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Autore: Lorenzo Tedone    30/01/2014    0 recensioni
Un breve ma (spero) intenso viaggio nella mente e nel cuore di una persona colpita da un tipo di amore diverso da tutti quelli provati fino al momento in cui la storia prende atto : Il colpo di fulmine. La sua amata però è solo una Silvia beffeggiante, citando Guccini, che in realtà vive più nella sua testa che nella realtà per colpa di un destino strano e complicato. Di fatto la storia si svolge in brevi istanti, che però all'interno del cuore del protagonista sono sia cruciali, sia eterni. Premetto inoltre che è il mio primo lavoro, forse anche l'ultimo... Vorrei comunque farlo incontrare con un "pubblico" per riscontrare opinioni sul mio lavoro.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ possibile innamorarsi di qualcuno che non si conosce? Di qualcuno che hai a malapena visto, per puro caso; un flash, uno sguardo soltanto. E’ possibile che anche il più rigido e ripetitivo degli uomini possa abbandonarsi alla irrazionale ricerca di QUELLA persona, così sfuggente, che come una spina si è insinuata all’interno della sua mente mutandone a tal punto il comportamento e lo stato d’animo?
Sto realizzando, a poco a poco, che nella precisa e perfetta macchina delle mie ossessioni qualcosa si è incrinato a causa di questa stella cadente, lasciandosi dietro una scia che apparentemente di dissolversi non ha alcuna intenzione.
Ironia della sorte però, laddove il cuore è così zelante nel rammentare quelle emozioni, la mente ride di me rifiutandosi di darmi quelle poche informazioni utili, carpite da un breve scambio di parole con quella che è il motore di queste mie elucubrazioni sui sentimenti di questo particolare umano.
La chiamerò “Amy”. Perché io stia scegliendo deliberatamente un nome è una domanda che sorge quasi spontanea e di fatto non è per un desiderio di anonimato. La risposta, oltremodo semplice, è la seguente : Tutto ciò che ho di lei è un’immagine, un po’ sfuocata in realtà. Posso quindi concludere che tutto quello che penso di questa persona, seppur esistente e fatta di carne e ossa, è frutto della mia immaginazione e di quel poco di deduzione che posso attribuirmi. Perché non darle un nome quindi?
So che dopo averla vista qualcosa è scattato in me, lento ma inesorabile, continuando a crescere fino al punto di non poter più essere relegato nel mio io in silenzio, creando il bisogno di scrivere queste parole.
Ricordo perfettamente però, lo scenario del nostro primo idilliaco incontro : un ufficio postale. Affollato. Stantio. Rumoroso. Nella maestosità di questo locus amoenus dei giorni nostri mi trovavo, come spesso accade, in attesa di pagare una multa… Banale. Ad un tratto una ragazza minuta mi si affianca, anch’essa in fila, e notando che il mio era il numero successivo a quello attualmente esposto mi sussurrò :”Sai che non toccherà a te, vero? Sei qui da troppo poco tempo. Cambierà lettera. Scommettiamo?”.
La mia perplessità iniziale lascio dopo poco spazio alla seccante realtà dei fatti : aveva ragione.
Anche quest’ultima però durò poco perché una domanda cominciò a girarmi per la testa, ancora troppo lievemente per spingermi a conseguire una risposta, ma comunque insistente :” Chi è questa sorridente ragazza, mia interlocutrice, che con così tanta grazia si fa beffe della mia attesa?”. Il fato poi ci mise di nuovo la sua ironica mano, facendo si che proprio dove avrebbe dovuto esserci il mio agognato “C 121” apparì invece il numero di Amy. Ebbi però modo di prendermi una piccola rivincita, dato che la mancata compilazione di parte del modulo di spedizione (Sia benedetto quel modulo) la obbligò a spostarsi di lato sul bancone per far spazio alla persona successiva così da non rallentare la fila, pur mantenendo il suo posto in graduatoria. Fu li che notai che ero io il successivo cliente e fu li che avvenì la nostra prima conversazione. La lentezza dell’impiegato di turno non sembrava venire come al solito per nuocere alla mia pazienza, bensì era, sotto la luce di quel momento, la possibilità di scambiare qualche goffa frase di circostanza con quella che non sapevo ancora sarebbe diventata una presenza fortissima nei miei pensieri.
Ci salutammo senza nemmeno presentarci. Senza nemmeno rendermi conto era sparita. Senza nemmeno rendermi conto. Non diedi subito peso alla scena, ci eravamo vicendevolmente allietati l’attesa, tanto mi bastava in quel momento.
Come mi sbagliavo.
Potevo però forse sapere che quell’incontro sarebbe diventato così prepotente nel mio cuore da costringermi ad uccidere vocali e consonanti per fare delle loro spoglie questo racconto? No, certo che no.
I giorni successivi, quelli che mi separavano dal nostro secondo e ultimo incontro scorrettero quasi indifferenti, assonnati.
Poi la rividi. Quel venerdì, colto dalla disperazione che è solita assalirmi nelle sere in cui il mio lavoro e le mie attività mi hanno privato dell’energia necessaria ad uscire e a far uso del mio limitatissimo tempo libero, trovai un briciolo di volontà anche solo per fare una breve escursione nel mio bar di fiducia.
Non avevo assolutamente nessuno ad attendermi li, anche se ci tengo a precisare che le mie parole non sono volte a ispirare una tragica solitudine : solo una mancanza di organizzazione, tutto qui.
La cosa era comunque estremamente singolare dato che non sono il tipo che si abbandona al caso, anzi, mi definirei più un calcolatore al limite della compulsività.
Dopo la seconda birra però, realizzai che il tedio mi aveva raggiunto anche se mi ero ingegnato così tanto per lasciarmelo alle spalle, così dopo aver sommariamente salutato i volti noti del mio solito rifugio mi incamminai, rigorosamente con una sigaretta in bocca, verso casa.
Notai subito che un’altra persona era intenta a liberare la propria bicicletta dal palo a cui era assicurata, probabilmente anche lei diretta verso la sua dimora. Non so ancora bene il perché, ma d’istinto cambiai lato della strada, forse per andare proprio verso quella persona. Appena ebbi la possibilità di vedere il suo viso la riconobbi. Amy fece la prima mossa, mi salutò con il sorriso che tanto mi era rimasto impresso nel nostro primo incontro e fece per accorciare la distanza che ci separava. In ventidue anni passati in questa microscopica cittadina non l’avevo mai notata, mai vista, eppure in nemmeno una settimana le nostre strade si stavano incrociando per la seconda volta. Io non credo nel destino, mai creduto : Sono propenso ahimè a considerare come vera la visione Boccacciana in cui ogni uomo è fabbro del proprio fato, e lo dico non senza almeno una puntina di rammarico perché, se è vero ciò, allora il male che ogni tanto colpisce la mia vita è solo una mia colpa.
Anche questa volta infatti non mancai di smentirmi dimenticando con troppa leggerezza il nome che lei mi aveva porto, in cambio del mio, mentre le parole ci uscivano di bocca con una dolce naturalezza accompagnandoci sul sentiero di casa, parzialmente comune.
Solo una volta coricato nel letto realizzai che avevo addosso un senso di incompiutezza, come se quell’incontro casuale fosse in realtà stato un’opportunità gentilmente donatami dall’universo che io mi ero rifiutato di cogliere.
E ora sono attanagliato dal totale anonimato di questa figura mitologica di mia quasi totale invenzione.
Mentre cerco di sopprimere il pensiero che non ci rivedremo mai più, qualcosa si illumina nella mia ragione : quanto misere erano le possibilità che io ed Amy ci incontrassimo? Se solo mio padre non avesse preso la multa, se mi fossi attardato nella fumetteria invece che dirigermi alle poste, se avessi ritenuto stupido uscire a mezzanotte di venerdì sera solo come un cane… Non ci saremmo mai visti.
Eppure, ogni singolo piccolo tassello del puzzle è caduto perfettamente al suo posto, e ora sono fermo a rimirare la figura di un deficiente che si strugge d’amore per una persona di cui nemmeno riesce a ricordare il nome.
La devo trovare però. In pochi attimi ha distrutto lo scudo di cinico pessimismo che mi turbinava attorno per poi trafiggermi con la speranza : la speranza che il mondo stia cercando, dopo i fallimenti di varia natura che forse scioccamente ho sempre accusato, di darmi qualcosa di buono; diversamente non mi spiego le tante coincidenze che mi hanno portato a conoscere questa figura sorridente celata dietro ad un paio di occhiali dalla montatura nera.
Anche il semplice respiro di un bambino avrebbe avuto la forza sufficiente a mutare gli impercettibili eventi che mi hanno portato da lei.
Mi rifiuto di credere che sia solo un caso. Voglio che sia di più. Voglio rivederla e sapere che non mi sono sbagliato, che quello che provo è vero.
Potreste pensare che il mio è solo un principio di follia, una qualche malattia mentale… Come darvi torto? Non so cosa mi prende, non cosa faccio e so benissimo che tutto questo non è da me.
So di non sapere chi sia VERAMENTE Amy, se mai la vedrò di nuovo, se potrò mai baciare quelle sfuocate labbra, proprio come mi rendo tristemente conto che tutto ciò che precede questa frase è solo la prefazione di un racconto che non verrà mai scritto.
 
  
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