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Autore: Kira_Hewson    27/01/2014    0 recensioni
Le stazioni sono sempre grigie e languide per me. La gente arriva, parte, gli innamorati si salutano, i pendolari si trascinano stanchi a casa. Si aspettano i treni in ritardo nell'indifferenza glaciale di una folla di sconosciuti.
A volte sono delle piccole cose semplici a ricordarti che sei vivo.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando penso ad una stazione, me la immagino sempre così. Che abbia due, tre o ventiquattro binari, è sempre grigia e languida. Languida per chi parte per tornare a casa con la nostalgia sulle spalle, per chi va con la speranza di lasciarsi indietro il passato e di cominciare una nuova avventura, per gli amanti che si baciano in fretta attraverso la porta e già contano i minuti che li separano al giorno dopo, quando si ritroveranno ancora. Languida per i pendolari, come me, che portano negli zaini e nelle valigette la stanchezza della sera, e nelle sere d'inverno ci siamo quasi solo noi, che chiacchieriamo a gruppetti o che stiamo in silenzio da soli, qualcuno che parla al telefono, qualcuno che legge il giornale. Siamo tutti lì ad aspettare un annuncio e un paio di fanali che ci dicano che siamo un po' più vicini a casa.

Una sera, un treno tardò. Cominciò con i soliti dieci minuti, tutti i treni ritardano sempre di dieci minuti, all'inizio, che piano piano, come cresce un germoglio, un pensiero, un bambino nel grembo materno, diventarono venti, poi trenta, poi ore. Ed ero lì, faccia sconfortata tra tante facce sconfortate, sola in mezzo ad estranei ma accomunati dallo stesso noioso destino, tutti con il desiderio identico di tornare a casa in posti diversi. I gruppetti di amici chiacchierano e scherzano, ogni tanto qualcuno irrompe in una gustosa risata, forse troppo fragorosa per quel signore laggiù, che li guarda infastidito come se stessero raccontando barzellette oscene durante una veglia funebre.

Vedo i miei occhi negli occhi degli sconosciuti solitari come me. Non è difficile, abbiamo tutti la stessa uggia a spegnerci le pupille, lo stesso stanco grigiume nelle iridi, tutti vicini sulla banchina ma ciascuno ricoperto dalla propria impenetrabile aura di riservatezza, quella che ti insegnano fin da bambino, quella del “non importunare il signore” o “non disturbare la signora”, quella che ci spinge ad essere anonimi in mezzo alla folla per non sembrare strani.

Voglio andare a casa e cantare sotto la doccia e fregarmene se disturbo i vicini. Voglio lavarmi via queste presenze avvilenti e dormire prima di ricominciare daccapo un'altra ripetitiva giornata. Alzo lo sguardo verso il tabellone. Ormai le ore sono scadute, tra poco dovrebbe arrivare il treno, Santo Treno, non ho mai amato tanto i tuoi sedili consunti e la tua imposta promiscuità con sconosciuti inquietanti.

Forse è già qualche minuto che sento questo suono, ma non ci ho ancora fatto caso. Ascolto. Mi sembra un'armonica, di quelle a bocca che a mio nonno piaceva tanto suonare. C'è una ragazza, poco distante da me, appoggiata ad un palo, che sta suonando una canzone che conosco. Mi piace tanto, quella canzone.

La ragazza smette. Mi dispiace, vorrei dirle di continuare, per favore, ma non lo faccio. Non la conosco, potrebbe imbarazzarsi. Magari ha smesso perché era imbarazzata già di per sé. Io lo sarei stata, un pochino. Abbasso gli occhi di nuovo, pronta per gli ultimi minuti di noia e tristezza prima che un vagone scalcagnato mi porti alla mia stanza e al mio letto.

In quei pochi minuti, in una stazione grigia e stanca, in mezzo alla più glaciale indifferenza di un martedì sera, accade uno di quelli che considero piccoli miracoli.

La ragazza con l'armonica sta guardando tristemente il suo strumentino argentato, e sospirando fa per metterla via, quando una voce, una voce quasi sussurrata, si leva da qualcuno seduto vicino a me.

 

Amazing Grace, how sweet the sound
that saved a wretch like me!
I once was lost, but now I'm found
was blind, but now I see!

 

È la canzone che la ragazza stava suonando. Guardo verso la voce con ammirazione, io non avrei avuto in coraggio di farmi notare in mezzo al grigio. Ma ancor prima che io possa finire di pensare, altre voci, piano piano, si sono aggiunte a quella della ragazza che canta. Ciascuno di questi sconosciuti canta per conto suo, ma è come se le voci si spalleggiassero a vicenda, e continuano a crescere, e a diventare più sicure.

 

T'was Grace that taught my heart to fear.
and Grace, my fears relieved.
How precious did that Grace appear
the hour I first believed.

 

La ragazza con l'armonica riprende l'armonica e sorridendo tra sé ricomincia. Il binario, per un attimo, è pervaso da volti stupefatti e sorridenti e da sguardi rapiti da quello sprazzo di serenità inaspettato, il canto ci accarezza come vento, da parti diverse della folla, e riporta un po' di colore nei nostri occhi. Per una volta non siamo singole persone stanche e nervose ad un binario, siamo un gruppo di persone che partecipa ad una sorta di felicità condivisa che ci restituisce quel calore e quel sentimento umano che sembravano così lontani da noi da farci sentire come se non li avessimo mai posseduti. Per un attimo la bellezza delle piccole cose ci pervade, e ci fa dimenticare la stanchezza e la noia...

Arriva il treno, il momento finisce, e siamo tutti di nuovo, ciascuno con la propria cappa di grigia indifferenza addosso, a spintonarci più o meno educatamente per arrivare per primi ai posti a sedere. Tutti stretti addosso ai propri bagagli, sperimentando una vicinanza indesiderata con il prossimo, tutti di nuovo irritati e indisponenti.

Non so chi fosse la ragazza con l'armonica, non ricordo nemmeno come fosse vestita. Non ricordo il volto di nessuno di coloro che cantavano. Non voglio ricordarli, non voglio saperli. Non li proclamerò come eroi, né come angeli. Sono persone come noi, uomini come noi, e la bellezza delle piccole cose non deve lasciarsi nascondere dalla freddezza di una moltitudine di sconosciuti.

Spero di non dimenticare quel giorno. 

  
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