico non avrebbe affatto aperto
bocca.
“Da
Mycroft”.
Ahia.
“Per
un caso?”
“Sì”.
Sherlock
non era di molte parole quella sera e ciò
non prospettava nulla di buono. Di solito non avrebbe esitato un attimo
a
raccontargli ogni minimo dettaglio del caso su cui stava lavorando.
“Interessante?”
“Potrebbe
essere”.
Il
moro, che per tutto quel tempo se ne era rimasto
con gli occhi chiuso e il viso rivolto al soffitto,
raddrizzò il capo per
guardare John in viso e parve rimanere un attimo a studiarne i
lineamenti. Il
dottore cercò di pensare velocemente a
qualcos’altro da chiedere o da dire,
senza rischiare di far innervosire l’altro, ma il trillo del
campanello della
porta e il rumore dei passi della signora Hudson lo distrassero.
Sentì
delle voci provenire dal piano di sotto e poi
altri passi che si avvicinavano. L’anziana proprietaria del
221 B aprì di nuovo
la porta del loro appartamento.
“C’è
una persona che chiede di Sherlock”.
John
si alzò immediatamente dalla poltrona per
accogliere la nuova ospite, sicuro che fosse una cliente.
Gli apparve davanti agli occhi una donna abbastanza giovane, avvolta in
un
lungo cappotto blu scuro e un borsone a tracolla poggiato sulla spalla
destra.
Il volto pallido e gli occhi verde acqua esprimevano tutta la sua
stanchezza.
Un
momento!, pensò John. Quegli occhi erano identici
a…
“Connie?!”
Sherlock, dietro di lui, scattò in piedi
e guardò la ragazza come se non potesse credere ai propri
occhi. E
probabilmente era così.
Lei
allora increspò le
labbra in un sorriso debole ma contento. “Ciao,
fratellino”.
MILLY’S
SPACE
Ed
eccomi qui a devastare anche questo fandom. Milly
docet.
Ok,
l’ora è tarda perciò
cercherò di essere breve
altrimenti comincerò a sparare minchiate a raffica. Non
è la prima fanfiction
che pubblico e chi mi segue lo sa bene, ma è la prima
fanfiction su Sherlock e
devo confessare che non è da tanto che lo seguo, ma
già lo adoro. Ammetto anche
che mi ero promessa di non scrivere mai una fanfiction su questo
telefilm
perché il personaggio di Sherlock è difficile da
rendere e non volevo
rovinarlo. Tuttavia, mi è venuta l’idea per questa
storia leggendo un’altra
fanfiction e non ho potuto fare a meno di scriverla, così
come non ho potuto
fare a meno di pubblicarla (nonostante io abbia altre quattro
fanfiction ancora
da concludere).
Cos’altro
devo aggiungere? Be’, è decisamente una
Johnlock. Per quanto io ami Mary non posso fare a meno di shippare
questi due
personaggi e li vedo perfettamente bene insieme. Perfettamente bene?
Mah.
Non so con quanta regolarità riuscirò ad
aggiornare, considerando anche i
diversi impegni che ho, ma cercherò di essere abbastanza
regolare.
Detto
questo direi che posso salutarvi : ) vi segnalo la
mia pagina facebook dove potete vedere anche le altre storie che ho in
cantiere
(https://www.facebook.com/MillysSpace)
e
lasciatemi anche una recensione. Va bene anche se negativa.
Un
bacione,
Milly.