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Autore: harinezumi    31/01/2014    1 recensioni
Arriva un momento, nella vita di Dick Grayson, in cui il bisogno di definire chi o cosa è diventato agli occhi di Bruce Wayne non può più essere rimandato al futuro. A quel punto, non c'è da meravigliarsi che le parole di Jason diventino sufficienti a spingerlo al di là di una linea prima invalicabile...
Genere: Drammatico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Oltre
Genere: Generale, Drammatico, Fluff (finale)
Parole: 3072
Personaggi: Batman (Bruce Wayne), Nightwing (Dick Grayson), Robin (Jason Todd), Alfred Pennyworth
Coppia: Nessuna
Avvertimenti: Missing Moments, What if?

Note/Contesto: la fic ha luogo nella linea temporale pre-New52 e post Crisi sulle Terre Infinite, poco prima della morte di Jason Todd. Quindi, per intenderci, qui lui è ancora Robin, e Dick Grayson è appena diventato Nightwing, andandosene di casa per stare con i Titani a tempo pieno. Nella mia testa, il tutto è associato più ai fumetti degli anni '80 che a quella... COSA(?!?) che è Nightwing Year One.
Grazie dell'attenzione e buona lettura! :)

harinezumi

 

 

__________

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Oltre

 

 

 

 

“Ti sfido ad uscire nella sala adesso” affermò Jason, sorridendo sotto i baffi, completamente svaccato a testa in giù sopra una delle poltrone migliori di Bruce, nel suo sontuoso ma ristretto studio di villa Wayne. “E a comportarti come se fosse tuuutto normale. E a prenderne ancora”. Sollevò il bicchiere.
“Che? Assolutamente no” protestò Dick, steso per terra a ricoprire il tappeto davanti alla scrivania; i suoi occhi erano vacui e la sua cravatta blu allentata. Puntavano l'orologio a pendolo davanti a loro, che segnava sempre la stessa ora, desiderosi.

Un'ora dopo l'inizio della prestigiosa festa di compleanno che la società richiedeva che Bruce organizzasse ogni anno, entrambi si erano rifugiati nello studio, perché, specialmente Jason, sentivano ormai i muscoli facciali fare male dal troppo sorridere a perfetti sconosciuti o imbecilli. Dopo un paio di occhiate di comune accordo, avevano optato per una ritirata che non comportasse necessariamente la fine dei loro festeggiamenti; erano stati talmente prudenti che forse nemmeno Bruce stesso se n'era accorto, quando avevano imbracciato uno dei bariletti della birra che stavano di riserva sotto al tavolo del buffet e l'avevano requisito per uso personale.
Mentre per Jason si trattava di un'eccitante nuova bravata, Dick aveva già bevuto troppo, a quel punto della festa, per soffermarsi su dettagli come il fatto che il suo sedicenne 'fratellino' non fosse autorizzato ad assumere nessun tipo di alcolico, né tanto meno in quella quantità. Del resto Dick stesso non aveva ancora ventuno anni, ma era giunto da tempo alla conclusione che se era abbastanza grande da essere economicamente indipendente lo era anche per bere.
In un barlume di lucidità, aveva comunque fatto attenzione a svuotare la maggior parte del contenuto del piccolo barile da solo.

“Sei un coniglio. Hai paura di non saperlo fare?”
“Bruce si accorgerebbe de... di come sono ridotto senza neanche guardarmi”. Dick, a suo malgrado, ridacchiò a quel pensiero, valutando se ne valesse la pena. “Detesto quando lo fa. 'Richard, cammini di un grado spostato a destra per una lesione leggera alla tibia, sicuramente è perché la tua guardia fa schifo'. Come se non avessi il diritto di conoscere nemmeno me stesso, o avessi il potere di non rimanere schiacciato da stupidi ciccioni imbottiti di Venom che cadono dall'alto...”
“Okay! Lui forse se ne accorgerebbe, ma gli altri?” continuò Jason, senza demordere. “Dici sempre che ora fai quello che ti pare, ma intanto lo fai di nascosto... sei un coniglio”.

Dick rise ancora, di gusto. Non sembrava aver dato nessun peso alle parole di Jason; però nei suoi occhi si era accesa una scintilla che non prometteva nulla di buono, e non fissava più il passaggio per la Caverna con lo stesso desiderio.
Si alzò a sedere, puntellandosi subito con una mano per combattere il senso di nausea improvvisa, e voltandosi poi a guardare Jason, alzando un sopracciglio.

“E tu ovviamente non vieni?”
“Tu non puoi più essere sbattuto fuori. Io sì” articolò Jason, e Dick annuì, ammettendo che in fondo il ragazzino aveva ragione. “In ogni caso non voglio perdere lo spettacolo, sarà fichissimo. Posso spiare dalle scale”.
“Non ci saranno spettacoli. Non metterò in imbarazzo né me stesso né Bruce” ribatté Dick, alzando gli occhi al cielo e evitando di pensare ai movimenti del proprio stomaco quando si alzò in piedi.
Si sistemò la cravatta, cercando di riordinare il nodo, ma non era sicuro del risultato, così guardò nuovamente Jason. “È a posto?”
Dall'espressione del ragazzino, probabilmente Jason era a malapena in grado di giudicare quale fosse la propria identità, in quel momento. Alzò un pollice tremante. “Tutto okay”.

Dick si avviò barcollando verso la porta, riassestando la propria postura ad ogni passo ed infine raccogliendo il cestino vicino all'ingresso e controllandone il contenuto; deciso che non si trattasse di nulla di importante, tornò a posarlo accanto alla poltrona di Jason. Questi gli lanciò un'occhiata confusa. “Ti servirà, quando tornerai sottosopra. Muoviti, o lo 'spettacolo' te lo puoi sognare”.

Ignorò il grugnito di protesta di Jason, andando alla porta e aprendola.
Scendere le scale non fu tanto difficile, perché improvvisamente la sensazione di annebbiamento dei sensi data dall'alcol era stata sostituita dal rimbombare delle proprie emozioni nella sua testa. Perché aveva dato retta a Jason? Bruce si sarebbe arrabbiato. No, persino quei tempi erano finiti. I tempi in cui se Bruce voleva urlargli addosso, almeno lo faceva. Non rimaneva a fissarlo come se volesse disconoscerlo dalla propria vita.
Un comportamento del genere, adesso, lo avrebbe soltanto deluso. Non avrebbe capito la situazione, né i suoi tentativi di fare amicizia con Jason, né lo scherzo, perché erano due anni che si rifiutava anche solo di considerare le sue battute per rompere il ghiaccio tra loro.

Dick sentì le gambe farsi di nuovo molli quando venne riportato al presente, nel rientrare nella sala da ballo della villa allestita a festa; si appoggiò alla balaustra delle scale secondarie che aveva preso, non appena notò, sopra a qualche gradino sullo scalone principale, Bruce Wayne. Stava discutendo di chissà cosa con due donne anziane e un uomo molto giovane, e sorrideva, all'apparenza del tutto a suo agio. Dick aggrottò le sopracciglia, trovandolo all'improvviso molto ipocrita.

Nella sua visuale entrò Alfred, portando un vassoio pieno di bicchieri colmi di champagne. A prima vista Dick pensò che fosse diretto alle cucine accanto alla sala, di solito in disuso, ma il maggiordomo cercava lui in maniera evidente, perché gli si fermò accanto.
“Posso chiedere se la serata è di suo gradimento, signorino?” domandò; sembrava sincero, ma Dick lo conosceva troppo bene per non notare la sua occhiata di 'so tutto e non lo sto approvando'.
“Con chi sta parlando Bruce?”
“Con l'erede della compagnia Powers, e la sua famiglia. La vedova sua madre, e la zia. Quella che ha addosso non può essere la stessa cravatta di stamattina, Richard”.
“Sono quei... tizi con cui c'è il contratto in scadenza. Scommetto che Bruce se li vuole levare di torno tanto quanto loro vogliono rinnovare. La vecchia ha cercato di assalire Bruce, una volta, lo sapevi?”
“Incredibile come lo stato in cui si trova le faccia ancora tenere a mente dettagli tanto rimarchevoli”. Ora il sarcasmo nella voce di Alfred non era soltanto pungente, nascondeva anche altro. Usò tutt'altro tono, continuando, abbassandolo. “Richard, la invito ad andare a stendersi nel suo vecchio letto. La verrò a chiamare tra un paio d'ore, se lo desidera”.
“Alfred...” lo interruppe Dick, appoggiandogli una mano sulla spalla e prendendo uno dei calici pieni con l'altra. “Lo so che sei arrabbiato. Però non prendertela con Jason”.

Con un grande sorso dal bicchiere, Dick lasciò il maggiordomo dove stava, dirigendosi nel bel mezzo della sala, in mezzo alla gente, montandosi sulla faccia un sorriso talmente ampio e isterico che aveva dell'inquietante.

 

*

 

“Ehilà, miss Powers!” esclamò Dick, distruggendo l'educata conversazione che Bruce stava avendo con estrema efficacia, passando un braccio sulle spalle della signora Powers, che si sistemò gli occhiali con un sobbalzo, colta di sorpresa. “Posso chiamarla miss, insomma... date le recenti circostanze. Ehi, Bruce!” continuò, non mancando di notare il guizzo negli occhi del proprio mentore, ignorandolo, e tirando anche lui nel proprio abbraccio, anche se questo significò far quasi inciampare la vecchia signora.
Il figlio di lei cercò di controbattere con un “ehi!”, ma la sua protesta venne troncata dallo sproloquio di Dick, non ancora concluso, che lasciò entrambi per continuare a bere. Bruce era paralizzato.
“Dick, cosa...”

“Sapete, se non vengo io a salutarlo lui non si fa avanti per niente. In più di un'occasione non sono nemmeno riuscito a parlargli, il giorno del suo compleanno, prendi l'anno scorso” spiegò, con un sorriso alle signore che lo fissavano scandalizzate. “Mi ha lasciato fuori dalla porta. Sempre troppo occupato per me!”
In quel momento, sentì il caldo sapore della sfida aumentare nel petto, quando entrambe ricambiarono il sorriso, anche se il ragazzo con loro non lo fece.
“Oh, Brucie, chi l'avrebbe mai detto che eri così distratto?” rise la signora Powers, accompagnata dalla sorella.
L'espressione di Bruce sapeva di morte, ma sforzò un sorriso. Se Dick non avesse saputo che quello era il risultato di dieci anni di allenamento all'auto-controllo, avrebbe applaudito di fronte a tanta abilità.
“E chi l'avrebbe mai detto che Richard avrebbe raggiunto ventuno anni così in fretta?” rispose; sotto il suo tono apparentemente pacato e scherzoso, Dick riconobbe la nota di furia profonda che cercava. La cosa non fece altro che farlo sorridere di più, mentre gli altri tre perdevano un riferimento che lui invece aveva colto bene.
“Ah! Non so nemmeno come fai a tenere il conto così bene, visto che al mio ultimo compleanno non c'eri!” esclamò, fingendosi meravigliato e cercando di nuovo il bicchiere con le labbra; gli venne praticamente strappato dalle mani da Bruce, che finse noncuranza mentre ne finiva il contenuto, fissandolo come non lo aveva mai fissato prima.
“Devo aver perso il tuo indirizzo nelle numerose occasioni in cui mi hai contattato dopo che te ne sei andato”. Anche se stavolta la freddezza era palpabile a tutti, Dick ne rimase immune.

“Oh, hai la stessa età di Roger... crescono davvero in fretta” continuò la signora, senza accorgersi di quello che stava succedendo; Roger in questione sembrava aver captato qualcosa nell'aria, perché se ne stava zitto, turbato, anche se nel modo più educato che gli fosse possibile. Dick gli fece l'occhiolino, con tanto di un cenno del mento, segno che Bruce non mancò di notare.
“Ah, già, mi sembrava ieri il giorno in cui ho chiesto l'emancipazione e Bruce me l'ha negata. Sapete che non sono il suo erede ufficiale?” domandò Dick, sorvolando sulla prima frase come se non fosse importante, e mantenendo il tono di chi sta per rivelare una grande curiosità.
“Cosa? E perché mai, tesoro?” domandò la zia, portandosi una mano al petto in assoluta costernazione. Doveva proprio essere una di quelle donne d'alta società che vivevano di pettegolezzi: perfetto.
“Proprio così, legalmente, io non ho nulla a che fare con Bruce Wayne da quando ho compiuto diciotto anni. Che ci vuoi fare, a volte va così... no, Bruce? Oh, però Jason ce l'ha fatta. Cognome o meno, ora è un Wayne” spiegò Dick, sentendo la presenza di Bruce, accanto a sé, farsi più vicina. “Immagino sia una cosa per pochi elett--”

Non riuscì a finire la frase, perché si sentì afferrare violentemente per una spalla e spingere indietro, lontano dalle signore; stordito da quell'improvviso contatto, che nel suo stato non aveva previsto, non sentì quasi la voce di Bruce pronunciare delle parole. “Vogliate scusarci, ma credo di aver visto un vecchio amico, e Dick dovrebbe salutarlo”.
Il corpo reindirizzato su una traiettoria dalla mano di Bruce sulla schiena, Dick vide che effettivamente si stavano dirigendo verso il Commissario Gordon, poco più in là, salvo poi prendere una brusca svolta in direzione dell'uscita dalla sala. Ad un certo punto, Bruce lasciò il bicchiere da qualche parte e gli prese di nuovo il braccio, come se avesse intenzione di scappare.

Ancora prima che si appartassero, ancora prima che le mani di Bruce lo lasciassero, Dick ricominciò a parlare; tutto il fervore era svanito, lasciando spazio ad una voragine di consapevolezza, anche in quello stato.
“Oh, Bruce, andiamo, mi... mi dispiace... non avevo intenzione di spingermi così oltre, era solo...”
Si ritrovò all'ingresso principale, quando Bruce si separò da lui. “Fuori. Vattene”.
Dick deglutì, voltandosi e fissando il proprio operato negli occhi; era ancora troppo ubriaco per capire quando ritirarsi, anche di fronte al peggiore dei Batman possibili.
“Sei un bastardo. Sai che quello che ho detto è vero” rispose, sentendo con orgoglio la propria voce rimanere ferma.
“Ne riparleremo. Quando sarai sobrio” fu l'unico commento di Bruce, dato a mascella contratta, prima di voltargli le spalle, intenzionato a ritornare nella sala.

Dick non si era mai sentito un patetico bastardo come in quel momento, quando afferrò la manica della giacca di Bruce per trattenerlo. Era un gesto che faceva spesso, quando era più piccolo, perché non voleva che l'altro fosse costretto ad andare a stupidi party quando insieme avrebbero potuto volare nei cieli di Gotham per tutta la notte. O almeno, fino al coprifuoco.
Non si sarebbe mai dimenticato quando a dieci anni, la sera prima del suo ultimo giorno di scuola, si era aggrappato a quella manica con tanta forza quanta ne usava quando erano per le strade, protestando che voleva festeggiare. E Bruce aveva riso, e aveva acconsentito a restare. Ad uscire con lui.
Era una delle più grandi vittorie della sua infanzia.

“Non andare. Vorrei spiegarmi”.
Non ci fu l'ombra di un cambiamento sul volto di Bruce, ma lo scrutò con attenzione, da capo a piedi, come se stesse cercando qualcosa. Il che era altamente probabile, considerando chi fosse.
“Porta Jason a letto. È mezzanotte e domani dovrà saltare la scuola perché nella tua stupidità hai pensato che fosse la persona più adatta come compagno di bevute. E vai nella tua stanza... non voglio che guidi fino a casa”.
“Non devo più andarmene?”
“No”.

Probabilmente a quel punto Bruce avrebbe preferito andarsene, quando Dick lo abbracciò con tanta forza quanta ne possedeva al momento. Nascose la faccia nella sua giacca e chiuse gli occhi, anche se farlo gli provocò una sensazione di nausea immediata, non potendo capire che il mondo non stava girando attorno a lui per davvero.
“Non lasciarmi. Non arrenderti con me... ancora prima che io possa provare a rimediare” mormorò, il suono della sua voce soffocato dalla stoffa, e da qualcos'altro.
“Dick... a proposito dell'adozione, non è quello...”
“Mi dispiace di averti detto che non volevo. Io non desidero altro da quando sono qui, ti prego, Bruce... cerca di capire. Lo so che sbaglio tante cose. Ma preferisco che tu me lo urli in faccia a... a niente”.
“Capisco. Richard, lasciami”.
Dick scosse la testa, ancora sepolto nella giacca.

Non ricordò esattamente quando o come Bruce riuscì a spostarlo. Si sentì trascinare, ad un certo punto, e poi posare sul familiare divano del loro salotto privato. Aprì gli occhi, intravedendo in uno scorcio Bruce che si guardava intorno, come in cerca di qualcosa.
Sentì posarglisi addosso la stessa giacca che stringeva poco prima, a coprirlo. Il “tud” di un cestino non molto dissimile da quello che aveva poggiato accanto a Jason.
E, cosa del tutto inaspettata, un bacio sulla fronte.

 

*

 

“Tu fai schifo”.
“Alfred non ti ha mai insegnato a badare a come parli, ragazzino?”

Quando Bruce scese in cucina, completamente vestito, per recuperare altro caffè oltre a quello che Alfred gli posava come sempre sul comodino, erano quasi le undici del mattino, e c'erano quelle voci che provenivano dalla cucina. Il maggiordomo a quell'ora stava facendo il bucato, ma lasciava sempre un thermos accanto alla saliera, che Bruce poteva portare in studio, o nella Caverna, per passarci il resto della giornata senza dover fare rifornimento.
Intendeva prenderlo e andarsene, ma, appena si trovò sulla soglia della stanza, l'odore di dolci lo investì.
Dick stava cucinando dei pancake. Jason era spalmato su mezza tavola, in una mano una bottiglietta di farmaci, nell'altra una tazza di caffé.

Lo notarono entrambi, ma mentre Dick non disse una parola, voltandosi in fretta verso i fornelli, Jason cominciò a mugugnare: “Questo bastardo non sente la sbornia del giorno dopo. È qui a cucinare come un imbecille da due ore, ha detto Alfie. E per chi, poi? Io potrei vomitare l'intestino, adesso. Dio, quanto lo odio”.
“Jason, Dick ha ragione. Bada a come parli” sbottò Bruce, andando a sedersi attorno al ripiano da colazione della cucina, e passandosi una mano sugli occhi. Poi, notò la Gotham Gazette, e la sua attenzione venne catturata. “Dick, caffé”.
“Ma certo, prego!” esclamò questi, alzando gli occhi al cielo. Il suo tono non era arrabbiato; era teso. Posò accanto a Bruce una tazza fumante in meno di mezzo secondo, mentre Jason li fissava entrambi con una smorfia.
“Questa è la parte dove Bruce finge di avere la testa per poi perderla appena fai un commento su ieri?” domandò, sollevandosi, come se volesse battere in ritirata.

Dick non rispose, anche se gli lanciò un'occhiata storta, togliendo poi l'ultimo pancake dalla padella e spegnendo il fornello. Era chiaro che se avesse potuto davvero rispondere “no, ma che dici”, lo avrebbe fatto, e che la sua ansia gli aveva impedito di parlare. Bruce non mancò di notarlo, anche al di sopra del giornale.
“No” rispose ad entrambi, facendoli sussultare. “Non parlerò di quanto successo ieri, ad una condizione”. Posò il giornale, fissando primo fra tutti Jason. “Tu sei fuori dal caso Crane. Una parola, e sei fuori dalla Caverna per un mese”.

Jason aveva cominciato ad aprire la bocca, ma la richiuse all'ultima specifica. Dick gli lanciò un sorriso che voleva essere incoraggiante. “C'è di peggio, passerotto”.
“Chiamami ancora così e...”
“Allora” lo interruppe Dick, voltandosi verso il proprio mentore con un sorrisetto. Come se già sapesse che il suo destino era vicino e fosse pronto a raccogliere ogni cosa Bruce gli tirasse addosso; tanta sicurezza in sé fece quasi fare a Bruce un passo indietro. “Era davvero quella la condizione? Perché a me sta bene”.
“Oggi abbiamo un appuntamento con il notaio” continuò invece, con un tono di voce inflessibile. “Per firmare il certificato di adozione”.

L'espressione di pura meraviglia e sgomento sul volto di Dick valse tutto il tempo che ci aveva messo a pianificare quel momento. Il ragazzo era sinceramente confuso, e altrettanto lo era Jason, anche se quest'ultimo alla fine esibì un sogghigno sotto i baffi che gli confermò che la cosa lo rendeva felice. Del resto, non erano soltanto due di loro a vivere in mezzo a quella tensione insopportabile.

“Bruce, io non capisco... pensavo che volessi prendermi a calci perché sono stato...” cominciò Dick, gesticolando vacuamente; sembrava di nuovo ubriaco.
Bruce, d'altra parte, non aveva intenzione di tirarlo fuori dal suo stato mentale tanto presto. Prese la tazza di caffè e la rivista, tornando a leggerla con noncuranza. “Già. Non appena avrai firmato quelle carte, il mio prenderti a calci, in quanto genitore, sarà del tutto giustificato”.

Anche se continuò con la sua facciata distratta, Bruce non poté perdersi l'espressione puramente atterrita di Dick, mentre Jason quasi si soffocò dal ridere.












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