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“Ecco
che cosa c’è
di buono del dolore fisico. Una volta che è andato
è andato. Anche il ricordo
si spegne. Non come il dolore mentale. Quello non te lo scrolli
più di dosso.
[Wolverine]”
Il
Sole stava lentamente per tramontare e il cielo con la sua sfumatura di
ambra
avvolgeva il grande gazebo bianco appostato nel giardino
sorprendentemente
curato della Tana. Un piccolo gnomo, probabilmente uno dei pochi
sopravvissuti
alla disinfestazione, sbucò all’improvviso da un
ciuffò d’erba verde e prese a
correre furtivamente, prima che qualcuno potesse accorgersi di lui. Ma,
all’interno
del gazebo, nessuno prestava attenzione a ciò che accadeva
lì fuori.
Musica,
risate e un allegro chiacchiericcio si levavano
dall’ottantina di invitati che
stavano festeggiando quello che sarebbe dovuto essere un giorno
gioioso. C’era
chi beveva dello champagne da calici trasparenti, chi osservava la
pista da
ballo troppo imbarazzato per muovere un passo, chi intratteneva
conversazioni
piacevoli con vecchi amici, chi si scatenava in pista ballando con la
propria
dama. E c’era anche chi si sentiva terribilmente estraneo da
tutto quello. Harry
Potter, per cominciare, era uno di questi.
Se ne
stava seduto in un angolo in disparte a guardare distrattamente i volti
conosciuti e sconosciuti che gli scorrevano davanti come un torrido
fiume. Non
aveva mai parlato con neanche i tre quarti di tutti quei maghi e quelle
streghe
presenti a quel matrimonio. E si sentiva totalmente a disagio.
Soprattutto per
gli sguardi seccanti e indesiderati che, non appena aveva messo piede
all’interno
del gazebo avevano cominciato a fissarlo senza il minimo riguardo. Era
davvero irritante.
Aveva
sempre odiato che l’attenzione fosse posata perennemente su
di lui. Essere
Harry Potter era diventato, con il tempo, un qualcosa di
insopportabile. Le
attenzioni, gli articoli del Profeta si erano
triplicati dopo la fine della II Guerra Magica. E lui ne aveva
abbastanza.
In
quel momento avrebbe volentieri ingurgitato un’intera cassa
di Pozione
Polisucco in modo da poter fingere di essere qualcun altro. Mai come in
quei
momenti, desiderava ardentemente di essere un altro. Non lui, non Harry
Potter
il salvatore del Mondo Magico.
Prese
un lungo sorso di Firewhiskey svuotando il bicchiere che aveva tra le
mani e
poi passò in rassegna la pista da ballo mentre lasciava che
la mente andasse
alla deriva. Chiuse gli occhi per un momento e poi una volta riaperti
fu come
se avesse viaggiato nel tempo, ritrovandosi in quello stesso gazebo non
molti
anni prima. E lì rivide tutto davanti a sé: Bill
e Fleur che danzavano stretti
l’uno all’altra, Fred e George insieme
da qualche parte a pomiciare con un paio di Veela, Tonks che cercava di
convincere Remus a ballare, lui con l’aspetto di un babbano
più grassoccio – in
teoria, uno dei tanti cugini dei Weasley – che ascoltava con
confusione e mille
domande in testa le insinuazioni della zia Muriel su Silente mentre
Doge, rosso
di rabbia, cercava di metterla a tacere.
Una
strana sensazione lo pervase e ritornò bruscamente alla
realtà. Sollevò la mano
destra e con le dita si strofinò con forza la cicatrice come
se da un momento
all’altro potesse sentirla ardere di nuovo come un tempo. Ma
non accadde. Era finita, si disse.
Lui, Ron ed
Hermione avevano trovato e distrutto tutti gli Horcrux, lui aveva messo
fine
all’esistenza tormentata di Voldemort una volta per tutte,
lui e tutti coloro
che avevano combattuto fino all’ultimo avevano vinto. La
guerra era finita.
Ma non
andava affatto tutto bene. Nonostante quella vittoria, Harry aveva
dentro di sé
un vuoto che niente e nessuno sarebbe riuscito a colmare. E non era il
solo a
cui era toccata una simile sorte. Anzi, lui era stato uno dei
più fortunati. Tutti quelli che gli erano stati vicini e
avevano cercato di aiutarlo erano morti. Se erano riusciti a
sopravvivere erano
destinati ad una vita di sofferenza e poche speranze.
Come
George. Aveva rovinato la sua vita, si
ripeté. Perché se George aveva perso un orecchio,
se George aveva perso Fred
era solo colpa sua. Fred era morto per causa sua. E non solo lui. Se il
piccolo
Teddy Lupin non avrebbe mai conosciuto i suoi genitori, se Sirius,
Silente,
Piton non erano più lì con loro era solo ed
esclusivamente colpa sua. Tutta
quella sofferenza, quelle perdite, quel senso di vuoto nel cuore di
molti erano
stati causati da lui.
L’odio,
la morte, il dolore erano cominciati quella lontana notte del 31
Ottobre ed
erano finiti quel giorno del 2 maggio con lui. Era stato il
responsabile di
tutto, era stato la scintilla che aveva fatto divampare il fuoco.
Harry
sentiva che avrebbe potuto fare molto di più, che avrebbe
potuto evitare molte
delle morti che aveva causato. Lo sapeva. Malocchio, Edvige, Dobby,
Fred,
Sirius, Lupin, Silente, Tonks e Piton. Avrebbe potuto salvarli tutti ma
non ci
era riuscito e nessuna scusa o parola, nessun senso di colpa sarebbero
riusciti
a giustificarlo.
Ma,
alla fine, si era aspettato di peggio. Cosa
avrebbe dovuto aspettarsi? - si chiese - Che
una volta finita tutto il dolore, tutti i sensi di colpa sarebbero
spariti con un semplice Evanesco?
Si
sentiva male e le lacrime brucianti parvero ritornare con prepotenza.
Harry
era apparito con un sonoro CLAP non molto lontano dal gazebo, la giusta
distanza per essere in grado di sentire indistintamente gli schiamazzi
e la
musica del ricevimento. Improvvisamente, era come se il capanno si
fosse
rimpicciolito e una sensazione di claustrofobia l’aveva
afferrato mentre i
polmoni reclamavano a gran voce il bisogno di aria.
La
finta allegria non faceva per lui. Sapeva benissimo
che non era il solo ad avere certi pensieri. Faceva male sapere che i
sorrisi
delle persone a lui più care avevano solo il venti percento
di sincerità. Lo
rattristava e lo faceva infuriare contemporaneamente. Si, infuriare,
perché la
colpa era sua. E poi era passato troppo poco tempo e le ferite di tutti
erano
ancora aperte, ben visibili e grondanti di sangue vermiglio.
Non
voleva autocommiserarsi. Aveva provato a reagire. Aveva preso in mano
la
situazione cercando di dare un
senso a quella nuova vita. Il corso di Auror, il matrimonio
con Ginny e ora
l’imminente nascita di suo figlio. Tutto sommato poteva dire
di esserci
riuscito a ritagliarsi una piccola porzione di felicità in
tutto quel
devastante dolore. Poteva dire di essere felice, o almeno in minima
parte.
Perché
per quanto amasse Ginny, per quanto fosse orgoglio della prossima
nascita del
piccolo James Sirius Potter, la sensazione di oppressione, il vuoto e
la
disperazione non l’avevano mai lasciato. Nemmeno per un
attimo. Credeva che non
fosse assolutamente in grado di poter condurre una vita normale. Tutte
quelle
azioni, tutto ciò che aveva fatto dopo la guerra
appartenevano ad uno
sconosciuto. Non riusciva più a riconoscersi.
Ed era
sbagliato ridursi in quello stato. Era malsano quello che desiderava.
Perché lui
era Harry Potter e non poteva permettersi di amare una donna che non
fosse
Ginny. Non poteva permettersi di bramare una vita diversa, non poteva.
Non era
giusto che lui, Harry Potter, avesse una vita più felice di
quelli a cui l’aveva
rovinata.
E
mentre si accorgeva che in un mucchio di stelle ce ne era una che
brillava più
di tutte, un viso illuminò i suoi cupi e sofferenti
pensieri. I capelli
cespugliosi, la pelle liscia e delicata, le labbra sottili distese in
un sorriso
caldo e rassicurante, gli occhi brillanti. Gli sembrò di
vederla lì proprio in
quel momento, seduta comodamente su un divanetto scarlatto, lo sguardo
vispo,
un grosso tomo in grembo e il sorriso mentre gli parlava
orgogliosamente del
C.R.E.P.A. Bastò quel viso a ricordargli che non tutto era
perduto. Che poteva
sempre vivere quella vita che poi non era tanto male.
Abbassò
le palpebre mentre ricordava tutte le avventure vissute insieme ai suoi
migliori amici. Loro, “il trio dei miracoli”, gli
amici per la pelle,
inseparabili. Loro che ne avevano vissute tante ed erano ancora
lì
insieme, più forti che mai.
E mettersi
a pensare a lei fu un qualcosa di naturale. Lei che non
l’aveva mai
abbandonato. Lei che gli era sempre stata vicina. Lei che non aveva
paura di
fargli una strigliata o di esporgli i suoi pensieri. La sua migliore
amica, o
meglio dire, la donna che amava realmente con tutto sé
stesso. La donna che non
avrebbe mai potuto avere.
Era
troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi per provare a cambiare
le cose.
Sospirò
nuovamente mentre stringeva i pugni così forte da far
sbiancare le nocche.
Quella mattina aveva rischiato davvero. Aveva quasi interrotto
l’unione di Ron
ed Hermione, proprio nel momento in cui lei stava per esalare il
fatidico “si”. Ma
qualcosa, probabilmente il suo sguardo felice, era riuscito a fermarlo.
Che
diritto aveva lui di rovinare la sua vita di nuovo? Che diritto aveva
di
rovinare il più gran bel giorno della sua vita?
Nessuno.
Non aveva il minimo diritto di farlo.
-
Harry! Finalmente ti ho trovato!
Quella
voce riuscì a risvegliarlo mentre l’immagine che
aveva in testa si era
materializzata proprio davanti a lui. Sorrise appena, voltandosi e
raggiungendola con alcune falcate.
- Ti
stai perdendo la torta. - fece ancora Hermione con un sorriso dolce.
- Non
importa. Avevo bisogno di un po’ d’aria. -
mormorò lui mentre lei assumeva uno
sguardo preoccupato.
- Va
tutto bene?
-
Certo. E’ il tuo giorno, Hermione, non pensare a me. Io sto
bene. – la rassicurò
fingendo un sorriso sotto la sua occhiata critica.
Un
dolce musica proveniente dal gazebo si diffuse circondandoli mentre i
loro
occhi si scontravano con intensità. Hermione era
preoccupata. Non riusciva a
capire cosa avesse Harry. Con un sospiro gli afferrò una
mano portandosela in
vita, poi gli prese l’altra e intrecciò le dita
con le sue. Cominciarono a dondolare
leggermente, stretti, senza mai interrompere il contatto visivo.
-
Allora, mi dici che succede?
- Sei
bellissima, Hermione. – disse invece Harry con un sorriso
sincero mentre
osservava il volto dell’amica imporporarsi. Era stupenda. Lo
era davvero. Il vestito bianco
che le cadeva a pennello e le fasciava perfettamente il corpo, i capelli
raccolti in un’ acconciatura complicata, il
trucco leggero e il sorriso che funzionava meglio di qualsiasi altra
cosa
avesse appiccicata in faccia. – Anche se preferisco
i tuoi soliti capelli, sai?
Hanno quel nonsoché di…
-
Orribile? – lo interruppe lei con una buffa smorfia e una
risatina divertita.
- Di
Hermione.
-
Dovrebbe essere un complimento? – gli domandò
lusingata e per niente imbarazzata.
Harry
annuì facendole fare una giravolta improvvisa. Hermione
dovette tenersi
saldamente alle sue spalle dopo per riuscire a trovare una
stabilità migliore
sui tacchi che indossava. Non c’era alcun imbarazzo tra di
loro. Lei non aveva
mai indugiato prima di abbracciarlo o di stringergli la mano. Come
quella notte a
Godric’s Hollow davanti alla tomba di James e Lily. Oppure
come quando la
invitò a ballare per tirarle su il morale, per cercare di
non farle pensare all’abbandono
di Ron.
Si
conoscevano da quando avevano 11 anni. Praticamente da una vita e
conoscevano perfettamente ogni dettaglio, ogni espressione, ogni
piccolo
difetto dell’altro. Forse Harry la conosceva anche meglio di
sé stesso. Forse,
conosceva cose che nemmeno lei sapeva di avere. Come
quell’adorabile difetto di
essere sempre bella ai suoi occhi, per esempio.
I
ricordi si riversarono nella mente di Harry e si ritrovò a
pensare che nonostante
quello fosse il suo grande giorno lei era venuta proprio lì,
a cercarlo, a
chiedergli se tutto andasse bene. Era un’altra dimostrazione
del fatto che non
potesse non provare dei sentimenti per lei.
- Ti
ricordi quella notte nella tenda? – gli chiese ad un certo
punto lei, il sorriso
sulle labbra ma la preoccupazione ben palese negli occhi.
-
Intendi quella in cui cercai di…
-
Tirarmi su il morale con un ballo.
-
Già…
- E non
ti sembra…
- Di
essere nella stessa situazione?
- Solo
che adesso…
- Sei
tu che stai cercando di tirarmi su il morale. – concluse lui
sorridendo e
non stupendosi per niente del fatto che concludessero ancora le frasi
dell’altro
senza batter ciglio.
Risero
insieme e poi si guardarono a lungo senza parlare. Harry aveva la
voglia
incontrollata di posare le proprie labbra su quelle di Hermione.
Avrebbe tanto
voluto sentirne il sapore ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. Non le
avrebbe rovinato quel giorno. Non avrebbe permesso a nessuno di farlo.
-
Harry, andiamo. Ti conosco e so che c’è qualcosa
che non va. Che succede?
Harry
si limitò ad evitare il suo sguardo. Le diede un bacio
leggero trai i capelli e
poi si raddrizzò velocemente. Persino i suoi capelli avevano
un buon profumo,
dannazione.
-
Conserva l’ultimo ballo per me, va bene? - le disse.
- Certo.
E’ dal giorno in cui ci siamo conosciuti che è un
tuo diritto, Harry, e
sempre
lo sarà. – replicò lei,
sfiorandogli leggermente la guancia con la mano destra.
– Ma se non vieni dentro entro cinque minuti, giuro che ti
schianto.
Harry
scoppiò in una risata fragorosa mentre Hermione cercava di
resistere alla
voglia di ridere. Si voltò, poi, e cominciò a
ritornare dentro. Harry la
guardò allontanarsi mentre il vuoto allo stomaco ritornava a
fargli visita. Nel
preciso istante in cui aveva sentito la sua voce e aveva avvertito la
sua vicinanza aveva
dimenticato ogni problema, ogni maledetto pensiero.
Si era
sentito leggero, si era sentito bene mentre adesso che la guardava
rientrare lì
era sprofondato nuovamente nel buio. Solo la disperazione, la
sofferenza e la voglia di
gridare a fargli compagnia.
Era così sbagliato sperare che lei lo ricambiasse? Avere la voglia di mandare tutto al diavolo per poter stare con lei era così sbagliato? Perché doveva solo avere la blanda illusione di poter vivere? Perché non poteva essere davvero felice? Perché quel dolore, quel vuoto, quella morsa non volevano abbandonarlo? Perché Hermione non poteva essere sua?
Con
quelle domande che gli vorticavano nella testa con la forza di un
tornado,
varcò la soglia del gazebo e con l’intenzione di
prendersi - anche solo per qualche minuto - ciò che era sempre stato suo di diritto,
si
stampò sulle labbra un grosso sorriso mentre Hermione gli
porgeva una mano e lo invitava sulla pista per l'ultimo ballo.
L'Angolo di Hono:
'Sera a
tutti!
Comincio col
dire che questa shot, probabilmente,è nata a causa della
depressione post Doni della Morte (ieri ho finito di
rileggerlo). L'ho pensata ieri e adesso l'ho appena finita di scrivere
e prima che tutti i buoni propositi di pubblicarla mi abbandonassero mi
sono fiondata qui. Allora, ci troviamo al matrimonio di Hermione e Ron
e supponendo che Harry amasse la sua migliore amica questo è
quello che il mio cervello sclerato ha partorito :') Io li
amo quei due assieme. Avrei scritto qualcosa di più allegro
ma la depressione mi fa un brutto effetto, davvero :') Dunque, che
dire? Spero che vi piaccia anche se è uno dei soliti
cliché, sapete, matrimonio, conserva l'ultimo ballo per me e
tutto il resto. Nel complesso credo che sia decente, almeno per me
credo. Boh. Mi affido a voi :') Recensite se vi va! ^-^
A presto C:
Hono