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Autore: Gipsiusy    30/01/2014    2 recensioni
AU. Teen!lock School!lock
Sherlock e John si incontrano una mattina al parco all'età di otto anni. Crescono insieme, diventano uno il supporto dell'altro e, come nel più classico dei cliché, John si innamora di Sherlock, pur sapendo di non poter mai venire ricambiato. Per cui mette a tacere i suoi sentimenti e continua ad essere il buon amico che è sempre stato.
Ma davvero Sherlock non si è accorto di nulla? Davvero non lo ricambierà mai e poi mai?
Tra fratelli irritanti, ospiti indesiderati e, senza neanche dirlo, ogni genere di casi e di crimine la storia di due ragazzi che, nonostante tutto -o forse grazie a tutto- si sono trovati.
Enjoy
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A kind of.. deduction?
Alla mia Sherlock.
no matter what, no matther where, no matter when.


 
Un ringraziamento speciale anche a Andy, per la consulenza, e a Sara, per la betatura.
I'd be lost without you <3



Sherlock era seduto in quell’insulso parco da due ore.
E ne era certo perché aveva imparato a calcolare il tempo senza un effettivo orologio quando aveva cinque
anni.
Anche se quando lo aveva detto a Mycroft il suo unico commento era stato uno sprezzante: “Io ho imparato a tre anni”
E quella era stata la loro ultima parola a riguardo.
Tuttavia, nonostante suo fratello fosse la persona più odiosa che ci fosse, le lezioni dal maestro privato
senza di lui erano noiose.
Lui non era abbastanza intelligente per dire al vecchio di chiudere la bocca e di andare a studiare di nuovo
la seconda guerra mondiale perché evidentemente aveva delle lacune grandi come l’Atlantico, che era
grande 106 450 000 km².
Quindi si limitava ad ascoltare in silenzio, pregando che quelle ore passassero in fretta.
Quando aveva esposto il suo problema alla madre lei aveva semplicemente alzato le spalle, irritando il
piccolo – hey! Aveva otto anni ormai! - Sherlock.
Dopodiché era andato dal padre, che per tutta risposta gli aveva detto “Perché non vai al parco e provi a
trovarti un nuovo amico?”
Parco che, per inciso, era dietro casa sua e in cui non era mai andato.
Spesso sentiva gli altri bambini giocare e divertirsi, ma non aveva mai avuto il reale desiderio di andare.
Sembravano così sporchi e.. Rumorosi.
Ad ogni modo, era la sua migliore opportunità.
Per cui indossò un paio di scarpe da ginnastica – era sicuro che un paio di quei bambini le avessero -, una
maglia a maniche corte di un colore qualsiasi e scese nel parco.
Quando arrivò lì, però, non aveva idea di cosa fare.
Tutti sembravano presi a rincorrere qualcosa che, notò dopo un po’, era una palla. E la calciavano piuttosto
forte tra di loro per poi farla finire contro un muro dove c’era un ragazzino grassoccio che difficilmente
l’avrebbe presa.
Altri, bambine per lo più, giocavano nella buca della sabbia.
Altri ancora si dondolavano per delle altalene cigolanti.
E c’era tanto rumore, caos, e persone, e cose e..
“Hey,tu. Sei nuovo vero? Ti sei appena trasferito?”
Una voce maschile lo distolse da… Quella cosa che si stava creando nella sua mente. Era dolorosa e non gli
piaceva affatto.
Puntò lo sguardo sul bambino.
Capelli biondo scuro, tendente al castano chiaro, occhi azzurri ma diversi dal suo azzurro – come il cielo
quando sta per arrivare la sera, aveva pensato distrattamente - , più basso di lui di almeno quattro pollici, e
lo fissava con lo sguardo di chi stava effettivamente aspettando una risposta.
Come il maestro, quando gli chiedeva le cose che non erano nei libri di storia, ma le chiedeva per sapere se
aveva fatto davvero i compiti.
“No. Abito qui da quando sono nato” rispose dopo un po’, e lo sguardo del bimbo si rabbuiò.
“E perché non sei mai venuto a giocare?”
Sherlock non sapeva cosa rispondere.
Perché non era mai andato a giocare nel parco giochi vicino casa sua come tutti gli altri bambini?
Perché tu non sei come gli altri bambini, Sherlock. La voce di Mycroft era prepotente nella sua testa.
Ma in quel momento Mycroft non era lì, e di certo non poteva decidere cosa dovesse fare Sherlock.
Quindi annuì distrattamente al bambino che gli stava porgendo la mano sorridente, svelando la mancanza
di ben tre denti con orgoglio, e recuperò l’attenzione solo per sentirgli dire il proprio nome.
“..John. John Watson.”
“I-io sono Sherlock. Holmes” rispose meccanicamente mentre questi gli afferrava la mano e lo trascinava,
quasi letteralmente, dagli altri bambini.
Lo presentò a loro con poche parole e presto tutti si disinteressarono, tornando a fare qualsiasi cosa
stessero facendo.
John sembrava irritato. Aveva messo le mani sotto il mento e si guardava intorno pensieroso, infine si
rivolse a Sherlock.
“A cosa vuoi giocare?” gli domandò infine. Sherlock li guardava spaesato.
“Deve pur esserci qualcosa..” continuò il biondo, allargando le braccia. “Guardati intorno dai!”
Sherlock lo fece, si guardò attorno e qualcosa catturò la sua attenzione.
“Andiamo lì” disse, indicando un punto imprecisato, e iniziò a correre. Poi si fermò di botto, e John gli andò
addosso, facendo cadere entrambi.
Il biondino ridacchiava divertito, risata che si accentuò all’espressione irritata di Sherlock.
“Dai! Non l’ho fatto mica apposta!”
“Si dice ‘di proposito’,e comunque non vedo cosa ci sia di divertente nell’avermi fatto cadere..” commentò
irritato il moro.
“La tua faccia” disse semplicemente John. “Comunque perché siamo corsi qui? C’è solo erba” fece notare.
“Questo!” e si abbassò per prendere qualcosa. Un piccolo bruco camminò piano sulla mano bianca del
ragazzo.
“Non è bellissimo?” domandò emozionato. L’altro bambino lo guardava scettico.
“Se lo dici tu..”
“Sai, questo tipo di bruchi di solito si muove in gruppo, ma qui intorno non ne vedo altri, quindi deve essersi
perso..” Commentò il moro ad alta voce. “Se non ricordo male questo tipo qui vive tra le foglie di pino e..”
alzò lo sguardo verso l’albero che si stagliava al centro del parco “Deve essere lì il suo posto!” esclamò tutto
eccitato.
“Vuoi riportarlo al suo posto?” domandò innocentemente John.
“Certo!” e ricominciò a correre verso il pino con John a seguito.
Solo tempo dopo avrebbe capito che quella di correre con Sherlock sarebbe diventata un’abitudine.

Dieci anni dopo..


“John.. JOHN! Ma mi stai ascoltando?” una voce profonda e sin troppo conosciuta aveva riscosso John dal
suo torpore.
“Cosa c’è, Sherlock?” domandò, un filino assonnato. Un filino solamente, eh.
“Stavi bagnando il libro con la tua bava, e Mrs. Artech stava per accorgersene.” Mrs. Artech era la loro
insegnante di Latino. A cosa diavolo pensasse quando aveva scelto quella materia come facoltativa non ne
aveva proprio idea. Forse Sherlock lo aveva drogato, di nuovo.
Purtroppo per lui, Sherlock era solito ricordargli che era totalmente consenziente quando aveva deciso.
“Hamish” disse ad un certo punto la voce gracchiante della professoressa. Ecco un altro motivo per odiarla:
usava il secondo nome.
Nessuno chiamava mai John con il suo secondo nome, e chiunque ci avesse provato avrebbe rimediato un
livido. Se non da parte di Watson stesso, da parte di Sherlock.
“Si, professoressa.” rispose con fintissima cordialità.
“Perché tu e Scott, accanto a te, non leggete i compiti che vi ho assegnato per casa?” Aveva chiamato
anche Sherlock con il secondo, in realtà terzo, nome. Era guerra.
Prima che John potesse anche solo aprire il quaderno, Sherlock aveva già detto la prima frase, incontrando
le proteste della professoressa sulla traduzione di un costrutto, e i due presero a discutere.
John si rilassò, quando accadeva una cosa del genere di solito prendeva tutto il resto dell’ora, lasciando
Sherlock soddisfatto di essersi sfogato un po’ e John decisamente deliziato.
Uscirono dall’aula e Sherlock sorrise nel suo modo storto a John prima di dirgli una qualche cattiveria su un
giocatore di Lacrosse che era passato accanto a loro, quando vennero avvicinati da un ragazzo.
Alto, capelli biondi e lineamenti eleganti. Occhi chiari e abiti notevolmente costosi.
“Scusate, è lei il signor Holmes?” domandò, composto. Il primo istinto di John era di ridere per la
pomposità. Avevano solo diciotto – quasi - diciannove anni, dopotutto. E il ragazzo di fronte a loro al
massimo poteva essere loro coetaneo.
“Esatto sono io.” Rispose pacato Sherlock, ma aveva il tipico sguardo interessato di quando, due anni
prima, faceva i problemi di chimica degli universitari.
“Credo di aver bisogno di lei. Se potessi parlarle in privato..” iniziò a dire, guardando John. Questi si tirò
indietro, istintivamente, ma Sherlock gli prese il braccio e John si immobilizzò.
“Non c’è nulla che lei debba dire a me che non può dire anche a lui. Gode pienamente della mia fiducia, e
così dovrà essere anche per lei.” Disse solo il moro. Il ragazzo guardò entrambi e infine annuì.
Alla fine il caso non si rivelò nulla di complicato, per lo meno per Sherlock.
Oh, certo, trovare un caso decente per la sua “alta e sofisticata intelligenza” in un istituto privato fuori
Londra era praticamente un miracolo.
Quando tutte le lezioni della giornata erano finite e fu tempo di tornare nelle proprie stanze o a qualsiasi
altra occupazione, a John venne in mente una cosa.
La sua stanza, la loro stanza sin dal primo anno, non era agibile.
Il motivo? Semplice. Sua maestà “sono-troppo-intelligente-per-voi-stupidi-umani” Holmes - no, non
Sherlock, bensì suo fratello, Mycroft - aveva deciso di passare a trovare il fratellino. E farlo
infuriare,ovviamente.
Sembrava davvero non avessero nulla di meglio da fare che scannarsi, quei due.
Ad ogni modo, Sherlock arrabbiato conosceva solo un modo per calmasi: condurre esperimenti.
Di solito in camera loro, nel cuore della notte.
John aveva appreso a sue spese la sottile arte del dormire nel bel mezzo di una guerra, pur vivendo in uno
stato di relativa pace. Ma non potevi fare altrimenti quando vivevi con Sherlock.
Ad ogni modo, non aveva idea dell’argomento su cui verteva la discussione quella volta, ma di certo doveva
essere peggio degli altri, perché aveva fatto perdere a Sherlock il controllo e ora avevano la stanza ricoperta
di roba verdiccia che, a parole di Sherlock, non era tossica.
Grazie al cielo in giro non aveva molte cose.

Ovviamente al mattino aveva fatto una sfuriata in piena regola. Andava bene fino a che si limitava a
vivisezionare topi o qualcosa del genere, ma non voleva essere una vittima dei due fratelli.
Eppure avrebbe dovuto essere stato chiaro ormai da anni quel concetto.
Da quando aveva cominciato ad essere amico di Sherlock, più o meno.
***
Ricordava distintamente la prima volta che si era recato a casa di Sherlock.
La sua prima impressione era stata quella di entrare in una reggia, o qualcosa del genere.
Soffitti altissimi, tutto in legno, lampadari enormi e quadri dappertutto.
Ovviamente per Sherlock era tutto normale, per cui lo aveva divertito parecchio l’espressione shockata di
John. Come biasimarlo, per un bimbo di otto anni era stupefacente!
Certo, con il passare del tempo alla fine si rese conto che era solo una villa – pur sempre la più bella che
avesse mai visto, ma non di certo un castello.
Comunque, la sua visione dell’abitazione di Sherlock non era l’unica cosa ad aver subito cambiamenti.
Ad esempio,c’era il modo in cui lo avevano accolto i genitori di Sherlock.
Quando si palesarono, John e Sherlock erano immersi in una ricerca sui tipi di tessuti. Una bimba aveva
perso il cappellino al parco e secondo il moro se riuscivano a capire di che tessuto fosse - l’etichetta era
stata tolta - avrebbero capito dove sarebbe andata la bambina dopo. No, neanche John sapeva il perché.
Ma Sherlock era convinto, e il piccolo John si divertiva così tanto in sua compagnia che poco gli importava
cosa facessero. Sherlock era davvero intelligente e riusciva ad aiutarlo con tutti i compiti, tanto che ormai li
faceva al parco con lui e poi giocavano a qualsiasi cosa il moro volesse giocare.
Solitamente si trattava di cose strane, come ricerche, o insetti o “osservare gli adulti”.
In questo John non era molto bravo, ma a Sherlock andava bene lo stesso.
Ad ogni modo, erano immersi nei libri quando un lieve colpo sulla porta aperta fece alzare ai due bambini lo
sguardo. Sherlock lo riabbassò immediatamente, poco interessato, mentre John lo tenne alto.
C’era una signora dai capelli scuri, la pelle chiara e gli occhi azzurri come Sherlock. John poteva non essere
molto intelligente, ma a certe cose ci arrivava: era la madre di Sherlock.
La donna fece un lieve sorriso ed entrò.
“Sherlock, chi è questo bambino? Un tuo amico?” domandò dolcemente.
Sherlock alzò di nuovo lo sguardo. “Lui è John. Stiamo facendo una ricerca.”
La donna tornò a puntare gli occhi su di John.
“Io sono Anne, la madre di Sherlock; se avete fame vi faccio portare dei tramezzini da Alfred..” disse la
donna sorridendo. No, era più che un sorriso. Era qualcosa di speciale. Ma questo John lo realizzò solo anni
dopo.
In quel momento l’unica cosa che riuscì a fare fu sorridere e ascoltare Sherlock che, ignorando
completamente le parole della madre, lo prendeva per il polso e lo portava fuori perché aveva trovato quello
che cercava.
Quando si voltò un ultima volta,incrociò nuovamente gli occhi della donna - così simili a quelli di Sherlock,
ma con una luce diversa - e la vide sorridere ancora.

Solo anni dopo aveva capito che la donna sorrideva perché il figlio, per la prima volta, aveva trovato un amico.

Era proprio a casa di Sherlock che si stavano dirigendo. Un weekend si e uno no ai ragazzi era permesso
tornare alle proprie abitazioni.
John non aveva voglia di tornare a casa, per via di sua madre e sua sorella che la rendevano invivibile.
Sherlock non voleva tornare nella sua, almeno quando c’era anche Mycroft.
Ma quella volta era importante perché cadeva il compleanno di Timothy, il padre di Sherlock, e il moro era
obbligato ad andare.
Fortunatamente per lui, la madre lo conosceva abbastanza da suggerirgli l’unica condizione che avrebbe
favorito la venuta del ragazzo:
“Porta con te anche John. Non lo vediamo da tanto e tuo padre ha una partita di carte in sospeso con lui..”
Oh, sì, Timothy adorava John. Erano piuttosto simili, caratterialmente, e spesso soleva ripetergli che era
‘quello sano’. John non aveva mai chiesto che significasse, né Timothy gliene aveva data l’occasione.
In questo era un maestro, come il figlio. Se voleva sviare una conversazione da un punto, stai sicuro che lo
faceva.


John si svegliò dalle sue fantasie quando aprirono la porta, rivelando il sorriso sveglio di Anne.
“Sherlock! John! Finalmente!” la donna li guardò attentamente, prima di abbracciare brevemente il figlio.
Era una delle poche persone che aveva il potere di farlo senza che Sherlock storcesse il muso.
Dopodiché abbraccio anche John, con molto più calore. Non che non volesse bene al figlio, ma conosceva i
suoi limiti, e a volte riversava su John tutto quello che non poteva dare al suo erede più piccolo.

Spesso la donna aveva parlato a John, mentre Sherlock era immerso in chissà quale grande pensiero,
ovvero li ignorava, di quante preoccupazioni le avesse dato Sherlock da piccolo.
Non aveva mai avuto questi problemi con Mycroft perché questi somigliava al padre più di quanto volesse
ammettere e sapeva come prenderlo.
Ma Sherlock.. Sembrava essere un incognita, finché non arrivò John.
Quel discorso risaliva a quasi tre anni prima, forse meno.
“Sei silenzioso, stasera” osservò Sherlock, mentre poggiavano i cappotti.
“Ero sovrappensiero.”,rispose John, scrollando le spalle.
“Pensieri piacevoli, suppongo. Non hai smesso un attimo di sorridere” osservò Sherlock, con un tono più
tenue del solito. John lo conosceva, era il tono che usava quando pensava se domandare o meno una cosa.
O meglio, se fosse stato socialmente accettabile domandare o meno quella cosa.
“Pensavo a quando sono venuto qui la prima volta”, spiegò semplicemente il biondo, e vide il viso di
Sherlock rasserenarsi.
“Ti ci sei anche perso..” commentò Holmes, canzonandolo.
“E’ accaduto in una sola occasione, e tu eri scomparso per una porta nascosta!” gli ricordò l’altro, facendo
scoppiare definitivamente il più alto dei due a ridere.
Entrarono nella sala da pranzo ridacchiando ancora, scoprendo che erano già tutti seduti.
Ai due capi della tavola c’erano Anne e Timothy, e quest’ultimo si alzò velocemente in piedi per salutare i
due venuti. Seduto a uno dei due lati c’era Mycroft, fratello di Sherlock, e una presenza che John non
conosceva.
“Lei è Irene, cara amica di Mycroft e vecchia compagna di scuola.” Spiegò velocemente Anne. John non si
diede la pena di nascondere il sopracciglio sollevato, né Sherlock si riservò di emettere un versetto di
incredulità.
“Ciao Sherlock..” commentò la donna con un tono che definire malizioso era minimizzare.
John tossì brevemente e finse di non vedere l’occhiata di divertimento negli sguardi dei presenti.
Dannazione, doveva smettere di essere così ovvio.
Presero posto velocemente, John di fronte Mycroft, dal lato di Timothy, e Sherlock di fronte Irene.
La donna era senza dubbio bellissima. Capelli scuri, pelle chiara e sguardo penetrante. Portava un vestito
color rosso sangue, in tinta con il rossetto, e i capelli raccolti in modo tale da rivelare gli zigomi eleganti.
“Irene è qui perché dobbiamo discutere di affari..” commentò Mycroft.
“Non avevo dubbi, fratello” lo rimbeccò Sherlock. Ecco, era iniziata.
Ogni volta, non importava la situazione, le persone presenti, cielo, neanche se fuori ci fosse stata la fine del
mondo i due Holmes avrebbero messo freno alle loro lingue ed evitato commenti sprezzanti.
Di solito John, Anne e Timothy preferivano ignorarli e parlare tra di loro, ma quel giorno la presenza di quella donna rendeva difficile a John non badare a quello che dicevano.
Ogni singolo commento che faceva, era per Sherlock.
E ogni commento era un poco velato flirt.
Inaudito.
Ad un certo punto doveva aver smesso del tutto di mangiare, perché gli occhi penetranti di Sherlock erano
su di lui, seguiti a ruota da quelli di Mycroft , Irene e dei due coniugi Holmes.
John inghiottì a vuoto. “Si?”
Sherlock non rispose, ma continuò ad osservalo per alcuni secondi.
“John, perché non mi finisci di raccontare la storia dello studente con il labbro storto?” domandò
gentilmente Anne.
Questo sembrò stemprare la tensione, perché tutti ricominciarono a mangiare e a chiacchierare come
sempre.
Stranamente però Mycroft e Sherlock non ricominciarono a battibeccare, anzi sembravano interessati alla
storia di John.
Era un caso piuttosto semplice, in realtà.
Una ragazza, fuori dalla scuola, aveva fermato Sherlock e John chiedendo espressamente il loro aiuto. A
quanto pare il suo ragazzo era giorni che non si faceva vedere e l’ultima volta sembrava piuttosto stravolto.
Non voleva ancora chiamare la polizia, ma anche a casa sua non sapevano nulla. Per loro non era strano che
si assentasse per giorni. Era stato negli scout e spesso se ne andava tutto solo nei boschi, per poi tornarne
del tutto indenne.
Solo che la ragazza non appariva convinta della spiegazione, ed aveva ragione perché il ragazzo lavorava da
pochi giorni per una associazione criminale che aveva promesso di pagarlo profumatamente se li avesse
aiutati. Il ragazzo era, infatti, un ottimo attore e sapeva camuffarsi perfettamente.
Lo trovarono giusto prima che la banda facesse il colpo e lui fosse incastrato per sempre.
“ Una delle poche volte in cui l’istinto femminile è stato determinante per un caso..” aveva commentato
infine John, ricevendo un occhiataccia da Sherlock.
“Tutta la parentesi romantica potevi anche evitarla. Era perfettamente inutile” commentò acidamente il
moro.
John lo ignorò,semplicemente.
Irene, invece, sembrava ancora più interessata al più piccolo degli Holmes. Fantastico.
“Mycroft mi ha raccontato del tuo primo caso risolto con successo, qualcosa che aveva a che fare con il
rosa, se non sbaglio, ma non sapevo fossi andato anche oltre..”
“In realtà lo abbiamo risolto io e John.” Commentò freddamente Sherlock. Grazie al cielo nessuno in quella
cosa aveva il super udito, o avrebbero distintamente sentito il cuore di John saltare un battito.
A giudicare dall’occhiata di Mycroft, forse non servivano i superpoteri. Dannazione.
Chinò la testa e bevve velocemente un bicchiere d’acqua.
Quando rialzò il capo stavano parlando di qualcosa che non gli interessava, e poté rifugiarsi nella sua
mente.
Ricordava quel caso perfettamente. Era praticamente così che sia John che Sherlock avevano avuto una rivelazione a testa: Sherlock aveva capito cosa avrebbe fatto da grande e John, alla dolce età di sedici anni,
aveva realizzato di essere innamorato del proprio migliore amico.
Oddio, grande rivelazione poi non lo era stata. Aveva la sensazione che fosse stato chiaro a tutti, tranne che
a lui. Ma quando si stava a contatto con la famiglia Holmes non era una sensazione sconosciuta.
Era tutto iniziato con un cellulare dalla cover rosa ritrovato per caso in un corridoio.
Non ricordava esattamente i passaggi, ma Sherlock era riuscito a risalire alla proprietaria, che avevano
scoperto essere morta misteriosamente.
Da lì la faccenda si era fatta seria. L’assassino, infatti, era un professore del loro istituto. Una mente geniale
che, annoiata dalla solita vita, aveva deciso di prendere e portare al suicidio le persone.
Letteralmente. Parlava con loro e poi prendevano una dannata pillola che li uccideva.
Sherlock ci era andato vicino. Quell’uomo era un genio, come lui, ed avevano semplicemente preso
appuntamento nella mensa dell’istituto per chiacchierare.
John ricordava di aver tenuto il muso a Sherlock per una settimana per quell’episodio. Era arrivato giusto in
tempo per far suonare l’allarme anti-incendio, prima di chiamare l’unico ispettore di polizia che non aveva
ancora cacciato a calci Sherlock da una qualsiasi scena del crimine, nonostante non gli permettesse di
indagare. Non al tempo, per lo meno.
Adesso sembrava passare più tempo lì che a scuola.
Ritornando al caso, in quella situazione John aveva sperimentato cosa significasse la paura di perderlo. Ed
era stata l’emozione più intensa della sua vita, assieme alla felicità di ritrovarlo sano e salvo.
Quella volta non si era trattenuto dall’abbracciarlo, e poteva giurare che l’abbraccio fosse ricambiato.
Per poi strigliarlo a dovere, ovvio. Sherlock giurava che non avrebbe mai preso quella pillola, ma John lo
conosceva troppo bene.
Sapeva come la promessa di scoprire qualcosa di nuovo e diverso – la morte, in questo caso - fosse
affascinante per una mente come quella di Sherlock, sempre alla ricerca di stimoli.
Una vita qualunque non poteva bastargli, la routine non faceva per lui.
Quasi capiva, John, lo stupore di Mycroft nel rivederlo anno dopo anno sempre accanto al fratello. Come
poteva qualcuno del genere accontentarsi di un semplice John?

Watson cercava di non pensare a una cosa del genere, ma era inevitabile che un giorno si sarebbe stancato
anche di lui.


“John…?” la voce profonda di Sherlock risuonò nell’oscurità.
Erano nella sua camera, in cui anni or sono era stato aggiunto un secondo letto che nulla aveva a che fare
con Mycroft. Era solo una conseguenza ovvia del dormire almeno una notte a settimana o più a casa degli
Holmes.
“Dimmi.” Rispose solo il ragazzo.
“Dobbiamo parlare. Vieni sul tappeto.” Telegrafico, come sempre.
Il tappeto era, effettivamente, un semplice tappeto, ma era anche il luogo dove spesso passavano la notte a
chiacchierare dei più svariati argomenti. Era su quel tappeto che John aveva raccontato a Sherlock di come
il padre se ne fosse andato, di come la madre stesse entrando in depressione e di quanto gli mancasse sua
sorella, quella vera.
Alla fine di quel discorso, una notte di diversi anni prima, Sherlock aveva commentato semplicemente
dicendo:“Non devi preoccuparti. Io non ti lascerò”
Ed era stata anche la prima volta che si era lasciato abbracciare da John.


Quello era, insomma, il tappeto delle conversazioni importanti.
Accesero un lume e si sedettero a gambe incrociate, uno di fronte all’altro. John si era portato dietro la
coperta, perché era pur sempre inverno, mentre Sherlock sembrava star bene con il suo pigiama leggero.
“John, tu cosa provi per me?”
Domande dirette e telegrafiche, da infarto per dirlo in altre parole.
“Sei il mio migliore amico.”
“John, sono capace di osservare, a differenza tua. Me ne sono accorto.” Lo guardava quasi con impazienza.
Tipico, in effetti, di Sherlock. Odiava quando John non capiva le cose elementari.
“Di cosa?” Mantieni la calma, John, mantieni la calma.
“Oggi eri geloso. Di Irene Adler. Di solito ignori le discussioni che ho con Mycroft, ma oggi non ti sei perso
una parola. Inoltre hai aggrottato le sopracciglia, in maniera sin troppo evidente, quando mi ha stretto il
braccio prima di andarsene. Senza citare le volte che sei arrossito stasera, o per gelosia o per imbarazzo.”
John lo fissava senza parole.
Ma non riusciva a sostenere il suo sguardo, quindi lo puntò a terra.
“Dove vuoi arrivare..?” domandò infine, quasi mugugnando.
“Vorrei saperne il motivo”
John non poté impedirsi di rialzare il capo e guardarlo con un sopracciglio alzato.
“Prego? Tu che non sai qualcosa?”
“Non essere ridicolo, John, è che voglio sentirlo dire da te!” c’era un lieve ghigno sul suo volto. John aveva
voglia di toglierlo con un pugno.
Era si il suo migliore amico, il ragazzo di cui era innamorato e tutto il resto, ma era anche uno stronzo.
Sapeva perfettamente il motivo, sapeva che John ci stava male – perché, andiamo, era sempre la persona
che lo conosceva meglio al mondo - , ma nonostante questo glielo stava chiedendo.
“Perché?” chiese invece John. “Perché lo vuoi sapere? Perché adesso?”
Sherlock rimase in silenzio, con i gomiti poggiati sulle proprie ginocchia e le mani congiunte davanti al volto.
“Perché tu guardi ma non osservi, John.”
Quella era, praticamente, la frase che gli ripeteva ogni volta che non notava un particolare essenziale
durante un caso. Ma cosa c’entrava in quel momento?
“So come prendi il caffè; ricordo come si chiama tua madre; non metto mai la mostarda nel tuo panino;
evito di fare gli esperimenti oltre un determinato orario quando sei nervoso e so che hai bisogno di
dormire; conosco le tue melodie preferite e ho imparato anche a suonare qualche canzone pop al violino,
sebbene non siano il mio genere; odio quando a Inglese sei costretto a metterti lontano per aiutare
Crawford; odio Crawford perché ti trattiene anche fuori dall’ora di Inglese; non sopporto l’insegnante di
Latino che evidentemente ti ha preso di mira; sono più tranquillo quando dormi in camera con me; guardo
la televisione con te anche se odio quei programmi che ti fanno tanto ridere; durante i casi non voglio che
tu stia troppo esposto ma allo stesso tempo preferisco averti vicino perché con te penso meglio; sei l’unica
persona capace di calmarmi quando discuto con Mycroft e probabilmente sei l’unica persona, oltre mia
madre, con il permesso di abbracciarmi. Cosa deduci, John?”
Il biondo era quasi incantato.
“Ma tu.. Non ricordi nemmeno come funziona il sistema solare…”
Ed era vero. Il professore di Geografia astronomica lo aveva cacciato dalla classe dopo il primo giorno
perché Sherlock aveva considerato la sua materia inutile. Cosa che era vera, dal loro punto di vista.
“Esatto. Perché non mi serve. Non mi interessa. Non ci tengo.”
John non riusciva a capire. Non voleva capire.
Perché sapeva che non era possibile. Perché ci aveva messo anni a rassegnarsi all’idea che per quanto
potesse amare Sherlock non sarebbe mai e poi mai stato possibile vedere il proprio amore ricambiato.
Era un punto fisso della sua vita. Non poteva essere altrimenti.
Sherlock doveva aver notato il suo sguardo spaesato perché, all’improvviso, si era messo in ginocchio ed
aveva circondato il volto di John con le sue mani, accostando le loro fronti.
Spazio personale, altra cosa inesistente quando si stava con Sherlock Holmes.
“Andiamo John, arrivaci. So che puoi.” Sussurrò piano quasi contro la sua bocca.
“Sherlock.. Io.. Tu..” la sua vicinanza era sempre più difficile da gestire.
All’improvviso sentì un tocco molto delicato sulle sue labbra. E salato. E vagamente ruvido. E caldo. E breve.
Sherlock lo aveva baciato.
No, probabilmente era solo un sogno. L’ennesimo.
“John?”
“Mmhh..?”
“Potresti.. Non so.. Dire qualcosa o.. Guardarmi?” la voce di Sherlock rivelava il suo vago imbarazzo e
preoccupazione. Questo non avveniva nei sogni. Decise di aprire gli occhi.
Sherlock si era allontanato dal suo volto e ora sedeva scompostamente sul pavimento, poggiato a una
mano, mentre l’altra era tra i capelli. Sembrava esausto, come se avesse corso una maratona.
“Mi hai baciato.” Puntualizzò John.
“Come sempre non ti stanchi di far notare l’ovvio.” Mormorò l’altro, ironico.
John non aveva voglia di scherzare. “Sherlock. Sono innamorato di te da anni, tu lo sai – probabilmente lo
hai capito prima di me - e mi hai baciato. Cosa diavolo ti salta in testa?”
Sherlock non sorrideva più.
“Credevo che avrebbe reso tutto più chiaro..” mormorò quasi a se stesso.
John decise di alzarsi. Non ne poteva più di rimanere sul pavimento. Cominciò a camminare per la stanza,
senza una meta precisa, per poi trovarsi improvvisamente di fronte Sherlock in tutta la sua altezza. Deglutì.
“Cosa devo fare perché tu capisca?” domandò il moro, inclinando il capo nella sua direzione. Lo studiava
come di solito studia una scena del crimine: aveva la luce negli occhi che brillava di curiosità e aspettativa.
John deglutì. Si sentiva a disagio. Si sentiva osservato, al centro della sua attenzione. Non lo era mai stato
prima.

“Ti sbagli” disse all'improvviso il moro.
“Cosa?”
“Quello che stai pensando è sbagliato. Completamente sbagliato. Su tutta la linea.”
Il moro si chinò e prese la coperta sul pavimento,mettendola attorno a John, imprigionandolo tra le sue
braccia. Chinò il capo in modo che la sua bocca fosse a pochi millimetri dall’orecchio del biondo.
“Se tu non fossi stato qui, non voglio pensare a cosa sarei diventato. Ti devo tutto, John Watson, e sei la
persona più importante della mia vita. Non osare mai pensare qualcosa di diverso. Non osare mai pensare
che davvero ti lascerei. Non sono uno stupido. Non rinuncerei mai a te senza un valido motivo.”
Buttò fuori aria come se stesse correndo per miglia. John avvertiva il suo cuore battere a mille contro la
propria cassa toracica e sapeva che anche Sherlock lo sentiva.
“Per me.. Non è facile.. Dire queste cose. Ma tu sei il mio migliore amico, sei la mia persona, e lo sai. I punti
fissi cambiano a volte. Per questo si dice che le persone rivoluzionino la vita”
John sentiva il sorrisetto di Sherlock, e non poté reprimere il suo. Era una situazione surreale. Sherlock non
si era mai riferito a loro con un termine così generale.
John voleva abbracciarlo. Poteva? Ne aveva la forza?
Sentì le sue braccia lavorare da sole e avvolse la vita del moro, che sussultò piano ma si rilassò subito.
“Non sono molto abituato a questo genere di situazioni, ma sarebbe piacevole sentirti dire che mi ricambi.”
Mormorò poi Sherlock, e John rise.
“Taci, Sherlock. Lo sai. Lo sai da sempre.”
“Ma sarebbe carino se tu..” insistette Sherlock, e John agì d’istinto. Tutto pur di farlo stare in silenzio.
Lo baciò, piano, sulla bocca.
Se non altro aveva funzionato. Sherlock stava in silenzio.
Ma adesso era John a non avere idea di cosa stesse accadendo.
Si separarono con imbarazzo da parte di entrambi. John cercò preoccupato lo sguardo di Sherlock, che a
sua volta appariva stupito, ma niente di più.
Avrebbero dovuto esercitarsi con questo genere di cose.
“Direi che quello era.. Eloquente abbastanza..” mormorò Sherlock, passandosi la mano tra i capelli.
“Già..”
Scoppiarono a ridere insieme, e a quanto pare non era cambiato nulla da prima.
Forse perché alla fine non c’era nulla da cambiare. Erano Sherlock e John.
Sarebbero sempre stati Sherlock e John. Ed era una cosa che andava bene ad entrambi.


Tornarono alla vita di tutti i giorni. Scuola, casi, compiti.
In quella specifica eventualità, tutti e tre contemporaneamente.

“Mycroft l’altro giorno è venuto qui per un motivo” esordì Sherlock mentre erano in biblioteca.
“Ovvero?” John alzò lo sguardo dal tomo che stava consultando.
“Era per avvertirmi.” Proseguì il moro, socchiudendo piano gli occhi. “Su di te. Mi disse di non attaccarmi,
che presto mi avresti lasciato perché..beh, sono io.”
John si rabbuiò un secondo, poi incrociò lo sguardo di Sherlock dall’altra parte del tavolo e sorrise.
“Ma lui non ci conosce.” E questo sembrava porre fine alla questione.
“Già, non ci conosce” concordò Sherlock, e rispose al sorriso.


“Paga, Anderson”
L’ispettore Lestrade si avvicinò al ragazzo che gli era stato affibbiato dalla Scientifica per fare pratica.
Entrambi lavoravano con Sherlock e John perché Greg lo permetteva e, a lungo andare, avevano fatto una
scommessa sulla relazione dei due.
“Ma che dici! Non stanno insieme! Te lo ha detto Sherlock?” Philip era incredulo. Non poteva accettare di
aver perso. Era semplicemente impossibile che qualcuno come Sherlock potesse vivere qualcosa di banale
come l’amore.
Guardò verso i due che stavano esaminando una stanza, raccogliendo prove e chiacchierando come
sempre, e non notò alcuna differenza nel loro comportamento.
Tranne.. forse quello sguardo di John. O il modo in cui la mano di Sherlock aveva indugiato sulla spalla del
biondo.
Ma non significava nulla! Andiamo!
Can you feel.. the love tonight..” canticchiò Greg allegro, prendendosi una spinta da Anderson. Infine scoppiò a ridere e andò a riferire alla coppia di sgombrare prima che lo mettessero nei guai.
“Ti faremo avere i risultati appena possibile” esclamò Sherlock prima di aggiustarsi il cappotto e la sciarpa.
“..che tradotto significa grazie per averci fatto rimanere e buona serata” aggiunse John, scatenando
nell’ispettore un ulteriore risata.
Sherlock gli lanciò solo un occhiata irritata, ma stava sorridendo.
Lestrade era davvero felice per loro. Era ora che si dessero una mossa.
“Hey Greg!” Philip lo raggiunse dopo che i due se ne erano già andati. “Non è Molly, quella?”

Molly era una timida ragazza che faceva tirocinio al Barts, con cui avevano avuto a che fare tramite Sherlock.
L’ispettore guardò nella direzione indicata. C’era si la ragazza, accompagnata da un’altra poco più grande di
lei dai capelli scuri e gli occhi chiari. Non si tenevano per mano ma, a giudicare da come la mora si era
stretta alla più piccola quando un gruppo di uomini le era passato vicino, il loro rapporto era piuttosto stretto.
Poco dopo le due vennero avvicinate da Sherlock e John.
“Stavamo andando dal cinese, vi unite a noi?” domandò Molly, sorridendo ai due ragazzi.
“Offro io questa volta.” Soggiunse Irene. Lei e Sherlock si scambiarono uno sguardo che fece innervosire
John. Molly era troppo impegnata a pensare alla mano che le stringeva la vita per accorgersene.
“Oh no, io e John abbiamo un tavolo prenotato da Angelo. Sarà per un'altra volta..” commentò Sherlock, e
con la coda dell’occhio vide John rilassarsi.
Irene rise e le due si allontanarono nella direzione opposta rispetto a quella di Sherlock e John.


A volte la vita metteva davanti scenari incredibili.
Chissà cosa ne sarebbe stato di John, se non avesse conosciuto Sherlock.
Chissà se Sherlock avrebbe trovato un altro compagno.
Watson non lo sapeva. E non voleva saperlo.
Poteva essere certo solo di una cosa: non importava la situazione, il luogo, il tempo. La sua vita sarebbe
stata sempre legata a doppio filo a quella di Holmes.

So...I'm back.
Dopo la bellezza di quasi due anni torno a pubblicare qualcosa su Sherlock e, a differenza dalle mie solite slice of life, una AU. Teenlock.
Non so, mi affascinava immaginare cosa sarebbe accaduto se Sherlock avesse incontrato John da bambino, volevo vedere cosa sarebbe uscito e questo è il risultato.
Sherlock non è totalmente diverso. Le sue caratteristiche di base sono rimaste. Diciamo che non si è creata quella sorta di misantropia radicata che aveva. Oltre alla sociopatia, ma ho idea che quella fosse una conseguenza dell'isolamento, piuttosto che la causa.
Voglio dire, se si cresce con un fratello che considera tutti gli altri inferiori, ergo è perfettamente inutile, non ci si può aspettare molto.
John invece... è semplicemente John. Amo il suo punto di vista perché praticamente è la voce di tutti i comuni mortali al cospetto degli Holmes XD

A proposito di Holmes, che ne pensate dei genitori? Nella terza stagione ce li hanno mostrati piuttosto "ordinari", ma credo che anche loro abbiano il loro lato... Sherlockiano?
Riguardo alle Mollirene... non lo so, avevo visto un gifset su tumblr e mi piacevano XD
Così come Anderson e Lestrade che scommettono su se e quando si sarebbero dati una mossa i nostri due piccioncini :D
Va beh, spero che vi sia piaciuto ciò che abbiate letto! Fatemi sapere nelle recensioni o, se vi va, nella mia pagina facebook: http://www.facebook.com/gipsiusy

See you around!

STAYIN ALIVE!

 
 
   
 
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