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Autore: Claudine Delacroix    31/01/2014    3 recensioni
Viveva di dettagli.
La ghiaia che scricchiolava sotto le suole dei suoi anfibi, il fruscio di una pagina che girava, il gorgoglio dell'acqua mesciuta; si pasceva di quelle briciole di vita ignorate da tutti.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DETTAGLI

 

 

Viveva di dettagli.
La ghiaia che scricchiolava sotto le suole dei suoi anfibi, il fruscio di una pagina che girava, il gorgoglio dell'acqua mesciuta; si pasceva di quelle briciole di vita ignorate da tutti.
Non amava la compagnia delle persone. Anzi, è errato; era solo una tipa solitaria. A lei, le persone, piacevano. Le studiava di continuo, guardandole di sottecchi da sotto la cortina di capelli – costantemente in disordine.
Notava i tic della gente e li collezionava come se fossero francobolli; Luciano si mordeva le unghie inclinando la testa, Riccardo mulinava le braccia quando veniva interrogato ed era nervoso, Letizia si arricciava una ciocca di capelli intorno all'indice destro quand'era annoiata; la professoressa di inglese, invece, faceva una cosa stranissima, portava la mano destra alla tempia ogni due secondi per strofinarsela. Questo tic non le piaceva, lo trovava irritante, ma lo infilava lo stesso nella sua cartella mentale.
E poi ascoltava. Ascoltava molto. Ascoltava i vecchietti lamentosi che andava a visitare nella casa di riposo vicino a casa sua, le lezioni dei professori, i discorsi dei suoi compagni di scuola. Ascoltava, guardava e immagazzinava. Ogni tanto metteva in pratica ciò che aveva imparato; prendeva in mano una ciocca di capelli e la arrotolava intorno all'indice, però non era bello come guardare Letizia. Le si incastravano i capelli intorno al dito e si annodavano, perché erano ricci e crespi e rossi, non biondo miele e dritti come quelli della sua compagna di classe.
Un giorno provò pure ad urlare «I giovani d'oggi!» al suo gatto, con voce petulante e contrita come l'anziana signora che andava a trovare alla suddetta casa di riposo. Era la sua preferita, anche se odiava i giovani. Però era bello starla sentire. Aveva una vocina flebile e dei capelli bianco-crema come il latte di soia, e un corpo minuto e delicato come la carta velina che Flaminia usava per i lavoretti di fine anno alle elementari.
In ogni caso, urlò quella frase al suo gatto perché si era seduto sul libro che stava leggendo, stropicciandone le pagine. E poi voleva sentire come sarebbero suonate quelle stesse parole uscite dalla sua bocca.
Persefone – la malefica certosina grigia – invece di abbassare la testa, vergognosa e dispiaciuta come aveva fatto lei quando Maria, la signora della casa di riposo, le aveva detto quella cosa dei giovani, sbadigliò e cominciò a fare le fusa.
Così Flaminia decise che certe cose era meglio vederle, che farle.
In ogni caso, osservare ed esplorare, scoprire particolari minuscoli, trovare le minuzie in ogni cosa, la teneva comunque occupata.
«Persefone!» esordiva il pomeriggio, pestando i piedi mentre entrava nella sua camera. La gatta, che dormiva sul letto, riconosceva il proprio nome ed alzava la testa, attenta, le orecchie dritte e gli occhi spalancati, tutti i suoi sensi di felino all'erta.
«Si va ad esplorare.»
Flaminia si girava, faceva per andare verso la porta; e sorrideva sentendo il tonfo attutito delle zampine di Persefone che toccavano il pavimento, raggiungendola per strofinarsi intorno alle sue gambe. La figura grigia dell'animale le riempiva la punta degli anfibi neri di peli, ma non le importava. Le piacevano pure quei ciuffetti grigi. Era come una specie di avviso, ‘questa ragazza è proprietà di Persefone’.
Flaminia poi si infilava il cappotto ormai liso, verde e con qualche strappo, e portava con sé la macchina fotografica, un telo, un libro e il suo blocco da disegno. Destinazione; Il Bosco, con la I e la B maiuscole.
Era una piccola foresta di querce non molto lontana da casa sua; doveva solo eseguire un tragitto di cinque minuti a piedi. Per lei, però, era maestosa e grande e selvaggia quanto i boschi famosi dell'Europa che aveva studiato a scuola, anche se ormai conosceva a menadito qualunque sentiero, albero o ruscello.
Ogni volta che doveva raggiungere Il Bosco, l'eccitazione per l'avventura e l'esplorazione la facevano correre e saltellare, cosicché Persefone, per stare al passo, doveva zampettare sempre più veloce. E poi finivano per fare le gare, cercando di arrivare prime all'imbocco della foresta, e le persone si giravano a guardare quei due fulmini, un cosino grigio che correva come un leopardo e una figura incappottata di verde che eseguiva profonde falcate, con la custodia della Nikon che le sbatacchiava sulla spalla. C'era chi scuoteva la testa e tornava alle proprie occupazioni, sbloccando il telefono e riprendendo a chiamare o inviare messaggi; c'era invece chi le seguiva con lo sguardo, incantato dalla massa di riccioli rosso fuoco che frustavano l'aria.
Tanto Flaminia e Persefone non c'erano per nessuno.
E poi, dopo una corsa scatenata, arrivavano nei pressi dell'ingresso. Alla vista delle prime roverelle la ragazza rallentava, si sistemava il cappotto, si faceva silenziosa. Provava una specie di timore reverenziale nei confronti di quella grandiosa opera d'arte della natura che era Il Bosco; ma non appena ci entrava, ecco che la timidezza spariva. Le sembrava di tornare dalla sua famiglia, per lei era come una seconda casa.
‘Uno crede di tornare a casa e invece torna in se stesso’, le aveva svelato un giorno Pennac; e Flaminia, dopo aver riflettuto a lungo su quella frase, convenne che era proprio così. Lì, nella foresta, tornava ad essere se stessa, si liberava della postura compita e affettata che assumeva a scuola, poteva, invece di tenerle rigide lungo i fianchi come quando viaggiava in autobus la mattina, stendere del tutto le braccia, allargarle intorno a sé, spiegarle come delle ali a lungo tenute chiuse. E gettava la testa all'indietro, sorridendo, mentre i flebili raggi di sole trasparivano dal fogliame soprastante, illuminandole le guance.
Dopo aver steso il telo, logoro e grigio e sfilacciato – sapeva di casa – si sedeva aprendo il blocco sulle ginocchia, cominciando a disegnare tutto quello che le veniva in mente. Oppure leggeva, e il blocco giaceva in un cantuccio del telo, inutilizzato. Oppure faceva entrambe le cose, prima leggendo, poi sfogandosi sulla carta.
E poi faceva foto, tantissimi scatti. Agli alberi, ai suoi disegni, alla gatta, alle foglie; lì, tutto domandava di essere osservato e ammirato.
Persefone, invece, si scatenava come una pazza. Giocava con le ghiande, colpendole con la zampina, mordendole, lanciandole in aria. Oppure si rotolava nell'erba, riempiendosi il pelo di bastoncini e foglioline, per poi scuoterli via scrollandoli con un tremolio della pelliccia. E, quand'era particolarmente agitata, cominciava a prendere a zampate il blocco (o libro) di Flaminia, oppure le catturava una ciocca di capelli in bocca, tirandola, o ancora le si strusciava intorno miagolando, finché la ragazza, sbuffando, si tirava su e giocava con lei, assecondando le sue follie di micio. Si faceva rincorrere per poi cadere nel fogliame ridendo, mentre la gatta le saliva in braccio appoggiandosi con le zampe sul suo petto per leccarle il naso. Oppure si arrampicavano sugli alberi, con Persefone che si prendeva gioco della goffaggine del corpo umano, gnaulando a Flaminia, cinque rami più in basso, che era troppo lenta e doveva sbrigarsi.
Il Bosco era davvero la seconda casa di Flaminia e Persefone. Soprattutto in autunno, quando l'aria sapeva di umido, anche se poi morivano di freddo e si bagnavano come dei pulcini tutt'e due. Erano, per loro, dei mesi speciali.
L'autunno è la stagione dei boschi per antonomasia, questo pensava Flaminia quando ritraeva Persefone in un attimo di calma, seduta composta con le zampine raccolte sotto di sé sul tappeto di foglie gialle e arancioni e rosse, come una regina sul suo letto di pietre preziose.
L'aria lì profumava di foglie, resina e libertà; attechiva ai corpi di Flaminia e Persefone, facendole diventare parte integrante del Bosco. Il vento carezzava gentile il pelo dell'animale e i capelli fiammanti della ragazza, sussurrando loro che erano sempre le benvenute lì.
Il sole calava, ed era ora di tornare a casa. Quindi Flaminia raccoglieva le proprie cose, i gesti lenti e malinconici, mentre Persefone la guardava dall'alto di un ramo facendo miao, stizzita.
Dobbiamo proprio tornare a casa?
Flaminia, una volta uscita, si girava più volte a guardare il suo Bosco, nostalgica. Negli occhi, ogni volta, la promessa di un ritorno.

  
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