Andrea, quante volte la vedevo camminare nei corridoi con il cappuccio tirato, con lo sguardo rivolto verso il terreno e gli occhi spenti.
Quante volte la vedevo correre di fretta con le lacrime trattenute per andare in bagno.
Quante volte la vedevo da sola in mensa, con una mela e una bottiglia d’acqua.
Quante volte la vedevo piangere mentre tutti la indicavano, deridendola.
Quante volte la vedevo leggere durante l’ora di fisica dato che non la sceglievano mai.
Quante volte la vedevo con la felpa nera, sia di inverno che d’estate.
Quante volte la vedevo quando mi guardava con gli occhi spenti.
Quante volte la vedevo mentre scarabocchiava nel suo libro di fisica.
Quante volte la vedevo guardare la finestra come se volesse scappare da qualcosa.
Quante volte la vedevo mentre tratteneva le lacrime mentre entrava a scuola.
Quante volte la vedevo trattenere il respiro mentre passava davanti i miei occhi, come se volesse scomparire.
Andrea non la vedo più.
I suoi genitori piangono.
Sua sorella Sophie piange, maledicendosi di non averle regalato il piumone che amava tanto.
Le cheerleader piangono, chiedendosi se è colpa loro.
I bulletti non parlano, si guardano colpevoli.
Andrea non c’è più.
E io sto male, perché non posso vederla più.
Ma, cara Andrea, io voglio vederti e dirti che ti amo.
Aprimi che sto arrivando.