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Autore: cold_fire    30/01/2014    2 recensioni
Bianca. Pallida. Magra. I capelli che le cadono davanti al volto coprendole gli occhi. Occhi che nessuno riuscirebbe a comprendere. Forse per la loro profondità, il loro vuoto e il loro essere sempre pieni di lacrime. O forse perché certe cose non si comprendono e basta. Puoi osservarle, tentare di capirle, provarci mille volte, ma se una cosa non si può capire è così. Punto.
Ma noi siamo testardi, non capiamo, non ci arrendiamo. Torniamo indietro, ricominciamo sperando di aver sbagliato qualcosa e fingendo che ci sia ancora una via d’uscita, che in realtà non è mai esistita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se solo il sole sapesse mentire


Bianca. Pallida. Magra. I capelli che le cadono davanti al volto coprendole gli occhi. Occhi che nessuno riuscirebbe a comprendere. Forse per la loro profondità, il loro vuoto e il loro essere sempre pieni di lacrime. O forse perché certe cose non si comprendono e basta. Puoi osservarle, tentare di capirle, provarci mille volte, ma se una cosa non si può capire è così. Punto.

Ma noi siamo testardi, non capiamo, non ci arrendiamo. Torniamo indietro, ricominciamo sperando di aver sbagliato qualcosa e fingendo che ci sia ancora una via d’uscita, che in realtà non è mai esistita.

E lei era lì, seduta su una panchina isolata del parco. Lontana dalle grida dei bambini, dai rimproveri dei genitori e dalle chiacchiere inutili degli adolescenti. Era sola ma non era una novità. Era nata sola. Era vissuta sola. Sarebbe sempre stata sola. Forse.

O forse no.

Lui l’aveva guardata spesso. L’aveva vista spesso correre via da scuola, con quelle gambette magre che sembravano potersi spezzare da un momento all’altro. Ma a volte, lei non usciva. La aspettava, attendeva che fossero usciti tutti. Ma lei non usciva da scuola. Eppure la mattina era sicuro di vederla arrivare. Entrava ma non usciva. E non aveva ancora capito perché, eppure sembrava così ovvio.

Ma voleva capirla. Sapeva che c’era qualcosa che non andava. E quel pomeriggio soleggiato, lei era lì. In disparte, come sempre. Sola, che pensava. Pensava a non si sa cosa, però pensava. Pensava perché di parlare non ne era capace. Teneva tutto dentro e le lacrime che aveva imparato a non versare, quelle che però rimangono e ti appannano la vista, erano fatte di parole non dette, lacrime che sarebbero uscite non appena si fosse confidata con qualcuno. Non appena qualcuno l’avesse capita. Forse mai.

O forse no.

Lui le si avvicinò cercando di non farsi vedere, anche se sapeva che lei se ne era accorta. Eppure non aveva detto niente. Be, non aveva nemmeno mostrato che sperava se ne andasse. Era una brava attrice, la vita glielo aveva insegnato. Quei sorrisi finti che aveva imparato a fare, quelle risate così rumorose che la facevano sembrare felice, quelle parole dette a caso, di fretta, in modo da non farsi capire da nessuno, cercando di far concentrare gli interlocutori sulle sue frasi finte e non sui suoi occhi, incredibilmente veri.

“posso?” chiese lui indicando la parte vuota della panchina occupata dalla ragazza. Lei non rispose. Non alzò nemmeno lo sguardo. Non voleva guardarlo negli occhi.

Rimase immobile come se non lo avesse sentito, maledicendosi per non aver messo gli auricolari nelle orecchie così per poter fingere davvero di non averlo notato. Annuì debolmente con la testa cercando di continuare a leggere il libro che aveva in mano.

Il suo sguardo continuava, però, a spostarsi da una parola del libro alla figura di quello strano ragazzo seduto accanto a lei, certa che la stesse guardando. Cercava di leggere una frase ma prima di arrivare al punto si distraeva e doveva ricominciare la pagina dall'inizio.

L’occhio di lui cadde sulle sue esili braccia. Anche quelle sembravano in prossimità di spezzarsi in due. Ma un punto particolare del braccio attirò la sua attenzione, ovvero il suo polso. Una parte di esso era lasciata scoperta dalla manica della felpa che si era piegata leggermente, lasciando intravedere dei riflessi bianchi, tante linee più o meno della stessa dimensione, di un colore poco più chiaro della sua carnagione. Era tentato di avvicinarsi a lei per scoprire di cosa si trattasse, sentendosi vicino al capire tutto.

Ma lei lo aveva notato e con uno scatto veloce aveva tirato la manica della felpa più su che poteva, spaventata, con un luccichio negli occhi. Lacrime. Ma stavolta non erano lacrime di dolore, erano lacrime di paura. Paura che qualcuno avesse potuto capire tutto, per di più qualcuno che non conosceva e che probabilmente sarebbe andato in giro a dirlo. E lei non voleva, proprio no. Senza rendersene conto il libro le era caduto per terra, chiudendosi, il segnalibro nella sua mano.

Lui si chinò per raccoglierlo e si soffermò a leggere il titolo e il nome dell’autore. Lo aveva già sentito, doveva essere abbastanza famoso, ma non era un ragazzo che leggeva molto, per di più quel genere di libri dei quali ti deprime solo il titolo. “la solitudine dei numeri primi” una di quelle cose che ti rimangono sullo stomaco dopo averlo letto, che ti fa piangere ad ogni singola frase. Mentalmente cercò di ricordarsi la definizione di numeri primi ma non ci riuscì, distratto dalla ragazza che lo stava fissando.
Perché mi fissa? Si chiese lui a certo, ho ancora il suo libro. Lentamente glielo porse. Era forse per quel libro che sembrava stesse per scoppiare in lacrime? Lui non lo sapeva, ma in quel momento lei gli sorrise. Un sorriso che a lui sembrava di non averne mai visti di più veri. Così vero da renderlo incredibilmente finto.

Lei riaprì il libro e si chinò su di esso per cercare la pagina. Fu tentata di ricominciarlo dall’inizio tanto per avere qualcosa da fare, ma si disse che sarebbe sembrata troppo strana.

Nel parco adesso c’era meno gente, meno urla e meno chiacchiere. Il sole stava tramontando dietro di loro e ad un certo punto lui se ne rese conto. La luce aveva un effetto strano su di lei. La schiena era segnata da due grandi ombre, provocate dalle scapole sporgenti, e tanto bastò a farla sembrare davvero troppo magra.

Nello stesso istante capì che quelli sui polsi non erano solo dei segni bianchi, capì perché a volte non usciva da scuola, perché non parlava, perché leggeva libri che sembravano così tristi, perché era così brava a fare sorrisi finti. Capì perché piangeva. Lui capì le sue lacrime in quel secondo, e in un altro si rese conto di non aver capito un bel niente perché pensava di comprendere una ragazza con cui aveva scambiato esattamente una sola parola. Ma sempre in quello stesso istante si promise che l’avrebbe conosciuta, che quelle parole sarebbero diventate mille e anche di più. Era una promessa strana ma lui era sempre stato così. Strano. Spontaneo. In un certo senso, anche molto pazzo. Nel senso opposto, invece, molto tranquillo e senza problemi di alcun genere. E se diceva che avrebbe aiutato quella ragazza, quella sconosciuta, lui lo avrebbe fatto.

Passarono vari minuti in silenzio.

Ad un tratto lei si alzò, mise il libro nello zaino che si trovava ai suoi piedi e se lo portò su una spalla, girandosi, già pronta per andarsene con quel carico apparentemente così leggero ma incredibilmente pesante per le mille domande che si portava dietro, alcune anche relative a quel ragazzo stranamente silenzioso. Probabilmente non l’aveva capita. Come tutti gli altri del resto.

Ma ad un certo punto lui la fermò “non so chi sei, ma vorrei saperlo” disse semplicemente. Lei si voltò verso di lui, di nuovo le lacrime agli occhi “Hope” disse. Lui sorrise. Si chiamava Hope… Speranza… probabilmente cosa che gli era stata negata dalla nascita.

La guardò respingere le lacrime che volevano uscire a tutti i costi, voltarsi e iniziare a camminare in un modo più fermo di quello traballante che usava di solito. La guardò allontanarsi pensando che, anche se la speranza non si vede, lei c’è sempre.

Il giorno dopo lei non venne a scuola, né in quelli seguenti.
E lui non aveva mantenuto la promessa.

Bianca. Pallida. Magra. Quegli occhi che solo lui aveva visto. La speranza gli era stata tolta dall’inizio ma almeno per un secondo della sua vita era riuscita a capire cosa significasse davvero il suo nome.


ok, lo so, lo so. questa OS è a dir poco deprimente, e so che probabilmente fa anche schifo, dato che è il semplice frutto di un compito di scrittura creativa che ho deciso di pubblicare su EFP. Vi prego, scrivetemi in una recensione se vi ha deluso, se vi aspettavate qualcos'altro dalla presentazione, se scrivo male, se ho avuto un'idea pessima, perchè davvero ho intenzione di migliorare il mio modo di scrivere, quindi non abbiate paura di criticarmi. detto ciò ringrazio tutte le persone che la leggeranno, grazie mille.
un bacione
da Mara

 

  
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