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Autore: StoryMaker    28/01/2014    1 recensioni
"L'uomo che si scosta dalla via della saggezza, riposerà nell'assemblea delle ombre dei morti." (Pro 21,16 )
Alcuni tagliagole, dopo aver ucciso e depredato dei viaggiatori, verranno perseguitati per i loro crimini commessi. La loro condanna è il regno delle Ombre.
Genere: Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non c’è voce, oltre alla mia, che sia capace di raccontarvi cosa accadde diverso tempo fa, in quell’anno così cupo, la cui data è stata cancellata e ottenebrata dal tempo e dagli uomini: molti, infatti, erano coloro che desideravano venisse dimenticata. Nemmeno io mi sento in grado di proferire quella data così funesta, durante la quale molti fatti inspiegabili si verificarono. I morti evadevano le proprie tombe e ombre indistinte, oltrepassato il muro della Notte, si mostravano ai vivi.
E voi che fate ancora parte del mondo della luce, quando leggerete le mie parole, io sarò già partito per la regione delle ombre. Pochi saranno coloro che presteranno attenzione a ciò che scrivo, molti dubiteranno, ma ci saranno coloro, tra quelli che daranno fede al mio racconto, che mediteranno su quanto segue.
In quell’anno terribile i segni si potevano osservare sul mare e sulla terra, e nel giorno più cupo anche i cieli presagivano sventura e disperazione. Quel giorno di eclissi lunare, infatti, il diabolico Marte, lucente di una fiamma infernale, entrava in congiunzione con l'enorme Saturno.

Noi ci trovavamo in sei, ridevamo ed eravamo allegri, se così si può dire, per scacciare l’ombra di una pestilenza che aveva colpito le nostre terre già malate. Camminavamo verso l’ignoto, in cerca di un luogo, lontano dalle case e dalle strade, dove goderci il frutto del nostro lavoro. Noi, briganti, ladri e tagliagole, avevamo teso un imboscata ad alcuni viaggiatori, ed ora ci dirigevamo lontano da occhi indiscreti.
Coloro che avevamo attaccato dovevano essere delle persone benestanti, a giudicar dall’oro che portavano e dalle provviste che tenevano nel carro. Fui io, Itys, ad uccidere l’uomo che guidava il carro. Silenzioso e veloce come l’oscurità che avanza al calar del sole, mi portai dietro le spalle del cocchiere. Avevo ucciso altre volte in passato, sapevo cosa fare, e nel farlo provavo sempre una sensazione di potere che mi gratificava. Estrassi dal fodero il mio pugnale, il ferro scuro come la notte. Ed ecco, con una mano coprii la bocca dell’uomo, con l’altra, velocemente, passai la fredda lama nel suo collo. Subito le mie mani, gelide per il ghiaccio invernale, furono investite dal caldo sangue, zampillava rosso dalla gola recisa.
Gli altri miei compagni, appena videro il carro fermarsi, come avevamo pianificato in precedenza, si avventarono contro le portine della carrozza, con la stessa furia dei lupi che si lanciano su un cervo ferito.
All’interno trovammo una donna e un bambino, e ciò può sembrare normale, ma non fu così. Con gran stupore infatti ci accorgemmo che i due erano stati colpiti dalla pestilenza. La madre teneva il bambino privo di forze tra le sue braccia, ci implorava di lasciarli proseguire, poiché doveva trovare delle cure mediche per il figlio. Non la ascoltammo.
Le fracassammo il cranio con una pietra.
Non potendoci portare dietro un bambino malato ora non sapevamo che fare. Dopo alcuni minuti di discussione, infine decidemmo che l’unica cosa da fare era uccidere anche lui, ma non eravamo tutti favorevoli e quando venne il momento di farlo nessuno di noi se la sentì.
Il ragazzo continuava a tossire e a piangere sul corpo freddo e irrigidito della madre. Irato, Eaco prese un grosso bastone e decise di mettere fine a quella situazione. Il bambino cadde dopo il primo colpo.
Lasciammo i corpi al fianco della strada, insepolti, e depredammo tutto quello che c’era di valore, ben attenti a non toccare con mano i cadaveri appestati.

Camminavamo così, felici per il bottino e gioiosi, cercando di esorcizzare l’omicidio brutale di una madre e un bambino malati. Giungemmo infine alle catacombe, unico posto riparato e sicuro nelle vicinanze. Se avessimo potuto scegliere il luogo dove accamparci, naturalmente non avremmo optato per un cimitero, specialmente per delle vecchie catacombe.
Per una buffa coincidenza trovammo un atrio con sei nicchie, così ci sedemmo tutti e sei, e nessuno dovette poggiarsi per terra. Il posto emanava un aura inquietante. Ma come eravamo soliti fare, mangiammo e bevemmo per dimenticare e riempire le nostre pance di buon cibo e i nostri cuori di allegra ubriachezza.
Ridevamo e scherzavamo, ma ci faceva ridere in particolare il fatto che anche le persone ricche, come quelle che avevamo assalito poco prima, non possono salvarsi dalla morte pur possedendo tutto il denaro del mondo.
Tra boccali di vino e canzoni la serata continuava, finché addormentati non cademmo tutti.
Ricordo che il sonno fu terribile, mi sembrava, se non erro, di trovarmi sospeso nel vuoto, in caduta libera. Nulla vedevo, nemmeno le mie mani riuscivo ad intravedere. Il vuoto e l’oscurità erano totali.

Poi mi svegliai: d’improvviso un urlo aveva rotto la parete nera del vuoto e mi aveva riportato alla realtà. Come aprii gli occhi e ripresi coscienza capii che era stato Eaco ad urlare. Subito il mio sguardo fu attirato da qualcosa che stava vicino a lui. Al suo fianco vidi un vecchio albero, era morto.
Non ricordavo di averlo visto prima, e l'unica spiegazione che mi diedi fu che fosse apparso magicamente. E tuttora non riesco ad arrivare ad una soluzione razionale.
Ma non era l'albero che aveva gettato terrore su Eaco, piuttosto, e me ne accorsi solo dopo alcuni secondi, era il corpo impiccato di un bambino: lo stesso bambino che egli aveva ucciso con un colpo di bastone.
Tutti ci levammo in piedi, terrorizzati da quella visione. Nel farlo notammo un altro particolare inquietante: avevamo tutti le mani sporche di sangue.
Subito prendemmo dell’acqua per lavarci. Ci domandammo a chi appartenesse quel sangue, nessuno di noi era stato ferito infatti. Purtroppo, nonostante tutti gli sfregamenti e gli sforzi che facevamo, il sangue non scompariva dalle nostre mani. Nulla sembrava poterlo cancellare: eravamo eternamente macchiati.
Il cadavere impiccato cominciava a esercitare uno strano effetto sulle nostre menti, sembrava che ci fissasse e che sussurrasse maledizioni. Eaco lo sentiva ridere, ci disse.

Ci allontanammo in fretta da quelle catacombe maledette. Prendemmo tutto ciò che ci serviva e lasciammo il corpo del bambino appeso all’albero. Correvamo nella notte, veloci, con i cuori in preda al terrore. Le sagome degli alberi erano curve e sinistre. L’oscurità avvolgeva ogni cosa. Non vedevamo dove stavamo andando. Talvolta qualcuno inciampava o si feriva con i rami di quegli alberi maledetti. Io, Itys, correvo dietro ad un mio compagno, non sapevo chi fosse, tale era il buio, ma continuavo ad andargli dietro, girandomi di tanto in tanto per paura che qualcosa strisciasse fuori dalle tenebre.
Ad un tratto sentii un forte rumore, guardai avanti e vidi che il compagno che stavo seguendo aveva sbattuto violentemente contro un ramo. Mi fermai ansimante e mi accostai al suo corpo inerte. Fu solo quando avvicinai la mia faccia alla sua che fui in grado di capire che il corpo, senza più polso del mio compagno, era quello di Eaco.
Stordito e terrorizzato non sapevo che fare. Provai a chiamare gli altri ma, prima che potessi aprire bocca, vidi, a cinque passi da me, il cadavere impiccato del bambino ucciso da Eaco. Quel ragazzo dannato sembrava sorridere, nonostante avesse una corda al collo.
Fuggii senza fermarmi. Mai corsi tanto in vita mia. Nemmeno i demoni che cavalcano i venti della Notte si spostano così velocemente.

Non so dire quando corsi prima di uscire dalla foresta. E fu li che trovai i miei compagni; e quando li vidi erano fermi. Sul momento mi domandai perché si fossero bloccati sul limite della foresta e non fossero usciti. Poi mi avvicinai e notai che, terrorizzati, fissavano un punto al centro della grande radura. Non riuscivo a vedere però ciò che li atterriva.
Fu solo quando in cielo la luna ricomparve tinta di rossa, che vidi, con grande orrore, che ad una decina di metri da noi giaceva il corpo della donna uccisa in precedenza. Sopra di essa stava un alta ombra, dalla forma oblunga e indistinta. Lentamente avanzò. In poco tempo si trovava in mezzo a noi.
Nessuno parlò tra i miei compagni, nessuno emise un suono. Il silenzio della Notte catturava ogni rumore.

Solo io, Itys, dopo diversi momenti d’interminabile attesa, scanditi solamente dal battito dei nostri cuori, presi la parola e domandai all’ombra, con voce tremante, cosa volesse. E quella rispose: - Io sono un ombra, e sono condannata a vagare per queste terre finché non troverò la pace, e molto tempo mi occorrerà per trovarla. Ma molto più tempo ci impiegherete voi. O voi che vi siete macchiati le mani del sangue dei figli di Adamo, giorno dopo giorno. Anche adesso, lentamente, state entrando nel Mondo delle Ombre - .
Terrorizzati da quelle parole, non solo per il loro significato, che ci accompagnò per il resto della nostra vita, ma sopratutto perché non una sola, ma più voci parlavano assieme. Oltre a quella della donna uccisa, riconoscemmo gli accenti di Eaco e di mille amici scomparsi.
E così, atterriti, decidemmo che giunto il sole avremmo abbandonato quelle terre.
E ci separammo: mai ci rincontrammo di nuovo, se non occasionalmente.
E quando accadde non ci parlammo, nemmeno una parola, solo veloci e tristi sguardi.

In quanto a me, Itys, mi dedicai alla pesca, stanziandomi nelle isole dei mari di grecia. Sei volte cambiai residenza, sperando di fuggire dall'incubo terribile, cercando di scappare al mio triste destino. Ma ora sono vecchio e non servirà a niente spostarsi ancora, il fato non può essere cambiato.
Infatti, nonostante siano passati diversi anni da quegli avvenimenti, continuo a fare quell’orribile sogno di caduta nel vuoto. Sempre avvolto nelle tenebre e nel silenzio, ed ogni anno che passa mi sembra di cadere sempre più in profondità, prima di essere svegliato improvvisamente da una sgradevole sensazione, come una lama fredda che mi recide la gola.
  
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