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Autore: harrysbigsmile    27/01/2014    1 recensioni
"Il sole amò la luna così tanto da morire ogni notte per lasciarla respirare."
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incest | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Chissà come sarebbe stato.'
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"And I know it's long gone 
and there was nothing else I could do
And I forget about you long enough to forget why I needed you.
Cause here we are again in the middle of the night
We're dancing round the kitchen in the refrigerator light
Down the stairs I was there, I remember it all too well."


Quando le campane cominciarono a suonare le tipiche melodie post-matrimonio raccolsi la borsa da terra e cominciai a camminare, aumentando il passo man mano che gli invitati uscivano dalla chiesa.
Attraversai la strada e appena appoggiai il piede sul marciapiede dalla parte opposta, sentii chiamare il mio nome.
Mi voltai e vidi il padre di Richard che mi faceva cenno con la mano di raggiungerlo.
Mi morsi un labbro e sforzai un sorriso - forse il più brutto della storia dei sorrisi - e mi lasciai cadere una lacrima.
Sapevo che voleva parlarmi, congratularsi per le belle parole e cominciare a offendere suo figlio e quella gallina che si ritrovava come nuora, ma non ne volevo più sapere niente di lui.
Mi avviai in mezzo al flusso di persone che mi spingevano da una parte all'altra. La mia andatura lenta non era il massimo per le strade affollate di New York. 

"Uno shottino di sambuca" dissi neutrale al barista, che mi guardò male.
"Senta, la pago pure, quindi è inutile che mi squadri" urlai.
Appoggiò lentamente il bicchierino al bancone e io lo afferrai tremolante.
"Non ti è bastata la sbornia di ieri sera?" aggiunse una voce proprio dietro di me.
Mi voltai e nel farlo quasi cascai dallo sgabello. Peter si sistemò accanto a me e mi passò i pollici sotto gli occhi per togliere il trucco colato.
Gli sorrisi, proprio per non scoppiare a piangere davanti a tutti, poi afferrai lo shottino e buttai giù tutto in un sorso. 
La bocca mi si infiammò e lasciò un sapore di liquirizia in gola.
"Quant'è?" chiese Peter al barista, per poi pagare il conto che ammontava a 52 dollari e 50 centesimi.
Si piegò lentamente davanti a me e mi fece segno di salire sulle spalle, come faceva quando a casa guardavamo un film sul divano e mi addormentavo. Mi caricava e mi portava in spalle dentro al letto, mi accarezzava i capelli finché non mi riaddormentavo.
Peter, oltre ad essere il mio migliore amico, era anche un fratello. Ma in questo caso un badante.
"Quanto hai bevuto?" mi chiese mentre uscivamo in strada e imboccavamo la via per il mio appartamento.
Mi guardai le dita confusa e feci due calcoli, ripensando alla spesa totale.
"21 shottini e ancora non sono in ospedale, ricoverata per coma etilico."
Sorrise scuotendo la testa, e proprio in quel momento mi resi conto quanto mi desse noia lo sballottamento che Peter era costretto a fare portando me sulle spalle.
Mi lasciai scivolare in terra e sbattei la testa sul marciapiede, provocando una lunga serie di risate senza che nessuno si fermasse a guardare come stavo.
Il mio migliore amico mi porse la mano ed arrivammo a casa "sani" e salvi.
Mi lasciai cadere a peso morto sul divano, proprio mentre Peter mi accarezzava dolcemente i capelli. Senza fare nessuna domanda su Richard e il suo fottutissimo matrimonio.

La tv passava musica classica proprio quando mi svegliai. Osservai l'orologio per qualche minuto prima di mettere a fuoco l'orario. Erano le 3 e mezza di notte.
Mi alzai molto lentamente e raggiunsi il frigorifero, trascinandomi sui tacchi che ancora indossavo.
Lo aprii e afferrai il cartone del latte. Avevo bisogno di qualcosa di caldo.
Quando fu pronto, lo versai sulla mia tazza preferita, quella che mi regalò la mia nonna italiana, e mi appoggiai all'isolotto al centro della cucina per bere, mentre osservavo Peter che si risvegliava.
Sorrisi alla scena che dovevo affrontare la maggior parte delle sere in cui l'alcool aveva la meglio su di me e il mio migliore amico restava con me per controllarmi. Si stropicciò gli occhi e allungò lentamente tutti i muscoli del suo corpo.
Finii il mio latte caldo e appoggiai la tazza all'acquaio, quando mi sentii le sue mani appoggiate ai miei fianchi.
Mi voltai e sorrisi, perdendomi nei suoi occhi cristallini.
"Mi concede questo ballo? Al chiarore della luce del tuo frigorifero, come sempre, vuoto?"
Accennai ad una risata, fortunatamente sincera, e mi lasciai trasportare dalla musica che risuonava dal salotto.
Appoggiai la testa alla sua spalla e cominciammo a dondolare.
"Cosa è successo Lù?" mi chiese dopo un tempo indefinito in cui restammo in silenzio.
Pensai ad un discorso da fare per evitare che le lacrime ricominciassero a scendere, ma realizzai che Peter mi voleva far piangere perché sapeva che avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. E lui era l'unico con cui mi ero veramente sfogata in tutto questo tempo.
Le cose passano più velocemente se, invece di tenertele tutte dentro, le lasci uscire piano piano.
"Ho letto la lettera che avevo scritto ieri sera" cominciai, "e quando ho finito l'ho guardato. Spero che dal mio labiale abbia letto "mi dispiace", perché poi sono uscita. Ho aspettato un po' e sono scappata al bar. Ecco tutto."
Apprezzai il suo silenzio, senza esporre i commenti, anche se capii che lo stava offendendo in tutte le lingue del mondo dentro di se. Mi chiese soltanto a cosa pensavo.
"A quando andai a casa sua quel giorno di agosto. Ho un flashback di me che scendo dalle scale e me lo ritrovo davanti, in mutande, mentre scuote i capelli. Mi chiedo tutt'ora se è un sogno, ma me lo ricordo tanto bene da capire che era la realtà. Io ero lì."
Scoppiai in un pianto silenzioso, mentre Peter mi cullava tra le sue braccia.

   
 
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