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Autore: adler_kudo    29/01/2014    5 recensioni
L'arguzia e l'intuizione di un detective, non sono nulla se accanto non c'è una persona importante che lo ispiri. Se, come nel caso di Shinichi Kudo, la persona accanto è il proprio amore allora il successo dell'indagine è assicurato.
Raccolta di one-shot su alcuni casi scollegati tra di loro che vedono come protagonisti Shinichi e Ran come se fossero Holmes e Watson. Non mancheranno le romanticherie e le battute. Spero vi piaccia.
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un normale viaggio estero

 

Il viaggio in aereo non era stato dei più confortevoli che avessero mai fatto, ma alla fine erano arrivati negli Stati Uniti sani e salvi, a Washington D.C.

Yukiko era stata carina ad invitarli a fare un giro nella capitale che non avevano ancora visto; per di più Shinichi non si era allontanato da Tokyo un secondo da quando l'antidoto era diventato definitivo. Rispetto alla tabella di marcia erano arrivati con due giorni di anticipo per via di un disguido sul biglietto aereo che li aveva costretti a prendere un volo di linea in classe economica su un rottame al posto di una lussuosa business class in un aereo di una compagnia all'avanguardia.

Ran si stava trascinando dietro il pesante bagaglio nel quale aveva stipato ogni sorta di indumento per ogni evenienza e Shinichi stava sbuffando al telefono con il padre che gli comunicava che loro sarebbero arrivati comunque due giorni dopo. Ai due ragazzi non restava che andare in albergo nella speranza che le stanza non fossero occupate e poi darsi alla pazza gioia nella città presidenziale.

 

-Cosa? Tutte occupate?- fece il detective deluso al concierge dell'hotel cinque stelle in cui avevano prenotato.

-Mi spiace, signorino, ma il vostro arrivo era previsto per dopodomani e ci sono altri clienti nelle vostre stanze.- rispose con raffinata cortesia l'uomo in un giapponese impeccabile. Doveva ricevere molti clienti esteri a quanto pareva.

-Accidenti, e noi dove andiamo? Non possiamo certo restare in aeroporto per due giorni.-

Il ragazzo era più rivolto a sé che al signore, ma questi intervenne lo stesso -Se gradite è disponibile una stanza doppia, poi potrete spostarvi.-

-Doppia? Bhè, meglio di niente. Tu che dici, Ran?-

-Per me va bene, mi basta avere un tetto sulla testa.-

-Eccellente, signori, la vostra chiave... stanza 265.-

I due ragazzi si avviarono verso l'ascensore con i soli bagagli a mano, mentre un facchino si occupava del resto. Aprirono la stanza dalla porta dorata nel corridoio rosso damascato con la chiave elettronica che gli era stata fornita ed entrarono in quello che per dimensioni poteva essere perfettamente un miniappartamento. Le pareti crema facevano risaltare il rosso del copriletto al centro della stanza, sulla destra vi era una grande finestra che dava sulla strada sottostante e a sinistra invece la porta di un bagno molto raffinato ed immacolato.

-È meraviglioso!- esclamò Ran appropriandosi della propria parte di letto. Shinichi congedò il facchino con una piccola mancia e si accomodò sulla poltrona di fronte alla finestra.

-Una splendida vista.- commentò soddisfatto con le mani dietro la testa. A onor del vero non stava guardando proprio il panorama di Washington, ma ammirava dallo specchio posto di fianco la karateka che si levava la maglia e ne indossava una più comoda e pulita in rapidità per evitare di farsi vedere. Ridacchiò sottovoce arrossendo leggermente e poi distolse subito lo sguardo venendo catturato dalla linea dritta e marmorea dell'obelisco di fronte al Lincoln Memorial. Poco più distante, anche se non era perfettamente visibile, c'era lo Smithsonian Institute, il museo più grande del mondo e ancora più avanti la biblioteca del Congresso e la Casa Bianca.

Magari ci sarebbero andati anche con i suoi genitori, ma l'indomani gli era venuta voglia di andare in quel museo immenso. Gli dava l'idea di un fascino misterioso al cui richiamo non poteva dire di no. Certo, ci sarebbero state anche alcune opere senza senso come i quadri di arte contemporanea o cose che andavano contro la sua razionalità, ma sentiva che c'era qualcosa che gli sarebbe piaciuto; in fondo era il museo più grande al mondo, no? Qualcosa che fosse di suo gusto doveva pur trovarlo ed era curioso di sapere cosa e poi a Ran di sicuro sarebbe piaciuto vederlo.

-Ehi, Ran.- fece alla ragazza che intanto si era vestita e stesa sul morbido letto di lattice -Ti va di andare allo Smithsonian domani?-

-Intendi il museo? Sul serio? Sì! Che bello! Ma per vederlo tutto dovremmo andare là molto presto e sono esausta per via del fuso orario.-

-Andiamo a letto presto, non temere.- disse Shinichi rendendosi immediatamente conto dell'ambiguità della cosa e si corresse -Cioè... a dormire, insomma, intendevo a letto a dormire, non... cioè non... altro. Quindi...-

La ragazza ridacchiò imbarazzata e lo raggiunse alla finestra proiettando sul pavimento la sua lunga e snella ombra nera. Sorrise controluce certa che il detective non avrebbe potuto notarlo abbagliato com'era dal sole. Era da tanto che non si sentiva così bene, così rilassata. Una lacrima di gioia stava per solcarle il viso, ma fu abile a ricacciarla dentro per non rovinare il momento.

Shinichi la osservava accecato dalla radiosità che emanava; la luce del sole che penetrava formava sulla sua testa come un'aureola d'oro che la rendeva ancora più angelica di quanto non fosse.

-A cosa pensi?- chiese senza distogliere lo sguardo.

-Sono felice.-

Per una volta sembrava tutto perfetto. Tutto era come sarebbe dovuto essere. Però lo sapevano meglio di chiunque altro loro che la perfezione era solo apparenza. E l'apparenza è destinata a lasciare il posto alla realtà.

 

-Siamo dentro finalmente!-

Dopo una coda interminabile, erano riusciti a passare i controlli e tutto ed entrare nel complesso museale più vasto del globo. Per fortuna che la mattina Ran si era ricordata di puntare la sveglia presto e quindi erano arrivati prima delle orde di turisti più grandi evitando grosse perdite di tempo.

Non erano ancora entrati in nessuna delle strutture d'esposizione, erano fermi al centro del giardino sul quale si affacciavano tutte le costruzioni di vari stili ed epoche.

-Dove si va per prima?- domandò Shinichi alla ragazza che reggeva la mappa.

-Direi... alle esposizioni d'arte!-

Il detective cercò di fingere interesse, ma l'arte di quel tipo non la capiva. Sarebbe stato capace chiunque di fare certi quadri eppure erano considerati capolavori.

Pian piano visitarono le varie installazioni di tutte le strutture passando dalla storia naturale alla storia aerospaziale. Si divertirono come dei matti, anche se erano in un museo, commentando le varie opere esposte in totale spensieratezza.

Era ormai quasi ora di pranzo e si stavano recando al bar per uno spuntino quando un uomo con un cappotto grigio dai lembi laterali del colletto tirati su, gli occhiali scuri e un berretto viola scuro, si scontrò con Ran facendola quasi cadere e si dileguò in pochi secondi.

-Tutto bene?- chiese Shinichi cercando l'uomo tra la folla. Non gli piaceva affatto, ciò che aveva fatto sembrava il metodo dei... borseggiatori!

-Ran, guarda nella tasca!-

La ragazza obbedì ed impallidì non appena sentì che il suo cellulare nuovo era scomparso.

-Ho perso il telefono!- gridò continuando a tastarsi freneticamente per vedere se era in altri posti.

-No, te lo ha rubato quel tipo. Ha usato il solito metodo dell'urto per non fartene accorgere.-

-Oh, no! E...- la karateka si interruppe infilando una mano in tasca e trovandoci un biglietto mal piegato di carta sgualcita. Sembrava fosse stato scritto in piedi: la mano era tremolante, la calligrafia frettolosa, la carta recava pieghe come se fosse stato stropicciato più e più volte. Un unica parola in maiuscolo risaltava tra alcune macchie di inchiostro blu notte: HELP.

-Che vuol dire?- chiese Ran spaventata dal quel messaggio. Il detective lo prese tra le mani e lo esaminò attentamente fino a che non concluse la sua ipotesi.

-Non era un borseggiatore. Ti ha rubato il cellulare per un preciso motivo. Era certo che te ne saresti accorta e lo avresti seguito, quell'uomo è in pericolo. Ritiene che se lo troviamo prima noi di chiunque lo stia cercando sarà al sicuro, ma si tiene a debita distanza per non coinvolgerci troppo. Ingegnoso.-

Era chiaro che fosse così. L'urgenza del messaggio traspariva dal modo in cui si presentava e poi si capiva subito che la penna usata era una stilografica. Si vedevano chiaramente le graffiature del pennino troppo spinto e le macchie lasciate per la fretta. Dunque a quell'uomo non interessava minimamente un telefono, quanto più che fosse possibile rintracciarlo. Estrasse il cellulare e compose il numero di Ran attendendo una risposta che non arrivò mai.

-Forse non può rispondere.- suggerì la ragazza.

-Usiamo il GPS allora.-

Attivarono l'applicazione ed ebbero la posizione esatta dell'uomo. Si stava muovendo in velocità di qua e di là per il museo come un topo in gabbia. Forse era più in pericolo di quanto pensassero. Presero a inseguirlo per ogni edificio attirando l'attenzione dei molti visitatori e continuarono a tenerlo d'occhio sul display. Dopo aver corso per quasi metà istituto si fermarono: avevano perso il segnale.

-Deve essersi nascosto da qualche parte schermata.- fece Shinichi guardandosi attorno.

-Guarda il puntino c'è di nuovo!-

Da quello che diceva il segnale, l'uomo si trovava in un punto del museo di arte africana dietro il castello ed era fermo vicino ad uno degli accessi ai sotterranei degli archivi federali. La cosa non prometteva affatto bene e i due ragazzi si affrettarono a raggiungerlo. Il detective capì immediatamente che era troppo tardi dalla folla scossa e mormorante che attorniava l'imboccatura di un corridoio secondario.

-Let me through! (Lasciatemi passare)- gridò Shinichi alla folla e pian piano si spinse attraverso arrivando al corpo morto dell'uomo che stavano cercando. Una pozza di sangue si allargava sotto di lui colando dall'incavo della spalla. Non c'era più nulla da fare, era evidente. L'odore di polvere da sparo si poteva ancora percepire nell'aria chiusa del museo, di sicuro era stato usato il silenziatore perché altrimenti la gente attorno sarebbe stata ancora di più.

-Who saw something? (Chi ha visto qualcosa?)- chiese alla folla, ma non ottenne risposta. Tutti erano stati troppo presi dalla loro visita, ovviamente, per notare un uomo che si aggirava in modo sospetto tra le esposizioni.

-Call the police, please! (Chiamate la polizia, per favore!)-

Intanto le guardie giurate poste ai vari ingressi stavano allontanando la folla e chiudendo l'area per evitare che nessuno uscisse; cercarono di far andar via anche Shinichi, ma questi si oppose fermamente presentandosi come investigatore e attese la polizia che non tardò ad arrivare.

-What's happened? (Che è successo?)- fu la prima cosa che l'ispettore disse vedendo il cadavere e il giovane detective alle prese con l'esame di esso.

Shinichi iniziò a spiegare con un inglese piuttosto scorrevole cosa era accaduto e chiamò vicino a sé Ran che era rimasta in disparte rivolta verso l'uscita senza mai guardare il corpo morto. Le chiese il biglietto con la richiesta d'aiuto e lo consegnò all'ispettore per farlo analizzare e capirci di più. Gli agenti si misero al lavoro iniziando ad effettuare i primi rilevamenti con kit di analisi all'avanguardia e lasciarono in disparte il detective. Shinichi sapeva che sarebbe stato difficile farsi ascoltare con gli americani che già lo consideravano come un dilettante, ma era sicuro che alla fine si sarebbero dovuti ricredere; l'unico intralcio che rimaneva era la lingua, ma fortunatamente uno degli agenti era di origini nipponiche e quindi con qualche difficoltà riuscirono ad intendersi e il ragazzo ottenne il permesso di indagare liberamente.

L'uomo era stato freddato con un colpo di pistola da media distanza, poiché non c'erano troppe tracce di polvere da sparo sui vestiti; il proiettile lo aveva colpito alla base del collo, ne aveva decretato subito la morte lesionandogli sia giugulare che carotide ed era uscito dall'altra parte squarciandogli la gola lateralmente. Shinichi si chinò a terra più in là nel corridoio buio che conduceva alla porta degli archivi federali e iniziò a tastare il pavimento alla ricerca di quello che sapeva gli sarebbe valso un grosso passo avanti nelle indagini. Dopotutto se c'era un foro d'uscita ci doveva pur essere da qualche parte il bossolo del proiettile e se avesse avuto quello con un po' di fortuna sarebbe risalito anche all'arma.

-Cerchi questo?- gli chiese la karateka inginocchiandosi accanto a lui e porgendogli l'ogiva del colpo esploso.

-Dove l'hai trovata?- fece lui incredulo.

-Era poco distante da... insomma... dall'uomo.-

-Anche quella cercavo, ma in realtà... ecco! Trovato il bossolo. Ora abbiamo l'intero proiettile.-

Tornarono alla luce e iniziarono ad esaminarli. Il bossolo era piuttosto deformato e senza un'analisi di laboratorio non sarebbero riusciti a ricavarci molto, ma dall'ogiva Shinichi ebbe un'intuizione.

-Calibro 40 a canna rigata, S&W.- disse soddisfatto.

-Cosa?-

-La pistola che ha sparato è una calibro 40 S&W con canna rigata. Lo si nota delle striature sull'ogiva e dal loro periodo di ripetizione. In più se noti bene qui è leggermente schiacciata, prova inconfutabile dell'uso di un silenziatore.-

Dopo quella spiegazione a Ran non restò che annuire senza aver capito granché e seguire il suo amato detective dall'ispettore mentre i due discutevano in inglese a lei poco chiaro dei rilievi che avevano eseguito. Le sembrava di essere precipitata da un sogno ad un incubo. Fino ad appena mezz'ora prima era la ragazza più felice del mondo in compagnia della persona che amava sopra ogni altra cosa ed in quel momento era diventata solo una tra le tante testimoni di un delitto. Per quanto questo la facesse rattristare però era contenta di essere con Lui; gli era mancato così tanto che anche se fossero stati in capo al mondo e lui non l'avesse minimamente badata la sua sola presenza l'avrebbe resa felice. Ma Shinichi non la vedeva affatto così: per lui era fondamentale la sua presenza. Lo faceva sentire attivo, gli dava la forza di capire da un capello l'intera vita di una persona. Era con lei che lui dava il meglio di sé, con lei che il suo cervello raggiungeva livelli di genialità che solo nei romanzi erano possibili.

La karateka era persa ancora nei suoi pensieri tra il ricordo e l'illusione quando venne scossa per le spalle e riprese coscienza di dove si trovava trovandosi davanti i meravigliosi occhi blu del detective.

-Ehi, Ran? Ci sei?-

-Sì, sì ci... dimmi.-

-Il caso si fa più complicato, mia Watson. Ecco un nuovo tassello.-

Shinichi le sollevò davanti al naso un foglio di carta sgualcito come il precedente, ma più grande. Su di esso vi erano scritti in grafia ordinata una serie di numeri senza nessun apparente senso logico.

213987546

759413826

981675432

436759128

874653912

645873621

349785612

192456783

568294137

427316985

+1

right

Our secret key.

I'm waiting you, detective.

-Che cos'è? Un codice?-

Shinichi annuì, ma non apri bocca; era troppo preso da i suoi ragionamenti per capire la risoluzione. Ogni tentativo che faceva falliva o per mancanza di logica o per non portare da nessuna parte. Rimase a fissare quel pezzo di carta per dieci minuti buoni senza sbattere nemmeno una volta le ciglia; alla fine sbuffò infastidito e si sedette su una delle varie poltroncine bianche messe lì per vedere meglio le opere in mostra. L'assassino si doveva essere impegnato molto stavolta.

-Vedi qualcosa di particolare?- chiese a Ran.

-Numeri in colonna.-

-Colonna?- Shinichi rifletté meglio sulla loro disposizione. Aveva dato per scontato che essendo scritto in inglese il messaggio si leggesse da sinistra a destra così come il codice, ma Ran aveva pensato in giapponese e aveva letto dall'alto in basso; forse era legato a quello la chiave di lettura. Sulle righe quasi nessuno dei numeri si ripeteva, ma sulle colonne sì; forse se avesse eliminato i numeri ripetuti riscrivendo il codice sarebbe riuscito a scoprire cosa era inteso in quel messaggio. Estrasse il suo taccuino dalla tasca e iniziò a ricopiare tutti i numeri cerchiando quelli che si ripetevano sulle colonne bofonchiando qualche cifra in giapponese tra sé e sé che fece ridacchiare gli agenti ancora sul posto. Risultò un altro cifrario più corto del precedente, ma che manteneva lo stesso schema con l'aggiunta di una colonna come era indicato dal +1. Ripeté la medesima operazione ed ottenne una nuova serie di numeri che questa volta lesse incolonnati dopo aver girato il foglio verso destra, come da indicazioni, quindi in riga. Proseguì allo stesso modo fino a che non ottenne una serie di cinque cifre non ripetute: 21986.

La “chiave segreta” di cui si parlava era stata trovata, ma cosa serviva ad aprire? Il detective notò su una porta metallica all'ingresso degli archivi federali un sistema di apertura cifrato che prevedeva un codice a cinque cifre o l'inserimento di tesserino di riconoscimento in caso di emergenza. Ecco cosa apriva: era il codice universale per l'accesso alla federal reserve. Restavano numerose domande aperte che non facevano vedere un barlume di chiarezza in quella scura situazione. La matassa era più ingarbugliata del previsto dato che la scoperta di un codice che sarebbe dovuto rimanere sconosciuto ai più faceva presupporre che nel caso fosse coinvolto anche qualcuno dall'interno, ai piani alti; l'unica cosa che sperava Shinichi era che non fossero troppo alti e quindi non essere immischiato in un'altra faccenda seria, ne aveva già avuto abbastanza in Giappone.

Ripensò al proiettile che avevano trovato. Il calibro di quella pistola era piuttosto comune... tra gli agenti di polizia; se poi si aggiungeva il fatto che la munizione fosse del tipo perfetto per le Glock allora tutto faceva supporre che l'arma fosse la pistola d'ordinanza dell'FBI. Questo non dimostrava certo che il colpevole fosse un agente del Bureau, ma spiegava la conoscenza di particolari riservati. Poco dopo la polizia, che aveva completato i rilievi, sgomberò il campo e fece riaprire l'ala del museo senza tante precauzioni, a parte transennare l'area del delitto, lasciando il giovane detective alle prese con le sue deduzioni.

Shinichi era così immerso nel pensiero che non si accorse neppure di stare camminando e si riscosse solo quando Ran gli porse un panino da fast-food ben imbottito nel bar.

-Non ho fame.- le disse restituendoglielo.

-Devi mangiare qualcosa! Non vorrai digiunare fino a stasera, vero?-

-Mangerò quando avrò qualche elemento in più in mano.-

La karateka si limitò a sospirare e scartò l'involto del suo hamburger addentandolo con gusto nella speranza di fargli venire fame anche se con poco successo.

-Cos'è quello?- chiese ad un certo punto indicando una piccola scritta a penna sulla carta che avvolgeva il panino di lui. Shinichi guardò e dal suo volto nuovamente illuminato si capì immediatamente che era ciò che stava attendendo.

-“This kind of thing wasn't planned, but if you wanna to play, let's play. Then let's test your great deductive skills. First clue to find me: my box fell in the lake.”(Questo tipo di cosa non era previsto, ma se vuoi giocare, giochiamo. Quindi testiamo le tue grandi doti deduttive. Primo indizio per trovarmi: la mia scatola è caduta nel lago.) Si è fatto vivo alla fine. Lo sospettavo.-

-Cosa? Che vuoi dire?- domandò Ran che stava ancora interpretando il messaggio.

-Era ovvio che il primo biglietto non era indirizzato alla polizia, ma a quel pover'uomo. Dovevano avere un incontro e qualcosa è andato storto. Tuttavia il colpevole deve avermi osservato ed avere visto che ho risolto il suo codice senza avere la chiave di lettura completa. La polizia non l'ha ritenuto rilevante, ma si sbagliano. È un indizio fondamentale. Per il momento è l'unico legame certo con il nostro uomo e non dobbiamo perderlo.-

-Ma se ti ha visto risolverlo doveva essere ancora là dentro e doveva avere ancora con sé la pistola. La polizia ha perquisito tutti per precauzione e non hanno trovato nulla.- obiettò Ran poco convinta stavolta della sua spiegazione anche se del tutto certa che fosse esatta.

-Infatti.- Shinichi non disse nient'altro e si chinò su di lei andando con il viso appena dietro i suoi lunghi capelli bruni; iniziò a sfiorale collo e schiena con la mano provocandole dei piccoli brividi fino a che non esclamò soddisfatto -Fatto.- Si ritrasse da lei e le mostrò una microspia che distrusse un secondo dopo con un forte colpo del tacco della scarpa.

La ragazza che per un attimo aveva creduto che ci fosse un altro fine a quel suo gesto si limitò ad emettere un suono tra il deluso e lo sorpreso e sorrise lievemente portandosi in fretta la coca-cola alla bocca per mascherare il suo imbarazzo.

Il detective parve non accorgersene e si gettò sul panino che attendeva di essere mangiato con ritrovato appetito.

-Fortuna che non avevi fame...- commendò sorridendo la karateka.

-Ti ho detto che avrei mangiato quando avrei avuto nuovi elementi.-

Conclusero il pasto in fretta e, solo dopo che entrambi si furono recati alla toilette, ripresero la loro rischiosa caccia all'uomo. Shinichi osservò il testo del messaggio; non gli pareva ci fossero doppi sensi tangibili.

-La mia scatola è caduta nel lago...- tradusse Ran dubbiosa -Direi che forse... la scatola si riferisce ad un indizio, giusto?-

-Sì, giusto. E lago?-

-Lago... in tutto il complesso dello Smithsonian ci sono quattro laghi. Tre artificiali e uno naturale. A quale credi di riferisca?-

Il ragazzo ci pensò su come per valutare ogni possibilità e concluse -Quello davanti al Lincoln Memorial. È più stretto ed è più facile avvicinarsi al bordo per gettare qualcosa.-

Andarono di volata di fronte all'immensa vasca di acqua blu che collegava il monumento al sedicesimo presidente degli Stati Uniti all'obelisco.

Fortunatamente era ora di pranzo e non c'era troppa gente nei dintorni, così Shinichi prese a spogliarsi.

-Che stai facendo?- gli chiese Ran stizzita con una mano sugli occhi totalmente rossa in volto.

-Faccio un tuffo, no?- rispose il ragazzo ormai solo in boxer.

-Non vorrai dire che l'indiziò è in acqua, vero?-

-E invece sì. Sarebbe stato troppo visibile altrimenti. Userò la luce dell'orologio per vederci.- detto questo attivò la torcia al suo polso e si tuffò nell'acqua schizzando una Ran sempre più imbarazzata.

-Esci immediatamente!- gli gridò sottovoce per non farsi sentire dai passanti poco distanti, ma il detective non accennava a voler rimettere la testa fuori il che fece preoccupare molto la ragazza. I secondi passavano lentamente rendendo l'attesa struggente; era rimasto sotto da ormai troppo tempo così la karateka iniziò a togliersi le scarpe per andarlo a cercare, ma d'un tratto sentì uno scroscio d'acqua poco distante. Alzò di scatto il capo e vide il ragazzo issarsi sul bordo della vasca tossendo con una busta impermeabile tra le mani tremanti.

-Ah! È congelata!- sbottò stendendosi al sole per scaldare le membra rese bluastre dal freddo. Ran si rinfilò le scarpe e lo abbracciò dandogli il suo calore.

-Se impazzito? Potevi venire su a respirare! Mi hai fatto prendere un colpo!-

Shinichi ridacchiò come per prenderla in giro per la sua ingenuità -Ma ho respirato, solo che tu eri troppo occupata a fissare lo stesso punto in cui mi ero tuffato per vedere che ero uscito più avanti.-

-Non farlo mai più, idiota!-

Irritata dalla sua immancabile strafottenza e presunzione, la karateka gli strappò l'indizio dalle mani e lo aprì mormorando maledizioni contro di lui e anche contro sè stessa che ancora si ostinava a dargli corda.

-E questo che cos'è?- chiese stranita fissando la serie impronunciabile di lettere sulla carta.

XITFABBPLBPQGWLFBR

good luck and remember your most troublesome alcoholic.

-Da qua. Molto interessante... abbiamo a che fare con uno piuttosto risoluto.- commentò Shinichi con un sorriso beffardo in volto.

-Perché ho quasi l'impressione che trovi tutto questo come un gioco e che tu non stia pensando al fatto che quello che cerchiamo è un criminale che ha appena ucciso una persona?-

-Non sottovaluterei mai un avversario, ma devi ammettere che queste deduzioni sono estremamente stimolanti per il cervello, non trovi anche tu?-

Ran scosse la testa rassegnata e chiese -Che cosa c'è scritto?-

Il detective studiò approfonditamente il foglio. Non poteva certo essere un anagramma perché c'erano troppe lettere simili per formare una qualsiasi parola sensata; pensò, quindi, ai vari cifrari e codici che conosceva e quelli che meglio si adattavano al genere erano due: il cifrario di cesare e il cifrario playfair. Il primo era il più semplice: si trattava di uno schema dove semplicemente si associava ad ogni lettera dell'alfabeto un'altra in modo che risultasse un alfabeto sfalsato, ad esempio A con C, B con D, C con E fino alla fine. In tal caso, però, tale codice era inservibile poiché mancava l'indicazione della lettera dalla quale partire con la sostituzione. Quello che rimaneva era il playfair, un codice piuttosto complesso inventato da un inglese ancora nel lontano ottocento. Consisteva nel formare un quadrato di 5x5 con le lettere dell'alfabeto con uno schema piuttosto particolare fornito da una chiave di lettura data e nel caso di Shinichi questa era suggerita

dalla frase sottostante il codice: “ricorda il tuo alcolico più molesto”. Su questo punto non aveva dubbi; il nome si fece largo nella sua mente come un proiettile: Gin.

Tirò fuori la penna e iniziò a scrivere lo schema di risoluzione.

GINAB

CDEFH

JKLMO

PQRST

UWXYZ

Aveva la fronte corrugata e negli occhi lo sguardo più severo che avesse mai avuto; era il ricordo di quel bastardo che lo faceva reagire in quel modo, la ferita era ancora aperta. Chiunque fosse il criminale che si aggirava per il museo di sicuro sapeva ciò che era successo quella notte e le sue vicissitudini con quell'uomo e quello che era peggio le stava sfruttando a suo favore.

Ci impiegò un po' a decriptare il messaggio; certo se avesse avuto un computer avrebbe fatto prima, ma in assenza d'altro si era “accontentato” della sua geniale mente.

Appena ebbe concluso guardò fiero il risultato del suo operato ed esclamò -Ci siamo! Washington Monument.-

La ragazza, che per tutto il tempo era rimasta imbambolata a scrutarlo di sottecchi, parve risvegliarsi all'improvviso dalle sue fantasie non troppo pure e gli sorrise imbarazzata non avendo seguito il ragionamento.

-Ehi, che hai? Sembri un po' stralunata.- le disse Shinichi schioccandole le dita davanti agli occhi.

-Nulla, nulla. Hai detto... cosa?-

Il detective sospirò e ripeté -Washington Monument, l'obelisco lì davanti a te.-

Ran si avviò a passo deciso per mascherare il suo rossore senza voltarsi e al ragazzo non restò che scuotere la testa divertito e raggiungerla mentre incespicava sul prato.

Arrivati al monumento non fu difficile individuare la busta candida attaccata alla pietra ruvida; la aprirono curiosi del prossimo indizio e vi trovarono un invito ad incontrarsi.

Congratulation, little Holmes. You are more good than I thought, but now it's time to meet us.

3:30 p.m.on the top.

-Congratulazioni, piccolo Holmes. Se più bravo di quanto pensassi, ma ora è tempo di incontrarci.

3:30 post meridium sulla cima.- tradusse istantaneamente Shinichi.

-Che?! Ma è impazzito?- sbottò Ran portando il capo verso l'alto per vedere la punta di quell'imponente monumento -Inoltre,mancano solo dieci minuti all'orario stabilito!-

Il detective si guardò attorno in attesa di un'intuizione; non sarebbe stato possibile raggiungerla in così breve tempo e poi di sicuro c'era un doppio senso. Posò gli occhi sulla figura scura slanciata proiettata a terra della ragazza di fronte a lui.

-L'ombra! Dobbiamo trovare dove finisce l'ombra dell'obelisco.-

Questa però era immensa e si perdeva a vista d'occhio, in dieci minuti era impossibile arrivare al punto preciso, per quanto impossibile non esistesse nel suo dizionario. Improvvisamente a Shinichi venne un'idea. Estrasse il cellulare dalla tasca e iniziò a premere freneticamente i tasti. Grazie al programma che dava la visione di ogni parte del globo ad ogni ora riuscì ad avere il luogo esatto in meno di un secondo e vi corse con Ran al seguito arrivando giusto tre minuti prima dello scadere del tempo.

Erano davanti ad una porta spessa di metallo, dopo di quella iniziavano gli archivi federali americani. Per entrare occorrevano solo le cinque cifre che avevano ricavato dal codice e non vi era nessuna guardia o telecamera di sorveglianza attiva.

Prima di entrare, il giovane detective si rivolse alla karateka prendendole le mani e portandosele alla bocca.

-Tu non puoi venire. Potrebbe essere pericoloso.-

-Se lo è per me, lo è anche per te.-

-No, ascolta. Prendi il mio telefono, contatta la polizia, raccontagli tutto, non provare a seguirmi e non pensare a me.- le disse piazzandole in cellulare tra le mani tremanti.

-Lo chiedi come se fosse facile! È armato e tu no!- Ormai Ran stava piangendo. Ogni volta doveva sempre finire in quel modo; con lui che se ne andava per fare l'eroe e tornava con qualche buco in più del previsto e lei in lacrime in preda al terrore di perderlo.

-Fa come ti ho detto. Andrà tutto bene.-

-Lo dici sempre, ma non va sempre tutto bene!-

-Ssh, lo sai che sto male quando piangi.- sussurrò al suo orecchio Shinichi mentre l'abbracciava.

-Vai al diavolo!- rispose lei con voce spezzata abbandonandosi a lui.

Il detective premette le labbra sulle sue umide e salate e si sciolse dalla stretta dicendole per farla sorridere -Mi raccomando, stasera andiamo a cena in un bel ristorante pensa a metterti qualcosa di carino.-

La karateka non fece in tempo a rispondere che lui aveva già digitato il codice ed era già sparito dietro la porta. Non le restava che fare come le era stato richiesto con la ferma convinzione che non fosse giusto. Dopo aver eseguito il suo compito si sedette sulla panchina di fronte alla porta dietro alla quale il suo Holmes era sparito ed attese prendendo a mordicchiarsi le unghie nervosamente. Come se la stava cavando il giovane là sotto era un mistero, ma sperava e pregava che stesse bene.

 

Shinichi era sceso in rapidità lungo le scale ed ora si trovava al primo seminterrato della federal reserve. La zona era labirintica e tutte le porte sembravano uguali non dando segni per orientarsi; le uniche indicazioni erano i numeri dei piani e come raggiungerli poste di tanto in tanto lungo il corridoio. Nell'ambiente bianco spiccò subito all'occhio indagatore del detective una scritta nera su una piastrella al centro che recitava follow me.

“Seguimi?” pensò il ragazzo guardandosi attorno alla ricerca di una qualche freccia senza successo. Ad un tratto sentì un ticchettio poco distante, si girò per cercarne la provenienza e notò un piccolo contaminuti rotondo che rotolava per il pavimento entrando in un corridoio secondario. Shinichi lo inseguì stranito per quella trovata a dir poco insulsa e raggiunse il bel mezzo degli archivi tra vecchi reperti e cimeli fuori esposizione. Il contaminuti sparì dietro una grossa cassa di legno, con sopra dei documenti dall'aria riservata, dalla quale si sentì successivamente una suadente voce rauca.

-Little Holmes, how many time! (Piccolo Holmes, quanto tempo!)-

Da lì dietro apparve un uomo alto e muscoloso, vestito con un completo giacca nera e cravatta rossa, aveva in volto un ghigno ironico e fumava una sigaretta con disinvoltura, mentre l'altra mano la teneva sopra il rigonfiamento della pistola dentro la giacca.

-You remember me, don't you? (Ti ricordi di me, non è vero?)-

Shinichi ebbe un sussulto. Vagò tra i ricordi della sua mente fino ad arrivare alla sera fatidica dello scontro con l'organizzazione; tra i membri dell'FBI che avevano collaborato ne ricordava uno identico a lui e ora che ci pensava uno che somigliava moltissimo alla vittima.

-Yes, of course. It wasn't to much time ago. (Sì, certo. Non è stato troppo tempo fa.)-

-Possiamo parlare anche in giapponese.- suggerì l'uomo con accento americano fin troppo evidente finendo di inspirare il fumo della sua sigaretta -Ti ho riconosciuto subito quando quel Connerl ha lasciato il biglietto in tasca alla tua amichetta. Anche lui c'era quella sera... gli deve essere sembrata una fortuna immane trovarti quando era sul punto di morire. Per questo ovviamente ti ha contattato, a suo modo. Ha fatto il furbo: sapeva che se anche l'avessi ucciso tu saresti stato in grado di fermarmi, ma ha fatto male i suoi conti. L'ho liquidato in fretta e ho disseminato la zona di stupidi giochetti per farti perdere tempo, certo che li avresti risolti per il tuo smisurato ego, e così ho potuto predisporre quella che sarà la tua fine.-

Il giovane detective rise beffardo e iniziò -Abel Connerl... avrei dovuto ricordarmi subito di lui... come anche di te, Artie Scott. Avevo capito che l'assassino era un agente dalla pistola. Probabilmente non avevi previsto di liquidarlo qui così non ti eri preparato un piano di riserva; speravi che accettasse la tua offerta di collaborare al tradimento del tuo paese senza discutere, ma hai dovuto eliminarlo. E così hai preparato tutto quanto perché sapevi che io sarei arrivato al tuo losco piano di doppiogioco, come si deduce da quei documenti top-secret sulla cassa, e ti avrei fatto arrestare.-

-Abel ha scelto un'ottima pedina, devo ammetterlo, ma purtroppo sarà l'ultima volta che sentiremo parlare di Shinichi Kudo. Niente di personale, sono solo affari. Non posso permettere che un moccioso ficcanaso se ne vada in giro conoscendo i miei traffici illeciti... e nemmeno la sua deliziosa amica.-

L'agente traditore premette un pulsante su un telecomando ed attivò uno schermo dal quale si vedeva la telecamera di sorveglianza in giardino riprendere Ran seduta preoccupata sulla panchina.

-Cosa vuoi da lei?- sbottò Shinichi con durezza, non poteva tollerare che toccassero la sua Ran. La ragazza fissava il vuoto persa e si mordicchiava di tanto in tanto le unghie per il nervosismo dell'attesa; sotto di lei era inquadrata una scatolina nera con un paio di luci pulsanti rosse: una bomba.

-Farà la tua stessa fine, ecco cosa. Pensavo ci fossi arrivato... in qualità di agente dell'FBI ho certi privilegi e mi sono infiltrato con dei codici nel sistema di sorveglianza rendendolo mio. Ho visto ogni tua mossa, ogni tuo ragionamento, persino quel patetico saluto alla dolce Ran. Aveva ragione non avresti dovuto venire qui da solo.-

-Non ti permetto di nominarla! Comunque suppongo che quindi in realtà nessuna delle due volte lei abbia davvero chiamato la polizia, sei stato tu a controllare tutto.-

-Sì, ho intercettato entrambe le chiamate. Dopo la prima ho fatto espressamente intervenire una squadra di agenti buoni a nulla onde evitare problemi e la seconda... bé, diciamo che non è mai arrivata a destinazione. Povero ingenuo... ti facevo più furbo. Lo eri sembrato molto di più quella volta.-

Shinichi ridacchiò e proseguì -Immagino che a quel telecomando ci sia collegato anche un dispositivo per fare saltare in aria la bomba sotto la panchina e questa che è ai miei piedi.-

-Indovinato, Holmes. E ora, hai un ultimo desiderio?-

Il detective rise più forte e poi guardò l'uomo con decisione -Mi credi così sprovveduto? Potete procedere!-

All'improvviso da vari punti del sotterraneo apparvero agenti dell'FBI ben conosciuti che misero sotto tiro il malvivente circondandolo in una morsa pronta a stringersi per finirlo.

-Ottimo lavoro, cool guy!- esclamò Jodie battendo le mani in segno di approvazione mentre scendeva le scale lentamente.

L'uomo ormai in trappola lasciò cadere le mani lungo i fianchi -Sei un bravo attore, Kudo Shinichi.-

-Sapevo tutto, sapevo di essere controllato e così ho fatto un paio di telefonate da un cellulare di scorta non tracciabile all'FBI ancora a pranzo e ho nascosto una cimice tra i vestiti così non solo ti hanno trovato, ma hanno avuto pure la confessione dei tuoi crimini in diretta. Ero certo che pur di completare la tua opera avresti giocato il tutto e per tutto tentando di uccidere chiunque tentasse di ostacolarti.- spiegò Shinichi con semplicità, ma estremamente soddisfatto del suo operato.

Uscirono all'aria aperta di nuovo accolti dalla fresca brezza della costa dell'atlantico. Il detective scrutò vittorioso l'uomo che però sorrise ironicamente e prese a parlare con estrema calma.

-Sai, ero sicuro che non ti sarei sfuggito, giovane Holmes. Purtroppo devi sapere una cosa: tu e tutti voi altri tendete a fidarvi troppo.-

Artie Scott riuscì a dimenarsi a sufficienza per liberare una mano ad arrivare al telecomando che non gli era stato ancora sequestrato. Bastò un nanosecondo ed il suono robotico del pulsante riecheggiò nella testa di tutti i presenti. Shinichi rivolse immediatamente la testa verso Ran appena alzatasi dalla panchina e le urlò di togliersi da lì prendendo a correre verso di lei. Arrivò giusto quando partì l'esplosione e si gettò sulla ragazza scartando di lato per proteggerla. Sentì pezzi duri e metallici roteargli attorno mentre il rombo e il calore prodotto si affievolivano man mano alle sue spalle. Da distante si sentivano già le sirene avvicinarsi e un vociferare concitato giunse alle loro orecchie.

-Cool guy! Stai bene?-

Il detective non rispose, si sollevò da terra e tirò su anche Ran che non aveva ancora realizzato appieno la cosa.

-Tutto apposto?- chiese alla karateka scuotendola per le spalle.

-Io... sì, credo di sì... io... cos'è successo?- riuscì a formulare alla fine.

-Te lo spiego dopo. Sei ferita? Stai bene?-

Ran era ancora spaesata, stava tremando con in mente il tuono che aveva squarciato la tranquillità poco prima, così allungò le braccia senza riflettere e abbracciò Shinichi chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dal battito del suo cuore. Il ragazzo non rispose subito al gesto, circondato com'era da agenti e curiosi, ma poi alzò timidamente una mano e la posò sulla sua testa accarezzandola.

-Va tutto bene.- le sussurrò.

Quello che successe poi fu un turbine di eventi che si conclusero solo varie ore dopo. I due ragazzi stavano camminando finalmente liberi per le strade di Washington dopo una visita medica, una deposizione totalmente in lingua inglese e una in giapponese, svariate interviste da parte di televisioni locali e globali e i ringraziamenti del capo dell'FBI in persona, sarebbe solo mancato l'arrivo del presidente degli Stati Uniti che fortunatamente non si trovava alla Casa Bianca in quel momento o sarebbero dovuti rimanere ancora là a lungo tartassati da servizi segreti e telecamere.

 

Una volta nella loro stanza si gettarono entrambi sul letto esausti; correre su e giù per il museo più grande del mondo non era certo riposante.

-Allora, sei contento, Holmes? Sei diventato una celebrità anche in America.- gli disse la karateka per schernirlo.

-Che ci posso fare se sono irresistibilmente bello e geniale ovunque, mia dolce Watson?-

Risero e coricati ognuno sul proprio lato a braccia aperte, lasciarono scorrere le mani sul copriletto vellutato per farle unire. Non appena le loro dita si sfiorarono, il tocco fu così piacevole da infondere in loro una tale sensazione di sicurezza che li fece addormentare all'istante sopra le coperte, ancora vestiti, a pancia in giù sul morbido materasso in lattice. Il cielo fuori si era ormai fatto scuro e la luna sorrideva tra le stelle illuminando le loro mani congiunte, che lo sarebbero rimaste per sempre.


Angolo autrice:
Buongiorno a tutti! 
Inizialmente questa storia doveva essere un'altra, questa doveva essere dopo, ma fa lo stesso.
è un "after" l'ipotetico scontro finale con l'organizzazione che sto pensando di scrivere.
In ogni caso spero vi sia piaciuta e che non faccia troppo schifo...
Baci Baci! =)

  
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