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Autore: bimbarossa    29/01/2014    1 recensioni
Questa storia è arrivata seconda al contest Neve rossa (there is only one truth-Detective Conan).
Shiho e Gin. Nemici implacabili, che condividono un passato misterioso e senza sconti per nessuno. Nemmeno per Akemi, la sorella di Shiho, un fantasma che getta un'ombra su entrambi, un'ombra più cupa dell'organizzazione stessa. Perché si può perdonare un criminale, si può amare un criminale, ma l'assassinio di tua sorella è un tradimento insuperabile, sia per Shiho che ne è vittima, sia per Gin, che quel grilletto lo ha premuto.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Gin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buchi bianchi.

Le tue orme sulla neve sembrano buchi bianchi.

Buchi bianchi simili a quelli che molto probabilmente, secondo le nuove teorie astrofisiche, costellano l'universo più lontano, più lontano nello spazio e nel tempo, e che sono l'antitesi dei buchi neri, luoghi in cui tutto viene fuori, viene sputato fuori in una luce talmente accecante da essere bianca, luminosa come quella che le persone in coma vedono alla fine del tunnel, quel tunnel nero e scuro in cui tutti voi, tutti noi, eravamo e siamo invischiati dal momento in cui siamo entrati in quella maledetta organizzazione.

Me lo ricordo come adesso, il giorno che sono tornata dall'America dove studiavo, il giorno in cui tu e Vodka siete venuti a prendermi mentre facevo di tutto per non pensare ai miei genitori, morti in quel modo senza un perché e un motivo apparente.

Quel giorno tu mi regalasti un abito nero, il contratto che non seppi di stipulare fino a quando non lo recisi, al cimitero di Yamate coperto dalla neve di gennaio, quando tu mi dicesti tra quelle tombe che sovrastano morti anonimi e stranieri che mia sorella era una di loro, che Akemi ormai era anonima, per te che non ricordi neanche un volto di quelli che uccidi, e per me che non l'avrei mai più potuta rivedere.

Ma ti sbagliasti Gin. Ti sbagliasti, perché Akemi-chan non è stata dimenticata, il suo volto un attimo dopo i colpi della tua pistola è impresso a fuoco nella mia super mente così preziosa per voi.

E non posso dimenticare. E non posso ricordare.

Poiché l'odio che provo per te non può impedirmi di amarti, non può impedirmi di ricordare quella vacanza all'Isola della Sirena.

Te la ricordi, vero Gin?

È stata una delle poche occasioni in cui sono stata felice pur sapendo che c'era qualcosa che non andava con gli esperimenti sull'apotoxina; mi sono goduta quella vacanza anche se c'era la costante presenza di Vodka; il ricordo del mare e del festival della sirena è ancora dentro di me pur sapendo che Conan sa tutto, che sa di me e di te, che sa di noi e di quello che c'era e che di quello che rimane e permane.

Quando è tornato dall'isola in cui Hattori-kun lo aveva portato, dal suo sguardo ho capito, molto prima di vedere la brochure del festival del Dugongo che ho trovato trafficando di nascosto nel suo zaino.

Conoscendolo, sicuramente per investigare sul caso avrà dato un'occhiata ai registri degli anni passati, e sicuramente avrà notato il mio nome, il mio nome vero che non uso più da secoli, insieme al tuo pseudonimo e a quello di Vodka, Saborou Ousuka.

Non so cosa ne pensi, e nemmeno me ne importa poi molto.

So cosa pensa però Yukiko-san, ed è proprio fuori strada. Sarà anche dotata di quell'empatia che devono avere gli attori, ma non ci ha capito niente.

Ai Haibara vuole molto bene a Conan Edogawa. Ma Shiho Miyano non amerà mai Shinichi Kudo.

È impensabile. E impossibile. Sfortunatamente.

Amare Shinichi-san, pur sapendo che non potrà mai ricambiarmi sarebbe infinitamente più facile che amare la persona che odio di più al mondo.

È pazzesco, lo so benissimo, ma la mia anima non può districarsi da quell'amore che provo per te, così come non può liberarsi dal risentimento, e dalla rabbia gelida che macchia tutto, come delle impronte sulla neve che sono lì, testimoni di qualcosa, di qualcuno dannatamente presente, ma che se ne è andato, magari dopo averti pugnalato alle spalle. O averti detto che aveva appena ammazzato tua sorella.

Mi domando se sapevi che sarebbe finita così, quando mi hai dato quel vestito nero la prima volta che ci siamo incontrati, il dono più orribile e romantico che potessi farmi.

Mi domando se la mia piccola Akemi-chan, mentre vedeva nei tuoi occhi verdi la sua morte, sapesse che io poche sere prima mi ci ero specchiata dentro quelle iridi, mentre facevamo l'amore e tu mi dicevi che avremmo conquistato il mondo.

No, non c'è perdono per quello che mi hai fatto, che ci hai fatto.

Hai rovinato tutto, hai rovinato la parte di me che nonostante quel mare nero che ci sommergeva e ci sommerge era pronta a germogliare e voltarsi alla vita.

Così, se non posso smettere di amarti, posso almeno trascurare quel sentimento fino a farlo marcire, in attesa di trovare una sostanza, una formula che mi permetta di distruggerlo per sempre, mentre l'odio lo coltivo, lo curo, lo abbraccio così come avrei voluto abbracciare la mia piccola, dolce, allegra Akemi-chan, che se ne è andata alla luce del tramonto, con solo il volto di Conan e i corvi a consolarla.

Oscurità. Tu ora sei solo oscurità, e quelle orme adesso sono niente di più che neve sporca, i piedi di fango di un idolo, di una chimera che era il nostro futuro impossibile.

Che sono il simbolo del nostro presente macchiato, marcio, lo stesso odore nauseabondo che sento quando nei paraggi c'è un membro dell'organizzazione.

Eppure questa capacità di sentire la miseria umana sta svanendo, insieme alle tracce di te su di me, dentro di me.

E non so se sia una dannazione oppure l'uscita da quel tunnel. Verso la luce.


Sei sempre stata la mia dannazione, Shiho. Una benedetta dannazione.

Ti sento dentro di me, ad ogni respiro, ad ogni boccata di sigaretta, ad ogni colpo mortale di pistola che infliggo.

Anche adesso, con l'ultima mia vittima di cui sto già dimenticando i connotati facciali, anche adesso che sono al cimitero di Yamate coperto dalla neve di gennaio, proprio qui in cui ho, in cui abbiamo sotterrato quello che avevamo, le impronte dell'uomo, vicine le une alle altre nella sua corsa trafelata verso un'impossibile salvezza, sono accostate alle mie, calme, inesorabile, bianche e immacolate come quelle di un dio invincibile, impietoso, e mi ricordano i tuoi occhi, azzurri e altrettanto gelidi come quelli di un ghiacciaio, mentre ti dicevo quello che avevo fatto, formando una breccia, una voragine della tua corazza di donna introversa, forte, sensibile, coraggiosa.

Solo tu sei riuscita a fare una breccia nel mio di scudo, tu, con i tuoi capelli così strani, così morbidi, così lucidi.

Ci ho passato le mani che hanno impugnato pistole, coltelli, siringhe letali, in quella massa tra il castano-rossiccio e il biondo scuro, mentre il rumore del mare infrangeva la sabbia e i rumori del festival del Dugongo che rendevano tutto più reale, lontano dall'atmosfera nera che ci circonda; rendevano tutto più irreale, lontano dalla vita che ho sempre vissuto, e che desidero vivere fino alla fine dei miei giorni.

Un vita che mi ha costretto a spararti, mia preziosa Sherry, anche se sapevo di non averti lesionato nessun organo vitale; una vita che mi ha costretto a fare a meno di te anche se il mio unico obbiettivo e riaverti, dovessi metterci tutta l'esistenza e nonostante tu mi odi così profondamente da sentire questo rancore anche qui, dentro la mia Porsche nera, seppure io non sappia minimamente dove tu ti nasconda.

Forse dovrei seguirlo, questo odio, per farmi condurre da te, abbandonarmi ad esso e diventare ancora più spietato, oltrepassare quella linea di demarcazione rosso sangue, quell'impronta sulla neve sporca e ferrigna che è il volto di tua sorella.

Akemi. Che tu sia dannata! Tu e Shuichi Akai!

È tutta colpa sua, sua e di quel maledetto collega dell'FBI che lo ha smascherato. Un giorno la pagherà anche Andre Camel, e tutti quelli della sua risma.

Per colpa loro ho dovuto compiere quello per cui sono stato addestrato, ho dovuto compiere il mestiere che amo, che amo più di te evidentemente.

Ti ricordi quando eravamo io e te, Akemi e Dai Moroboshi? Dio, sembrava quasi che fossimo due coppie che se la godevano, la vita dei cosiddetti normali, e io potevo smettere di fumare, potevo smettere di dimenticare volti.

Ora il volto di Akemi è solo una macchia sfuocata, mentre il tuo è sempre davanti ai miei occhi.

La maledizione, o benedizione in fondo ad un tunnel che mi permette di sopravvivere in questo mondo che mi sono scelto e che mi ha scelto, ha colpito ancora, e io posso continuare a togliere vite, vivendo la mia e rinunciando ad una nostra, in un futuro che sull'Isola della Sirena sembrava a portata di mano per Shiho Miyano e Gin Kurosawa.

Di quell'illusione, di quel miraggio in mezzo al deserto mi sono rimasti solo i tuoi capelli, quelli che ho raccolto al Beika City Hotel.

Due fili che qualche volta, mentre aspetto che le facce dei morti ammazzati si annebbino nella mia testa, mi arrotolo intorno al dito nella speranza che un giorno io possa dimenticarti, che possa smettere di riconoscerti solo da quel colore inconfondibile, che possa finalmente ucciderti.

Perché sono sicuro che solo dopo aver dimenticato il tuo volto riuscirò ad eliminarti, cosicché quando il tuo sangue riempirà le scanalature delle mie orme potrò ricordarti per sempre.

Una maledizione inversa che diventa un premio, una grazia, un dono ancora più prezioso di quello mortale che ho adesso.

E un giorno avverrà, amore mio, mia piccola Shiho-chan dai capelli splendenti.

Il fumo della sigaretta appanna la mia vista, mentre le luci di Tokyo oscurano per un attimo le vibrazioni del tuo odio che ronzano intorno a me.

E la neve risplende, senza orme che la buchino e la rovinino. Intatta nella sua purezza.

Nella purezza del Bene. Nella purezza del Male.

Due giganti al cui confronto tu ed io, e l'organizzazione stessa, siamo solo dei burattini, e per quanto ci si creda o ci si sforzi sono inconciliabili, eterni nemici, destinati a schiacciarsi a vicenda.

  
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