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Autore: Hono    30/01/2014    3 recensioni
La guerra è finita. Tutti stanno cercando di raccogliere i pezzi della propria vita e andare avanti.Il matrimonio tanto atteso di Ron ed Hermione è un modo per distogliere la mente dalle brutture che la guerra ha causato. Tutti sono felici, a modo loro. Tutti cercano di mostrarsi contenti e allegri. O, meglio, quasi tutti.
Dal testo:
Essere Harry Potter era diventato, con il tempo, un qualcosa di insopportabile. Le attenzioni,
gli articoli del Profeta si erano triplicati dopo la fine della II Guerra Magica. E lui ne aveva abbastanza.
In quel momento avrebbe volentieri ingurgitato un’intera cassa di Pozione Polisucco in modo da poter fingere di essere qualcun altro. Mai come in quei momenti, desiderava ardentemente di essere un altro. Non lui, non Harry Potter il salvatore del Mondo Magico.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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“Ecco che cosa c’è di buono del dolore fisico. Una volta che è andato è andato. Anche il ricordo si spegne. Non come il dolore mentale. Quello non te lo scrolli più di dosso.
[Wolverine]”

 

Il Sole stava lentamente per tramontare e il cielo con la sua sfumatura di ambra avvolgeva il grande gazebo bianco appostato nel giardino sorprendentemente curato della Tana. Un piccolo gnomo, probabilmente uno dei pochi sopravvissuti alla disinfestazione, sbucò all’improvviso da un ciuffò d’erba verde e prese a correre furtivamente, prima che qualcuno potesse accorgersi di lui. Ma, all’interno del gazebo, nessuno prestava attenzione a ciò che accadeva lì fuori.
Musica, risate e un allegro chiacchiericcio si levavano dall’ottantina di invitati che stavano festeggiando quello che sarebbe dovuto essere un giorno gioioso. C’era chi beveva dello champagne da calici trasparenti, chi osservava la pista da ballo troppo imbarazzato per muovere un passo, chi intratteneva conversazioni piacevoli con vecchi amici, chi si scatenava in pista ballando con la propria dama. E c’era anche chi si sentiva terribilmente estraneo da tutto quello. Harry Potter, per cominciare, era uno di questi.

Se ne stava seduto in un angolo in disparte a guardare distrattamente i volti conosciuti e sconosciuti che gli scorrevano davanti come un torrido fiume. Non aveva mai parlato con neanche i tre quarti di tutti quei maghi e quelle streghe presenti a quel matrimonio. E si sentiva totalmente a disagio. Soprattutto per gli sguardi seccanti e indesiderati che, non appena aveva messo piede all’interno del gazebo avevano cominciato a fissarlo senza il minimo riguardo. Era davvero irritante.
Aveva sempre odiato che l’attenzione fosse posata perennemente su di lui. Essere Harry Potter era diventato, con il tempo, un qualcosa di insopportabile. Le attenzioni, gli articoli del Profeta si erano triplicati dopo la fine della II Guerra Magica. E lui ne aveva abbastanza.
In quel momento avrebbe volentieri ingurgitato un’intera cassa di Pozione Polisucco in modo da poter fingere di essere qualcun altro. Mai come in quei momenti, desiderava ardentemente di essere un altro. Non lui, non Harry Potter il salvatore del Mondo Magico.

Prese un lungo sorso di Firewhiskey svuotando il bicchiere che aveva tra le mani e poi passò in rassegna la pista da ballo mentre lasciava che la mente andasse alla deriva. Chiuse gli occhi per un momento e poi una volta riaperti fu come se avesse viaggiato nel tempo, ritrovandosi in quello stesso gazebo non molti anni prima. E lì rivide tutto davanti a sé: Bill e Fleur che danzavano stretti l’uno all’altra, Fred e George insieme da qualche parte a pomiciare con un paio di Veela, Tonks che cercava di convincere Remus a ballare, lui con l’aspetto di un babbano più grassoccio – in teoria, uno dei tanti cugini dei Weasley – che ascoltava con confusione e mille domande in testa le insinuazioni della zia Muriel su Silente mentre Doge, rosso di rabbia, cercava di metterla a tacere.

E mentre l’immagine di Luna che volteggiava da sola tra la calca di maghi e streghe che le ballavano intorno si sovrapponeva a quella di Hermione con il viso arrossato per lo sforzo di ballare che gli riferiva che Ron era andato a prendere da bere ricordò esattamente come era andato a finire quel matrimonio.

Una strana sensazione lo pervase e ritornò bruscamente alla realtà. Sollevò la mano destra e con le dita si strofinò con forza la cicatrice come se da un momento all’altro potesse sentirla ardere di nuovo come un tempo. Ma non accadde. Era finita, si disse. Lui, Ron ed Hermione avevano trovato e distrutto tutti gli Horcrux, lui aveva messo fine all’esistenza tormentata di Voldemort una volta per tutte, lui e tutti coloro che avevano combattuto fino all’ultimo avevano vinto. La guerra era finita.

Ma non andava affatto tutto bene. Nonostante quella vittoria, Harry aveva dentro di sé un vuoto che niente e nessuno sarebbe riuscito a colmare. E non era il solo a cui era toccata una simile sorte. Anzi, lui era stato uno dei più fortunati. Tutti quelli che gli erano stati vicini e avevano cercato di aiutarlo erano morti. Se erano riusciti a sopravvivere erano destinati ad una vita di sofferenza e poche speranze.

Come George. Aveva rovinato la sua vita, si ripeté. Perché se George aveva perso un orecchio, se George aveva perso Fred era solo colpa sua. Fred era morto per causa sua. E non solo lui. Se il piccolo Teddy Lupin non avrebbe mai conosciuto i suoi genitori, se Sirius, Silente, Piton non erano più lì con loro era solo ed esclusivamente colpa sua. Tutta quella sofferenza, quelle perdite, quel senso di vuoto nel cuore di molti erano stati causati da lui.

L’odio, la morte, il dolore erano cominciati quella lontana notte del 31 Ottobre ed erano finiti quel giorno del 2 maggio con lui. Era stato il responsabile di tutto, era stato la scintilla che aveva fatto divampare il fuoco.

Harry sentiva che avrebbe potuto fare molto di più, che avrebbe potuto evitare molte delle morti che aveva causato. Lo sapeva. Malocchio, Edvige, Dobby, Fred, Sirius, Lupin, Silente, Tonks e Piton. Avrebbe potuto salvarli tutti ma non ci era riuscito e nessuna scusa o parola, nessun senso di colpa sarebbero riusciti a giustificarlo.Una morsa gli attanagliò lo stomaco costringendolo a strizzare gli occhi per il dolore. E, nello stesso istante, era come se la cicatrice pulsasse sotto le sue dita ma non a causa di Voldemort. La colpa, il vuoto e tutto il marciume che sentiva dentro corrodevano la sua anima senza dargli tregua.

Ma, alla fine, si era aspettato di peggio. Cosa avrebbe dovuto aspettarsi? - si chiese - Che una volta finita tutto il dolore, tutti i sensi di colpa sarebbero spariti con un semplice Evanesco?

Si sentiva male e le lacrime brucianti parvero ritornare con prepotenza. Si alzò dalla sedia e in un attimo si smaterializzò sperando di non farsi notare da nessuno. Non aveva la minima voglia di parlare con qualcuno. Non voleva rovinare la festa a nessuno. Averlo fatto già a sé stesso era abbastanza.

Il giardino falciato e decorato di quella maniera sprofondato nel buio della notte e illuminato fiocamente da lampade che galleggiavano nell’aria aveva quel nonsoché di incantato. Il leggero e fresco venticello, il cielo sgombro di nuvole e sorprendentemente colmo di stelle sembravano appena usciti da una fiaba.

Harry era apparito con un sonoro CLAP non molto lontano dal gazebo, la giusta distanza per essere in grado di sentire indistintamente gli schiamazzi e la musica del ricevimento. Improvvisamente, era come se il capanno si fosse rimpicciolito e una sensazione di claustrofobia l’aveva afferrato mentre i polmoni reclamavano a gran voce il bisogno di aria.

La finta allegria non faceva per lui. Sapeva benissimo che non era il solo ad avere certi pensieri. Faceva male sapere che i sorrisi delle persone a lui più care avevano solo il venti percento di sincerità. Lo rattristava e lo faceva infuriare contemporaneamente. Si, infuriare, perché la colpa era sua. E poi era passato troppo poco tempo e le ferite di tutti erano ancora aperte, ben visibili e grondanti di sangue vermiglio.

Non voleva autocommiserarsi. Aveva provato a reagire. Aveva preso in mano la situazione cercando di dare un senso a quella nuova vita. Il corso di Auror, il matrimonio con Ginny e ora l’imminente nascita di suo figlio. Tutto sommato poteva dire di esserci riuscito a ritagliarsi una piccola porzione di felicità in tutto quel devastante dolore. Poteva dire di essere felice, o almeno in minima parte.

Perché per quanto amasse Ginny, per quanto fosse orgoglio della prossima nascita del piccolo James Sirius Potter, la sensazione di oppressione, il vuoto e la disperazione non l’avevano mai lasciato. Nemmeno per un attimo. Credeva che non fosse assolutamente in grado di poter condurre una vita normale. Tutte quelle azioni, tutto ciò che aveva fatto dopo la guerra appartenevano ad uno sconosciuto. Non riusciva più a riconoscersi.

Ed era sbagliato ridursi in quello stato. Era malsano quello che desiderava. Perché lui era Harry Potter e non poteva permettersi di amare una donna che non fosse Ginny. Non poteva permettersi di bramare una vita diversa, non poteva. Non era giusto che lui, Harry Potter, avesse una vita più felice di quelli a cui l’aveva rovinata.

E mentre si accorgeva che in un mucchio di stelle ce ne era una che brillava più di tutte, un viso illuminò i suoi cupi e sofferenti pensieri. I capelli cespugliosi, la pelle liscia e delicata, le labbra sottili distese in un sorriso caldo e rassicurante, gli occhi brillanti. Gli sembrò di vederla lì proprio in quel momento, seduta comodamente su un divanetto scarlatto, lo sguardo vispo, un grosso tomo in grembo e il sorriso mentre gli parlava orgogliosamente del C.R.E.P.A. Bastò quel viso a ricordargli che non tutto era perduto. Che poteva sempre vivere quella vita che poi non era tanto male.

Abbassò le palpebre mentre ricordava tutte le avventure vissute insieme ai suoi migliori amici. Loro, “il trio dei miracoli”, gli amici per la pelle, inseparabili. Loro che ne avevano vissute tante ed erano ancora lì insieme, più forti che mai. Ed Harry sapeva benissimo che se solo si fosse azzardato ad assecondare i suoi desideri avrebbe spezzato quel legame che era sopravvissuto a tutto. E questa era una delle cause principali che lo avevano fermato, che lo avevano convinto a fare ciò che tutti si sarebbero aspettati da lui.

E mettersi a pensare a lei fu un qualcosa di naturale. Lei che non l’aveva mai abbandonato. Lei che gli era sempre stata vicina. Lei che non aveva paura di fargli una strigliata o di esporgli i suoi pensieri. La sua migliore amica, o meglio dire, la donna che amava realmente con tutto sé stesso. La donna che non avrebbe mai potuto avere.

Era troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi per provare a cambiare le cose.

Sospirò nuovamente mentre stringeva i pugni così forte da far sbiancare le nocche. Quella mattina aveva rischiato davvero. Aveva quasi interrotto l’unione di Ron ed Hermione, proprio nel momento in cui lei stava per esalare il fatidico “si”. Ma qualcosa, probabilmente il suo sguardo felice, era riuscito a fermarlo. Che diritto aveva lui di rovinare la sua vita di nuovo? Che diritto aveva di rovinare il più gran bel giorno della sua vita?

Nessuno. Non aveva il minimo diritto di farlo.

- Harry! Finalmente ti ho trovato!

Quella voce riuscì a risvegliarlo mentre l’immagine che aveva in testa si era materializzata proprio davanti a lui. Sorrise appena, voltandosi e raggiungendola con alcune falcate.

- Ti stai perdendo la torta. - fece ancora Hermione con un sorriso dolce.

- Non importa. Avevo bisogno di un po’ d’aria. - mormorò lui mentre lei assumeva uno sguardo preoccupato.

- Va tutto bene?

- Certo. E’ il tuo giorno, Hermione, non pensare a me. Io sto bene. – la rassicurò fingendo un sorriso sotto la sua occhiata critica.

Un dolce musica proveniente dal gazebo si diffuse circondandoli mentre i loro occhi si scontravano con intensità. Hermione era preoccupata. Non riusciva a capire cosa avesse Harry. Con un sospiro gli afferrò una mano portandosela in vita, poi gli prese l’altra e intrecciò le dita con le sue. Cominciarono a dondolare leggermente, stretti, senza mai interrompere il contatto visivo.

- Allora, mi dici che succede?

- Sei bellissima, Hermione. – disse invece Harry con un sorriso sincero mentre osservava il volto dell’amica imporporarsi. Era stupenda. Lo era davvero. Il vestito bianco che le cadeva a pennello e le fasciava perfettamente il corpo, i capelli raccolti in un’ acconciatura complicata, il trucco leggero e il sorriso che funzionava meglio di qualsiasi altra cosa avesse appiccicata in faccia. – Anche se preferisco i tuoi soliti capelli, sai? Hanno quel nonsoché di…

- Orribile? – lo interruppe lei con una buffa smorfia e una risatina divertita.

- Di Hermione.

- Dovrebbe essere un complimento? – gli domandò lusingata e per niente imbarazzata.

Harry annuì facendole fare una giravolta improvvisa. Hermione dovette tenersi saldamente alle sue spalle dopo per riuscire a trovare una stabilità migliore sui tacchi che indossava. Non c’era alcun imbarazzo tra di loro. Lei non aveva mai indugiato prima di abbracciarlo o di stringergli la mano. Come quella notte a Godric’s Hollow davanti alla tomba di James e Lily. Oppure come quando la invitò a ballare per tirarle su il morale, per cercare di non farle pensare all’abbandono di Ron.

Si conoscevano da quando avevano 11 anni. Praticamente da una vita e conoscevano perfettamente ogni dettaglio, ogni espressione, ogni piccolo difetto dell’altro. Forse Harry la conosceva anche meglio di sé stesso. Forse, conosceva cose che nemmeno lei sapeva di avere. Come quell’adorabile difetto di essere sempre bella ai suoi occhi, per esempio.

I ricordi si riversarono nella mente di Harry e si ritrovò a pensare che nonostante quello fosse il suo grande giorno lei era venuta proprio lì, a cercarlo, a chiedergli se tutto andasse bene. Era un’altra dimostrazione del fatto che non potesse non provare dei sentimenti per lei. C’era sempre stata, in ogni occasione. Lei aveva sempre scelto di restare con lui, di sostenerlo, di aiutarlo. E lui gliene sarebbe stato grato per il resto della vita. Lo sguardo di Harry si addolcì e sorrise non potendolo evitare.

- Ti ricordi quella notte nella tenda? – gli chiese ad un certo punto lei, il sorriso sulle labbra ma la preoccupazione ben palese negli occhi.

- Intendi quella in cui cercai di…

- Tirarmi su il morale con un ballo.

- Già…

- E non ti sembra…

- Di essere nella stessa situazione?

- Solo che adesso…

- Sei tu che stai cercando di tirarmi su il morale. – concluse lui sorridendo e non stupendosi per niente del fatto che concludessero ancora le frasi dell’altro senza batter ciglio.

Risero insieme e poi si guardarono a lungo senza parlare. Harry aveva la voglia incontrollata di posare le proprie labbra su quelle di Hermione. Avrebbe tanto voluto sentirne il sapore ma sapeva che non avrebbe potuto farlo. Non le avrebbe rovinato quel giorno. Non avrebbe permesso a nessuno di farlo.

- Harry, andiamo. Ti conosco e so che c’è qualcosa che non va. Che succede?

Harry si limitò ad evitare il suo sguardo. Le diede un bacio leggero trai i capelli e poi si raddrizzò velocemente. Persino i suoi capelli avevano un buon profumo, dannazione.

- Conserva l’ultimo ballo per me, va bene? - le disse.

- Certo. E’ dal giorno in cui ci siamo conosciuti che è un tuo diritto, Harry, e sempre lo sarà. – replicò lei, sfiorandogli leggermente la guancia con la mano destra. – Ma se non vieni dentro entro cinque minuti, giuro che ti schianto.

Harry scoppiò in una risata fragorosa mentre Hermione cercava di resistere alla voglia di ridere. Si voltò, poi, e cominciò a ritornare dentro. Harry la guardò allontanarsi mentre il vuoto allo stomaco ritornava a fargli visita. Nel preciso istante in cui aveva sentito la sua voce e aveva avvertito la sua vicinanza aveva dimenticato ogni problema, ogni maledetto pensiero.

Si era sentito leggero, si era sentito bene mentre adesso che la guardava rientrare lì era sprofondato nuovamente nel buio. Solo la disperazione, la sofferenza e la voglia di gridare a fargli compagnia.

Era così sbagliato sperare che lei lo ricambiasse? Avere la voglia di mandare tutto al diavolo per poter stare con lei era così sbagliato? Perché doveva solo avere la blanda illusione di poter vivere? Perché non poteva essere davvero felice? Perché quel dolore, quel vuoto, quella morsa non volevano abbandonarlo? Perché Hermione non poteva essere sua?

Con quelle domande che gli vorticavano nella testa con la forza di un tornado, varcò la soglia del gazebo e con l’intenzione di prendersi - anche solo per qualche minuto - ciò che era sempre stato suo di diritto, si stampò sulle labbra un grosso sorriso mentre Hermione gli porgeva una mano e lo invitava sulla pista per l'ultimo ballo.

L'Angolo di Hono:
'Sera a tutti! 
Comincio col dire che questa shot, probabilmente,è nata a causa della depressione post Doni della Morte (ieri ho finito di rileggerlo). L'ho pensata ieri e adesso l'ho appena finita di scrivere e prima che tutti i buoni propositi di pubblicarla mi abbandonassero mi sono fiondata qui. Allora, ci troviamo al matrimonio di Hermione e Ron e supponendo che Harry amasse la sua migliore amica questo è quello che il mio cervello sclerato ha partorito :')  Io li amo quei due assieme. Avrei scritto qualcosa di più allegro ma la depressione mi fa un brutto effetto, davvero :') Dunque, che dire? Spero che vi piaccia anche se è uno dei soliti cliché, sapete, matrimonio, conserva l'ultimo ballo per me e tutto il resto. Nel complesso credo che sia decente, almeno per me credo. Boh. Mi affido a voi :') Recensite se vi va! ^-^
A presto C:
Hono

 

  
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