Il gelsomino notturno
«Non avrei saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.»
Era il
luglio del 1890, quando mia
madre ed io
stavamo viaggiando verso New York con il treno, nelle prime luci
dell’alba.
-
Svegliati presto, Bella – mi aveva detto la sera prima
– domani partiamo
all’alba e ci tengo che durante il viaggio tu non ti stanchi.
-
Detto
fatto.
Questa
mattina ero più sveglia che mai, pensate che non ero neanche
inciampata nel
tappeto anche se tutte le luci erano spente e da fuori alla finestra si
notavano solo pochi raggi di sole.
Il treno
era confortevole e caldo, anche se un po’ asfissiava, dato
che fuori c’erano 40
gradi all’ombra.
Il nostro
viaggio durò circa 12 ore; prima abitavamo a Phoenix, in
Florida, ma la casa
era diventata troppo piccola per noi due visto che mia madre si era
risposata
con un altro uomo, Phil, che aveva già un figlio a carico e
che, guarda caso,
abitava a New York.
Così ho
dovuto rinunciare a tutte le già poche amicizie che avevo
lì e ho dovuto
impacchettare tutta la mia roba per un luogo che non avevo mai visto.
Non
eravamo molto ricchi, così nella mia vita fino ad allora
avevo fatto solo un
viaggio, che era per altro andato anche un po’ male ma non
vorrei ricordarlo
proprio adesso.
Phil e
suo figlio, George, ci aspettavano sull’isola di Manhattan
per condurci alla
nostra nuova casa, che però si trovava nel quartiere del
Bronx, uno dei
quartieri più vicini al centro della città.
Mia madre
mi ha detto che Phil non è di certo facoltoso ma che mi
avrebbe garantito libri
e quant’altro per la mia istruzione. Meglio di niente!
- Siamo
quasi arrivate – mi disse mia madre verso le 13 –
tra un po’ abbiamo la nave
che da qui ci porterà a Manhattan -
- Ah –
feci finta di non ascoltarla, volevo vedere il panorama.
Restai
tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, attratta dalla
splendido
paesaggio che incontravamo ogni KM
in
più che il treno percorreva.
Verso le
17, sentì uno strano rumore che mi destò.
Non ero
proprio rimasta ad osservare il paesaggio tutto il tempo, mi ero
addormentata.
- Bella,
è ora di scendere – disse mamma.
Un po’
stanca, mi alzai dal sediolino di legno e mi diressi con i bagagli in
mano
verso l’uscita.
Ero un
po’ assonnata e camminavo un po’ barcollando,
così che, quando mia madre scese
i tre scalini che ci separavano dall’uscita e venne il mio
turno, non mi sentì
cadere per terra.
Ero
inciampata nel secondo gradino perché i bagagli mi
impedivano di vedere davanti
a me, ma con mia sorpresa non caddi.
Avevo già
gli occhi chiusi per prepararmi al dolore che avrei provato se fossi
caduta, ma
sentì due braccia calde e forti che mi strinsero la vita.
Riaprì
gli occhi, quasi pensassi di essere in un sogno, ed incontrai quelli
castani di
un’altra persona, un ragazzo per l’appunto.
Mi
accorsi subito di essere tra le sue braccia che quasi violentemente mi
staccai
da lui e rimisi i piedi a terra.
Il
ragazzo era scuro di pelle, ma non nero, bensì mulatto.
Sembrava
un indiano della riserva. Aveva anche un po’ gli occhi di una
strana forma...
Erano color nocciola ed erano molto penetranti… Troppo.
Mi
fissava come se mi conoscesse.
- Scusa –
mi affrettai a dire, e corsi vicino a mia madre che da lontano aveva
osservato
la scena.
- Stai
bene? – mi chiese mamma.
- Si –
risposi velocemente.
- Quel
ragazzo è stato davvero carino a prenderti… Sai
che figura se fossi caduta lì
davanti a tutti –
Non
risposi.
Mia madre
cercava sempre di farmi venire alla mente quanto fossi maldestra ed
incapace
nel camminare, nel fare tutto. Era si una madre molto cara, ma quando
mi
ricordava quello che non ero – una ragazza attenta a dove
mette i piedi – mi
tornavano i complessi.
- Ehi,
ragazze mie! - sentì da lontano.
- Oh,
Billy! – disse mia madre.
Billy
chi?
- Cosa ci
fate qui? - chiese l’uomo, della stessa carnagione del
ragazzo di prima.
-
Forse Charlie non
te l’ha detto ma… ci
siamo lasciati l’anno scorso. –
- Oh, non
lo sapevo. – si vedeva dalla faccia che era dispiaciuto.
- Ed io
mi sono sposata con un uomo che vive a New York. Adesso lo stiamo
raggiungendo
io e Bella. – Indicò me con il dito.
- Ah,
Bella. Sei diventata grande – disse, vedendo
l’incertezza sul mio volto – io
sono Billy Black, un amico di tuo padre. Forse non ti ricordi di me, ma
da
bambina venivi sempre nella riserva dove vivevo assieme a mio figlio e
alle mie
due ragazze che adesso si sono sposate. –
- Oh,
Jenny e Tina? –
- Esatto,
vedo che ti ricordi. –
Annuì.
- Bè, è
stato davvero un piacere ma devo andare a fare delle consegne assieme a
mio
figlio Jacob. E’ lì che mi aspetta. –
Indicò quel ragazzo che prima mi aveva
salvato.
Jacob.
Jacob Black. Ecco perché lo ricordavo.
Quando
Billy lo nominò si voltò impercettibilmente verso
di me, quasi fosse in
ascolto.
- Di
sicuro ci rivedremo – disse Billy – io vivo nelle
vicinanze, nella riserva
indiana. -
Ci fece
l’occhiolino e si diresse verso il figlio.
Che
strano ragazzo. Era bollente quando mi ha toccata per non farmi cadere.
Magari
non ci rivedremo nemmeno, perché pensarci?
Con mamma
arrivai al porto.
La nave
era già lì e se non fosse stato per la
velocità dell’uomo che guidava la
carrozza che prendemmo, di sicuro non ce l’avremmo fatta a
prendere quella
delle 18,30.
Fortunatamente
Manhattan si trovava molto vicina alla costa, così il
viaggio in nave durò solo
una mezz’oretta. Buon per me, io odio stare su qualcosa di
instabile!
Prendemmo
nuovamente una carrozza, ed arrivamo in Trentford Street, dove Phil ci
aspettava per portarci alla nostra nuova casa.
Mamma
aveva detto che sarebbe stata più grande, carina e
tranquilla.
La parola
tranquilla mi faceva pensare che attorno non ci fosse nulla…
Non mi
acquietai finché non vidi la casa in questione.
Phil
disse che era la più decente ed a buon mercato che aveva
trovato, perché
solitamente erano rare le famiglie composte da quattro persone. Di
solito erano
composte da 7 – 8 inquilini o anche di più,
perché molti avevano tanti figli.
Dopo
circa un’ora di viaggio da quando vedemmo Phil, arrivammo.
La casa
era piccola ma carina, aveva due piani e dall’esterno
sembrava anche ben messa
all’interno.
- Ah, che
bella! – disse mamma, sempre felice come una Pasqua,
soprattutto quando era
Phil a fare delle cose carine per lei.
- amore,
vedo che sei soddisfatta. – disse Phil, felice – e
tu, Bella? Che ne dici? –
- Mi
sembra carina. – mi limitai a dire senza dargli
soddisfazione. Prima volevo
vederla all’interno.
Presi le
valige dalla carrozza, quando qualcosa o meglio qualcuno
attirò la mia
attenzione.
La casa
dei nostri vicini non era molto distante dalla nostra, ma da dove ero
io lì
invece sì.
Era molto
più grande e con un giardino ben fornito di fiori e statue,
anche con un gazebo
all’interno. Ci avrei giurato che gli inquilini fossero
ricchi.
A piano
terra, vicino alla finestra a destra dell’entrata, vidi una
sagoma accanto ai
vetri chiari.
Camminavo
piano per il gran peso delle valigie, ma non potei non fermarmi ad
osservare chi
mi stava fissando con tanta… cosa?
Non avrei
saputo dire cosa fosse quello che il suo volto m’ispirava.
Odio?
Invidia? Disprezzo?
Penso
nessuna della tre.
Come
faceva ad odiarmi se non mi ha mai vista? O anche ad invidiarmi se
magari è lui
quello che si può permettere tutto? Come poteva pure
disprezzarmi se forse non
ero ricca quanto la sua famiglia?
Non lo
sapevo.
L’unica
cosa che potevo sapere ed osservare il suo volto.
Forse era
il vetro oppure il sole già calante alle spalle della casa,
o forse altro ma…
vedevo la sua pelle decisamente bianca e diafana.
Di sicuro
se fosse stato accanto al ragazzo di questo pomeriggio, Jacob, avrebbe
fatto
decisamente contrasto con la pelle colorita del giovane.
La sua
sembrava quasi neve.
E gli
occhi. Non oso parlare degli occhi.
Forse è
sempre la luce che mi gioca brutti scherzi, ma avrei giurato che
fossero neri,
neri come la pece e arrabbiati per non si sa quale motivo.
Scostai
lo sguardo da lì e guardai di nuovo avanti, per rischiare di
non inciampare.
Quando
ero sotto la veranda mi voltai, ma il ragazzo non c’era
già più.
Salì
piano le scale sempre per non cadere e, una volta nella mia nuova
stanza, posai
tutto ai piedi del letto. Stranamente, in quella gelida
tranquillità, corsi
alla finestra perché sentì un rumore forte di
pneumatici sull’asfalto. Non era
frequente vedere macchine in giro, soprattutto perché erano
state collaudate da
poco tempo ma… i vicini avevano anche quella.
Sospettai
inizialmente che fosse qualcuno che andasse di fretta o che non avesse
semplicemente voglia di andare piano, ma poi mi balenò nella
testa la strana
sensazione che colui che aveva spinto sull’acceleratore
così tanto potesse
essere proprio colui che due minuti prima mi osservava.
Non
volevo dargli molta attenzione visto che non lo conoscevo, ma decisi,
per la
mia curiosità, che sarei stata accanto alla finestra per
vedere se le mie
supposizioni erano vere.
Che ne dite? Forse è un po' poco per decidere, ma spero la trama vi intrighi... non volevo essere troppo banale, così ho scelto un'altra epoca XD
Il titolo l'ho preso da una poesia di G. Pascoli che mi piace molto, poi capirete perchè "gelsomino notturno"...
Spero che vi sia piaciuta! Mi farebbe molto piacere se mi lasciste delle recensioni... vedete il tasto qui sotto vi chiama! XDD