Serie TV > The Vampire Diaries
Ricorda la storia  |      
Autore: Soqquadro04    26/01/2014    1 recensioni
[What if!AU | Triste, tristissima | Implied!Delena | Possibile OOC | Death!Elena]
«Damon ancora l'aspetta, sai? Una volta all'anno, solo quel giorno, quando andiamo al cimitero a portare rose ad Elena, lo vedo – ma solo se ha voglia di mostrarsi. Un uomo bellissimo, dagli occhi azzurri e infinitamente tristi, che aspetta, e aspetta. Aspetta il volto della nonna – o i suoi occhi, la sua bocca, qualche linea del suo viso – e veglia la sua lapide, un solo giorno all'anno. Per tutto il resto del tempo, l'unica tomba di Elena è quella nel suo cuore.»
Molti anni dopo la morte di Elena, moltissimi da quando i vampiri se ne sono andati dalla sua vita.
Un diario, una ragazza di diciassette anni e una storia d'amore forte, anche se non abbastanza.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Soqquadro04
Fandom: The Vampire Diaries
Disclaimer: non sono assolutamente miei. Magari lo fossero.
Generi: Introspettivo, Sentimentale, Malinconico
Avvertimenti: AU, What if?, possibile OOC, possibile spoiler (5x11)
Rating: Verde
N/A - Note dell'Autrice: Eccoci qui, alle tre di notte, con io che pubblico forse la OS più depressa che io abbia mai scritto. Sono seria, avrei preferito evitare, ma l'idea è venuta e... e.
Concludo con qualche nota tecnica: nella mia testa, l'essere nuovamente umana di Elena è dovuto al fatto che, per liberarla della sgradita presenza di Katherine, sia servito un incantesimo con qualche... effetto collaterale, ecco.
E anche se non c'entra niente, scrivendo ascoltavo a ripetizione questa canzone, ed è semplicemente magnifica e stupenda e perfetta e io la amoH.
A presto,
la vostra Soqquadro

___________________________________________________________________________________________________
____________________
Old friend, old love

È meglio aver amato e perso/ che non aver amato mai.
Alfred Tennyson


 

La luce rossastra che le regala il pomeriggio morente è ancora abbastanza da permetterle di vedere più o meno bene, nonostante sia certa che presto dovrà accendere la luce – ma le pagine frusciano, la carta vecchia che minaccia di sbriciolarsi fra le sue dita ogni volta che la sfiora, e non le importa. La scrittura nervosa e femminea di Elena Gilbert riempie le righe del vecchio diario, inclinata verso destra, come se ogni lettera fosse pronta a prendere il volo da un secondo all'altro, tesa allo spasimo verso un futuro mai realizzato.

Non ne ha letto molto, e per adesso sembra semplicemente una storia come tante altre – la storia di un'adolescente spezzata per una perdita, la storia di una ragazza che desidera solo smettere di soffrire, e non ci riesce.

Ma il sorriso enigmatico di sua madre, quel giorno, dopo che tutti i suoi amici se n'erano andati ed erano rimaste solo loro due a sparecchiare la tavola – e, soprattutto, le sue parole seguenti – l'hanno incuriosita come poche cose al mondo.
Aveva preso quel libricino dalla copertina consunta da un cassetto chiuso a chiave della sua scrivania – come fosse un tesoro prezioso, un ricordo intriso d'affetto – e gliel'aveva messo fra le mani, bisbigliando una spiegazione in un bacio sulla sua fronte.

«So che ti piacciono le storie d'amore. La amerai sicuramente, come l'ho amata io. La tua bisnonna era una donna molto forte, anche se non abbastanza, sai?» aveva detto, per poi abbracciarla strettamente e appoggiare il mento sul suo capo, concludendo, mesta «Stai attenta alle pagine – sono fragili. La storia scritta in quel diario... è una specie di tradizione, se vogliamo chiamarla così. Nonna Elena l'ha dato a mia madre quando ha compiuto diciassette anni, e lei l'ha dato a me quando io ho avuto quell'età. Ora tocca a te – e so che piangerai come ho fatto anch'io; le donne Gilbert sono inevitabilmente romantiche.» l'aveva presa appena in giro, stringendola un'ultima volta prima di lasciarla libera di andare di sopra.

Impaziente, lei aveva spalancato la porta e si era gettata di volata sul letto, facendo scricchiolare pericolosamente le molle – si era sistemata più comodamente, a pancia in giù, le gambe incrociate in aria, e aveva preso come cuscino un orsetto di peluche che ha da quando è una bambina. È carino, marrone – anche se un po' scolorito –, con biglie nere al posto degli occhi e un fiocco attorno al collo.

Aveva iniziato a leggere – sono passati al massimo dieci minuti, e per il momento le date si susseguono con regolarità, le riflessioni sono svuotate di ogni energia ed è... triste. Solo triste.

Poi, un giorno di settembre, l'inizio della scuola. La pagina è divisa in due – e quando arriva a leggere la seconda parte (dal tono quasi libero, quasi allegro – quasi speranzoso), la giovane sa che è in quel momento che inizia davvero la storia.

Quando la carta le sussurra ancora una volta fra le dita, però, aggrotta le sopracciglia e un verso sorpreso le scivola dalle labbra – è vuota.

Non c'è più niente, anche mentre sfoglia qualche pagina in avanti – solo, qua e là, pesanti solchi che non si sono mai trasformati in altro, macchie e disegni senza senso, nati mentre la mano che impugnava la biro non veniva informata dei pensieri della sua padrona. Una o due pagine rotte, strappate – come ferite aperte.

Ad un certo punto, fra due di quelle lacerazioni, una coppia di parole vergate con rabbia, quasi – come se non dovesse essere così, come se fosse qualcosa che non sarebbe mai dovuto essere e invece era stato.

Lo amo.

 

La ragazza osserva con la fronte corrugata, la bocca piegata in una smorfia strana, quella dichiarazione imprevista – chi era?

Forse Stefan Salvatore, il ragazzo di cui parlava nelle ultime pagine – la casa dei Salvatore, a Mystic Falls, esiste ancora. È abbandonata da anni, gli ultimi eredi scomparsi o forse ormai morti.

Dicono che sia infestata, come direbbero in ogni altro paese di una vecchia villa lasciata a se stessa – ma un paio di volte, per scommessa, ci è entrata anche lei. E forse, solo forse, ha tremato appena nel ritrovarsi all'improvviso in quel salone troppo grande, la bocca nera del camino che pareva ingiungerle di andarsene, un tappeto consunto che aveva tutta l'aria di essere prezioso che ammorbidiva i suoi passi.

Era scesa nelle cantine – fra l'odore di humus imputridito e il brivido che l'aveva colta nel notare una cella dai cardini arrugginiti, aveva pensato che non sarebbe mai più uscita, che i fantasmi ci fossero davvero. Fantasmi del passato, grida che ancora echeggiavano fra le pareti e il rumore accennato di pianti – e salita al piano superiore, nelle camere da letto – in una c'era un letto enorme, dalle coperte che un tempo dovevano essere state bianche. Su un comodino, giaceva abbandonato un bicchiere elegante, accanto a una bottiglia di whiskey aperta, non più piena da parecchio tempo.

Magari si tratta davvero di Stefan – magari è quella la storia che intendeva sua madre.
Ma dev'esserci dell'altro – sfoglia ancora in avanti, cercando qualche riga piena, invece che solo di frasi non scritte, di inchiostro.

Individua quel che vuole verso la fine del diario, quando mancano meno di una decina di fogli alla conclusione di una storia che forse si è consumata in quei silenzi che vede descritti nel vuoto, che forse alla fine la deluderà.

Si allunga verso la lampada sul comodino, sbuffando, e la accende prima di iniziare a leggere. Il cuore le batte nel petto, la curiosità che le accende gli occhi – della bisnonna Elena si è sempre parlato molto, in famiglia.

È morta quando lei aveva dodici anni, quasi impazzita, in una casa di riposo – si mormora, fra parenti, che sia sempre stata un po' matta, fin da giovane. Da quando aveva la sua età.

Si dice che pensava di avere conosciuto streghe, licantropi, persino qualche strano essere leggendario bulgaro. Vampiri, anche.
Si dice pure che fosse convinta di esserlo stata, una vampira – e quella ragazzina ha sempre pensato che sì, era decisamente pazza.

Chissà che non trovi una spiegazione, in quelle pagine.

In cima, non c'è nessuna data – se ne accorge mentre comincia a scorrere con gli occhi le prime righe, le labbra solo un poco socchiuse.

 

Scrivo questa storia – la mia storia – perché ho paura che un giorno dimenticherò.
E ho già dimenticato troppo, troppe cose che ora non mi verranno restituite con uno schiocco di dita.

Questi sono tutti i ricordi che mi rimangono, che un giorno vorrò rivivere – anche se mi distruggerà, anche se dovesse farmi impazzire – e che forse vorrò far conoscere a qualcun altro.
Sono i ricordi segreti, quelli meravigliosi, non gli aneddoti dei pranzi di Natale o le fotografie delle vacanze – sono tutto ciò che mi rimane di loro. Di lui.

Non so se lo chiamerò per nome, mai, perché anche mentre scrivo fa male – sono passati tanti anni e ancora fa male, come il primo giorno, ancora sento il suo profumo aleggiarmi sulla pelle dopo un bacio, e mi sento in colpa. Ho sposato Matt, gli ho voluto bene – ho avuto dei figli, con lui – ma ancora non riesco a liberarmi delle sue catene. È sempre stato uno dei miei difetti peggiori, il non riuscire a staccarmi dal passato.

Non so nemmeno se posso definirla una storia d'amore – eppure di amore ce n'è tanto, di ogni tipo. C'è l'amore solido, sicuro – c'è amore fraterno, a volte nascosto e a volte no, c'è persino l'amore di madri verso le figlie, e a volte è un amore sano e a volte no.

C'è l'amore che ti prende e non ti lascia più andare, quello vero, quello che ti toglie la terra da sotto i piedi e ti lascia cadere, e a volte ti riprende, ridendo. E a volte non lo fa.

Perché tutto è cominciato per un amore che è sfumato in un altro – è stata colpa mia, ed è stata un po' anche colpa loro. Colpa sua.

Mi sono innamorata di un ragazzo, quando avevo diciassette anni: dolce, gentile, davvero meraviglioso. Mi faceva bene, mi alleggeriva dal peso della perdita.
Ma aveva un segreto – più di uno, anche se questo l'avrei scoperto solo dopo –, e aveva un fratello.

Mi sono innamorata di un uomo, quando avevo diciassette anni.

I fratelli Salvatore non sono mai stati facili da capire – se dovessi dire, però, chi dei due è sempre stato più bravo a nascondermi se stesso, risponderei lui, senza nemmeno un attimo di esitazione.

L'ho odiato, a volte – e a volte l'ho amato come non sapevo di poter amare.

Ho sbagliato tutto, con lui – ogni cosa, ogni gesto, in ogni secondo non ho fatto abbastanza.

Non ho fatto abbastanza quando non ho tentato nemmeno di comprenderlo – quando mi sono rifiutata di concedergli un perdono che meritava. Alla fine è successo, ma se solo penso a quanto è stato vicino... quanto poco mancava prima che morisse, quanto poco sarebbe bastato perché quel perdono non arrivasse mai.

Non ho fatto abbastanza mentre leggevo nei suoi sguardi che mi amava e non potevo sopportarlo. Ne avevo paura, anche, perché vedevo quanto avrebbe dato per me e forse, in fondo, non potevo credere che esistesse un uomo capace di tanto. Ma lui lo era – se solo glielo avessi chiesto, avrebbe fatto l'impossibile pur di rendermi felice. A volte gliel'ho domandato, senza accorgermene – e lui è riuscito ad accontentarmi, senza farmi pesare nulla.

Non ho fatto abbastanza ogni volta che l'ho ferito e ogni volta che ho chinato la testa, ogni volta che ho semplicemente ignorato quel che mi gridava.

Questa potrebbe essere addirittura una lettera, una lettera di scuse, se lui la leggesse – ma ha promesso di non tornare più, e stavolta questo voto non lo infrangerà. Nemmeno per me.
L'ha fatto, una volta – mi ha spezzato il cuore e poi è tornato sui suoi passi, perché alla fine sapeva che non ci credevo davvero, che non sarebbe stato possibile stargli lontana. Ma quella volta
nessuno dei due ha fatto abbastanza e ora siamo a questo punto.

Forse non ci sarà nessuna storia, dopotutto – è buffo che mi accorga solo adesso che tutta la mia storia è lui.

Che proprio in questo momento, quando ho iniziato a scrivere una specie di inutile confessione al mondo, mi renda conto che voglio solo che nessuno lo dimentichi. Non si merita di essere dimenticato, quando io non potrò più ricordare – e quale modo migliore di ricordarlo se non scrivendo ogni cosa di lui? Forse, se qualcuno sta leggendo, se ne innamorerà perfino  – come me ne sono innamorata io, come troppe persone non hanno fatto. È buffo anche che il pensiero mi renda gelosa, perché in fondo, probabilmente, lui ha già dimenticato.

L'ho conosciuto due volte.
Una vera, l'altra una recita – per assurdo, si è mostrato a me e poi si è ritirato di nuovo nel suo guscio, la prima vera volta. Durante la seconda, invece, io ero così convinta che lui fosse solo quella maschera che mi mostrava! Avevo dimenticato – lui mi aveva fatto dimenticare.

Aveva gli occhi azzurri – in tutto il suo viso, che pur era bello (lo era davvero, con tutta quella sua inumana perfezione ottocentesca), spiccavano perennemente, due fari accesi e chiarissimi e meravigliosi, solo quando non ti stavano penetrando nel cervello, terrorizzandoti per tutto quello che riuscivano a sussurrarti. I suoi occhi erano pericolosi – lo sono ancora, probabilmente, ma non li vedo da così tanto tempo.

Era terribilmente imprevedibile, e ostinato, e impulsivo – una delle persone più ingestibili e testarde che avrei mai potuto conoscere, uno degli uomini più veri che ho avuto la fortuna d'incontrare. Eppure non gliel'ho mai detto – ho sempre, soltanto gridato oltraggiata ai suoi tentativi (riusciti) di tenermi al sicuro.

Con lui, non esistevano mezze misure – ti odiava, o ti amava alla follia, in modo quasi sconsiderato, quasi doloroso. E non perdonava, lui – però ha perdonato me, anche dopo ogni cosa in cui non sono stata abbastanza, e questo è stato forse uno dei suoi più grandi sacrifici.

Quando si infuriava, quando lo faceva davvero – quando sembrava che si sarebbe spezzato sotto il peso di tutto quel dolore, tutta quella rabbia –, mi spaventava a morte. Era capace di uccidere il primo passante che incontrava, quando era in quello stato – ed è successo, anche.
E, come sempre, io ho soltanto scosso il capo e ho accusato – e non avrei mai dovuto farlo.

Si teneva dentro i suoi ricordi, i suoi dolori – per non far soffrire chi gli stava intorno rinfacciando il passato. E si credeva egoista, nonostante tutto.

Se mi baciava, era un'epifania – una gioia sentire le sue labbra sulle mie, arruffargli i capelli con i polpastrelli e poi ridere sulla sua bocca. Mi sentivo solo Elena, innamorata di lui e di quella vita che sembrava perfetta.

E mi ha salvata.
Mi ha salvata da ogni pericolo che ha potuto raggiungere, mi ha salvata da me stessa, mi ha salvata da se stesso – o così ha detto lui mentre mi sentivo morire, seduta davanti al camino di casa sua.

E quando non è riuscito a salvarmi, a proteggermi dal dolore, la colpa che gli rodeva l'anima era crudele e aveva la mia voce – non gli ho mai detto che non avrebbe mai dovuto caricarsi di quella sofferenza.

Quanto non ho fatto – quanto avrei dovuto fare. Ma non ne ho avuto il tempo, prima che tutto mi crollasse intorno e lui se ne andasse.
Sono solo i rimpianti di una donna, questi – di una donna che ha avuto paura e a cui non sono bastati solo brevi sprazzi di coraggio.

Quanto l'ho amato potrei non riuscire mai a scriverlo – quanto lo amo ancora, sono sicura che non ci riuscirei.

Mi era sempre accanto, sempre – in ogni situazione, in ogni momento, c'era lui.
C'era lui quando ho avuto bisogno di aiuto per tornare me stessa, persa in mezzo al caos di una nuova natura.

C'era lui anche quando lui era l'ultima persona che avrei voluto vedere, c'era lui quando non c'era nessun altro.
C'era lui che mi ha fatta ballare prima di baciarmi, solo perché gliel'ho domandato.
C'era lui che non rispondeva mai ai miei abbracci perché ogni volta che lo sfioravo rischiavo di mandarlo in pezzi e non me ne rendevo conto.
C'era lui che mi stringeva e mi mormorava parole di conforto quando ero diventata un mostro e avevo dato fuoco alla mia casa perché avevo avuto troppa paura di soffrire, perché non ero stata, ancora una volta, abbastanza forte. Questo diario si è salvato per miracolo dalle fiamme – lui l'ha preso con sé e me l'ha ridato solo il giorno in cui se n'è andato. Non me ne ha mai detto il motivo e io non ho più potuto chiederglielo.

C'era lui che pensava di non meritare niente e invece meritava tutto – c'era lui sempre, quando il mio mondo crollava ancora una volta.

Mi ha fatto male, quest'amore – e al contempo mi ha fatta sentire viva, viva, viva.
Mi ha rotta e ricostruita migliore – più forte, anche se non abbastanza –, mi ha curata e mi ha lasciata sola.

Me l'aveva detto, che sarebbe successo – mi conosceva ancora prima di conoscermi, con quel suo modo assurdo di entrare dentro alle persone e rifiutare al contempo di concedere quella parte di sé che celava così bene.

È stata una storia lunga, la nostra – anche se è stata ufficialmente molto breve, è iniziata molto prima di quando ho ammesso di amarlo, o di quando l'ho baciato per la prima volta, o di quando siamo stati una coppia anche agli occhi degli altri.
È stato un viaggio programmato a lungo, pensato, studiato con tutti gli sguardi e tutte le parole dette e non dette, che quando è iniziato si è concluso subito, causa imprevisti.

E poi non siamo più riusciti a ricominciarlo, il momento è passato anche se avrei voluto non accadesse mai – e molta è stata colpa mia, e molta è stata colpa sua, ma non possiamo giocare a questo gioco senza tirare in ballo anche tutto il resto di Mystic Falls, in fondo.

Penso che tutto questo, in realtà, dovrebbe essere scritto al presente – anche se per me è passato, lui è ancora così, uguale a se stesso. Lo sarà sempre, credo.

Come mi manca, come lo sento lontano anche dopo tutto questo tempo, non posso spiegarlo a qualcuno che non sia lui – perché lui è l'unico che può capire cos'eravamo noi.
Come so, ormai, che sono stata semplicemente cieca – che, come ogni essere umano, ho visto la felicità che avrei potuto avere solo mentre mi fuggiva dalle dita.

Come mi sono accorta di averla avuta sempre a fianco solo quando l'ho perduta.

 

La ragazza rimane immobile, gli occhi sgranati appena velati di lacrime – qualcuna è già scesa, inumidendo la carta. Quella... storia, ormai, è finita – si conclude così, con quelle ultime parole incise nella pagina con una violenza sofferente, con la sensazione di qualcosa che deve ancora compiersi.

Il cuore le si stringe dolorosamente, al pensiero di quanto nonna Elena abbia dovuto patire – di quanto quel lui di cui non conosce il nome sia stato dolce.
Sospira pesantemente, accarezzando con gli occhi le frasi, prima di richiudere il diario e chinare il capo, serrando le palpebre.

Ha la sensazione di non aver compreso bene – non tutto. E probabilmente è così per davvero, probabilmente l'unico che potrebbe decifrare quelle pagine è lui.
Si addormenta così, la mente in subbuglio e le parole fragili di Elena Gilbert strette al petto.

 

Il giorno dopo, sua madre entra in camera in punta di piedi – la trova ancora dormiente, cullata dal racconto di sua nonna.
Sorride appena – era certa che le sarebbe piaciuta, quella poesia sofferente e romantica, intrisa di vecchi dolori e di un amore forte, rimpianto di una donna che non era stata forte abbastanza.

Si siede accanto a lei, sul letto – le accarezza i capelli, piano, ma la sveglia ugualmente. Ha sempre avuto il sonno leggero.

La giovane mormora un saluto assonnato, socchiudendo gli occhi, le dita ancora strette attorno alla copertina consunta del diario – notandolo, la donna più grande sospira. Le fa un cenno, mentre l'altra si solleva a sedere.
Quella assume un cipiglio deciso, preparandosi a esporre la conclusione alla quale è arrivata.

«Non può essere vera, questa storia. Mi piacerebbe tanto, ma non è possibile.» anche se ha le prove in mano, non è convinta – è assurdo, tremendamente assurdo.

La mamma la osserva, seria, allungandosi a baciarle la fronte, prima di rispondere, dolce – sa che è difficile da pensare, ma la magia esiste.
Ed è un regalo che Elena ha fatto loro, quella storia – una speranza in un mondo che di speranze non ne ha più.

«Sai, non ci credevo neanch'io. Poi l'ho visto, esattamente identico a come lo descriveva lei. E allora, tesoro mio, ho dovuto credere all'altro volto di Mystic Falls. Fosse anche solo per sfuggire un po' a questa monotonia, per pensare che ci siano davvero amori simili.» amori che sono nati e sono morti, ma mai del tutto.
«L'hai visto? Quando?» la più piccola sgrana gli occhi, sorpresa, dimentica di dover mantenere una posizione decisa e sicuramente scettica – incurante del fatto che non dubita, nemmeno per un secondo, che sua madre le stia dicendo la verità.

Lei sorride ancora, un sorriso triste – le ha sempre fatto male, vedere quel vecchio amore appoggiato ad un albero, in lontananza. Sa che c'è, ogni anno, l'anniversario della morte di Elena.
Ricorda ancora il giorno in cui morì – fu la prima volta che lo vide, di sfuggita, mentre condivideva il loro dolore, in silenzio, da dietro il vetro di una finestra. Lontano, come se non meritasse di piangerla insieme agli altri che l'avevano amata.

«Damon ancora l'aspetta, sai? Una volta all'anno, solo quel giorno, quando andiamo al cimitero a portare rose ad Elena, lo vedo – ma solo se ha voglia di mostrarsi. Un uomo bellissimo, dagli occhi azzurri e infinitamente tristi, che aspetta, e aspetta. Aspetta il volto della nonna – o i suoi occhi, la sua bocca, qualche linea del suo viso – e veglia la sua lapide, un solo giorno all'anno. Per tutto il resto del tempo, l'unica tomba di Elena è quella nel suo cuore.» gliel'aveva sentito dire una volta, uno dei primi anni – c'era anche un altro ragazzo, più giovane, con cui stava litigando. Gliel'aveva urlato, infuriato – e faceva paura, quasi – e poi se n'era andato, mentre l'altro rimaneva a osservarlo e scuoteva la testa. Sembravano stare male tutti e due. Il ragazzino non era più tornato – aveva sempre pensato fosse suo fratello.

La ragazza schiude le labbra, stupita – come sa il suo nome?

«Si chiama Damon?» la donna annuisce – l'aveva saputo per caso, una notte in cui Elena era in preda alla febbre e chiamava quel nome con il panico nella voce, chiedendogli disperata di tornare. Quando sua madre, Elizabeth, le aveva chiesto spiegazioni, lei non aveva risposto – non chiaramente.
Aveva soltanto mormorato un “lui” che diceva tutto quel che c'era da sapere, e si era addormentata, tremando.

Sarah sospira, il sorriso che le si spegne sul viso quando rammenta ciò che doveva chiedere alla figlia.
«Oggi... è il sedici marzo. Vuoi venire anche tu? Credo gli farebbe piacere vederti – penso che gli manchi molto, e tu le assomigli così tanto.» la ragazza nega con il capo prima ancora che finisca di parlare, un'espressione indecisa sul volto. È curiosa, è vero, ma lui – Damon – amava la nonna e solo la nonna. Vederla non sarebbe di nessun conforto – se possibile, gli renderebbe solo più penoso quel giorno. E non vuole che succeda, non vuole causargli altro dolore.

«O forse gli farebbe solo ancora più male.» Sarah annuisce, consapevole – si alza in piedi, chinandosi solo per posare un bacio su quei capelli scuri, e si dirige verso la porta.
«Forse. Sei davvero identica a lei.» mormora, pensierosa. Si ferma di nuovo, sulla soglia, una mano poggiata allo stipite e un respiro fra le labbra.

«Mi ci sono affezionata, ormai – è come un vecchio amico di famiglia, di quelli di cui ti puoi fidare. Credo l'abbia promesso a lei, o forse a se stesso.» la storia di Elena è così triste, e quell'uomo così solo – quando era più giovane e sua madre le diceva che c'era un angelo custode che le avrebbe impedito di stare male, per quanto avesse potuto, aveva scosso la testa e pensato che non era giusto approfittare dell'amore di Damon per legarlo alla loro famiglia. Che si stava facendo del male, cercando in ognuna di loro qualcosa, anche solo un dettaglio, della donna che aveva amato.

Ora sa che è così – sa che gli fa male, che lo fa morire dentro, ma che non può farne a meno.
Che Elena gli manca in maniera tanto profonda da farlo implorare per un particolare che gliela riporti alla mente.

Non smetterà mai di vegliarle, le donne Gilbert, come loro non lasceranno che il diario di lei venga perso.

In un certo senso, lo devono a entrambi.

«Mi raccomando, fai i compiti. Ci vediamo più tardi, Elena.»

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Vampire Diaries / Vai alla pagina dell'autore: Soqquadro04