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Autore: Tempie90    27/01/2014    2 recensioni
AU tradotta dal sito di FF fanfiction.net, è un'esperimento che abbiamo deciso di fare io e anitagaia.
La storia parla di una Beckett ancora novellina facente parte della Vice squad del 12° distretto, ovviamente le modalità in cui conosce Castle sono altre! XD
Speriamo vi piaccia e abbiate la pazienza di leggere i nostri aggiornamenti!
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Hola chicas! =D
Ecco a voi il secondo capitolo.
Speriamo vi piaccia e continui a suscitare interesse!
Io e Anita abbiamo deciso di pubblicare ogni lunedì, così da avere più tempo per tradurre e maggiori probabilità di essere puntuali XD
Vi auguriamo buona lettura e non vediamo l'ora di sapere cosa ne pensate!
Besos :*

                             Capitolo 2


Gennaio, 2004

Cinque anni. Cinque anni da quando sua madre era stata pugnalata a morte in quel vicolo, mentre Kate e suo padre sedevano nel ristorante senza di lei, ignari, inconsapevoli di ciò che stesse succedendo. Da Luigi. Johanna aveva sempre adorato il cibo italiano.

Beckett fissò il soffito, al freddo nonostante tutte le coperte ammucchiate sul letto, e ascoltava i battiti feroci del suo cuore, chiedendosi se avrebbe mai smesso, se il dolore sarebbe mai cessato.

Il terapista a cui era stata all’epoca le aveva promesso che la ferita sarebbe guarita ma in qualche modo, mentre gli anni passavano e l’assenza di sua madre rimaneva come un coltello affilato tra le sue costole, una lama frastagliata che penetrava sempre più dentro malignamente in giorni come questi, Beckett si trovava a dubitare le parole della donna.

Rimase a letto ancora per un altro momento, gli occhi fissati sopra di lei, il suo corpo immobile, come se anche il più piccolo movimento potesse disturbare il dolore che le si sprigionava dentro, potesse renderlo più forte di quanto già non lo fosse.

Poi la sua sveglia prese a suonare e sapeva che erano le sei e che era tempo di alzarzi, fare una doccia, vestirsi e mangiare qualcosa prima di prendere la metropolitana per il distretto. Tempo di vivere la sua vita.

La sua vita.
Come se ne avesse una.



“Hey, Beckett.”

Bisbigliò qualcosa di risposta ma non si preoccupò di alzare gli occhi; conosceva quella voce. L’ufficiale Marshall, un ragazzo carino con occhi verdi e capelli arruffati, l’unico che ancora non si era arreso a provare di fare amicizia con lei.

Prima o poi, però, l’avrebbe capito.

Kate Beckett non aveva bisogno di amici, non li voleva. Lanie era l’eccezione che confermava la regola.

Quindi si concentrò sul rapporto che aveva fra le sue mani, leggendo il più lentamente possibile per assicurarsi che Marshall se ne sarebbe andato fino a quando avesse finito di leggere. E in effetti se ne andò. Si permise un piccolo sospiro di sollievo, poi prese una penna e firmò il suo nome alla fine del rapporto.

“Beckett!”

Questa volta alzò la testa senza esitazioni, abituata com’era a rispondere alle chiamate di un qualunque vice-detective. “si?”

“Ho bisogno di te alla sala conferenza,” le disse Osborne, oltrepassando la scrivania che condivideva con un paio di ufficiali.

Kate guardò l’orologio di suo padre, l’orologio che le aveva dato per Natale, e il suo cuore affondò quando realizzò quanto presto era ancora. 10.32. quel giorno sarebbe stato infinito, vero?

Beh. Forse, se era fortunata, le avrebbero assegnato qualche altro lavoro d’ufficio. Oppure l’avrebbero mandata a prendere qualche sospettato. Oh, lei sperava decisamente per il sospettato. Aveva bisogno di bruciare tutta quell’energia extra; aveva bisogno di fare invece che di pensare.

Questa era la sua migliore speranza per oggi.

Niente pensieri.



Volevano che facesse di nuovo l’esca.
Non che le desse proprio fastidio, ma- si, si chiedeva se l’unica ragione per la quale l’avevano assegnata a un vice era per il suo aspetto, e ad essere sinceri, si stava stancando sempre di più di questa cosa. Dannazione, lei era stata la prima nella sua classe all’accademia, e certamente aveva molto più a che vedere con il suo cervello che non  con il suo corpo.

Ma a nessuno sembrava importare molto del suo cervello, o no?

Beckett strinse ben forte le labbra cercando di non imbronciarsi, focalizzando la sua attenzione di nuovo sulla riunione. Questa volta l’operazione era decisamente molto più organizzata, e includeva un numero maggiore di persone. Se tutto andava come pianificato, avrebbero finalmente preso Velasquez e rinchiuso in cella. Per sempre.

Kate sapeva che il detective Osborne aveva cercato lentamente di raccogliere informazioni contro quell’uomo, ma non aveva capito quante ne aveva accumulate oltre le ultime due settimane. Non potè trattenersi dall’esserne impressa.

Quando la riunione terminò, tutti quanti si alzarono per andarsene,ma Osborne si girò verso Kate, rimanendo tra lei e la porta. “Ti sta bene, Beckett?” chiese, con la fronte corrucciata mentre la studiava. “lo so che sei giovane, ma sei l’unica che abbiamo che può fare quella parte. E sei riuscita a gestire bene questa situazione l’altra volta.”

Le stava veramente chiedendo se poteva farlo? Merda, come se lei avesse pensato ad alta voce prima.

“Mi sta bene, signore. Posso farcela.”

Dannazione, non avrebbe mai lasciato sfuggirle un’occasione per prendere parte a una operazione del genere. Sapeva cosa poteva significare per la sua carriera.

Osborne sembrò pensieroso per un momento. “Okay” disse alla fine, aprendole la porta. “va bene.”

I suoi occhi si fissarono per un secondo sulla mano del detective, che riposava attorno alla maniglia come se lei non avesse potuto farlo, come se lei non poteva aprire quella stupida porta da sola, ma deglutì la sua frustrazione e si diresse alla sua scrivania senza dire una parola.

Era un mondo di uomini.
L’aveva sempre saputo.

E si, le mancava Royce, la fiducia che aveva sempre avuto in lei, il rispetto con il quale l’aveva sempre trattata. Non gli importava che era una donna, che era intelligente. Quando sbagliava, la sgridava; quando faceva un buon lavoro, la portava fuori per dei drink.

Ma Royce se n’era andato adesso. Adesso lei lavorava per il Vice, e questi uomini erano solo i suoi futuri colleghi; doveva semplicemente accettarlo.

Conserva la tua battaglia per quando conta, Beckett.

La scritta in neon di “Russian Angels” le sembrava tristemente familiare, le lettere che vibravano nell’oscurità che si approssimava, entrambe le “i” e le “l” erano probabilmente verso il limite del loro declino.

Kate spostò lo sguardo altrove, si aggiustò il vestito, e spinse i suoi capelli all’indietro.
Eccetto che non erano davvero i suoi capelli. Le avevano fatto indossare una parrucca questa volta, nell’eventualità improbabile che un cliente, un buttafuori o un barista la riconoscesse; stranamente, una lunga criniera di finti capelli biondi non le era mai passato per la mente.

Indossava, inoltre, anche un vestito diverso, nero e luccicante che le scopriva troppo le gambe e fin troppo la scollatura, questo però secondo lei. ma gli sguardi dei vice detective sembravano dire il contrario.

Beckett sorrise. Il college le aveva fatto capire qualcosa che non le era stato chiaro alle superiori: la certezza di essere sexy. Non si fidava dell’altre parole, come “bellissima” o “stupenda” o “mozzafiato”; non significavano nulla per lei.

Ma poteva vedere il modo in cui gli uomini la guardavano quando indossava le gonne o quando lasciava i suoi capelli sciolti. La notavano. E si, i suoi capelli erano corti ora, ma nonostante tutto…- Kate lo sapeva.

L’aveva capito da un po’ che poteva usarlo a suo vantaggio. Solo che… non voleva doverlo fare.

Troppo tardi però, pensò, lasciando che le sue dita toccassero la scollatura del suo vestito, controllando che il microfono fosse ancora lì. Questa volta non sarebbe stata da sola al club: un vice detective era già dentro che cercava di mischiarsi tra la folla e di riuscire magari a vedere Velasquez.

Sapevano da una fonte interna che l’uomo sarebbe stato al club la sera. Tutto ciò che dovevano fare era avvicinarglisi senza che lui o le sue guardie del corpo si insospettissero, e isolarlo e arrestarlo. Osborne era stato molto chiaro riguardo a questo: non voleva che irrompessero nel club, e che creassero confusione così da permettere a Velasquez di scappare. Ciò che voleva era arguzia e precisione.

Quella era la ragione per la quale Kate doveva arrivare per prima al criminale e provare ad ottenere la conversazione con i soci sul nastro. Osborne non voleva soltanto il proprietario del club; voleva anche sapere chi faceva cosa nell’organizzazione di Velasquez.

Bekcett non indossava un auricolare questa volta. Volevano limitare i rischi di farla sgamare; la cimice era l’unica cosa che le avevano permesso di tenere. Una volta dentro il club, era da sola. Ma il suo team avrebbe ascoltato ogni suo movimento, pronti ad intervenire.

“sto entrando” disse silenziosamente, sapendo che il piccolo microfono avrebbe riportato le sue parole comunque.

Strinse la sua piccola borsetta, prese un profondo respiro, e iniziò il lavoro.


Il club era strapieno.
Fece quasi un passo indietro, una sensazione sopraffacente di agorafobia le si riversò addosso, ma i suoi istinti da poliziotto ebbero la meglio e la aiutarono a chiarire la mente.

Era interessante, a dire la verità, che c’erano molte più persone rispetto all’ultima volta. O il nightclub stava davvero decollando, o gli agganci di Velasquez si stavano espandendo. Optò per la seconda.

Beckett analizzò lo spazio circostante, riuscendo a vedere il detective Johnson ma non lasciò che i suoi occhi si posassero troppo a lungo su di lui. Era al bar, concentrato in una corversazione con un paio di uomini che sembravano appartenere al luogo; Kate si diresse decisa verso le stanze sul retro.
Non c’era bisogno di perdere tempo.

I due uomini che controllavano la porta potevano essere anche gli stessi dell’ultima volta; erano ugualmente massicci e spaventosi. Solo qualcuno davvero attento- o qualcuno il cui lavoro era notare queste cose- avrebbe potuto dire che erano due persone differenti.

Si diresse dritta verso di loro, ancheggiando i fianchi, adottando un approccio più sfrontato e  sicuro di sé. Se ci credeva lei stessa alla sua stessa storia, ci avrebbero creduto anche loro.
“ciao, ragazzi,” affermò con un lento sorriso, abbassando deliberatamente in modo sensuale le ciglia. L’accento russo sembrava stesse facendo il suo effetto; un sorriso appena accennato apparve sulla faccia dell’uomo più piccolo.

“hai un appuntamento con Velasquez?” chiese il suo partner, i suoi occhi freddi che rivelavano quanto poco impressionato fosse.

“no,” rispose, e arrotolò una piccola ciocca dei finti capelli biondi attorno al suo indice, ridacchiando leggermente. “ma vedi,” continuò quando ebbe l’attenzione dei due uomini, “sono una sorpresa. Un regalo. Da Nikolai.”

Se l’informazione di Osborne era giusta, Velasquez faceva i suoi affari con la mafia russa, e si era incontrato un paio di volte con uomo chiamato Nikolai Lyubov. Se non era così allora…
I due uomini si scambiarono un’occhiata, e quello più alto si rigirò a guardarla, come se stesse cercando di leggerle la mente. Grazie al cielo non poteva.

“mostraci la tua borsa” affermò, indicando la piccola purse.
Beckett rise, rendendo la sua risata lunga e roca mentre si tirava indietro i capelli. “ragazzi, andiamo. Non si chiede di vedere la borsa di una donna.”

La vena sul collo dell’uomo iniziò a pulsare. “borsa” disse semplicemente, freddo e irrevocabile.
Sospirò, e porse la sua borsa. “se insisti.”
Guardarono dentro, le dita quasi troppo grandi per riuscire ad aprire la zip; quando furono soddisfatti che non ci fosse nulla di pericoloso in quel ridicolo spazio, gliela diedero indietro.

Come se lei avesse mai tenuto la sua pistola nella borsa. Onestamente.
Ma era dentro; era dentro ed era tutto ciò che importava.

Esattamente come nella stanza principale, quella sul retro era altrettanto affollata; Beckett fece un paio di passi e controllando la situazione, pensò che Velasquez era probabilmente al tavolo dove la gente rideva il più rumorosamente possibile e dove si fumava di più.

Iniziò a camminare in quella direzione, lentamente e deliberatamente, e si fermò davanti al tavolo fino a quando tutti gli occhi non era puntati su di lei. Poi lasciò cadere le sue mani sul tavolo del legno scuro e luminoso, il suo peso che riposava sui suoi polsi, inarcando la schiena mentre fissava Velasquez negli occhi .

Era molto simile alla foto che Osborne le aveva fatto vedere, inaspettatamente giovane- verso i 35 anni- e di una bellezza rude, come se avesse trascorso la maggior parte della sua giovinezza all’aperto, in un posto freddo e ventilato che aveva scolpito il naso aquilino, gli zigomi alti, e gli occhi a mandorla che sembravano sempre guardare obliquamente.

“il signor Velasquez, presumo” disse Kate tranquillamente, soddisfatta dell’eco sexy della sua voce in un improvviso silenzio. Lasciò che gli angoli della sua bocca si sollevassero appena, e i suoi occhi mai lasciare quelli dell’uomo.

Fu sorpresa quando lui mantenne il suo sguardo, non guardò neanche per un istante il suo seno che, sapeva perfettamente, doveva essere molto esposto per come si era poggiata al tavolo.

“e tu sei?” rispose calmo, con appena un tocco di curiosità nella sua voce.

“sono il tuo regalo,” dichiarò sfrontatamente, inclinando il capo, sentendo i suoi capelli biondi spargersi sulle spalle. Era strano, sapendo che non erano i suoi, anche se era davvero un’ottima parrucca. “il regalo che Nikolai ti ha mandato”

Qualcosa lampeggiò negli occhi di Velasquez, troppo velocemente per lei per capire cosa, e pregò Dio che la loro informazione fosse giusta. Probabilmente non avrebbero ucciso un poliziotto- e lei avrebbe saputo abilmente uscire fuori da quella situazione- ma non sentiva un forte desiderio nel provare nessuna delle due opzioni.

“Nikolai, hu,” affermò lentamente il proprietario del club. “beh, non è davvero gentile da parte sua? Signori, fate spazio per questa incantevole signorina”

Alcuni degli uomini si spostarono con le sedie per lasciare uno spazio vuoto affianco a Velasquez e questo le indicò la sieda vicino la sua. Beckett si mosse, prendendo il suo tempo, lasciando scivolare la sua mano lungo il braccio del criminale mentre affondava sulla sedia.

“Sei forte” affermò amabilmente, facendo le fusa e lasciando che le sue dita si soffermassero sull’incavo del gomito.

Il truffatore scoppiò in una fragorosa risata, non ne sembrava tuttavia impressionato. Se l’appuntò a mente: indifferente alle lusinghe.

“Conosci il mio nome ma io non so il tuo” le sottolineò, e di nuovo lei sentì l’acciaio sotto la sua apparente voce vellutata. Quest’uomo non si sarebbe fatto ingannare facilmente; Beckett sentì le sue interna contrarsi con apprensione.

“Sono Irina” rispose, sorridendo in modo invitante. “e stanotte,” aggiunse, sperando di rabbonirlo, “sono tua.”

La guardava immobile, valutandola; le sue dita afferrarono il suo mento, alzando il suo viso per ispezionarlo.
“Sei proprio carina,” e il tono indifferente che usava, come se stesse parlando del tempo, le fece scorrere dei brividi lungo la schiena. “dici che ti ha mandato Nikolai. Ora, perché lo farebbe?”

Ah.

“Vuole assicurarsi che tu e lui siate buoni amici. Molto buoni amici,” promise lei, lasciando scivolare la sua mano dal suo gomito giù per la sua coscia. Si sentiva ridicola perché lui non stava affatto contraccambiando i suoi gesti ma non aveva un piano migliore.

“Davvero buoni amici. Anche se ha rifutato la mia proposta d’affari. Si che questo è interessante.”
Merda.

“Nikolai vuole dire che, forse ha rifiutato quella proposta ma non significa che rifiuterà  le altre” il suo cuore iniziò a battere veloce per l’agitazione e l’adrenalina; Beckett spostò la sua gamba sotto il tavolo, rassicurandosi con la sensazione della pistola che aveva all’interno coscia.

Velasquez la guardava, gli occhi scuri pensierosi. Sembrava comunque un certo progresso. “Pablo” chiamò al’improvviso, facendo sussultare al tavolo tutti quanti. Tutti quanti eccetto un uomo il cui vestito sembrava troppo stretto per le sue massicce spalle , un uomo dagli occhi grigi e spenti.

“Signore.”

“Chiama Nikolai Lubya. Chiedigli se conosce una certa Irinia, e se l’ha mandata qui stanotte. Vai adesso.”
Pablo annuì e poi scomparì senza neanche dire una parola. Velasquez si girò nuovamente verso Kate e sorrise, senza divertimento o emozione. “vedremo se sei chi dici di essere. “ disse alla fine, quasi amichevolmente.

Le sue dita sfiorarono la guancia di Kate, danzarono assieme ad un’onda di capelli biondi. “Bellissima,” disse ancora.

Stavano giocando a carte, insieme al bere e a fare visite frequenti a al bagno; Kate guardava, ma non osava nemmeno toccare con le sue dita il vestito per essere sicura che il microfono fosse ancoa al suo posto.

Ci sperava davvero però; sperava che Osborne stesse ascoltando tutto.

Se non ottenevano nulla, almeno avevano dei nome, almeno avrebbero avuto un’idea della gerarchia di qui. Era poco, ma se si ascoltava al timbro della voce, se si guardava chi distoglieva lo sguardo e chi no… diceva molto, probabilmente molto di più di quanto ne fosse loro intenzione.

La mano di Velasquez poggiava sulla sua coscia, il suo pollice sfiorava la merlatura del suo vestito, ma non si muoveva. Infatti, non sembrava affatto che lui le stesse prestando attenzione. Il che la rendeva molto nervosa.

Pablo ancora non era tornato.

Non era preoccupata, no, non lo era. Osborne aveva pianificato tutto; il furgone era parcheggiato fuori nella strada di fronte e stavano intercettando tutte le chiamate.
Sarebbe andato tutto bene.

Velasquez vinse la partita di poker, nemmeno una traccia di trionfo appariva sul suo viso, semplicemente raggruppò le chips aggiungendole a quelle che aveva già considerevolmente accumulato.

Sei un buon giocatore, affermò quasi ad alta voce, ma le lusinghe non erano la via giusta per arrivare a lui. “sei fortunato” disse invece.

Mugugnò. “non ha nulla a che vedere con la fortuna. Il poker è tutta una questione di osservazione.”
Mosse la testa in avanti. “e il recitare no? Non puoi recitare se non sai bluffare.”
Le fece un lungo sguardo indagatore. “Sei brava a poker, Irina?”

Rise, e quasi si spaventò di quanto divertita sembrasse la sua voce. Dannazione, aveva perso la sua occasione: sarebbe dovuta essere sullo stage di un teatro. “Io? Sono terribile. Ma mio fratello era molto bravo. Mi ha detto molto sul poker.”

“Tuo fratello,” risuonò Velasquez, con la stessa inespressività, che completava la sua mancanza di interesse. “dov’è adesso?”  

“è morto,” rispose senza neanche un secondo di esitazione, come se fosse un dato di fatto. “ si era incasinato con gente sbagliata”

I suoi occhi scuri si girarono verso di lei, affilati, prima di guardare di nuovo al tavolo, poi alle sue carte.
“E' stato imprudente da parte sua”

“Si, vero” concordò tranquillamente. Non dissero niente altro, ma iniziava a sentire l’inizio di una certa connessione, di un legame, come se finalmente iniziasse a crederle.

O forse stava semplicemente considerando qualche modo per liberarsi di lei. Era difficile da dire.

La volta successiva che alzò il suo sguardo, Pablo si era materializzato dal nulla. Beckett cercò di non lasciare che la sua tensione si mostrasse, e provò invece a mantere le sue spalle rilassate e il suo respiro regolare. Non aveva nulla da temere. Johnson era nella stanza affianco, pronto ad aiutarla se avesse avuto bisogno di lui.

Pablo incontrò gli occhi di Velasquez e annuì. Se avesse avuto qualche dubbio su cosa potesse significare, il modo in cui le dita di Velasquez si strinsero attorno alla sua coscia, li rimosse immediatamente.

“Beh, dolcezza,” disse, la sua voce profonda, qualcosa tipo piacere che la riempiva. “a quanto pare, dopotutto hai detto la verità.”



Anita&Tempie's corner:
And Now? Lo scoprirete nella prossima puntata! XD
A lunedì prossimo! =)
  
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