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Autore: FarAway_17    29/01/2014    2 recensioni
"Scopare con Svetlana non era neanche lontanamente paragonabile a come era con Ian.
Magari perché preferivo essere io ad essere scopato.
O magari perché lei non era Ian."
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mandy Milkovich, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E comunque Gallagher poteva anche andare a farsi fottere.
Ero arrivato a questa illuminante conclusione mentre sparavo l’ennesimo colpo e mancavo di striscio il bersaglio appoggiato al davanzale della finestra.
Ero tornato all’ultimo piano di quel fottuto edificio diroccato, lo stesso in cui quel rosso testa di cazzo era venuto a cercarmi pochi giorni prima di decidere che era ora di portare il suo culo lentigginoso a West End e non tornare più.
Ma ora, quattro anni più tardi, la notizia aveva fatto il giro del quartiere in poche ore: il coglione stava tornando all’ovile.
Mandy, appena saputo, era saltata su come una molla dalla sedia della tavola da pranzo esclamando un esaltato «Ian!». Poi aveva incontrato il mio sguardo sorpreso e il sorriso gli si era spento in una frazione di secondo. Si era riseduta e mi aveva guardato dritto negli occhi prima di sparare la notizia del secolo. «Ian torna a casa», aveva detto, pronta a una sfuriata forse, a cocci di vetro da raccogliere dal pavimento, una bestemmia tra i denti o qualsiasi altra cazzo di riposta, un segno qualunque che io avessi capito, davvero capito, ciò che mi aveva riferito. Ma non era successo nulla di tutto questo. Avevo abbassato la testa di scatto, mi ero assicurato di avere la fiaschetta e la pistola in tasca ed ero uscito. Ero stato fuori tutta la notte. Avevo rubato a qualche passate minacciandolo con la canna della pistola puntata alla gola, convinto che forse sfogare la mia rabbia mi avrebbe fatto sentire meno di merda, ma non aveva funzionato granché. E quando ero passato davanti a casa Gallagher e avevo visto attraverso le finestre la famiglia tutta unita intenta a festeggiare, la nausea mi aveva fatto rivoltare lo stomaco. Ero corso via alla ricerca di qualcosa di cui nemmeno io sapevo di aver bisogno. Quel posto non l’avevo più visto e entrarci, ricordarlo urlarmi contro, scaraventare a terra una bottiglia, non ebbe su di me l’effetto che avevo temuto. Mi ero accasciato contro una parete ed ero rimasto per ore, lo stomaco riempito solo dall’alcool e la polvere ad infilarsi nel tessuto dei miei jeans, ad assaporare l’inebriante sensazione che lui fosse stato lì, che avesse toccato quel posto. Che avesse toccato me. Forse ero solo un po’ ubriaco, altrimenti pensieri del genere, da frocio innamorato, non li avrei fatti.
Mi addormentai lì e quando mi risvegliai era di nuovo giorno. Calcolai di mancare da casa da circa un giorno e mezzo. Avevo fame. E sete, visto che lo scotch era finito. Mandy sarebbe stata sicuramente preoccupata. Avrebbe pensato che mi ero fatto ammazzare o, nella migliore delle ipotesi, arrestare.
Mandy che era diventata una donna, Milkovich, ma pur sempre una donna, e che era rimasta per tenermi d’occhio, che non mi aveva permesso di uccidere mio padre quando ne avevo avuto l’occasione e che, in fondo, mi dispiaceva di non aver saputo proteggere come si sarebbe meritata. Perché, cazzo, lei era l’unica a non avermi gettato nel cesso dopo avermi usato come un pezzo di carta igienica sporca. E non le avevo mai detto che le volevo bene. Probabilmente non l’avrei mai neanche fatto. Non ero mai stato bravo in questo genere di cose. E non era forse per questo che Ian se n’era andato? Perché non avevo avuto le palle di dire a voce alta che ero fottutamente perso per lui?
Scopare con Svetlana non era neanche lontanamente paragonabile a come era con Ian. Magari perché preferivo essere io ad essere scopato. O magari perché lei non era Ian.
Ad ogni modo era passato talmente tanto tempo da quando l’avevo visto l’ultima volta che ciò che la mia mente riproduceva sembrava più che altro una scena vista attraverso un vetro rigato dalla pioggia. Tutto ciò che mi rimaneva di lui era una fotografia spiegazzata, rattoppata con dello scotch e con una macchia di caffè a contaminarne l’angolo in alto a destra. Non la guardavo quasi mai, ma sapere che era sempre lì ad aspettarmi in quella rivista mi bastava.
Mi alzai barcollando un po’ sulle gambe rattrappite dal freddo e tornai a casa. Terry dormiva stravaccato sul divano buco vicino all’ingresso. La casa era immersa nel silenzio. Non potei fare a meno di paragonarla al festeggiante schiamazzo dei Gallagher. Andai al frigorifero e ne tirai fuori una birra. La stappai con le dita e ne ingollai un gran sorso. Avevo tanta sete, cazzo. Mi voltai e trovai Mandy a fissarmi, lo sguardo omicida e le braccia magre strette sotto il seno. Sembrò sul punto di insultarmi selvaggiamente, ma un’occhiata al mio stato dovrette farla desistere.
«Dovresti mangiare qualcosa», bofonchiò ancora irritata.
Mi scansò con un colpo dei fianchi e si mise a preparare qualcosa che pareva essere una frittata. Non mi opposi e sorrisi tra me e me. Mandy era sempre troppo buona.
Mi buttò un piatto sotto il naso e mi si sedette di fronte. Dalle uova salivano piccoli rivoletti di fumo.
«Mickey», mi richiamò seria ad un certo punto. Lasciai cadere la forchetta nel piatto vuoto. «Sai che non ti ho mai voluto rompere il cazzo con questa storia di Ian», iniziò. «Ma credo che tu debba davvero andare a parlargli. Se non altro per lasciarti tutto alle spalle», concluse appoggiando il mento sulle mani unite.
«Disse la ragazza che piange ancora sulle foto di Lip Gallagher prima di succhiare il cazzo del suo nuovo fidanzato».
La sua espressione si indurì un po’. «Sei un coglione Mickey. Questo lo so io, lo sai tu e lo sa anche Ian. Ma non vuol dire che non meriti la possibilità di vivere una vita vera, che non sia fatta solo di canne, birra e scopate occasionali con Angie».
Mi appoggiai con cautela allo schienale della sedia. Non si poteva dire che mia sorella non avesse le palle.
«Non mi vorrà vedere», mi opposi.
La vidi tentare di trattenere un sorrisetto soddisfatto. «Sì che lo vorrà, credimi».
 
Erano più o meno le sette di sera quando ci presentammo a casa Gallagher. Mandy davanti e io in coda, le mani ben ancorate nelle tasche e il labbro stretto fra i denti. Pensai che forse facendomi male non avrei più pensato a tutto il casino che avevo in testa.
Mandy bussò alla porta. Dal modo in cui nascondeva le mani nelle maniche della felpa e le dita ne tormentavano il bordo, capii che era agitata.
Neanche per un istante mi ero fermato a pensare a lei, al fatto che probabilmente le costasse molto incontrare il suo ex. Come al solito mi ero preoccupato di me stesso.
Una cascata di capelli rossi si affacciò alla porta interrompendo i miei pensieri.
«Mandy?». Debbie Gallagher evidentemente non si aspettava di trovarla sulla porta di casa. Per non parlare dell’espressione sconvolta che mostrò nel notarmi alle sue spalle.
Uno scoppio di risa nel salotto e una voce che avrei riconosciuto tra mille mi colpì il cuore come una frustata. Faceva male.
«Debbie, chi è?».
Si affacciò alla porta, la divisa ancora addosso, i capelli rasati e il viso più affilato di quanto lo ricordassi. Era cresciuto di almeno una spanna.
I suoi occhi incontrarono i miei e per un attimo mi sembrò di tornare indietro nel tempo, di rivivere in un’orribile sequenza gli ultimi fottuti secondi che avevo passato con lui. Le gambe mi tremavano sotto al suo sguardo spento.
Mandy gli saltò al collo e iniziò a singhiozzare. Lui continuò a guardarmi mentre le batteva forzatamente un palmo sulla schiena e le mormorava qualcosa all’orecchio che non riuscivo a sentire.
Intanto l’intero clan dei Gallagher si era affacciato, chi all’ingresso, chi al finestrone, e ci squadrava in silenzio. Potevo quasi percepire i loro respiri trattenuti. Tutti erano in attesa che la bomba scoppiasse.
Mia sorella si allontanò da lui e si mise al mio fianco. Aveva gli occhi rossi ed era evidente che stesse evitando lo sguardo insistente di Lip. Lo vidi dare un colpetto al fratello con il gomito.
«Ciao», mormorò.
Ripresi a mordermi il labbro e non mi importava che cominciasse a sanguinare, sul serio.
«Mandy, forza, entra», la invitò Fiona facendosi da parte. Mia sorella mi guardò un’ultima volta. Annuii e lei la seguì all’interno stando attenta a non sfiorare Lip nemmeno con un dito.
Chiusero la porta lasciandoci soli.
Il chiasso all’interno era sparito.
«Ciao», ripeté quel bastardo ancora una volta.
«Ciao», risposi, la voce più roca di quanto non volessi.  Mi ricordava fin troppo quel “Non-“ pronunciato a mezze labbra quattro anni prima. Non mi piaceva per niente.
Lui si strinse nelle spalle. Tirava il vento.
«Come stai?»
Risi con l’amaro a sporcarmi ogni angolo della bocca. «Fai sul serio Gallagher?», gli chiesi aspro. «Sparisci per andartene a farti ammazzare da qualche maledetto Kamikaze per quattro schifosissimi anni e-». Ruotai il collo cercando di calmarmi. Lui se ne stava zitto aspettando pazientemente che finissi. «E la prima cosa che mi chiedi è se io sto bene??».
Feci una smorfia constatando che il vecchio Ian a quel punto avrebbe semplicemente distolto lo sguardo, mentre questo, il nuovo fottuto eroe di sto cazzo, mi guardava dall’alto e mi sfidava con il suo silenzio.
Dopo un tempo che mi sembrò durare un secolo, si decise ad aprire bocca di nuovo. «Non credevo che saresti venuto a cercarmi», disse con una sincerità disarmante che mi fece quasi sorridere. Forse il vecchio Ian Gallagher era ancora lì, nascosto da qualche parte tra un fucile, una divisa e quella quindicina di centimetri guadagnata in altezza.
Feci spallucce, con l’emozione a graffiarmi l’interno della gola. Nel giro di qualche minuto probabilmente mi sarei gettato a terra, carponi, e avrei iniziato a vomitare sangue.
«Mandy è stata convincente».
«Allora, me lo dici come stai?», mi domandò nuovamente e guardandomi con un’intensità che credevo di non rivivere mai più, come se tutto il resto del mondo fosse stato meno importante di ciò che avrei detto, come se quella fosse stata l’unica cosa che davvero gli interesse sapere.
 «Non mi lamento».
Ian piegò la testa e mi osservò attentamente. «Svetlana? Il… il bambino?», domandò meno certo di prima.
«L’ha perso… il bambino», balbettai distogliendo lo sguardo. «Al quarto mese. L’avresti scoperto da solo se fossi rimasto», sputai fuori prima di potermi trattenere.
Ian non fiatò. Sembrò incassare il colpo con un leggero guizzo della mascella. «Mi dispiace».
Sbuffai divertito, sfregandomi il dorso della mano sotto il naso, nel vano tentativo di tranquillizzarmi.
«Ti dispiace, un cazzo, Gallagher».
Girai sui tacchi e riattraversai il vialetto.
«Mickey».
Mi bloccai con una mano sul cancelletto sgangherato.
«A mezzanotte al campo. Ci sarò», disse lo stronzo alle mie spalle.
«Sarebbe una novità», mormorai sbattendomi il cancello alle spalle e avviandomi verso casa a passo sicuro.
 
«Allora?».
Mandy mi piombò in camera. Io me ne stavo steso sul letto, deciso ad ignorarla.
«Cosa vi siete detti? Avete risolto?»
Sbuffai infastidito. «Levati dalle palle».
«Tanto lo so che ti ha dato appuntamento per stasera», disse.
Mi alzai togliendomi la t-shirt e gettandola a terra. Mandy mi tallonava mentre attraversavo il corridoio.
Mi voltai di scatto e lei mi si schiantò addosso.
«Ti ho detto di toglierti dai coglioni, Mandy. Devo farmi una doccia», gridai spintonandola.
Un sorriso terrificante le apparve sul viso. Sgattaiolai nel bagno e la sentii urlarmi dietro un entusiasta «Lo sapevo che ci saresti andato!», mentre gli sbattevo malamente la porta sul naso.
 
Calciai una lattina di birra abbandonata a terra per evitare di guardarlo mentre mi camminava incontro. Si era cambiato. Dentro di me sperai che avesse dato fuoco a quella cazzo di uniforme.
Mi schiarii la voce quando si fermò a pochi passi da me e mi sorrise.
«Suppongo di doverti dare il benvenuto». Mi piaceva sfotterlo, ma questo Ian non sembrava volermi concedere la benché minima soddisfazione.
Si sedette sugli spalti e io, mio malgrado, mi ritrovai a fare lo stesso.
Accesi una sigaretta e inspirai la nicotina nei polmoni. Forse avrebbe avvelenato così tanto l’aria da sovrastare il profumo del suo dopobarba.
Rimanemmo per un po’ in silenzio a guardare di fronte a noi la distesa di brina luccicare sotto i raggi di luna.
Ian allungò una mano e gli passai automaticamente la sigaretta in un gesto consueto, compiuto dieci, cento, mille altre volte.
Inarcò il collo all’indietro, espirando volute di fumo grigio dalle narici.
«Dicevo sul serio oggi», disse ad un certo punto. «Riguardo al bambino».
Mi morsi un labbro.
In fondo sapevo che Ian diceva la verità. E la cosa peggiore era che io non riuscivo nemmeno a dispiacermene davvero. Forse perché l’avevo ritenuto responsabile, perché l’avevo odiato fin dall’inizio, quando invece la colpa di tutto era mia. E di quel figlio di puttana di Tarry. E di Ian, che mi aveva lasciato solo ad affrontare tutto. Ed ogni sera, quando da un angolo dell’Alibi osservavo Carl Gallagher, ormai sedicenne, gettarsi Frank e i suoi problemi da alcolizzato depresso sulle spalle e riportarlo a casa, mi convincevo sempre di più che fosse stato un bene per lui non essere mai nato.
Mi strinsi nelle spalle e cambiai discorso. «Hai fatto il culo a qualche Fondamentalista Islamico, Gallagher?».
«Non è stato esattamente come me lo aspettavo», commentò caustico spegnendo la sigaretta e schiacciandola sotto il tacco della scarpa.
«Hai intenzione di divorziare?», mi domandò a brucia pelo, tornando a guardarmi.
“E’ solo un fottuto pezzo di carta”.
«Dipende chi me lo sta chiedendo e perché», risposi sostenendo il suo sguardo pesante.
«Te lo sto chiedendo io, Mickey. E il motivo dovresti saperlo».
«L’unica cosa che so è che non sei rimasto».
«Davvero Micky? Sul serio?», gridò allontanandosi un po’ da me. «Hai ancora il coraggio di dirlo dopo tutto questo tempo?».
«No», replicai, il fiato mozzo. «Non sarei qui altrimenti».
Ian tornò a respirare normalmente e a rilassarsi. «Questo è la maniera dei Milkovich di chiedere scusa?».
«Beh», celiai. «Non tutti riescono a buttare fuori come cazzo si sentono ogni minuto».
Lo sentii ridere.
«Ti va un birra?», mi domandò. Acconsentii di buon grado perché tutto quel parlare mi aveva messo sete.
Entrammo all’Alibi che era ormai l’una passata. C’era ancora gente che vegetava intorno al bancone e ci provava con la barista.
«Partita?», offrì Ian agguantando una stecca da biliardo e ordinando due birre a Kevin.
«Prova a battermi, rosso», lo sfidai, scolandomi mezza birra in un colpo solo e asciugandomi la bocca con una mano.
Mi piegai sul tavolo e chiusi un occhio prendendo la mira. Diedi un colpo e mandai la palla dritta nell’angolo. Mi tirai su con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
Prova a battermi.
 
Ci buttarono fuori dall’Alibi alle tre del mattino. La serata contava una partita conclusa a mio favore e due giri di birre offerti da Gallagher.
«E’ stato divertente», commentai soddisfatto.
«Mh», Ian storse la bocca. «Mi sarei divertito di più se avessi vinto».
«Io mi sarei divertito di più se avessimo scopato», azzardai. Gli lanciai un’occhiata di traverso. Non sembrava averla presa male.
«Non c’hai nemmeno provato», mi fece notare con un’alzata di spalle e l’espressione furba che l’aveva sempre caratterizzato.
Scossi la testa e mi avvicinai a lui lasciando ciondolare le braccia.
Mi allungai verso l’alto e attesi perché, dannazione, non mi sarei mai aggrappato a lui per raggiungerlo come una dannata fighetta.
«Potrebbe vederci chiunque. Non ti importa?», mi bloccò con una mano.
Lo guardai negli occhi. Quanto avevo desiderato sentire ancora la sua lingua sulla mia? E con il mio fottuto orgoglio non ne avevo approfittato abbastanza quando ne avevo avuto la possibilità.
“Lui non ha paura di baciarmi”.
«Sì, mi importa». Feci una pausa e deglutii. Mi presi il tempo necessario per stupirmi di quanto la sua pelle fosse pallida anche dopo tutto quel tempo passato in mezzo al deserto. «Ma mi sei mancato».
Lo vidi a malapena accennare un sorriso prima di ritrovarmi le sue labbra premute sulle mie e le sue mani affondate nei capelli. Incontrai la sua lingua a metà strada e qualcosa all’interno del mio petto tremò. Riaprii gli occhi quando si staccò da me con uno schioccò.
Un fischio di approvazione mi scappò di bocca. «Beh, ora che ne dici di scopare, Gallagher?».
Ian rise e io gli mollai una pacca sul culo precedendolo sulla strada. Torsi il collo e lo richiamai: «Allora, Ian? Vuoi un invito scritto, per caso?».
E il lampo di felicità che gli passò negli occhi nel sentirmi pronunciare il suo nome di battesimo finì per contagiare un poco anche me, mentre mi raggiungeva di corsa e mi spingeva via ridendo.



Spazio autrice:
Premetto che è la prima volta che scrivo in questa sezione - dove le FF sono scritte tutte benissimo - e spero di non aver postato proprio una cazzata. Amo Shameless e sono assolutamente e irrimediabilmente ossessionata da Ian e Mickey. E detto fra noi, sto maledicendo Ian in aramaico da quando è finita la terza stagione e continuerò imperterrita finché non si deciderà a riportare le sue belle chiappe a casa :)
Per evitare di impazzire del tutto, ho scritto questa roba che non so se vi è piaciuta o meno, ma va beh, ho dovuto farlo quindi è ok (?).
Fatemi sapere cosa ne pensate, mandatemi al diavolo, fate quello che volete, ma parlatemi, vi prego lol
Intanto vi saluto e ringrazio di aver perso un po' del vostro tempo su questa OS e spero che per voi non sia stata proprio una completa perdita di tempo!
Un bacio,
FarAway_17
 
  
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