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Autore: AsjaBlack    29/01/2014    5 recensioni
"Non esisteva un manuale, ma Mickey era bravo in quel dannatissimo gioco. Così bravo che il gioco era diventato parte di lui e non doveva neanche più sforzarsi di fare lo stronzo in una cittadina di merda come la sua. Era circondato da così tanti buoni a nulla che non aveva problemi a portare avanti la sua attività. D’altronde per questo era stato messo al mondo, un incidente di percorso con un destino già scritto, anzi, forse un destino completamente inesistente. Spacciare, rubare, fottere. Scopare. Ci bevi sopra, ci fumi sopra, ma non ne parli. Non lo dici che la tua è una vita di merda, non lo ammetti neanche a te stesso."
LINGUAGGIO VOLGARE!
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Bang, bang, my baby shot me down.


Bang, bang, bang.

Circondati di silenzio, prendi la mira e spara.                                                                                                                                   
Non esisteva proprio un manuale su come essere un Milkovich, non c’era una guida da seguire, regole o segreti, ma il gioco era facile: sii il più grosso pezzo di merda sulla faccia della terra, pensa ai soldi e al profitto e non fare nulla, a meno che non possa aiutarti ad arrivare ad i tuoi scopi. E Mickey lo sapeva fin troppo bene, che era un fottutissimo Milkovich glielo si leggeva in faccia a miglia di distanza, mentre camminava ondeggiando come il bravo cazzone che sperava di apparire, sputava per terra e con gesti ritmici portava la sigaretta alle labbra, consumandola nel giro di quattro, forse cinque boccate.                                                                     
Non esisteva un manuale, ma Mickey era bravo in quel dannatissimo gioco. Così bravo che il gioco era diventato parte di lui e non doveva neanche più sforzarsi di fare lo stronzo in una cittadina di merda come la sua. Era circondato da così tanti buoni a nulla che non aveva problemi a portare avanti la sua attività. D’altronde per questo era stato messo al mondo, un incidente di percorso con un destino già scritto, anzi, forse un destino completamente inesistente.                                                                                                          
Spacciare, rubare, fottere.                                                                                                                                                 
Scopare.                                                                                                                                                                                
Ci bevi sopra, ci fumi sopra, ma non ne parli.                                                                                                                  
Non lo dici che la tua è una vita di merda, non lo ammetti neanche a te stesso. Quando le cose si mettono male ti accontenti di salire sopra il tetto di qualche palazzo abbandonato a se stesso e spari contro bottiglie consumate fino all’ultima goccia.                                                                                                                                         
Come se il vetro potesse rimpiazzare la carne di quel bastardo che hai avuto il coraggio di chiamare padre.

Bang, bang, bang.

E per un attimo va di nuovo tutto secondo i piani e pensa a quanti soldi potrà riscuotere a quei bambini del cazzo improvvisamente malati di cocaina. La moda è una merda, ma è una merda buona se gli riempie le tasche di verdoni.

***
 
“Ne avevi ordinate due.” Ringhiò Mickey sfiorando il calcio della pistola. Era così dannatamente tentato di usarla e farsi risbattere di nuovo in prigione; sarebbe stata una grossa rottura, ma vedere quell’espressione ebete svanire dalla faccia del ragazzino ne sarebbe valsa totalmente la pena. “Avevi detto due dosi e non me ne vado da qui finché non mi dai i soldi che mi spettano”

Il ragazzino s’irrigidì e fece due passi indietro, preso alla sprovvista dal tono minaccioso e rude di Mickey. Sapeva che le cose non erano destinate a finire bene, lo leggeva nei suoi occhi. “M-ma io ne avevo chiesta una soltanto, te lo giuro Milkovich!”

Mickey sospirò. “Allora mettiamo in chiaro due cosette, ragazzino. Sugli affari non si scherza e se non fossi fottutamente sicuro delle mie parole non avrei detto niente. Sarei rimasto in silenzio a guardare fartela sotto come un povero coglione, grande abbastanza per comprare della cocaina ma coniglio a sufficienza per scappare alla prima occhiata storta” ringhiò stringendo le mani in due pugni.
Le nocche gli divennero bianche ed il tatuaggio ‘fuck’ risaltò più che mai. S’avvicinò impulsivamente ed afferrò il ragazzino per il colletto della felpa facendolo collidere contro il muro dietro di lui. Il giovane sbatté la testa contro la parete con un grande tonfo, eppure provò a mascherare il dolore con alcuni colpi di tosse, tentando di preservare quel poco di dignità che pensava gli fosse rimasta.                                                                             

Mickey ghignò perché sapeva che uno dei suoi tanti talenti era proprio quello: spogliare i suoi clienti della rispettabilità. “Ora ascoltami bene marmocchio. Sono di buon’umore oggi quindi ti concedo cinque ore. Cinque ore dove trovi questi fottutissimi soldi e mi paghi le due dosi. Altrimenti mi vedrò costretto ad usare il mio gioiellino qui” cinguettò fingendosi melenso e scostando la giacca per mostrare la pistola incastrata nella vita dei pantaloni. “Intesi?”                                                                                                                                                        
Mickey strinse la presa sulla felpa quando sentì una risata ironica risuonare alle sue spalle. Poi lasciò di colpo il ragazzino perché la riconobbe e quest’ultimo atterrò malamente sulle chiappe, mantenendo comunque la solita stupida espressione. Mickey ora era arrabbiato. O forse no, forse era solo dannatamente eccitato.                     
Si leccò le labbra e si voltò a fissare quel volto lentigginoso, incorniciato da capelli rossi come il fuoco che applaudiva lentamente e non perdeva quel sorrisino di scherno. “Sempre a prendertela con quelli più piccoli Mickey” rise Ian, avvicinandosi. “Certe cose, davvero, non cambiano mai, eh?”                                                                                   

Il piccolo cocainomane nel frattempo, impaurito da  cosa sarebbe potuto accadere di lì a qualche momento, non esitò a tirarsi in piedi e ad avviarsi velocemente nella direzione opposta alla loro. Cogliendo il movimento con la coda dell’occhio Mickey gli urlò dietro, “Cinque ore idiota. Dopodiché mi prendo la tua testa.”                            

Ian cominciò a ridere ancora senza controllo, e si piegò su sé stesso non curandosi dell’ira crescente di Mickey. “Dopodiché prenderò la tua testa” lo prese in giro tra un scroscio di risa e l’altro, “Pensi davvero di fare paura a qualcuno?”                                                                                                                                                               

“Credo proprio di si, Gallagher” ringhiò Mickey, sfilando la pistola dalla cintura e contornando con essa la mandibola del rosso. Si soffermò accanto all’angolo della sua bocca e poté sentire la sua erezione iniziare a crescere. Ian non si mosse sebbene non fosse spaventato, tutt’altro. Sapeva il limite fino al quale Mickey sapeva spingersi e quest’ultimo sapeva fin dove poter arrivare. Inoltre amava come le cose erano tra loro due; stuzzicarsi fino al limite e poi scopare come conigli, perché dire di amarsi era troppo difficile. E a loro le cose difficili non erano mai piaciute.                                                                                                                                   
Mai.                                                                                                                                                                              

Trascinò la pistola giù per la sua gola, lentamente, facendo crescere brividi di piacere su quella pelle pallida e scese ancora più giù, fino al petto e li si fermò. “Ci sono due opzioni. O ti ho fatto davvero paura, oppure ti sei arrapato di brutto perché stai ansimando come un cane” sussurrò Mickey vicino al suo orecchio, respirandogli sulla pelle. “E mi piacerebbe davvero scoprirlo, ma tra mezz’ora inizia il nostro turno al negozio.”                                                                                                                                                                               

Con un sorriso di scherno, Mickey rimise la pistola al suo posto, tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei jeans consumati e se ne accese una.                              
Cacciatore, non preda; non quella volta.                                                                                                                             

Non si curò della faccia allibita ma ancora euforica di Ian, che in bocca aveva il dolce amaro sapore dell’insoddisfazione, non se ne curò affatto sebbene dentro di lui ci fosse una guerra di pensieri che gli dicevano di aver vinto, che anche quella volta lo aveva preso alla sprovvista. Erano così forti questi pensieri che per una volta riuscivano a scacciare l’orribile voce della sua coscienza che gli gridava che era nient’altro che uno schifoso finocchio e che prenderlo al culo era il suo unico talento.                                                                                                                                                                            
Gli lanciò un’ultima occhiata maliziosa e girando i tacchi se ne tornò da dove era venuto, sapendo in cuor suo che quella giornata riservava ancora molte sorprese.
 
***

Era passata un’ora ormai dall’inizio del turno e tutto quello che avevano fatto era stato mettersi alle strette con battutine maliziose e tocchi espliciti. Mickey era così eccitato che per un momento il suo cervello partorì la terribile idea di spogliarsi nudo in mezzo ai clienti e supplicare Ian di fare il suo dovere; per un solo terribile momento le sue mani si aggirarono attorno alla cintura dei pantaloni. Fu il duro cuoio freddo a riportarlo alla realtà e pensò che quella storia stava raggiungendo livelli davvero patetici.                                                                             
Lui era davvero patetico, incapace di ammettere i suoi cazzo di sentimenti neanche a sé stesso, inconsapevole tra l’altro, quanto fossero invece visibili per tutti gli altri.                  
Forse ogni tanto desiderava averlo il fottuto manuale del perfetto Milkovich, perché si ogni tanto si scordava di come si giocava. Forse lì avrebbe potuto trovare delle risposte al perché ormai era arrivato alla conclusione che non voleva essere scopato da nessun’altro se non da quel Gallagher in particolare, oppure come era potuto succedere che, se all’inizio il suo primo pensiero era farsi fare un pompino, adesso godeva il triplo a guardarlo negli occhi mentre veniva, o a sentire il contatto con una qualsiasi parte di quel corpo latteo.                                                                                                                    
Bang, bang, bang.                                                                                                                                                     
Risuonò all’improvviso nella sua mente.                                                                                                                   
Circondati di silenzio, prendi la mira e spara.                                                                                                                    
Lo immaginò nella sua mente; tutto si fece silenzioso, prese la mira e sparò ad una faccia immaginaria che poi tanto immaginaria non era. Persino quando si trovava sull’orlo del baratro, non riusciva a frenare l’odio impellente per colui che lo aveva fatto diventare così.                                                                                             
Meschino, forte, menefreghista all’apparenza, ed un fottutissimo codardo all’interno.                                                         

“Hey, Gallagher” disse a voce alta, piegato verso alcuni ripiani bassi dove stava sistemando della carta igienica. “Oggi è più noioso del solito, non c’è quasi nessuno. Mi porti le sigarette?”                                                       

“Perché stavi per picchiare quel ragazzino prima?” rispose invece Ian come se l’altro non avesse mai parlato. “Voglio dire, tu lo fai sempre, non è nulla di nuovo. Ma oggi sembravi diverso, meno incazzato del solito. Stai per caso diventando una femminuccia?”                                                                                                                     

Mickey rise ironico. “Non confondere Gallagher, non sono uno stupido finocchio come te.”                                             

“Sta zitto Mickey, non vuoi davvero parlare di questo. Non ora e non qui”                                                                        

“Perché cosa ci sarebbe da dire?” ringhiò Mickey, perdendo la presa su alcuni rotoli che caddero a terra senza il minimo rumore. “Mi pare che tra di noi le cose sono sempre state chiare. Non sei altro che una scopata per me, come lo sono tante altre persone.”                                                                                                                          
Bugiardo, sei sole un coglione bugiardo e non sai fare altro che ferirlo.                                                                                         

Ian, aprendo il registratore di cassa e cominciando a contare gli incassi della giornata, sospirò e scosse la testa impercettibilmente.                                                                      
Sapeva meglio di chiunque altro quanto quelle parole fossero false e frutto di uno show che Mickey preferiva tenere in piedi per non ferirsi. Ma se anche era tutta una messa in scena, questo non voleva dire che quelle parole non ferissero lui.                                                                                                                                                           
E troppo spesso l’altro ragazzo sembrava dimenticarsene. Si, dimenticarsene, non fregarsene, perché Ian lo sapeva che a Mickey importava. Quando passi tanto tempo con una persona, o perlomeno, quando attraversi determinati momenti e situazioni con una persona, non ne esci con il cuore illeso.                                                          
Gallagher o Milkovich che fossero.                                                                                                                                   

“Si, si, come ti pare. Ma non stai rispondendo alla mia domanda.”                                                                                   

Prima di parlare Mickey si guardò attorno, insicuro sul fatto che il negozio fosse totalmente vuoto.                         
“Aveva ordinato due dosi ed aveva portato i soldi per una sola. Mi fanno incazzare questi mocciosi che pensano di potermi prendere per il culo” disse, terminando di sistemare gli ultimi ripiani. Incrociò le braccia al petto e rifletté sul cosa lo aveva fermato dal pestare quel ragazzino.                                                     
E come un lampo la risposta gli fulminò la mente, e un dolore sordo allo stomaco lo fece boccheggiare per qualche secondo. C’era un mostro che stava crescendo dentro di lui. Sapeva, sapeva e la risposta lo faceva andare fuori di testa.                                                                                                                                                         
Non voleva diventare una fichetta, non voleva, non poteva cazzo, non poteva permettersi un cazzo di passo falso, nessuno doveva sospettare niente. Aveva troppa paura di suo padre.                                                               

“Quindi?”                                                                                                                                                                                     

“Quindi niente, sono solo stanco oggi. E poi si stava cagando addosso, tranquillo. Tre ore ed avrò il doppio dei soldi che gli ho chiesto. Ognuno di quei ragazzini ha imparato la regola: fai incazzare tutti ma non il tuo spacciatore, specialmente se è un Milkovich”                                                                                                                           

Ian inarcò un sopracciglio ed appoggiò gomiti e busto sul bancone della cassa. Sembrava proprio che il destino stesse giocando con loro. Nemmeno un cliente metteva piede nel negozio da più di venti minuti. “E che succede se lo faccio incazzare io un Milkovich?”                                                                                                               

“Ma non sono il tuo spacciatore” disse Mickey, spuntando da dietro lo stand ed appoggiandosi ad esso con una spalla. Era a pochi passi dalla cassa.                                

“Ok, ma metti che ti faccio arrabbiare. Arrabbiare davvero. Che cosa succederebbe?”                                                       

Mickey, dopo aver chiuso quasi completamente la serranda del negozio, percorse la distanza che lo separava da Ian e poggiò le mani sul lato del bancone opposto al rosso. Le loro teste non erano poi così distanti. “Dipende”                                                                                                                                                                        

“E da cosa?”                                                                                                                                                                                
Le voci si erano ridotte a sussurri, erano così vicino che i loro aliti potevano quasi sfiorarsi.                                               

“Picchio la gente a sangue per cose banali. Non vuoi davvero sapere cosa succederebbe a te.”                                   

Ian sospirò. “Metti che prendo e me ne vado per mesi, senza dirti nulla, senza che tu sappia dove sono, se sto bene o se rischio di rimanerci ogni minuto” disse serio.                      
Non stava ridendo in quel momento. Solo la prospettiva di stare lontano da Mickey faceva male.                           

D’altronde Mickey pensandoci rimase senza fiato ed il mostro che cresceva indisturbato nel suo stomaco, gridò così forte che per un  momento poté quasi sentirlo scavare nelle sue viscere per cercare di uscire fuori. Posò lentamente una mano sulla pancia ed aggrottò la fronte. “Cosa ti da l’arroganza di pensare che a me importi qualcosa?”                                                                                                                                                                                                       

“Quindi non t’importa. Non t’importerebbe se io me ne andassi. Magari per sempre”                                                              

Mickey sollevò le spalle, sperando di apparire il più possibile disinteressato. La battaglia dentro di lui si combatteva imperterrita.                                                                                                                                          
“Rispondimi” sbottò brusco Ian.                                                                                                                                         

“No”                                                                                                                                                                                      
Bang, bang, bang.                                                                                                                                                    

“No cosa?”                                                                                                                                                                         

Bang, bang, bang.                                                                                                                                                     
Non stava funzionando, Dio.                                                                                                                                          
“No”                                                                                                                                                                                           

“Ma lo fai” sussurrò Ian, “T’importa, altrimenti non saresti qui. Avresti fatto la tua solita risatina del cazzo e saresti già fuori a fumare. Invece sei qui ed io rischio di ritrovarmi con il naso rotto da un momento all’altro.” Si sporse leggermente in avanti e disse “Ma non me ne fotte nulla. Io non ho paura di ammettere quello che provo.”                                                                                                                                                                                       
E quello che stampò sulle labbra di Mickey fu un bacio tanto rischioso quanto rabbioso, breve ed intenso. Breve perché ebbe perlomeno la decenza di staccarsi subito in quanto chiunque sarebbe potuto entrare nel negozio da un momento all’altro – ed in quel caso Mickey avrebbe organizzato personalmente il suo funerale – e per paura di un rifiuto, per il dolore che avrebbe sentito nel vedere Mickey staccarsi come bruciato.  Intenso perché le loro labbra si scontrarono come cazzotti sugli zigomi, violenti come tornadi e Ian s’azzardò a passargli la lingua sulle labbra prima di staccarsi.                                                                                                          
Come un monito, come a volergli ricordare che non importava quanto continuasse a ripetersi che non gli importava, che lui non era un finocchio, non era gay, non era innamorato di Ian, insomma  porca puttana, lui era un Milkovich, non importava perché Ian ce lo aveva in pugno.                                                                                            
Rimasero con le bocche vicine, a respirarsi addosso, ad assaporare l’uno l’odore dell’altro. A cinque minuti dalla chiusura e con la serranda già quasi completamente abbassata, Mandy fece capolino da sotto di essa con un forte “Ehy, ragazzi!”                                                                                                                                                             

E a Mickey sembrò di volare perché i suoi piedi si mossero alla velocità della luce dietro al bancone, accanto ad Ian, ed in faccia si stampò un’espressione che credeva essere l’emblema della stronzaggine.                                            
Cercò di calmare il battito del suo cuore e, bestemmiando internamente, cominciò a chiedersi come cazzo aveva potuto essere così stupido, sarebbe potuto entrare chiunque. E qualcosa dovette apparire sul suo volto, perché – coperti dal bancone – sentì la mano di Ian stringere improvvisamente la sua.                                                          

“Perché avete quelle facce sconvolte? Che cazzo stavate facendo? Fumavate senza di me?”                                                                      

E il cervello di Mickey quasi perse il controllo perché cominciò a chiedersi cosa cazzo stesse facendo Ian. Lo aveva preso per il primo frocetto del quartiere? A tenersi la mano e a dirsi paroline dolci, lui non era fatto per quella merda. Preveriva dargli un pugno in faccia per dimostrargli che lo amava.                                                            

“Contavamo gli incassi di oggi. Di merda, ci sono stati pochissimi clienti” rispose Ian senza il minimo tentennamento.

Strinse la presa e le loro dita s’incastrarono alla perfezione.                                                          
Diocristo, diocristo, diocristo.                                                                                                                                                              
Che cosa stracazzo stava facendo quel fottutissimo Gallager? Stava cercando di farsi uccidere? Per l’amor di Dio.                                                                                                                                                                                   
“Se lo dici tu. Comunque, vado a rubare gli assorbenti.”                                                                                                 

Dopo alcuni momenti di silenzio totale, Ian sentì il pollice di Mickey carezzare gentilmente la sua pelle.                         
Poteva sentirlo muoversi ritmicamente e con una gentilezza che non gli avrebbe mai affibbiato. Una scarica di brividi si diffuse per tutto il suo corpo e poté chiaramente sentire che non era eccitazione.                                     
Per la prima volta da troppo tempo, si sentiva al sicuro.                                                                                                                   
Provò a trattenersi dal sorridere come un’idiota ma evidentemente fallì, perché quando Mandy sbucò da dietro lo stand, camminando lenta come una gatta con le sue lunghe gambe inguainate in strettissimi pantaloni di pelle, si fermò di colpò e li osservò accigliata.                                                                                                                  

“Perché state sorridendo immobili come due coglioni?”
 
***
 
Più tardi, quando Mandy se n’era ormai andata ed era loro compito chiudere il negozio, si ritirarono nella stanza dei dipendenti.                                                                          
E mentre Ian scopava Mickey, quest’ultimo volle guardarlo negli occhi. A lungo.                                                               
Lo fecero con Mickey sdraiato di schiena sul pavimento ed Ian che s’allungava sopra di lui.                                          
Questa volta, quando Ian strinse violentemente la mano con sopra il tatuaggio, Mickey capì tante cose. Ed il mostro dentro di lui non ebbe nulla da replicare. Carezzò, utilizzando tutto il coraggio che aveva, la mano di Ian che lo stringeva fino a quasi bloccargli la circolazione.

Non pensò a nulla, ne a suo padre, al suo orgoglio, al ragazzino della cocaina e alle cinque ore.                                                                                                 
Ed avvertendo lo sguardo del rosso tentare di sondargli l’anima, mentre l’orgasmo s’avvicinava, sussurrò con voce rotta:                                                                                                                                                                        
Ti odio,Gallagher.”
 
  
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