Trasse il respiro, dando dei colpetti di tosse. Che argomento delicato. Come poteva trattarlo?
A chiedere spiegazioni fu un bambino sognatore che voleva scoprire la malattia che affligge tutte le persone, i grandi, coloro che paiono tanto lontani e allungando la mano non puoi toccarli.
Come affrontare il problema? I bambini sono così curiosi, non si può negar loro una conoscenza richiesta, quella cosa che li rende tanto frenetici e che deve essere soddisfatta.
Scosse la testa. Ed iniziò:
C’era una volta
Una ragazza, una contadina
Che andava ogni giorno al mercato
Col suo carretto colmo dei suoi frutti
Non mele
Non arance
Non fragole
Il suo era un frutto che pochi poteva assaggiare
E che oltretutto era molto ricercato
Il suo carretto era colmo d’Amore
Ma la poverina
Ogni giorno che lì si recava
Non riusciva a vendere nemmeno uno dei suoi frutti
Nessuno voleva Amore
O ne avevano già
O lo rifiutavano
Ma cos’aveva di così strano questo frutto?
Era dolce
Intenso
Forte
E graffiava strideva sanguinava bruciava annullava
Tutti avevano paura che quel frutto fosse infetto
Tutti voleva averne ma non volevano restarne avvelenati
Allora perché lo cercavano?
La ragazza un giorno si fermò per strada
I suoi frutti abbondavano
Era pesanti
Carichi di affetto
E per questo dovette lasciarne alcuni per strada
Li lasciò lì per la via
Senza padrone
Continuò il suo cammino con i frutti rimanenti
Era affranta
Ogni tanto qualche frutto cadeva sul terreno incolto
Lei continuava a camminare
Ed i frutti cadevano cadevano cadevano
…
Le chiese come finiva la storia. Dove stava la morale. Cosa doveva imparare.
Nulla.
La morale non esisteva e tantomeno la fine.
La ragazza non si volse. Quindi, chissà.
I frutti sarebbero marciti o qualcuno li avrebbe raccolti, correndole incontro?
Ognuno ne crei una propria fine, ed un proprio inizio.