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Autore: Yvaine0    27/01/2014    1 recensioni
Il bello di Leonardo è che è maledettamente pigro, ma sempre pronto a partire di corsa non appena qualcuno che ama si trova in difficoltà. Il bello di Agnese, o almeno così dice lei, è Leonardo.
Oltre a loro due ci sono Anita e Sebastiano, che per tutti sono Ninì e Seba, ma solo l'una per l'altro Nini e Nano. Il loro bello è che si amano così tanto da far venir voglia a tutti di amarsi – o ai denti di cariarsi, a seconda della modalità in cui è Agnese quando li apostrofa.
C'è Anita a cui è piombato addosso un incubo, Sebastiano che è troppo lontano per occuparsi di lei, Leonardo che corre a prendere un treno. Soprattutto c'è Agnese che, a casa da sola, pensa troppo e affoga nelle proprie nuvole interiori.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'BG'
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Essendo io cretina, pubblico, ad un orario cretino, un pappone melenso e un po' deprimente con un finale cretino.
Molto cretinamente, oltre tutto, non ho riletto - lo farò appena possibile.
Nonostante tutto, dedico questa One Shot a Maria, perché, be', diciamo che l'abbiamo plottata assieme.
Ti voglio bene, cacca. ♥
Spero che possa piacere a qualcuno. :)




Affogando nelle nuvole

 
 
Quando Sebastiano comunicò loro che Anita era stata portata in sala operatoria, senza alcun preavviso, Leonardo abbracciò forte Agnese e le posò un bacio sulla fronte, promettendole che tutto sarebbe andato per il meglio. Nonostante quella promessa, l'angoscia li attanagliò per tutto il giorno, mentre attendevano di sapere di più, e quando alla sera si rintanarono sotto le coperte, stretti l'uno all'altra, ancora non sapevano esattamente cosa stesse succedendo in quell'ospedale di Roma.
Leonardo rimase sveglio fino a notte fonda, aspettando che le parole di Sebastiano al telefono, confuse e leggermente isteriche, acquistassero un senso. L'unica cosa chiara era che, in quanto non parente, non potevano dargli informazioni personali sulla paziente.
Solo quando Anita, intorno alle due, si svegliò, la situazione divenne chiara a tutti: «L'abbiamo... l'abbiamo perso» sussurrò nel telefono, senza riuscire poi a trattenere i singhiozzi.
Agnese, svegliatasi quando aveva sentito la suoneria del proprio cellulare, si strinse di più al proprio ragazzo, che aveva abbandonato la testa all'indietro contro il muro, gli occhi chiusi nella speranza di impedire al dolore che aveva dentro di uscire a contagiare anche lei, come se fosse possibile evitarlo.
Avevano lasciato Anita e Sebastiano a Roma solo il giorno prima; erano tornati a casa dopo una vacanza insieme, approfittando dell'ultimo periodo prima dell'inizio delle lezioni per stare da soli nell'appartamento di Bologna, senza coinquilini.
Durante il viaggio in treno, Anita aveva ammesso a Leonardo con un SMS di avere un ritardo. Un ritardo importante, che ormai non lasciava più dubbi – era praticamente una certezza. Durante la seguente mezz'ora, tutti e tre avevano convenuto che non fosse il momento giusto per dirlo a Sebastiano: sarebbero rimasti a casa dei genitori di lui ancora per qualche giorno e sua zia Iris sembrava odiarla già abbastanza, anche senza sapere che era stata “così stupida fa farsi mettere incinta”. E poi, come se avessero invocato la sfortuna, Anita si era sentita male.
Dopo aver saputo del ritardo, Sebastiano la portò subito al pronto soccorso, dove se la vide portar via senza un parola, senza una spiegazione da parte dei medici. Era rimasto solo in un corridoio d'ospedale con il cellulare in tasca e una crisi di panico in potenza.
Così, come ogni volta che doveva confrontarsi con il proprio inesistente autocontrollo, telefonò a Leonardo ed Agnese. Con loro sapeva di andare sul sicuro: lui, il suo migliore amico, aveva sempre una risposta alle sue domande ed Agnese sapeva come farlo ragionare e infondergli tranquillità; quando uno non era abbastanza, l'altra correva in suo aiuto e Sebastiano alla fine si sentiva sempre meglio. Di solito, ma non questa volta.
Trascorsero ore prima che qualcuno gli desse delle risposte. Non aveva idea di cosa stessero facendo ad Anita; l'avevano portata in sala operatoria, ma nessuno voleva dargli ulteriori informazioni perché “lei non è un familiare, signore”. E, no, Sebastiano non era un membro della sua famiglia, ma Anita era tutto ciò che lui aveva e voleva. Era la sua fidanzata– fidanzata ufficiale, le aveva fatto la proposta non più di dieci giorni prima–, la sua più cara amica, compagna di vita, probabilmente sarebbe stata anche la madre di suo figlio di lì a qualche mese. Ma non poteva vederla o sapere cosa le stesse succedendo e questo lo mandava fuori di testa.
Collegati attraverso la linea telefonica, Agnese ascoltò la sua disperazione, dando prova di un sangue freddo che non era certa di avere, mentre Leonardo cercava su internet i sintomi di Anita alla ricerca di qualche informazione – era consapevole dell'inutilità di quella ricerca, ma Sebastiano aveva bisogno che lui almeno ci provasse e quindi lo stava facendo. Si sentiva sciocco e impotente, inerme di fronte a nemmeno lui sapeva cosa.
Non servirono a nulla le promesse e le rassicurazioni di Agnese, probabilmente ansiosa quanto lui, e anche più inutili furono le imprecise risposte di Leonardo. Persino quando Federico, il fratello, aveva raggiunto Sebastiano in ospedale per fargli compagnia, lui aveva continuato a chiedere di vederla, come un mantra, come se nient'altro importasse.
Intorno all'una di quella notte, lei si svegliò e chiese di lui, così un'infermiera si decise a lasciarlo entrare, restituendo un po' di pace a quel ragazzo smarrito tra i fumi della sua stessa angoscia.
Agnese non sapeva cosa di preciso fosse successo a Roma di lì al momento in cui Anita aveva pensato di telefonare per avvisarli; sapeva che a Bologna lei aveva poggiato la testa sul petto di Leonardo e aveva chiuso gli occhi, mentre lui fissava il televisore acceso senza davvero vederlo. Aveva dormito non più di venti minuti, un sonno turbato dall'immagine della migliore amica piegata dal dolore, come l'aveva descritta Sebastiano, e degli occhi blu di lui velati dalla pena, circondati da profonde occhiaie e dal pallore della paura.
Dopo aver parlato con Anita, Leonardo ripose il telefono– ancora acceso– sul comodino, si infilò sotto le coperte e strinse forte Agnese a sé, mille pensieri che agitavano le menti di entrambi. C'era Sebastiano che sarebbe dovuto partire di lì a due giorni per operarsi il menisco fratturato in una clinica privata del nord Italia, dove lavorava un vecchio amico di famiglia; c'era Anita che, appena perso un bambino, non poteva viaggiare e sarebbe stata costretta a Roma in casa della famiglia del suo fidanzato, dove avrebbe dovuto sopportare domande, voci, sofferenze e ansie del tutto da sola. C'erano i suoi due migliori amici, che avevano bisogno di lui, ma c'era anche la sua ragazza, che tremava, turbata dagli eventi, tra le sue braccia, e a cui non poteva dire nulla di davvero rassicurante, se non prometterle di nuovo che “andrà tutto bene”.
Quella notte, mentre Agnese si torturava con terribili immagini e pensieri, intuendo la sofferenza Anita e l'impotenza di Sebastiano, Leonardo si interrogava sul da farsi. Nessuno dei due dormì davvero.
 
La mattina dopo la sveglia non suonò, con particolare fastidio di Agnese. Dopo una notte insonne, infatti, il suono della sveglia avrebbe dovuto annunciare l'unica buona notizia possibile: la tortura è finita.
Solo quando il sole cominciò a intrufolarsi attraverso i fori della serranda, aprì finalmente gli occhi, mettendo fine a quello strazio, si voltò per vedere Leonardo e lo trovò a guardarla.
Non ci fu bisogno di parlare, dal suo solo sguardo Agnese intuì quello che stava per chiederle e lei, che dal canto suo aveva riflettuto sulla stessa cosa tutta la notte, lo incoraggiò prima ancora che lui avesse trovato le parole giuste: «Va' da lei».
Leonardo sospirò, la prese tra le braccia e sospirò di nuovo. «Seba deve andare a...» fece per giustificarsi, ma fu interrotto da un altro sospiro. «Che casino».
«Lo so. Non può stare laggiù da sola, Leo».
«No, non può».
«Hai già valigia pronta, vedi il lato positivo?» ironizzò lei, guardandolo dal basso. Agnese sapeva a cosa stava pensando Leonardo: a lei; era combattuto tra l'istinto di correre a Roma mentre Sebastiano era lontano dalla fidanzata e quello di rimanere con la propria, di ragazza. Come poteva scegliere tra i propri due migliori amici e la persona di cui era innamorato?
«Anche tu».
«E allora?»
«Vieni con me».
A questo punto calò il silenzio, che perdurò finché non fu Agnese a sospirare a pieni polmoni. Avrebbe voluto andarci, davvero, ma sapeva che non era il caso. Conosceva Anita da più tempo di tutti gli altri messi assieme, forse anche meglio del suo stesso fidanzato; l'aveva vista con un caschetto castano, poi coi capelli biondi, lunghi fino al fondo schiena, poi di nuovo a caschetto e infine corti come amava portarli da qualche anno a quella parte. L'aveva vista cambiare vita tante volte, per poi tornare ad essere la stessa ragazza energica, testarda e un po' insicura che aveva conosciuto in prima liceo. Non avrebbe saputo dire il perché sul momento, ma la cosa le era chiara –troppo stress, troppa stanchezza, troppa tensione: non avrebbe mai lasciato che fosse Agnese a prendersi cura di lei. «È meglio di no».
«Non voglio lasciarti da sola».
Agnese si impedì di sospirare questa volta, si impose di lasciar trasparire tutta la serenità possibile: «Posso tornare dai miei finché starai a Roma, ho un esame da preparare».
«È la tua migliore amica...»
«Anche la tua. Pensi che mi permetterebbe di badare a lei?»
Leonardo avrebbe voluto dire di sì, ma non sarebbe stata la verità. Per quanto Agnese si sforzasse di stare attenta alle esigenze di tutti, per quanto fosse sempre più paziente e premurosa con gli altri che con se stessa, tutti continuavano a vedere solo il suo aspetto minuto e infantile, solo la piccola Agnese che andava protetta e tenuta al sicuro. Anita conosceva le sue insicurezze, conosceva il suo lato ansioso e fragile; no, Leonardo ne era certo, non le avrebbe permesso di farsi carico dei suoi problemi. «No, ma...» Lei lo zittì con un bacio a fior di labbra.
«Hai anche la valigia già pronta!» commentò con placido entusiasmo.
«Agne...»
«Fallo per me, ok?»
 
 
Erano già le sei di sera quando Francesca entrò nell'appartamento e trovò Agnese al tavolo della cucina, circondata da libri, appunti e carte di caramelle; i cerchi attorno agli occhi erano molto più spessi e profondi del solito, il suo malumore si percepiva senza nemmeno doverle rivolgere la parola. Rimase sulla soglia quasi due minuti, non vista, cercando qualcosa da dirle; in quel breve lasso di tempo lei controllò il cellulare tre volte senza evidentemente trovare gli avvisi che stava aspettando.
Inclinò la testa leggermente da un lato e «Dov'è il mentecatto?» esplose dal nulla con un tono che trasudava preoccupazione per la sua amica.
Se solo Agnese fosse stata mentalmente lucida, sarebbe come minimo caduta dalla sedia per lo spavento trovandosi una persona davanti senza averla minimamente sentita arrivare; ma si dava il caso che quel giorno lei fosse tutto fuorché lucida, divisa tra l'esame da preparare, il pensiero di Leonardo e quello di Anita. «Francesca!» esclamò con un decimo della sorpresa che l'avrebbe animata di solito. «Che cosa ci fai qui?»
La ragazza soffiò una risatina e si avvicinò al tavolo per rubare una delle caramelle di Agnese e prendere goffamente posto di fronte a lei. «Mi hanno detto che Andrea è qui in città e quindi ho pensato di tornare un po' prima per controllare se è vero».
«Hai di nuovo esaminato nel dettaglio il suo profilo Facebook?» si sentì domandare in tutta risposta.
Francesca scoppiò a ridere, masticando la caramella. «Beccata. Ma non posso farci niente!» trillò scrollando le spalle. «Nel mio cuore c'è e ci sarà sempre un posticino per lui!»
«Lo so, lo so» rispose in fretta Agnese, che non aveva alcuna intenzione di ripeterle per l'ennesima volta di lasciar perdere quel ragazzo – non oggi, non mentre aveva molto altro per la testa.
«Allora? Dov'è?»
«Chi?»
«La mia nonna? Leonardo!»
Francesca si pentì di aver domandato non appena sentì la sua amica sospirare pesantemente; che qualcosa non andasse era evidente dal sorrisetto che stiracchiò prima di parlare. «È tornato a Roma. Ninì si è sentita male e Seba domani si opera al ginocchio, non può stare con lei».
«E tu?»
«Devo preparare un esame» rispose con semplicità, nel tono più tranquillo che riuscì a trovare. Lei aveva da fare e non sarebbe stata di alcun aiuto al fianco di Anita. Le sarebbe solo piaciuto sapere come stava. Agnese non era il tipo di persona che contattava gli altri per prima, a meno che non fosse sicura di non disturbare. Leo le aveva scritto di essere arrivato intorno all'ora di pranzo e lei si era fatta bastare quell'informazione: ora lui aveva qualcun altro di cui occuparsi. Era lì per prendersi cura di Anita anche da parte sua, per svolgere il compito che la sua migliore amica non le avrebbe mai lasciato compiere. E andava bene così, si diceva.
«Ti ha lasciata qui da sola?»
Agnese si affrettò a difendere il suo ragazzo: «No, no. Gli ho chiesto io di andarci».
«Ma ti ha lasciata qui da sola».
«Franci, mi senti? Gliel'ho chiesto io».
Ma Franci non sembrava volerla ascoltare. «Anita ha un fidanzato, dei genitori e dei fratelli» insistette, mentre aggrottava le sopracciglia in un cipiglio severo.
«Anche degli amici» rettificò allora Agnese.
«Sì, ma... è il tuo ragazzo. Lui è là e tu sei qui. Davvero non ti dà fastidio?»
Certo che le dava fastidio e questo non migliorava la situazione: si sentiva in colpa. Aveva mandato lei Leonardo fino a Roma per prendersi cura di Anita e ora le dispiaceva che lui non fosse con lei, le dispiaceva non essere andata al posto suo o con lui. E gli dispiaceva che gli dispiacesse; non riusciva a credere che con quello che era appena successo alla sua migliore amica lei non facesse che pensare a se stessa. «N-no» sussurrò in tono poco convinto.
«Agne, avanti...» Francesca sbuffò. «Ti ho visto controllare il cellulare tre volte nei due minuti che ho passato sulla porta».
«Ah, ora mi spii?» Si finse offesa nel tentativo di sdrammatizzare.
L'altra fece una smorfia. «Ovvio, sei così interessante!»
«Mi prendi anche in giro?!»
«È sempre un piacere!»
Agnese schioccò la lingua contro il palato e le fece una linguaccia. «Bene, credo che ora per farti perdonare mi ascolterai ripetere questo capitolo» proclamò; prese tra i palmi delle mani uno spesso strato di fogli di carta e la guardò sorridente, come a mostrarle la mole di lavoro a cui sarebbe stata sottoposta.
Francesca inorridì a quella vista. «Ok, ehm, e se invece andassi a prendere la pizza per cena?»
«PizzaBo is the way, come ben sai. Puoi ordinarla e poi tornare ad aiutarmi, però».
«Sei una stronza» le confidò l'amica, un'espressione da cane bastonato in volto.
Agnese ridacchiò. «È che siamo così simili...» Era una fortuna che Francesca fosse arrivata a Bologna prima del tempo: rimanere in quell'appartamento vuoto da sola, anziché tornare a casa come aveva detto a Leonardo, era stata una pessima idea. Quando non c'era nessuno di cui prendersi cura, Agnese era solita pensare troppo e considerati i recenti avvenimenti era inevitabile che sprofondasse in un pessimismo così profondo.
 
Agnese si chiuse la porta della camera da letto alle spalle e sorrise al solo sentire la voce di Leonardo dirle “Ehi”.
«Ciao» lo salutò sottovoce, con un tono intenerito per cui Francesca l'avrebbe presa in giro a vita, se solo l'avesse sentito. «Come stai?» chiese. Il suo primo pensiero era stata Anita, se doveva essere onesta, ma non poteva attaccare a parlare di lei prima ancora di aver saputo come stava lui, no?
Ascoltò Leonardo sospirare attraverso il cellulare, mentre andava a sedersi sul loro letto.
«Sono stanco morto e mi manchi, ma sto bene. Tu?»
«Tutto bene. E anche tu mi manchi. Come sta Ninì? E Seba?»
Anita e Sebastiano stavano bene, per quanto una coppia che aveva appena perso un bambino potesse stare bene. Erano abbracciati sul divano a scambiarsi dolci ed urgenti effusioni per consolarsi a vicenda e salutarsi prima della separazione; secondo Leo stavano facendo scorta della presenza l'una dell'altro, come se in questo modo la distanza potesse essere meno dolorosa. Lui e Federico, il fratello di Sebastiano, guardavano la tv seduti su quello stesso divano, cercando di non far caso a loro. «Non si staccano, Agne. Sono incollati da ventinove minuti – li ho cronometrati! Come respirano?»
Agnese rise e si lasciò cadere distesa sul materasso. Non rifaceva nemmeno il letto, quando lui non c'era. «Smettila di guardarli, Leo!»
«Non li sto guardando! Dici che hanno le branchie?»
«Forse, ma non sono affari tuoi» lo rimproverò in tono divertito.
«Trenta minuti e venticinque secondi. Ventisei, ventisette, ventotto...»
«Leo!» Agnese scoppiò a ridere, incredula.
Anche Leonardo rise, poi però recuperò la serietà, ripensando alla lunga giornata appena vissuta. Il suo migliore amico gli aveva parlato di ciò che era successo: sì, Anita era rimasta incinta, ma avevano perso il bambino prima ancora che potessero rendersene conto. Era successo presto, quando Anita e il suo corpo non erano ancora certi di quello che stava succedendo, per cui era probabile che le ripercussioni psicologiche non fossero così gravi. Le erano stati prescritti alcuni farmaci, che Leonardo avrebbe dovuto assicurarsi venissero assunti e poi, be', starle accanto in caso l'insonnia fosse continuata. «Seba si sente in colpa. Ha ritardato la partenza il più possibile, ma questa notte prenderà il treno. Vorrebbe poter rimanere».
Agnese sospirò e sorrise. Sì, lo aveva immaginato. Sebastiano avrebbe voluto essere sempre al fianco di Anita, figurarsi in un momento del genere. «Deve occuparsi del suo ginocchio, se vuole prendersi cura di lei».
«È quel che gli ho detto io, ma non vuole metterselo in testa. Non dorme da due giorni».
Sospirò di nuovo. «Sembra un incubo, solo che è reale».
«Vorrei essere lì con te».
«Solo perché Nini e Nano stanno facendo i piccioncini, Leo» scherzò lei, caricando di particolare ironia i nomignoli degli amici.
Sentì Leonardo espirare bruscamente dal naso, divertito. «Non è vero e lo sai».
Sì, lo sapeva. «Prenditi cura di Ninì anche per me, ok?»
«Seba vuole che dorma con lei, così se si sveglia me ne accorgo».
Agnese annuì energicamente, convinta che fosse la cosa giusta, se nemmeno Sebastiano non aveva nulla in contrario. Poi si ricordò che Leo non poteva vederla e il suo silenzio avrebbe potuto portarlo a fraintendere la reazione. «Certo. Sì, è meglio» commentò, sperando che lui cogliesse la sua sincerità.
«Sei sicura?»
«Sì!»
«Mi ha detto di abbracciarla e accarezzarla».
«Fai tutto quello che devi. Mi fido di te e mi fido di lei. Anita ha bisogno e tu sei lì per darle una mano anche da parte mia, no?» Senza contare che in un momento come quello a nessuno sarebbe mai passato per la testa di tradire i rispettivi compagni, dubitava che ad Anita passasse per la testa qualcosa di diverso dal proprio fidanzato che se ne stava andando e dal bambino che avevano appena perso. Dio solo sapeva quanto stesse soffrendo in quel momento. «Leo, lei come sta?»
«Stanca e provata. Fisicamente sta bene, però, o non l'avrebbero lasciata tornare a casa».
Agnese sospirò. Durante il corso della conversazione glielo avrebbe domandato altre tre volte, ma questo ancora non lo sapeva. Era così preoccupata per lei che non riusciva a pensare a nient'altro che all'enorme dolore che sicuramente la sua amica stava provando.
«Francesca è tornata prima» gli comunicò all'improvviso, senza sapere bene il perché. Tutta quella preoccupazione la stava schiacciando, temeva di impazzire da un momento all'altro. Aveva bisogno di distrarsi, almeno per un attimo.
«Davvero? Come mai?»
«Ha scoperto su facebook che Andrea è in città e quindi è tornata prima anche lei. Non gli ha nemmeno chiesto di vedersi, credo che speri di incontrarlo per caso al supermercato o in aula studio».
«Aspetta, quindi sei ancora a Bologna? Perché?»
Ops. Questo forse avrebbe dovuto tenerlo per sé. «Perché devo preparare Linguistica o non mi laureerò mai e a casa mia c'è sempre un gran casino e...».
«Se me l'avessi detto sarei rimasto con te!»
Agnese trattenne il fiato, sentendo la frustrazione nella voce del suo ragazzo. Avrebbe dovuto tenere per sé quel commento su Francesca. Espirò lentamente, poi ammise la verità: «Appunto, ecco perché non te l'ho detto».
«Avrei fatto meglio a rimanere. Chiedi a Francesca di stare con te, okay?»
Agnese sbuffò, roteando gli occhi. «Non sono una bambina, Leo, a ventun'anni, penso di sapermela cavare da sola» replicò con una punta d'acidità ad inasprirle la voce. Era già tutto abbastanza stressante senza che nessuno si preoccupasse per lei, non aveva bisogno di altre pressioni, tanto meno di sentirsi un peso morto da affidare a qualcuno.
«Certo, ma...»
Niente “ma”! «È pesante anche per me, ok?» Sbuffò e rotolò a pancia di sotto, cercando di mantenere la calma. Doveva calmarsi ed essere paziente – quella era la sua specialità, no? Aspettava che gli altri sbollissero la rabbia e poi cercava di farli ragionare civilmente; non era diverso ciò che avrebbe fatto con se stessa. Se la sarebbe cavata da sola, non aveva bisogno che qualcun altro si preoccupasse per lei, c'erano problemi più grandi.
«Lo so. Saresti dovuta venire con me, vorrei che tu fossi qui».
Fu più o meno in quel momento che Agnese si rese conto che lo strano fastidio che provava non era altro che uno di quei grossi groppi in gola, un diga di lacrime non versate ormai sul punto di straripare. Ma lei lo avrebbe impedito. «Leo...» lo implorò, senza dire nulla di più per paura che la voce le si rompesse. Anche lei avrebbe voluto essere con lui.
Avrebbe voluto essere seduta sul divano con Leonardo e Federico, a rimproverare i commenti inopportuni dei ragazzi sulle effusioni di Anita e Sebastiano. Avrebbe voluto stare accanto alla sua amica nel momento del bisogno, avrebbe voluto che lei avesse pensato di chiederle aiuto anche solo per un secondo. Conosceva Anita da una vita, erano sempre state l'una al fianco dell'altra quando ce n'era stato bisogno. Sì, sapeva che nessuno al mondo sapeva trasmettere più sicurezza di Leonardo nel momento del bisogno, ma Agnese avrebbe voluto essere stata presa in considerazione.
Si sentiva sbagliata ed egoista: come poteva pensare a se stessa in un momento del genere? Anita soffriva, aveva perso un bambino, era sola in una casa non sua, con gente che non la conosceva; Sebastiano era preoccupato per lei, scosso dai recenti avvenimenti, non dormiva da due notti, stava per andarsene, era agitato per l'operazione, combattuto tra i propri doveri, ansioso di natura. E lei non faceva che pensare a se stessa, al fatto di essere stata esclusa.
Voleva fare qualcosa, ma probabilmente non poteva fare altro che aspettare.
«Agne, sei ancora lì?»
Agnese sospirò e si preparò a salutarlo. Lo si capiva dall'inflessione della sua voce che stava per fare qualcosa che andava contro la sua volontà. «Sì, ci sono».
«Il padre di Seba si sta preparando e...»
Infatti. «Ho capito», sorrise tra sé. «Abbraccialo da parte mia e fagli l'in bocca al lupo».
«Sicuro!» esclamò in un tono frettoloso, che però si addolcì notevolmente quando «Ti scrivo domani mattina, ok?» le propose.
«Non preoccuparti, prenditi cura di lei anche per me».
«Mi prendo cura di entrambe. Ci sentiamo domani mattina».
Agnese sorrise e si morse il labbro inferiore per non piangere. Si sentiva così sola... «Buona notte. Ti amo».
«Ti amo anche io, Agne. Buona notte».
E Agnese, non senza sentirsi un po' in colpa, scoppiò in lacrime. Tutti i suoi tentativi di tranquillizzarsi risultarono inutili, non c'era modo di frenare i singhiozzi che avevano preso a scuoterla. Niente di ciò che si ripeteva – nessun rimprovero, nessun incoraggiamento – sortivano l'effetto sperato. Agnese piangeva e, se solo Francesca l'avesse scoperto e le avesse chiesto il perché, non avrebbe saputo rispondere.
Detestava sentirsi piccola e inutile, come ormai non le capitava più da anni. Detestava il pensiero che non ci fosse nessuno strapparla dai propri pensieri, nessuno in grado di scovare il motivo del suo malumore e cacciarlo con un bacio o un abbraccio. Non c'era Leonardo ad accoglierla tra le braccia e ad allontanare le sue insicurezze con parole dolci, non c'erano i veementi incoraggiamenti di Anita, non c'erano gli abbracci da orso di Sebastiano di cui lei proprio non voleva ammettere il potere confortante.
Si sentiva egoista a preoccuparsi per se stessa in un momento come quello. Sapeva benissimo che Anita aveva molto più bisogno di lei dell'aiuto di Leonardo e non era pentita di averlo spinto ad andare. Continuava a chiedersi cosa stessero facendo, a cosa stessero pensando. Come stava Anita? Leo avrebbe trovato le cose giuste da dirle nei momenti più bui, quella notte? Certo, Leo sapeva sempre come comportarsi, e non avrebbe avuto paura di rimanere silenzio ed abbracciarla, se non avesse trovato le parole adatte a consolarla.
 
Come era ovvio, quella notte il sonno di Agnese fu tormentato. Impiegò ore – rigirandosi sotto le coperte, agitata prima dai brividi di freddo e poi da un insopportabile calore – per addormentarsi. Quando finalmente perse conoscenza furono gli incubi a prendere il posto dei pensieri e della preoccupazione.
Sognò Anita tra le braccia di Leonardo, senza riuscire a capire se fosse più gelosa del ragazzo o dell'amica, poi Sebastiano in preda ad un attacco di panico in una camera d'ospedale; lei era lì, proprio accanto a loro, ma nessuno la vedeva o sentiva. Si sentiva impotente, piccola, inutile.
Nel sogno piangeva, nella realtà stringeva i pugni e serrava i denti.
Non vedeva l'ora che tutto ciò avesse fine.
 
La mattina seguente la sveglia non suonò. O meglio, suonò, ma Agnese non si degnò di spegnerla e lei, semplicemente, dopo un po' smise di svolgere il proprio compito – o magari Francesca era accorsa per metterla a tacere.
Si alzò dal letto troppo tardi per studiare, mentre la sua coinquilina già stava preparando il pranzo anche per lei, onorando quel patto secondo l'una avrebbe coperto coi propri turni i deficit le mancanze dell'altra – di fatti Francesca cucinava per entrambe ed Agnese lavava i piatti al posto suo.
«Sembri un panda appena uscito dal letargo!» fu il buongiorno di Francesca.
«Siamo di buon umore, eh?» replicò invece Agnese, lasciandosi cadere su una sedia per poi affondare il volto tra le braccia, china sul tavolo.
«Non è mia abitudine alzarmi con la luna storta, in effetti» ammise la prima.
La seconda sospirò e, «Dammi dieci minuti per carburare», prese tempo. Aveva un tale caos dentro la testa che si sorprendeva di essere in grado di articolare una frase di senso compiuto.
C'erano tante cose che avrebbe voluto fare, ma sapeva che non ne avrebbe fatta nessuna. Non avrebbe disturbato Anita, non l'avrebbe assillata con la sua stupida ansia; non avrebbe distolto Leonardo dai suoi impegni o sobbarcato Francesca dei propri fardelli – fardelli che nemmeno c'erano davvero, perché si trattava solo di capricci e paranoie. Non avrebbe peggiorato l'ovvio malumore di Sebastiano lasciandogli intuire il proprio. No. Avrebbe aspettato in silenzio che quella strana situazione giungesse al termine, cavandola da sola, senza pesare su nessun altro. Alla sua età avrebbe dovuto già essere in grado di farlo, no?
Agnese non andava protetta dai problemi, allontanata dalla verità, tenuta all'oscuro delle complicazioni. Non voleva essere trattata come una bambina. Eppure una parte di lei si inalberava perché, diamine, si stava comportando come tale, cercando di attirare su di sé l'attenzione anche in un tragico momento come quello. Voleva Leonardo al proprio fianco, voleva che Anita la chiamasse, voleva che Sebastiano le dicesse che tutto si era sistemato e ridesse forte in quel modo chiassoso e irritante. Voleva che loro si ricordassero di lei e voleva anche cavarsela da sola. Voleva, pretendeva, faceva i capricci.
Sbuffò, rendendosi conto che parte del suo malumore era dovuto al fastidio allo stomaco. Era già tempo di gastrite nervosa? Si sentì stupida, mentre raccoglieva le gambe sulla sedia come a proteggerlo dal mondo esterno, sperando che almeno quel tormento fisico passasse in fretta.
«Hai fame?» domandò Francesca, notando quel suo gesto.
Agnese scosse il capo. «Non molta. Cosa prepari?»
«Pasta al tonno».
«Gnam», una smorfia.
«Fai del sarcasmo? Puoi anche non mangiare».
«Scusa, hai ragione». Agnese le rivolse un sorrisetto pentito. Non era il caso di prendersela con altri per problemi di cui non avevano colpa. «Ho dormito male...» ammise poi.
«Ma va? Non si nota!» Franci ridacchiò. «Quando torna Romeo er mejo der Colosseo?»
Agnese si ritrovò a ridacchiare. Un po' le piaceva quando la sua amica chiamava Leonardo a quel modo, nonostante l'implicita presa in giro. «Non lo so. Presto, appena Ninì si sentirà un po' meglio. Oggi che giorno è?»
«Domenica, Bella Addormentata».
«Credo domani, allora. O al massimo martedì».
«Be', devi resistere solo qualche altra ora senza di lui, Agne, direi proprio che puoi farcela. Oggi hai intenzione di studiare, no?»
Agnese si sentì un po' ferita nell'orgoglio dal tono velatamente compassionevole di Francesca. Credeva forse che lei non dormisse la notte solo perché Leonardo non era lì con lei? Non era così patetica, no. C'erano un sacco di cose che la sua coinquilina non sapeva e probabilmente non avrebbe mai saputo. Aveva voglia di mandarla al diavolo e sputarle in faccia che, no, non stava frignando per la momentanea assenza del proprio ragazzo; avevano trascorso ben più tempo di soli tre giorni lontani l'uno dall'altro. E, sì, le mancava, ma era abbastanza matura da saper affrontare la cosa. Non riusciva a tollerare l'idea di non sapere come stesse la sua migliore amica, al contrario, la paura di disturbarla, di dire la cosa sbagliata.
Il suo stomaco si contorse al ricordo dei pochi SMS che si erano scambiate il pomeriggio precedente: freddi, distaccati, formali. Era stato come parlare ad uno sconosciuto.
«Credo di sì, sono un po' indietro».
«Così almeno terrai la mente impegnata».
«Già». Come se non lo fosse già abbastanza.
 
“Ehi, buongiorno. :) Scusa il ritardo, ma è stata una nottata impegnativa e questa mattina sono crollato. Come stai?”
Erano già le tre quando Agnese sentì il telefono suonare e lesse il nuovo SMS. Non era stato facile iniziare a concentrarsi sullo studio, con tutti quei pensieri per la testa, ed ora quel messaggio aveva attirato tutta la sua attenzione. Qualcosa le diceva che nemmeno gli appunti sarebbero bastati a tenerle la mente occupata.
“Buongiorno! Credo che Francesca mi abbia preso per una fidanzatina lagnosa. Se continua a parlarmi come ad una psicolabile le lancio una ciabatta. Come state?”
Come stai? Come sta? Aveva pensato e ripensato a quale frase scrivere, prima di risolversi usando il plurale. Entrambe le informazioni gli premevano molto, ma quelle su Anita un po' di più.
“Ciabatta? Nello sgabuzzino c'è il ferro da stiro, amore.
Siamo un po' stanchi, Ninì non riusciva a dormire, ma siamo tutti interi. Fisicamente almeno. Tu come stai?”
“Che ragazzo violento! Un po' agitata. Ho mal di stomaco, ma sto bene”. Ed era vero, incredibilmente; gli era bastato che Leonardo la cercasse per farla sentire un po' meglio. Non era per nulla sicura di meritare un ragazzo del genere.
«Agne, io vado in aula studio!» Francesca spalancò la porta della camera dell'amica, sorprendendosi nel trovarla alla finestra invece che a letto o alla scrivania. «Vieni anche tu?» domandò.
«Io...» Agnese si vergognò, quando percepì la sua amica studiarla da capo a piedi – le occhiaie erano sempre più profonde, i capelli sporchi e legati alla bell'e meglio, indossava ancora i calzettoni di lana, i pantaloni del pigiama e la felpa di Leonardo con cui aveva dormito quella notte e se ne stava aggrappata al cellulare a guardare la vita scorrere fuori dalla camera. «Meglio di no» rispose, ma sapeva che l'altra aveva intuito la risposta prima ancora che parlasse. Avrebbe dovuto lavarsi, prepararsi, e non solo l'avrebbe fatto aspettare così, ma non aveva nemmeno voglia di uscire.
Il motivo della sua vergogna, però, era proprio la consapevolezza di sembrare una ragazza disperata e distrutta dall'assenza del proprio ragazzo, lontano da sole ventiquattro –ventotto, a voler essere precisi– ore; esattamente ciò che non voleva qualcuno pensasse di lei. Non lo era, non poteva esserlo.
Aveva sempre guardato dall'alto in basso le persone schiave della propria relazione, lei e Francesca avevano riso insieme, in maniera un po' meschina, prendendole in giro. E ora eccola lì, a indossare i panni della ragazza triste abbandonata, in perfetto stile melodrammatico. Avrebbe voluto giustificarsi e spiegarle che c'erano tante cose a turbarla, la lontananza di Leo era solo una di quelle cose, ma non era nemmeno più tanto sicura di aver ragione. Probabilmente era davvero patetica come le compagne di corso che avevano schernito fino a poco tempo prima.
Francesca la osservò in silenzio qualche istante, prima di annuire e rimangiarsi qualunque cosa stesse per dire per cercare di convincerla. «Quand'è questo esame?» chiese solo.
«Giovedì».
«Be', ti conviene smettere di aspettare che Romeo ti scriva, perché gli appunti non si studieranno da soli».
Agnese sospirò. Non sapeva se le pesasse di più il rimprovero nella voce dell'amica o il disgusto che provava lei stessa. «Franci, io... È complicato» mormorò.
L'altra sgranò gli occhi, sorpresa. «Che cosa? Ho detto solo che dovresti concentrarti sullo studio: mancano pochi giorni all'esame».
«Grazie, però...»
«Però?»
«Non mi sto piangendo addosso, davvero. Non perché Leonardo non è qui, insomma, ci sono così tante cose che...»
E allora Francesca sbuffò e uscì dalla stanza. Prima di chiudersi la porta alle spalle trovò opportuno farle sapere come si sentiva: «Ti sembra che ti stia giudicando, Agnese? Sei chiusa in casa da tre giorni, praticamente non parli, non dormi e non ridi. Ti ingozzi di biscotti e fissi il vuoto tutto il giorno. Ti sei chiusa in te stessa anche se io sono qui con te. Mi sto sentendo abbastanza una merda, ma non ti ho fatto pesare niente di niente. Non venire a dirmi che ti senti giudicata, okay?»
Poi se ne andò, lasciando Agnese in balia di ulteriori sensi di colpa e una nuova crisi di pianto.
 
Erano passate da un po' le cinque del pomeriggio quando Leonardo le telefonò e si rese conto di aver ben interpretato come falso il buon umore di Agnese. «Non sai mentire» la salutò, quando lei rispose alla chiamata con un flebile “ehi”.
«No, lo so» ammise lei. Ridacchiò e si alzò dalla sedia della cucina per passeggiare liberamente per la stanza. Francesca non era ancora tornata e lei aveva passato il pomeriggio a torturarsi con i propri pensieri, anziché studiare, ma era bastato sentire la voce del suo ragazzo perché il peso sul suo stomaco di alleggerisse notevolmente. «Come stai? E Ninì? Dovresti occuparti di lei, Leo».
«Anche di te».
«Non essere sciocco! Sei andato fin lì per starle accanto, lei ha più bisogno di te».
«Agnese». Ascoltò lo sbuffo di Leonardo; stava già cercando un modo per rispondere alle sue proteste quando lui rettificò: «Sta dormendo sulle mie gambe. Ho il permesso di pensare a te, ora?»
Le sembrava di vederli: Leo seduto tra i cuscini e Anita stesa con la testa sulle sue ginocchia, segno che si era addormentata mentre lui le accarezzava i capelli. Cercò di ignorare la fitta di gelosia che le colpì il petto e, anzi, sorrise intenerita.
«Non che abbia mai smesso di farlo».
Arrossì udendo quelle parole e il suo sorriso si allargò. «Sembra che tu stia parlando di un gattino».
Leonardo rise piano per non disturbare il sonno di Anita. «Più o meno» rispose; Agnese represse un'altra fitta di gelosia e si sforzò di ridere. Avrebbe dovuto smetterla. Lui l'aveva chiamata appena aveva potuto, le aveva appena confessato di non aver mai smesso di pensarle – non aveva motivo di essere invidiosa. No, decisamente non ne aveva, non quello che era appena successo alla sua amica.
Era incredibile che la sua voce suonasse così dolce anche mentre lei si stava comportando da bambina, cercando di risultare più matura di quanto in realtà non fosse. Si sentiva così stupida...
«Allora, vuoi dirmi come stai?»
Male. Stava male. Era stanca, stressata, ansiosa, gelosa e si sentiva in colpa per tutti i propri egoistici pensieri. «Bene, tu?»
«Uno schifo» ammise lui, sincero. Al contrario suo, Leonardo avrebbe saputo mentire benissimo, se solo avesse voluto; ma non voleva, non lo faceva mai, a meno che non fosse strettamente necessario. C'erano volte in cui una disperata Anita correva a chiedergli spiegazioni per un inusuale comportamento di Sebastiano e lui non poteva che inventarsi assurde supposizioni, quando in realtà sapeva benissimo quale sorpresa il suo amico stesse architettando. «Avrò dormito sì e no quattro ore questa notte, Ninì non fa che scusarsi per ogni cosa e ogni tanto le viene una crisi di pianto. Vorrei che fossi con me».
Agnese avrebbe voluto che Leonardo smettesse di essere così maledettamente dolce e preoccupato per lei. Voleva che gli dicesse la verità? Allora l'avrebbe detta. «Lo vorrei anche io, davvero, ma sarei solo d'impiccio. Vorrei poter far qualcosa, rendermi utile, anche solo sapere come sta. Invece sono qui a lamentarmi e pensar troppo. Ho sempre detestato le persone egoiste, Leo, ma lo sono anche io. Mi faccio schifo. Ninì ha bisogno di aiuto e io non faccio che pensare a me stessa e...»
«No» la interruppe Leonardo; «ti vorrei qui perché io ho bisogno di te. Non so cosa fare, cosa dirle, come comportarmi. Non è da me che vuole essere aiutata, lo sappiamo tutti e due. Seba non si è fatto sentire, anche se è domani che dovrebbero operarlo; non so se stia dormendo o prendendo a testate un muro per non sentire il senso di colpa. Se fossi tu ad aver bisogno di me, saprei cosa dirti, saprei che devo abbracciarti e accarezzarti la schiena per farti sapere che ci sono. Non mi sentirei in colpa due volte ogni volta che ti sfioro. E se anche tu fossi qui con me ora, Agne, so che non mi occuperei di Ninì come dovrei».
Agnese stava trattenendo il fiato, oltre che le lacrime. Sembrava portare solo problemi qualunque cosa facesse. Faceva sentire in colpa Anita e Leonardo e se anche fosse stata con loro non avrebbe che peggiorato le cose. Si sentiva in colpa anche per ciò che non aveva fatto – ma avrebbe voluto fare.
Non avrebbe saputo dire se al momento le facesse più male la testa, lo stomaco o il groppo in gola. «Mi dispiace così tanto, Leo» sussurrò con voce strozzata.
«Stai piangendo?» si allarmò subito lui. «Non piangere, ti prego. Domani pomeriggio torniamo a casa, Ninì si sente meglio. Sua sorella viene a prenderla a Bologna e poi sarò tutto tuo. Vuoi che la porti a casa prima? Vuoi vederla?»
Agnese si lasciò sfuggire un singhiozzo, che colpì Leonardo come uno schiaffo in faccia e fece sentire lei incredibilmente sciocca e vulnerabile. «Non penso voglia vedermi».
«Non dire cazzate. Crede che tu ce l'abbia con lei perché io sono qui, si sente in colpa».
Perfetto, pensò Agnese; ci mancava solo quello. Non bastava la naturale tristezza che sicuramente tormentava la sua amica, ora ci si metteva anche il senso di colpa causato da lei stessa. Quando avrebbe smesso di fare casini?
«Chiede di te spesso quanto tu di lei».
«Non ti ho nemmeno chiesto come sta oggi...» piagnucolò.
Leonardo sbuffò. «È stata la prima domanda che mi hai fatto, Agne. Sta un po' meglio, ma è molto giù di corda. Domani mattina la accompagno in ospedale per una visita e poi partiamo, se è tutto ok».
«Andrà tutto bene» si sentì in dovere di incoraggiarlo lei; anche se avrebbe voluto domandare cosa sarebbe successo in caso contrario: quanto si sarebbe fermato con lei a Roma? Sarebbe tornato lo stesso o no?
Probabilmente Leonardo aveva dovuto chiedere dei soldi ai suoi genitori per raggiungere Anita. Era al verde? Era quasi certa che avesse speso gran parte dei suoi risparmi per la vacanza con i ragazzi e i regali di Natale. Ed era stata lei a spingerlo ad andarci.
«Ti pago il biglietto del ritorno» annunciò, senza pensarci due volte.
Leonardo trasalì. «Che cosa? Non pensarci neanche».
«Ti ho mandato io e sei là anche al posto mio».
«Come no. Hai intenzione di chiedere ai tuoi settanta euro per pagarmi il biglietto del treno? Non dire cazzate».
«Ho dei soldi da parte» obiettò lei, ostinata.
«E io un lavoro. Smettila».
Tirò su col naso e si asciugò gli occhi con la manica della felpa. «Voglio fare la mia parte, Leo!»
«Piantala. Stai studiando? A che punto sei?»
«In teoria, ma non sto combinando niente. Non cambiare argomento!»
«E come mai? Scommetto che è perché pensi a me».
Agnese avvampò, sentendosi scoperta. Prese un respiro profondo e «Sei solo uno dei miei pensieri, a dire il vero» replicò, cercando di suonare distaccata.
Leonardo ridacchiò: adorava dover sciogliere poco a poco l'imbarazzo di Agnese, finché non si lasciava andare. Certo, avrebbe preferito vederla arrossire ed evitare il suo sguardo, ma si sarebbe accontentato di immaginarla. «Mh-mh. E scommetto che hai addosso la mia felpa, perché vuoi sentire il mio odore».
«È stata la prima cosa che ho trovato ieri sera».
Il ragazzo soffiò un sorriso. «Ci hai anche dormito, quindi?» chiese conferma; sembrava lusingato da quella scoperta.
Agnese arrossì ancora un po'. «Leo, avanti...»
«Hai avuto freddo questa notte?»
Lei si imbronciò. Perché doveva a tutti i costi metterla in imbarazzo? Sì, le mancava. Le mancava da morire e ad ogni parola sempre di più. «Sì, Leo, sì. Non è servita nemmeno la borsa dell'acqua calda – prima era troppo freddo, poi troppo caldo. Scommetto che tu non hai avuto questo problema» aggiunse, acida.
Mentre già si pentiva della propria irascibilità, la risata del ragazzo risuonò dall'altra parte della cornetta. «Invece sì. Questo letto è scomodissimo e quando abbracciavo Ninì, morivo di caldo. E poi i suoi capelli non hanno il profumo giusto, mi prudeva il naso».
Era disgustoso essere gelosi perché Leonardo aveva dormito con la loro migliore amica, abbracciandola e respirando l'odore del suo shampoo. In qualunque altra circostanza non si sarebbe fatta scrupoli per la propria gelosia, ma questo era davvero troppo. Anita aveva appena perso un bambino, aveva bisogno di qualcuno che la svegliasse durante gli incubi e la abbracciasse dicendolo che si trattava solo di uno stupido sogno. Aveva bisogno di una spalla su cui piangere, qualcuno con cui parlare quando lo sconforto diventava troppo. E, sì, Agnese avrebbe davvero voluto essere lei quel qualcuno, ma si rendeva conto che Leonardo era più affidabile in qualunque circostanza.
Ma allora perché continuava a bruciarle dentro il pensiero che Leo e Ninì avessero dormito abbracciati? Perché era una sciocca egoista.
«Mi manchi un sacco» sussurrò. Era vero, le mancava. Se lui fosse stato al suo fianco, sarebbe stato in grado di cancellare tutte le sue paranoie con un solo sguardo. Era vero, sì, Anita aveva molto più bisogno di lei al momento, ecco perché cercava di essere forte, di non farlo pesare loro. «Credo che Francesca si sia offesa perché non posso dirle cosa sta succedendo».
«Perché non puoi?»
«Ninì non vuole dirlo a nessuno. Non lo dirà nemmeno ai suoi». Gli occhi le si riempirono di lacrime al solo pensiero di come l'aveva saputo.
«Te l'ha detto lei?»
«Sì. Le ho scritto, ma non avrei dovuto. Sono solo riuscita a farla star male di più».
«Sono sicuro che non è vero. Che le hai detto?»
«Le ho chiesto come avrebbe fatto a casa coi suoi: loro credono che lei e Seba stiano aspettando il matrimonio per... insomma, lo sai. Ninì ha detto che avrebbe inventato un'influenza per giustificare questi giorni di ritardo e io le ho chiesto perché e... non avrei dovuto chiedere».
“Non posso mica andar da loro e dirgli che, hey, non solo non sono più vergine da un pezzo, ma mi sono fatta mettere incinta e ho perso il bambino! Quindi tranquilli, non sarete nonni, perché non sono nemmeno capace di fare ciò per cui una donna è stata fatta.”
Le tremavano le mani al solo ripensare a quel messaggio. Aveva sperato di tirarle su il morale e invece aveva finito per causarle un'altra crisi.
«Non è colpa tua, Agne. È molto turbata e deve prendere degli ormoni. Non dorme, non...»
«Lo so, non ce l'ho con lei».
«Non devi avercela nemmeno con te stessa».
«Sai che non ne sono capace».
 
Francesca tornò a casa intorno all'ora di cena e trovò Agnese ai fornelli – evento di cui non era sicura fosse il caso di rallegrarsi, presa in considerazione la sua incapacità.
Sbollito il nervosismo di qualche ora prima, si era quasi dimenticata della breve discussione a senso unico avvenuta prima di uscire. Spensierata come se nulla fosse stato, rise nel sentire l'amica imprecare contro una ricetta. «Santo cielo, domani nevica! La Marchegiani che cucina!»
Agnese, che questa volta l'aveva sentita rientrare, si voltò e le fece una linguaccia. «Cucino per due, quindi non è certo che tu possa vedere la neve, quando cadrà» scherzò.
«Ben detto. Spero che tu non abbia usato il detersivo dei piatti per condire l'insalata».
Agnese rise. No, almeno quella era certa fosse mangiabile.
Non ci fu bisogno di aggiungere niente, perché un attimo dopo Francesca si era liberata di giacca e borsa e si stava lavando le mani. «Allora, vediamo se qualcosa si può ancora salvare!»
«Ehi, non sono messa così male!» protestò Agnese, ben sapendo di mentire: lei e la cucina erano acerrime nemiche da più o meno tutta la vita.
Di fatti non si lamentò quando la coinquilina prese il comando della situazione e la spedì ad apparecchiare la tavola, lasciando “ai grandi i lavori da grandi”.
Dopo aver parlato con Leonardo, Agnese aveva sotto suo consiglio fatto una lunga doccia calda, messo a bollire l'acqua per il tè, poi aveva avviato il CD di Olly Murs ed era tornata sui libri con la sua tazza fumante. Il suo studio non era progredito tanto, forse, ma parte del suo nervosismo era stato momentaneamente spazzato via dalla miracolosa combinazione acqua calda, musica e Leonardo.
Avevano parlato senza sosta, finché lei non si era tranquillizzata e Ninì svegliata; a quel punto Leo l'aveva salutata, con la promessa di vedersi il pomeriggio seguente.
Ora, seduta sul divano accanto a Francesca, con gli appunti in grembo ma lo sguardo incollato al televisore acceso, Agnese decise di togliersi un sassolino e parlare con qualcuno dei pensieri che la tormentavano. Perché, sì, aveva già raccontato tutto a Leonardo, ma Francesca era lì con lei, aveva il diritto di sapere e la possibilità di vedere la situazione con obiettività, da esterna.
Così, senza nessun preavviso, Agnese cominciò a parlarne con voce e occhi bassi. Ammise di sentire la mancanza del proprio ragazzo, ma si trattava soltanto di uno dei suoi pensieri. C'erano anche l'esame da preparare, l'operazione di Sebastiano, il malore –così l'aveva chiamato per praticità e Francesca non aveva fatto domande a riguardo–, le crisi di nervi di cui le aveva raccontato Leonardo, la gelosia nei loro confronti, la voglia di rendersi utile e l'impossibilità di farlo. «Mi prenderai per scema, ma mi sento come se stessi affogando in... non lo so, in un nuvolone carico di pioggia. Ne ho i polmoni pieni e non riesco a respirare».
«Una nuvola d'angoscia?»
Agnese non si aspettava che qualcuno rispondesse con tanta serietà ad un paragone simile; se ne sorprese, ma fece finta di nulla. Annuì invece, perché era proprio ciò che intendeva dire. «Sì. Non riesco a pensare a nulla che mi faccia sentire meglio. Se penso a loro mi preoccupo, se penso a me mi sento in colpa. Se penso allo studio mi rendo conto che non passerò mai questo esame, se non ci penso mi viene in mente tutto il resto. Ho bisogno di respirare ma è tutto vapore...»
«E ti senti soffocare».
Sospirò. «Sì. Sì, proprio così. L'hai mai provato?» Ponendo quella domanda, finalmente si decise a guardare l'amica negli occhi.
Francesca stiracchiò un sorriso amaro, mentre annuiva. «Anche io ho avuto i miei momenti bui. Vuoi sapere cosa ne penso sinceramente, Agne?»
L'altra annuì a sua volta; «Dimmi».
«Penso che tu ti senta così perché ti sei chiusa dentro quel gruppo di persone e stai dimenticando il mondo esterno. Voi quattro avete un legame troppo stretto, vi state chiudendo nella vostra bolla senza alcun contatto con l'esterno. Se continuerete così eliminerete dalle vostre vite tutte le altre persone. Non ci siete solo voi, ci siamo anche io e Ale, ci sono tutti gli altri vostri amici, le famiglie, i conoscenti».
Ad Agnese venne spontaneo scrollare il capo in segno di diniego. «Ma no, Franci, non è vero», ma nel momento stesso in cui lo negava non poteva fare a meno di chiedersi se invece lei non avesse ragione. «Ognuno di noi ha altri amici, altri giri...»
«Magari no, allora» le concesse l'altra. «Però fai attenzione a non tagliare i ponti col resto del mondo, ok?»
«Promesso».
«Non puoi uscire da quella nuvola da sola, Agne. Hai bisogno che qualcuno ti lanci un salvagente e ti impedisca di affogare e sicuramente non può farlo nessuno che ci sia dentro quanto te».
«Quindi...»
«Quindi io ci sono. Sono qui per te. E se anche non vado bene io, hai tanti altri amici. Se tutto ciò che ti circonda ti soffoca, è ora di uscire e prendere una boccata d'aria, no? Non devi abbandonare niente, solo aprire una finestra e respirare».
E probabilmente Francesca aveva ragione da vendere, si rese conto Agnese.
 
Quando sentì le chiavi girare nella toppa della porta d'ingresso, il pomeriggio seguente, Agnese scattò in piedi e corse a controllare chi stesse entrando. Non appena si rese conto che la persona che le sorrideva sulla soglia era proprio Leonardo, gli corse incontro per poi cercare di sorpassarlo e salutare Ninì. Non fu difficile per lui impedirglielo, cingendole la vita e stringendola in un abbraccio affettuoso.
«Ah-ha, prima ci sono io!» le ricordò a mo' di rimprovero, per poi lasciare che lei lo salutasse con un rapido bacio a fior di labbra e scivolasse via dalla sua stretta.
«Ninì!» la sentì esclamare; l'attimo dopo stava stringendo la sua migliore amica. «Come ti senti?»
«Ehi!» La voce di Anita suonava un po' più flebile del solito, così come il suo abbraccio troppo delicato. Ma era pur sempre lei ed era lì e ad Agnese bastava l'idea di averla a portata di mano. «Non c'è male. La visita di oggi è andata bene. Hai visto? Te l'ho riportato tutto intero» continuò, accompagnando quelle parole con un sorriso malinconico.
Agnese fece un passo indietro, la guardò – i capelli scompigliato in maniera meno curata del solito, il volto truccato, lo sguardo spendo – e annuì. Avrebbe voluto dirle che, no, era stato Leonardo a riportarle lei tutta intera, o quasi, ma lo tenne per sé. «Sì. Grazie!» le sorrise. «Forza, vieni dentro. Tua sorella passa a prenderti qui, vero?»
«Se non è un problema...»
Leonardo sbuffò e le prese la valigia. «Certo che non è un problema, te l'ho detto mille volte».
Anita non obiettò, ma annuì e si lasciò guidare dentro, fino al salotto, dove il ragazzo si congedò, annunciando che aveva estremo bisogno di una doccia. Così le due amiche rimasero da sole, senza sapere bene cosa dire.
Agnese diede voce all'unica domanda che da giorni la tormentava, nonostante l'avesse ripetuta decine e decine di volte a Leonardo: «Come stai?»
L'altra sospirò e stiracchiò un nuovo sorriso. «Non benissimo. Agne, mi dispiace un sacco, non volevo portartelo via».
«Di cosa stai parlando?»
«Mi sono sentita una merda tutto il tempo. Leo non avrebbe dovuto essere con me, ma con te. Me la sarei dovuta cavare da sola, anziché recare disturbo a voi. Ti capisco se ce l'hai con me, io sarei arrabbiatissima al tuo posto».
«Ma io non ce l'ho con te». Avercela con lei? Era assurdo. Aveva trascorso gli ultimi due giorni a sentirsi in colpa per ogni proprio pensiero, non le era nemmeno venuto in mente di avercela con Anita per averle “portato via” Leonardo.
«Grazie di averlo lasciato venire».
A dire il vero era stata lei a spingerlo ad andare. «Ti sembra il caso di dover ringraziare? Avevi bisogno e.... cosa avrei dovuto fare secondo te?» chiese, confusa.
«Non lo so. Non gliel'hai impedito, per cui grazie».
Agnese rimase in silenzio ancora qualche attimo, disorientata dalla piega che aveva preso la conversazione. «Non devi ringraziarmi. Io non c'ero».
La mancata risposta della sua amica la colpì come uno schiaffo, ma lo incassò con mansuetudine. Mordendosi il labbro inferiore, pensò bene di cambiare argomento. «Ok, ehm, hai sentito Seba?»
Un lampo di vita attraversò il volto di Anita, che sorrise, mentre le sue dita correvano a cercare la rassicurante presenza dell'anello di fidanzamento. «Sì» rispose, senza smettere di giocare con il cerchio di metallo. «Si è addormentato appena arrivato in albergo, ha dormito mezza giornata. Mi ha chiamato ieri e ha detto che... che usciremo da quest'incubo insieme. Lo operano oggi pomeriggio, mi raggiungerà a casa il prima possibile. Io... io non so come farei senza di lui, Agne: è la mia forza».
Agnese non riuscì a non lasciarsi andare ad una risata liberatoria, mentre la sua amica arrossiva imbarazzata da quella reazione. «E tu sei la sua, Ninì» si premurò di specificare, come a riparare al danno fatto ridendo. Si sentiva così sciocca ad aver passato tutto quel tempo a sentirsi in colpa per non aver fatto nulla di concreto – o meno – per aiutarla. La verità è che, per quanto Anita fosse loro grata, tutto ciò che le serviva poteva esserle dato solo da Sebastiano: amore, conforto, sicurezza. Non c'era nulla che Agnese o Leonardo potessero davvero fare per lei, se non cercare di distrarla fintanto che il suo fidanzato non fosse stato di nuovo al suo fianco. «Ve ne tirerete fuori l'un l'altro, insieme».
 
Leonardo era steso sul letto e fissava il soffitto con aria assente, quando Agnese fece il suo ingresso in camera. Si prese qualche istante per notare tutti i segni della sua presenza – gli occhiali posati sul comodino, la serranda abbassata solo a metà, l'abat-jour accesa, le coperte abbassate quasi fino in fondo al letto, i vestiti ammassati sulla sedia della scrivania – prima di avvicinarsi e posizionarsi accanto a lui sul materasso.
Nel momento stesso in cui lei si stese, lui rotolò sul fianco e «Ehi» la salutò, prendendo a fissarla con serietà e dolcezza.
Agnese arrossì – ah, quanto le era mancato quello sguardo! «Ehi» ripeté, senza riuscire a nascondere un sorriso.
«Come stai?» le domandò, mentre allungava un braccio per prendere tra le dita una ciocca dei suoi capelli.
Il sorriso di allargò, mentre uno simile si dipingeva sul viso di lui. «Bene, ora» sussurrò, un po' imbarazzata dalla propria dichiarazione.
Leonardo ridacchiò. «Credo di poter capire cosa intendi».
«Come... come sono andati questi giorni?»
Lui scosse leggermente il capo. «Possiamo parlarne domani? Adesso ho solo voglia di stare un po' con te».
Un violento e sordo colpo alla porta li fece sobbalzare. «Fatemi il favore di non fare casino questa notte, il mio lettore mp3 è scarico!» gridò Francesca dal corridoio, prima di borbottare la sua buonanotte, che fu però coperta dalle risate dei due ragazzi dentro la camera.
«Tranquilla, tesoro, hai appena rovinato l'atmosfera!» urlò Leonardo in risposta. Poi si voltò verso Agnese e spalancò le braccia: «Vieni qui, dai» la intimò; lei non se lo fece ripetere due volte.
Stretta tra le sue braccia, Agnese affondò il volto nel collo del suo ragazzo e inspirò a pieni polmoni il suo odore – non c'era più traccia di quel senso di soffocamento che l'aveva perseguitata assieme alle paranoie in quei giorni.
«Ecco, ora sto davvero bene» lo sentì sussurrare tra i propri capelli. Rise di nuovo, Agnese, che ora capiva davvero come doveva essersi sentita Anita nonostante Leonardo fosse stato al suo fianco. Come lei aveva rifiutato il salvagente di Francesca, quando Leonardo non c'era, così Ninì non avrebbe voluto che l'aiuto di Sebastiano.
Leo l'aveva appena tirata fuori dalla nube in cui stava affondando, portando in salvo entrambi. Era solo questione di tempo perché anche i loro amici si salvassero a vicenda.
  
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