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Autore: Slowly    29/01/2014    0 recensioni
Lei voleva vivere una vita ma, sua madre gliene aveva costruita un'altra, lei voleva essere se stessa ma sua mamma le aveva imposto d'essere il modello standard che lei aveva in mente per sua figlia.
A scuola, in quella tanto odiata scuola, c'era il suo ex e d'un tratto fece poi la sua comparsa un "lui" che tra odio ed arroganza lasciò un profondo segno. L'amore e la passione si scontreranno in un'esplosione che non dimenticherà ed il suo cuore e la sua mente s'imbratteranno d'indecisione più che mai.
Arriverà il momento in cui capirà ogni cosa, ma sarà forse troppo tardi...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Una cornice azzurro cielo decorava lo specchio in cui, stavo attentamente osservando il mio riflesso. Avevo i capelli rosso mogano e lisci come la seta che, toccavano appena le spalle. I miei grandi occhi color ambra erano risoluti a scovare qualsiasi piccola imperfezione si presentasse sull'immagine del mio volto e continuavo ad osservarmi esclusivamente per temporeggiare, quel giorno non ero dell'umore adatto per andare a scuola.

-Febe! Sei ancora di sopra? Muoviti ch'è tardi!

-Si mamma- risposi con tono sconsolato. Non avevo certamente possibilità contro l'irremovibile opinione di mia madre sui giorni sabbatici. Lei era una grande amante dello studio, della scuola, della letteratura. Per questo mi chiamavo Febe, come la dea della luna, sorella di Apollo. Andavo al terzo anno del liceo classico e nonostante i miei voti fossero ottimi, le pressioni della mamma non cessavano mai. Distolsi lo sguardo dallo specchio e di tutta fretta infilai i libri nello zaino, precipitandomi al piano di sotto.

-Niente colazione, hai fatto troppo tardi oggi. Ti prenderò qualcosa per strada.

-Non preoccuparti, non ho fame.- corrugò la fronte in segno di disapprovazione e prendendo le chiavi della macchina si diresse verso la porta. La seguii a ruota e con poca voglia di inoltrarmi in un nuovo giorno di scuola salii sopra la sua nissan qashqai bianca. Durante ogni minuto del tragitto, la mia mente vagava sognando che quella giornata scolastica si fosse già svolta al termine e proprio mentre ero assorta nei miei pensieri la mamma frenò bruscamente facendomi avanzare e poi sbattere nuovamente sul sedile della macchina. -Siamo arrivate, buona giornata.- aveva un sorriso smagliante e l'aria compiaciuta.

-Sì, anche a te.- replicai con disinteresse. Scesi dalla macchina e a passo spedito mi catapultai all'interno della scuola, nell'atrio, per evitare l'ordinaria calca mattutina dei ragazzi. Corsi in direzione della mia classe ma prima di arrivarvici scivolai sul pavimento del corridoio ancora deserto ed il mio zaino slittò ai piedi di qualcuno, spostai il mio sguardo dal basso verso l'alto e intanto che mi ritrovavo ancora a pancia in giù vidi un ragazzo imponente, alto e col grembiule celeste dei bidelli. Aveva i capelli castani e gli occhi neri come la pece.

-Scusami, sono scivolata- ammisi dispiaciuta cercando di mascherare l'imbarazzo.

-Sta più attenta! Il pavimento era bagnato!- affermò con tono arrogante e stizzito. Senza nemmeno darmi il tempo di alzarmi diede un violento calcio alla mia cartella scaraventandomela contro il viso ed io istintivamente cercai di frenarla con le mani.

-Ma come fai ad essere così arrogante? Non l'ho mica fatto apposta. Sono caduta accidentalmente.

-Levati di torno che per colpa tua devo ricominciare da capo- aveva uno sguardo serio ed autoritario ma non capivo comunque perché fosse così prepotente. Ad ogni modo mi tirai su, raccolsi le mie cose e presi posto all'interno dell'aula. Aspettai per circa tre minuti e dopo di ciò, la classe venne inondata dai miei compagni di studi che, arrivarono contemporaneamente come uno stormo d'uccelli. Fra la confusione scorsi anche il volto di Adele. Aveva lunghi capelli lisci e castani come i suoi occhi, era alta, magra e bellissima.

-Perché oggi non sei rimasta un po' fuori, prima dell'entrata?- chiese spostando la sedia dal banco, mentre disponeva il suo cappotto sull'attaccapanni alle nostre spalle.

-Mi dava fastidio la confusione- mentii spudoratamente e lei lo sapeva, non per nulla era la mia migliore amica.

-Chi stai cercando di prendere in giro? E' per Enea, lo so già- scrutò il mio viso in cerca di qualche reazione che potesse confermarle la sua teoria.

-Ormai è storia passata, non ci penso più.

-Non dire frottole. Non scordare la chiamata in piena notte di due giorni fa. Hai pianto al cellulare per più di mezz'ora.

-Qualche volta può capitare un momento di nostalgia- non era vero, i momenti di nostalgia che avevo pensando ad Enea si presentavano molto più di qualche volta. Senza che Adele avesse il tempo di replicare entrò per la gioia generale il professore Buzzelli di greco.

-Feb, hai fatto la versione? Sono nei guai, ieri sera non ho potuto.

-Signorina Ferrante- disse il prof -Se ha qualcosa da dire, la comunichi alla classe e, già che c'è, che ne dice di deliziarci della sua presenza alla lavagna?- Adele si passò la mano sulla faccia in segno di disperazione e sconsolata obbedì.

-Da qui alla lavagna sarà la mia camminata verso il patibolo,- sussurrava -augurami buona fortuna.

Le sorrisi e la incoraggiai e non appena il prof tentò di cominciare la lezione, fu interrotto da qualcuno che bussò alla porta.

-Salve prof, potrebbe uscire un solo momento Sandri?

-Torsi, cosa vuoi da Febe? Stiamo facendo lezione- rispose spazientito.

-E' una cosa importante, giuro che non le rubo troppo tempo.

-Celeri per favore- disse arrendevole. Adele mi rivolse uno sguardo che era una combinazione tra stupore e contentezza e quello suo stesso stupore percorse la mia schiena tramutandosi in brividi al pensiero che Enea volesse parlarmi. Mi alzai dalla sedia cercando di dileguarmi velocemente, sotto lo sguardo attento di tutti i miei compagni.

-Dobbiamo parlare- Aveva i capelli ricci neri arruffati e gli occhi color smeraldo. Era alto, muscoloso, affascinante.

-Cosa vuoi? Mi è già bastato quello che m'hai detto 15 giorni fa.

-Feb, ero ubriaco - Sembrava dispiaciuto ed i suoi occhi cercavano i miei.

-Si dice che in vino veritas - risposi tentando di evitare un contatto visivo perché sapevo che se mi avesse guardata ci sarei ricaduta.

-Dai Febe, sul serio. Non puoi troncare tutto per una cosa del genere.

-La chiami una cosa del genere? Mi hai lasciata per cellulare, dicendo che non ero degna di te e che avresti dovuto stare con la ragazza che avevi appena visto per strada! Tu sei pazzo - era una cosa irrazionale, lui era irrazionale. Quella discussione mi aveva già procurato abbastanza dolore, non volevo riparlarne, non volevo ricominciare a piangere.

-Devo tornare in classe - feci per andarmene ma, lui mi prese per il braccio e mi tirò a se, poi indietreggiò e guardandomi negli occhi mi spinse dolcemente contro il muro. Avevo già capito di essere in trappola ma nonostante questo, la mia mente cercava comunque alla rinfusa un metodo per divincolarmi. Lentamente lo spazio che ci divideva diminuiva ed i suoi occhi, la sua bocca e il suo profumo si facevano ogni secondo più vicini.

-Feb,- mi sussurrò con la bocca vicina al viso -sei mia. Lo sai.- il suo alito nelle orecchie mi fece venire i brividi e proprio mentre stavo pensando di lasciarmi andare, il professore aprì nervosamente la porta della classe e io ed Enea ci staccammo di colpo l'una dall'altro.

-Sandri! Immediatamente in classe!- Il prof lanciò un'occhiata di fuoco ad Enea che a sua volta mi guardò con un sorriso malizioso, mi accarezzò il volto con due dita e andò via. Ripresi posto e quando Adele finì l'interrogazione non fece altro che chiedermi cosa fosse successo qualche attimo prima innervosendosi però, difronte ai miei silenzi.

-Ma che diavolo hai? Potresti anche rispondermi!

-E' successo un guaio- dissi più a me stessa che a lei, con lo sguardo perso nel vuoto.

-Mi devo preoccupare?

-Mi sa che avevi ragione tu, sono ancora intrappolata - Mi rimproverò con gli occhi per averle fatto credere che fosse accaduto qualcosa di davvero grave e disse: -L'hai sempre saputo Feb, magari è giusto così. Magari siete destinati a stare insieme per sempre - Mi voltai verso di lei adirata. -Ma io non voglio soffrire per sempre!- In quel momento capii che era solo quello Enea per me, sofferenza. Sin dall'inizio non aveva fatto altro che prendermi in giro ed io non ero più disposta a fare lo zerbino che passava sopra ogni cosa. -A ricreazione gli parlo e chiudo la cosa una volta per tutte - dissi con voce traballante. -Sappiamo entrambe che non lo farai, non potete fare a meno l'una dell'altro. Accettalo, è una cosa bella - ciò che affermava Adele solo in parte si rivelava vero, ero solo io a non poter fare a meno di lui e non era affatto una cosa bella. Aspettai le restanti ore prima della ricreazione con un po' di nervosismo e impazienza. Fantasticavo come sempre ed ebbi un piccolo balzo quando la campanella strimpellò. Era arrivato il momento. L'agitazione e l'adrenalina si fecero largo e con passo lento e indeciso mi avviai alla ricerca del colpevole.

-Mi cercavi amore?

-Amore?- ripetei con tono sarcastico, chiamarmi in quel modo era un eufemismo.

-Non abbiamo fatto pace?- chiese sinceramente confuso.

-No, al contrario, penso che dovremmo smetterla di prenderci in giro anzi, tu dovresti smetterla di prendermi in giro - ebbi la sorprendente forza di ammettere. Aveva l'aria spaesata e portandosi la mano destra alla nuca per poi grattarsi, disse: -Ma non hai capito proprio niente tu! Perché continui a cercare scuse per lasciarmi? Se non mi vuoi basta dirlo, non cercare patetici pretesti - sembrava che nei suoi occhi ci fosse rabbia accompagnata da una punta di inaspettata tristezza.

-Io non cerco nessun pretesto per lasciarti, sei tu che l'hai già fatto, 15 giorni fa.

-Ti ho chiesto scusa per questo. Non puoi rinfacciarmelo per tutta la vita. Stai enfatizzando tutto l'accaduto, sei l'esagerazione.

-Smettila di parlare. I tuoi discorsi mi danno i nervi - dissi con tutta l'irritazione che avevo in corpo.- lui però non sembrò curarsene e con uno scatto mi afferrò impetuosamente la mascella.

-Mi fai male- dichiarai con lo sguardo storto e i denti stretti. Sorrise furbamente e lasciò la presa posizionando le braccia tese al muro, che si trovava alle mie spalle.

-Smettila di fare così, stai solo allungando i tempi. Lo sai tu e lo so io che non possiamo stare lontani - il suo tono di voce dichiarava quanto fosse vergognosamente sicuro di sé. Non sapevo come tirarmi fuori da quella situazione e la prima cosa che mi venne in mente, fu quella di urlare aiuto come se fossi caduta nella fauci di uno stupratore. Lo feci e fra la confusione delle persone che non diede peso alle mie grida passò il ragazzo arrogante di quella mattina che sorprendentemente mi soccorse. Prese Enea per la parte posteriore della maglia e lo scaraventò contro il muro difronte.

-Ma che cosa volevi fare?- chiese con sguardo saturo d'indignazione e cattiveria, con le vene che gli pulsavano nelle braccia muscolose. Enea reagì alzando bruscamente i pugni e prendendo la camicia del ragazzo fra le mani nervosamente contratte. -E' la mia fidanzata! Occupati degli affari tuoi - rispose guardandolo fisso negli occhi senza alcun problema. -Ex ragazza, devi lasciami in pace adesso- precisai con incuria e dopo ciò andai via senza neanche guardarmi alle spalle. Una volta messo piede in classe la campanella suonò nuovamente determinando la fine della pausa. Presi posto aspettando di iniziare la lezione e nel frattempo chiacchieravo con Deda.

-Allora? Che ti ha detto?- chiese con gli occhi che luccicavano dall'impazienza. Sorrisi sommessamente e le risposi raccontandole tutto l'accaduto.

-Ma davvero? E quel misterioso ragazzo chi è?

-Adele, non cominciare. Credo che sia un bidello, anche se piuttosto giovane. E poi è anche arrogante - Inclinò la testa verso destra e con lo sguardo mi fece capire di non sapere di cosa stessi parlando, così fui costretta a riportarle anche l'episodio dello zaino.

-Ma che tracotante - sentenziò accigliata. Poi riprese a parlare come se avesse lasciato la frase a metà, -Comunque è stato gentile, ti è venuto in soccorso come il principe azzurro - mi strizzò l'occhio.

-Deda, non fantasticare, è un presuntuoso. Non voglio avere a che fare con quel genere di persone.

-Magari se non interessata a te, posso provarci io. Ho sempre amato i tipi misteriosi e forzuti - si portò l'indice al mento assumendo l'aria pensierosa. L'osservai per qualche secondo pensando che fosse assurda, ma poi tornai in me e mi resi conto che era semplicemente tipico di lei. Le ore successive alle ricreazione si rivelarono noiose proprio come tutti gli altri giorni ed io, unitamente al resto dei miei compagni non stavamo più nella pelle al pensiero di poter uscire da scuola. Contavo le ore i minuti ed anche i secondi. 14:28, due minuti e sarei stata libera dalla prigione giornaliera che mia madre aveva scelto per me. Era così frustrante dover soffrire ogni giorno della mia vita per cinque anni solo per farla contenta. 14:30, la campana trillò e facendo un sospiro di sollievo sentii che la mia anima si alleggerì. Sistemai le mie cose, presi zaino e cappotto ed unendomi alla massa, uscii dai cancelli marroni che contornavano l'abnorme giardino della scuola. Mi incamminai verso casa ma, Adele mi bloccò prendendomi per un braccio.

-Dopo il brutto voto che ho preso in greco non voglio tornare a casa. Mia madre mi fa nera se lo sa, ho bisogno di liberare la mente. Mangiamo un boccone fuori?- fece gli occhi da cerbiatta come se volesse sforzarsi di convincermi ma, ogni scappatoia era ottima per non tornare sotto le pressioni costanti.

-Non hai bisogno di fare gli occhi dolci quando si tratta di uscire e non tornare a casa - Sorrise e alzando le mani congiunte al cielo, fece cenno di vittoria. Decisi di avvisare mia madre con un sms:

“Mamma mangio un boccone con Deda e passiamo il pomeriggio in giro per negozi, torno stasera.” Sapevo che avrebbe avuto da ridire, volevo solo divertirmi quel pomeriggio, e di certo non sarei tornata a casa. La sua risposta arrivò celere come un tuono dopo un lampo.

“Non puoi, devi fare i compiti. Torna a casa e forse, se farai anche i compiti per lunedì potrai uscire questo sabato.” Ne ero più che certa, sapevo avrebbe risposto in quel modo, ero però determinata a non soccombere.

“No! Ti ho detto che ci vediamo questa sera.” Non avevo idea di quali conseguenze avrebbe avuto quel messaggio e sicuramente non sarebbe stato qualcosa di buono ma, ad ogni modo, non rispose. Cercai di convincermi che non sarebbe accaduto nulla di brutto non appena avrei fatto ritorno a casa e m'imposi di non pensare a nulla e dedicare quel pomeriggio al puro divertimento.

-Allora? Dove andiamo? - chiese eccitata.

-Proviamo posti nuovi, non mi va di andare sempre a La Quebrada – La Quebrada era un locale famosissimo, punto d'incontro di tutti gli adolescenti.

-Mi hai preceduta sul tempo, neanche a me va l'idea di frequentare continuamente gli stessi pub- sorrise e prendendo la cinghia del mio zaino mi trascinò, correndo, alla fermata dell'autobus. Tra un pettegolezzo e l'altro andammo in centro città e camminando per le vie affollate ci fermammo al primo ristorante che ci ritrovammo davanti.

-Vieni, sediamoci qui. Sono affamata come una clochard che non tocca cibo da mesi. - assunsi l'aria stranita in risposta alla sua affermazione alzando il sopracciglio destro e chinando la testa verso destra la feci ridere di gusto. Mangiammo fino a scoppiare ed una volta uscite da lì camminammo con la stessa grazia di cui erano dotati i lottatori di sumo.

-Abbiamo proprio esagerato- dissi con un accenno di furbo sorriso.

-Ne è valsa la pena- scoppiò in una fragorosa risata.

-Andiamo in giro per negozi? Ho voglia di viziarmi oggi- mi strizzò l'occhio e senza neanche aspettare una mia risposta s'incamminò verso la piccola stradina che portava alla maggior parte delle attività commerciali della nostra città. Camminavo qualche metro più indietro ma fui obbligata a fermarmi per via della scarpa che mi si era slacciata.

-Deda, aspetta! Mi si è slacciata la scarpa- urlai invano, ormai era troppo lontana e non avrebbe potuto sentirmi. Mi chinai per sistemarmi il laccio ed in meno di due secondi, senza che il mio cervello avesse avuto il tempo di elaborare nulla sentii alle mie spalle una presenza. Mi voltai e vidi un uomo col passamontagna. Mi ritrovavo nel panico più assoluto senza sapere come e a cosa pensare. Mi guardò dritto negli occhi con una dose di collera che avrebbe potuto far venire un capogiro, e con veemenza mi prese il braccio stritolandolo.

-Cosa vuoi?- sibilai atterrita. Per tutta risposta strizzò nervosamente gli occhi e dandomi una spinta mi fece cadere per terra. Battei la testa sul marciapiede e mi sentii confusa. Solo alcuni secondi dopo, quando fui in grado di rialzarmi, mi resi conto che il mio zaino era aperto e tutte le mie cose disseminate per la strada. Avevo voglia di piangere ma trattenni l'impulso, mi sentivo vulnerabile e sbigottita. Con foga raccolsi tutto ciò che era mio e prendendo lo zaino cominciai a correre. Correvo più forte che potevo, passando tra la gente, le macchine, gli alberi, non mi fermavo davanti a nulla. Continuavo a correre come se volessi scappare da quell'uomo che m'incuteva un indescrivibile terrore. Quando però, capii che ormai era troppo tardi per scappare mi fermai, sentii i dolori dello sfiancante tratto percorso e piansi. In silenzio, senza nessun singhiozzo, senza nessun rumore. Piansi sola, nella mia paura. Giravo lentamente su me stessa con le lacrime agli occhi per capire dove fossi, dove fosse Adele. Il mio cellulare vibrò e sul display apparve la scritta: “Deda.”

-Feb, ma dove ti sei cacciata? Ho continuato a camminare sola per 1 chilometro, credendo che fossi dietro me.

-Ho paura- ammisi con voce instabile. Percepì il mio stato d'animo e disse: -dimmi solo dove ti trovi e sarò lì in due minuti- continuavo a guardarmi intorno ma nulla di ciò che osservavo risultava familiare.

-Non lo so

-Ok, allora prova a dirmi il primo negozio che vedi

-E' una profumeria,- dissi mentre la mia testa ripercorreva i momenti di terrore – l'insegna recita “Perfume Gold”- seguì qualche attimo di silenzio e poi la sua risposta. -Perfetto, ho capito dove sei. Rimani lì, sono da te prima che posso – attaccò. Cercai di calmarmi e di frenare il tremore alle mani. Mi sedetti su di una panchina e facendo lunghi sospiri pensai a quanto fosse strano che il mio cellulare si trovasse per terra e che, quel balordo non l'avesse preso. Se voleva essere una sorta di rapina per quale ragione non aveva portato via l'unica cosa che avrebbe potuto interessargli? Qualcuno toccò le mie spalle, trasalii. Rimasi immobile, il mio cervello cominciò a confondermi con miliardi di immagini e qualunque mia capacità di reazione fu arrestata dal panico. -Feb, sta' tranquilla sono io- la voce di Adele infuse in me un senso di tranquillità e non appena mi si sedette vicino, lasciandomi completamente andare poggiai la testa sulla sua spalla e ricominciai a piangere. Non mi chiese nulla in quel momento, decise unicamente di consolarmi senza pensare a nient'altro e l'ammiravo per questo, mi conosceva perfettamente e sapeva come comportarsi con me. Quando mi fui calmata mi guardò con aria compassionevole ed io capii che dovevo apparire in uno stato pietoso.

-Sarò proprio un disastro per meritarmi quegli sguardi- enunciai infastidita. -Smettila di fare la stupida. Hai voglia di dirmi cos'è successo? Mi sembri piuttosto allucinata.

-Qualcuno ha cercato di aggredirmi, senza alcun apparente motivo- sgranò gli occhi e volle esplicati tutti i particolari. -Devi andare alla polizia- feci un sorriso sarcastico. - Ah si? E poi chi lo dice a mia madre? Lei non voleva neanche che uscissi oggi, ho proprio sfidato la sorte – ammisi a me stessa con la mente corrugata ed il viso rivolto alla strada. Adele abbassò il volto evitando qualsiasi tipo di replica. -Vuoi andare a casa?

-Direi che a questo punto sarebbe proprio il caso.

-Ok, prima però, ripulisciti la faccia, hai il rimmel scolato – mi porse una salvietta e dopo essermi pulita ci incamminammo nuovamente verso la fermata dell'autobus che, ci avrebbe riportate alle rispettive abitazioni. Aspettammo per circa venti minuti e non appena misi piede in casa mi sentii sollevata. Corsi al piano di sopra, nella mia camera, e mi gettai furiosamente sul letto. Presi l'I-pod e con le cuffie alle orecchie mi catapultai in un'altra dimensione. Stavo quasi per addormentarmi quando mia madre aprì la porta della mia camera e con lo sguardo attento farfugliò qualcosa. Estrassi l'auricolare destro.

-Cosa?

-Nulla, volevo solo accertarmi che tu fossi qui. Stai bene? - disse con l'aria di una che aveva appena visto un fantasma.

-Si, tutto bene – le risposi incredula alla sua preoccupante tranquillità.

-Hai passato un bel pomeriggio?- quella domanda mi risultava assurda, sopratutto fatta da lei

-Si mamma - conoscendo bene il suo carattere m'aspettavo che s'infuriasse e invece...

-Sono contenta – fece un mezzo sorriso forzato e se ne andò socchiudendo la porta. Ripresi l'auricolare e abbandonando il mondo circostante mi addormentai sulle note di Madness, dei Muse.


COMMENTO AUTRICE:
Spero di non avervi annoiati troppo in quanto, sono pienamente consapevole di essere alle prime armi, la scrittura è una delle mie più grandi passioni e cerco di coltivarla come posso. Fatemi sapere cosa ne pensate in una recesione se vi va, grazie per aver letto questo primo capitolo ;).

   
 
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