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Autore: Nero inchiostro    27/01/2014    0 recensioni
27 gennaio, per non dimenticare.
"Mi dicevi spesso che saresti voluta partire per un posto lontano, avresti voluto prendere la valigia e partire senza pensieri, solo con un blocco da disegno in tasca, una matita per raccontare tutto ciò che avresti visto. Partisti, questo sì, ti seguii mentre papà rimase a casa, steso sul prato con gli occhi chiusi, a viaggiare in chissà quale posto. Ti amava tanto."
Genere: Drammatico, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 LA MIA MAMMA

 

 

“Cara mamma, te li ricordi i temporali estivi? Quella potenza inaudita che irrompeva nei nostri pomeriggi, quelli in cui amavamo abbellire il nostro giardino piantando miriadi di fiori, quelli che a te piacevano tanto. Coreopsis, sempre allegro; girasole, devozione; rosa balsamina, semplicità; papavero bianco, sogni. Negli ultimi tempi solo achillee e biancospino, guerra e dolce speranza.

Seguiva sempre la merenda, tutti in casa a preparare il tè mentre fuori la pioggia dissetava quel prato verde dove amavi sdraiarti a leggere le mille avventure che ti facevano sognare di posti lontani. Quanto amavi viaggiare. Mi dicevi spesso che saresti voluta partire per un posto lontano, avresti voluto prendere la valigia e partire senza pensieri, solo con un blocco da disegno in tasca, una matita per raccontare tutto ciò che avresti visto. Partisti, questo sì, ti seguii mentre papà rimase a casa, steso sul prato con gli occhi chiusi, a viaggiare in chissà quale posto. Ti amava tanto.

Cara mamma, ricordi le nostro lunghe cene? Papà si ostinava sempre a tentare di cucinare sebbene non ne fosse capace. Mi chiamava per chiedermi dove fossero le pentole, se ci andasse il sale o lo zucchero in quella pietanza, se avesse messo troppo olio e lo faceva a bassa voce per non farti capire che lui proprio non ce la faceva, ma voleva farlo per renderti felice. E tu, tu sorridevi sempre parlando ad alta voce, facendo finta di parlare con la vicina, raccontandole qualche ricetta. Le mie pentole sono davvero belle sai?, le tengo nello sportello in basso a destra, mi sembrava in posto più appropriato e poi volevo dirti che è meglio il sale dello zucchero perché non vorrei diventare diabetica e, sai, l’olio fa bene in piccole quantità. Quanto ridevo, quanto ridevo con voi che vi sorridevate guardandovi dolcemente negli occhi, comprendevate l’uno i desideri dell’altra e con una carezza sareste stati capaci di risollevare il mondo.

Mamma, il sole sta tramontando ed io sono ancora qui, seduta di fronte a te, muta e immobile come fossi fatta di marmo. La vita scorre sotto le tue scarpe, l’amore scivola via da ogni ferita, lasciandoti vuota e inerme. Pagheranno per quello che hanno fatto, pagheranno senza essere chiusi in una fortezza, senza essere mutilati, senza morire, senza tutte quelle atrocità che un tempo fecero pagare a noi. Perché sai, noi soffrivamo le pene dell’inferno essendo comunque consapevoli che la colpa non era nostra, che noi eravamo nel giusto delle nostre convinzioni, nel giusto delle nostre paure, noi eravamo i carnefici e loro le vittime. Loro ci stavano infliggendo tutto il dolore del mondo, ma loro non sapevano che il loro dolore sarebbe arrivato dopo, loro sono le vittime della loro stessa violenza, loro marciranno nel ricordo delle atrocità che hanno commesso. Loro sono esseri umani come lo siamo noi, e loro vittime dei sensi di colpa, noi, carnefici del loro dolore. Noi, beati e loro dannati. Noi, popolo sterminato, loro, popolo di sconfinata crudeltà.

Io li ho perdonati perché tu mi hai sempre insegnato che bisogna vivere perdonando il prossimo, ma se un giorno verranno giudicati non potranno scappare dalle loro colpe.

Cara mamma, ti amo come ho sempre fatto, come sempre farò, ti amo con tutte le tue cicatrici, con tutte le tue lacrime e i tuoi sorrisi assenti. Ed io, un’anima in pezzi, cercherò sempre di rimettere insieme i tuoi, mi costasse la vita. Non sarei stata pronta mai a morire per mano di un nazista, per rinnegare ciò che sono, ma morirei mille volte se questo mi desse la possibilità di vederti sorridere ancora una volta.”

Un groppo in gola mi impedì di continuare a parlare, sussurrare, bisbigliare ciò che sapevo lei non avrebbe sentito. 27 gennaio 1950, cinque anni e ancora lei non parlava, mangiava a stento, non pregava più, quasi non si muoveva. Spesso ci chiamavano sopravvissute, riuscimmo a tornare da Auschwitz vive, sopravvissute. Ma mia madre non sopravvisse mai, rimase un’ombra, un’anima vuota sopravvissuta per la semplice presenza di un corpo a contenerla. Mai avremmo dimenticato ciò che accadde in quel campo, la memoria rimase impressa come il tatuaggio che portavamo sulla pelle e forse dopo cinquanta o sessant’anni la memoria sarebbe andata perduta ma sarebbe rimasta per sempre l’eco dei sogni infranti della mia mamma in quella casa.

La mia mamma, che cosa avete fatto alla mia mamma?

 

 

N.D.A. Il giorno della memoria è fatto per non dimenticare, ricordare serve a non ripetere gli errori del passato, a non dimenticare quanta atrocità, quanto ingiusto dolore è stato inflitto ad un intero popolo. La giornata della memoria serve a riflettere su quanto l'Uomo sia stato la causa di una simile tragedia. Un terremoto, uno tsunami, una valanga, tutta la potenza della natura non sarebbe capace di eguagliare la meschina crudeltà che l'Uomo è riuscito ad avere per la sua follia, la sua sete di potere. Per non dimenticare. 

   
 
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