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Autore: Elizabeth_Tempest    27/01/2014    4 recensioni
1944.
All'inferno, lei ci era arrivata incinta. Ancora non si vedeva, sotto il cappotto largo che indossava, ma quel gonfiore morbido e caldo era stato una consolazione.
Non era stata l'unica, nel suo trasporto c'erano altre quattro donne incinte. Una di loro, di cui non aveva mai saputo il nome, era morta di stenti. Un'altra aveva abortito.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Olocausto
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1944.

All'inferno, lei ci era arrivata incinta. Ancora non si vedeva, sotto il cappotto largo che indossava, ma quel gonfiore morbido e caldo era stato una consolazione.

Non era stata l'unica, nel suo trasporto c'erano altre quattro donne incinte. Una di loro, di cui non aveva mai saputo il nome, era morta di stenti. Un'altra aveva abortito.

Era successo di notte, quasi del tutto al buio. Una delle altre prigioniere, un'ungherese che aveva esercitato come ginecologa prime di finire anche lei in quel girone dell'inferno per un crimine di cui non aveva colpa -dopotutto, chi poteva decidere se nascere ebreo, ariano, cinese o abissino? Era forse un crimine avere la fortuna di nascere in una famiglia o in un'altra? Evidentemente sì, o quel luogo di tortura e desolazione non sarebbe mai esistito-, aveva inserito un ferro ricurvo dentro la donna e aveva ucciso il bambino. Era necessario per salvare la madre, dicevano.

I bambini non sopravvivevano mai, lì dentro. Nella “sala parto”. Il macello. Qualsiasi cosa con un nome che ricordava la bellezza dei bambini, in quel posto, era sinonimo di inferno. Aveva imparato ad avere i brividi quando parlavano delle kinderzimmer, le camerette dei bambini. Camerette piene di cadaveri e ratti che mangiavano ciò che rimaneva dei loro figli.

I bambini erano innocenti e indifesi, ma a nessuno importava. Quando era arrivata, sperava che ai bambini riservassero un trattamento migliore. Ma poi aveva scoperto che non era così. Dicevano che ne gettavano di vivi nei forni. Che alcuni li avvelenavano. Alcune donne tornavano dalle sale parto senza i figli. Altre tornavano con i loro bambini. Non importava, tanto morivano comunque. Per fame, spesso. Altri si ammalavano. Alcuni semplicemente scomparivano senza un gemito. Era facile soffocare un bambino, per non sentire più il suo pianto di dolore.

Una delle ragazze era tornata sconvolta nella baracca, un giorno. Da quel giorno aveva sempre dormito con un orsacchiatto. Solo poi, tra le lacrime, aveva raccontato la storia del bambino dell'orsacchiotto. Del piccolo zingaro, una creaturina piccina piccina che non poteva avere più di cinque anni, che si era chinato a raccogliere il suo giocattolo. Dell'SS che gli aveva fracassato il cranio e spappolato il cervello col calcio del fucile. L'orsacchiotto era rimasto con la ragazza. Lo abbraciava ogni notte come se stesse abbracciando il piccolo zingaro.

A volte si chiedeva che fine facessero le bambine zingare. Ne aveva viste arrivare tante, perchè arrivavano tante zingare e, come le dicevano sempre, -chi, si chiede? Chi glielo aveva detto? Era stato tanto tempo prima... forse in un'altra vita- gli zingari hanno tanti figli. Un giorno le avevano detto -erano due ragazze che lavoravano come personale medico, due ex-medici- che le sterilizzavano coi raggi X, anche se avevano solo otto anni. Facevano firmare dei fogli a dei genitori, a volte. La promessa di liberarli. Generalmente le bambine si lamentavano per i forti dolori. Poi morivano.

E poi erano arrivati i suoi, di dolori. Sempre più vicini, sempre più forti. Era tutto un po' confuso, ma sapeva di essere stata portata nella sala parto. C'erano delle infermiere... e forse un medico. Sì, un medico... aveva il camice bianco, no? Ma tutti i medici, lì, avevano gli stivali delle SS.

Aveva spinto forte. Nessuno le aveva mai detto che partorire facesse tanto male. Però ce l'aveva fatta. Per un secondo pensò che dovesse avere un aspetto orribile, tutta spettinata e sudata e stravolta. Lei, che aveva sempre amato essere in ordine.

Tagliarono il cordone ombelicale e lo sentì piangere. Aveva polmoni forti, piangeva forte. Era giusto così, suo figlio avrebbe dovuto essere forte. Pianse di sollievo. I bambini morivano, durante il parto. Non il suo. Sarebbe tornata con il suo bambino alla baracca.

Una delle infermiere prese suo figlio... non aveva nemmeno una copertina, pernsò, scandalizzata da quell'osservazione. Avrebbe preso freddo. Ma forse era solo perchè era ancora tutto sporco e unto. C'era un secchio, lì vicino. L'infermiera ci cacciò suo figlio, tenendolo sott'acqua con forza. I piccoli polmoni si riempirono d'acqua, così diversa da quella che lo aveva protetto fino a pochi istanti prima.

Avrebbe voluto gridarle di smetterla, che gli avrebbe fatto del male, di darle suo figlio, ma rimase in silenzio, con gli occhi sgranati e la bocca schiusa in un grido di dolore muto, finchè il suo bambino non smise di muovere le piccole membra. L'infermiera tirò fuori un corpicino zuppo e molle.

Voleva solo morire, ora.

 

 

 

 

 

NdA

 

La storia è stata ambientata nel campo femminile di Ravensbrück, in Germania.

Ogni dato citato nella storia, dalle kinderzimmer -stanze in cui i bambini erano lasciati a morir di fame e ai topi- alle atrocità commesse sulle bambine zingare sono reali. Si sa per certo che moltissimi neonati -da quando, nel 44, fu permesso alle deportate incinte di portare a termine le gravidanze- furono uccisi durante o dopo il parto, affogati o strangolati dalle infermiere, nella maggior parte dei casi davanti alle madri; si hanno anche notizie di bambini avvelenati, picchiati a morte, gettati vivi nei crematori ed altro, di parti indotti con anticipo e di procurati aborti da parte delle SS e dei medici nazisti.

Altresì è certo che molte donne abortissero o partorissero di nascosto nelle baracche con l'aiuto di prigioniere che avevano praticato come medici o infermiere prima della deportazione. L'aborto era visto come una soluzione per salvare la madre, soprattutto nei primi anni, quando erano direttamente destinate alla gassazione ed alcuni ebbero come protagoniste donne molto in là con la gravidanza.

Dal 1944 in poi, quando fu concesso alle deportate di portare a termine le gravidanze, ben pochi furono comunque i neonati che sopravvissero, -circa un centinaio- generalmente grazie a catene umane tra le prigioniere: gli altri morivano di stenti e di malattie.

Anche tra i bambini più grandi la mortalità era altissima e le SS sfogavano il loro sadismo sottoponendoli ad ogni genere di crudeltà gratuita.

La storia del bambino zingaro è vera: viene dalla testimonianza della figlia di un'ex prigioniera di Ravensbrück, che assistette alla scena e raccolse orsacchiotto del bambino, conservandolo anche durante le marce della morte.

 

   
 
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